Richard Strauss

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Richard Strauss

La lunga coda del romanticismo: Richard Strauss
Dal 1888, l'anno della prima rappresentazione del Don Giovanni, al 1911, l'anno in cui fu messo in scena Der Rosenkavalier (Il Cavaliere della Rosa), l'uomo piú discusso della musica europea fu Richard Strauss. I suoi poemi sinfonici parevano l'ultima parola di uno sconvolgente modernismo; nel 1905 la Salomè e nel 1909 Elettra (Elettra) fecero scandalo e furono addirittura causa di disordini. Era prevedibile che ai conservatori la musica nuova di Strauss non sarebbe piaciuta. Saint-Saëns avrebbe deluso tutti se non avesse pronunciato la sua solenne sentenza: « Spingere le opere d'arte al di là del dominio dell'arte significa semplicemente spingerle nel regno della follia. Richard Strauss ci sta mostrando la strada ». Ma, si osservava, anche gli alleati dei progressisti avevano da ridire. Gian Francesco Malipiero, che avrebbe dovuto automaticamente schierarsi con la nuova « musica del futuro » di Strauss, lo liquidò definendolo « il Meyerbeer del ventesimo secolo ». Per Gustav Mahler, invece, la Salomè era l'opera di un genio. Fauré, equilibrato come sempre, disse cose acute su quest'opera tanto discussa. Salomè, disse, era un poema sinfonico cui erano state aggiunte delle parti vocali; ma aggiunse: « L'atmosfera e il colore sono espressi con le sfumature piú fini, con temi mediocri, è vero, ma sviluppati, elaborati, intrecciati con cosí meravigliosa abilità che il loro interesse intrinseco è superato dalla magia di una tecnica orchestrale veramente geniale, per cui questi temi - lo ripeto, mediocri - finiscono con l'acquistare carattere, forza e quasi sentimento ». La brillante orchestrazione di Strauss fece profonda impressione sui contemporanei. Dukas, quando senti Salomè, disse che aveva sempre creduto di intendersene, di orchestrazione, ma che adesso si rendeva conto di quanto avesse da imparare.
Per il pubblico Strauss era « il piú grande compositore del mondo » nonché uno dei piú grandi direttori. Appena scriveva qualcosa la stampa di tutti i paesi ne parlava. Che cosa avrebbe fatto, dopo? E ogni nuova opera era più sensazionale dell'ultima. Dopo il Don Giovanni erano venuti poemi sinfonici con una storia ancor piú dettagliata, con effetti sempre piú imponenti, e con orchestre che diventarono sempre piú numerose fino al 1904, l'anno in cui l'America senti la Sinfonia domestica con il piú possente organico orchestrale dal tempo di Berlioz e della sua orchestra ideale. Sensazione: era questa la parola che andava bene per Strauss. Quell'uomo alto e magro e la sua musica oltraggiosa facevano sensazione. Non solo usava l'orchestra più numerosa che fosse mai stata usata, non solo ne era il padrone supremo e indiscusso, ma suonava anche musica piena di torturanti dissonanze. Raccontava storie, con quella musica, in cui si sentivano addirittura belare la capre e fischiare il vento. E non solo: Strauss era indubbiamente immorale. Chi, se non un uomo di dubbia moralità, poteva mettere in musica un dramma di Oscar Wilde, quell'inglese che ... eccetera eccetera? Nel 1907 Salomè ebbe una sola rappresentazione al Metropolitan; lo scandalo e l'indignazione del pubblico furono tali che la direzione la tolse immediatamente dal cartellone. I critici newyorchesi erano sgomenti. Lawrence Gilman, tremante di rabbia, scrisse che si era annoiato (vecchia scappatella dei critici; quando un recensore si sente scosso alla base stessa delle proprie convinzioni, riesce a dimostrare di essere ugualmente molto sofisticato affermando di essersi annoiato). Henry Krehbiel definí la Salomè « un fetore morale ». Ci furono lettere ai direttori dei giornali: « Possiamo permettere che le nostre donne, i nostri figli e le nostre figlie vedano questo spettacolo? ». Nel titolo di un giornale di New York la Salomè era definita « opera disgustosa ». L'imperatore di Germania, Guglielmo II, i cui gusti musicali si rivolgevano piú a Johann che a Richard Strauss, disse che gli dispiaceva che il musicista avesse composto la Salomè: « Mi è simpatico, ma l'opera lo danneggerà parecchio ». E invece, come notò Strauss molti anni dopo, gli « permise di costruire la villa di Garmisch ».
Tutto ciò che riguardò Strauss, fino al tempo del Cavaliere della Rosa, fece notizia. Non che fosse eccentrico. Tutt'altro. Era un bravo, solido, borghese tedesco, felice¬mente sposato; e nella sua vita privata non ci fu mai il minimo scandalo. Non avrebbe mai osato intrecciare una relazione illecita. Aveva paura della moglie Pauline, dalla quale si lasciava dominare. Forse era proprio questa vita incolore che interessava il pubblico. Era difficile conciliare una musica cosí sfrenata con la sobrietà dell'uomo. Quando scatenava la tempesta, dirigendo le proprie composizioni, dava il tempo con piccoli gesti e si muoveva pochissimo; e i critici non si davano pace per un contrasto cosí stridente tra musica travolgente e gesto parco. Come Puccini, anche Strauss era della nuova razza dei compositori che si tagliavano i capelli e si vestivano con sobrietà: l'autore di quella musica « modernista » aveva l'aspetto di un bancario.
Giornalisti e direttori erano affascinati anche dal fatto che con quella musica si potesse guadagnare tanto. Quando Strauss fece una tournée in America, nel 1904, il Plaín Dealer " di Cleveland dedicò un lungo articolo ai compensi che gli venivano pagati come direttore e i diritti che riscuoteva come autore, attribuendogli un reddito annuo di almeno 60.000 dollari all'anno e concludendo: « Tra cinque anni spera di raddoppiare la cifra ». La rivista americana " The Theatre " riferiva nel 1909: « Richard Strauss sta facendo tanti soldi con le opere che diventerà probabilmente il più ricco compositore di tutti i tempi ». Si sapeva che era un bravo uomo d'affari e che il suono delle monete non gli piaceva meno di quello dei violini. Alma Mahler si trovò seduta accanto a lui durante la prova generale del Feuersnot nel 1901. « Ha pensato soltanto ai suoi guadagni » annotò nel diario. « Se n'è stato per tutto il tempo con la matita in mano e ha calcolato i profitti fino all'ultimo centesimo ». A New York Strauss dette due concerti al Wanamaker's Department Store e la stampa (e anche certi colleghi americani particolarmente invidiosi, come Walter Damrosch) si comportò in modo tale che si sarebbe creduto che Strauss avesse dato i due concerti in un gabinetto pubblico: si faceva capire, tra le righe, che l'arte della musica era stata infangata per sempre.
Ma Strauss era imperturbabile. Non c'è niente di male se un artista guadagna per la moglie e i figli, diceva, intascando i suoi 1000 dollari a sera. Non era un venale, spiegò a un giornalista. Voleva semplicemente guadagnare abbastanza per vivere nell'agiatezza il resto dei suoi giorni. Il giornalista non gli domandò che cosa significasse, tradotto in cifre, quell'« abbastanza ». Le storielle sull'avidità di Strauss erano innumerevoli. Strauss (questa è una) va a Dresda per una priva di Salomè. Di ritorno a Berlino, il figlio lo va a prendere alla stazione: « Papà, quanto ti ha fruttato la prova? ». Strauss, piangendo di gioia, lo abbraccia: « Adesso so che sei davvero figlio mio ».
I musicisti piú seri e impegnati erano turbati, se non addirittura rivoltati, dalla maniacale cupidigia di Strauss, e l'eminente direttore Fritz Busch, che lo conosceva bene, ne parla anche nell'autobiografia: « L'enigma di Strauss - che nonostante le sue meravigliose doti non ne è veramente penetrato e posseduto come altri grandi artisti, ma si limita a indossarle come abiti di cui ci si può spogliare a volontà - né io né altri siamo mai riusciti a penetrarlo: ed è la sua decisa inclinazione alle cose materiali, l'assoluta avversione a ogni sacrificio, l'essere nemico giurato di ogni mutamento sociale ». Hans Knappertsbusch, un altro direttore, fu molto piú esplicito e di poche parole: « Era un maiale ».
Le accorte manovre finanziarie di Strauss affascinavano la stampa di New York, che ne tenne sempre informato il pubblico. In occasione della prima del Cavaliere della Rosa, al Metropolitan, il " Sun " dell'8 dicembre 1913 informò i lettori dei particolari finanziari: « Pare che il Metropolitan paghi 1500 dollari, o giú di lí, a sera, per il Cavaliere della Rosa, allo scopo di lenire i sentimenti di Strauss, feriti dalla faccenda della Salomè. È dieci volte la somma pagata per le opere piú popolari di Puccini ». Tutti volevano sapere i dettagli piú intimi, finanziari o no, della vita del « piú grande compositore del mondo » o, come disse un giornale, del Musicista del Momento.
E se non si trovava materiale per un articolo su Strauss ce n'era sempre per un articolo sulla moglie Pauline. Ex cantante, era una donna avida, energica, decisa, che tirava avanti per la sua strada senza curarsi dei sentimenti altrui, e meno che mai di quelli del marito. Era una vera favola. Non si sa bene perché, Strauss ne sopportava le collere e i nervosismi. Al critico viennese Max Graf raccontò che da giovane aveva avuto una certa tendenza alla dissipazione. Pauline lo aveva guarito. « Richard, va a comporre! » gli gridava; e Strauss, rassegnato, lasciava la partita di skat (il suo passatempo favorito) e si ritirava nello studio. La moglie lo aveva educato bene. Deems Taylor, il compositore e critico americano, una volta lo intervistò a Garmisch.
Prima di rientrare in casa, Strauss « si fermò e si pulí attentamente le scarpe su un tappetino umido, messo davanti alla soglia. Poi fece un passo, e le strofinò di nuovo su un altro tappetino, asciutto, questa volta. Varcata finalmente la soglia, se le pulí per la terza e ultima volta su un tappetino di gomma subito dietro la porta ».
Fino al Cavaliere della Rosa, ogni composizione di Strauss generò un'atmosfera di eccitazione e di elettricità. Dopo accadde qualcosa. Secondo alcuni critici, tutto quel che Strauss scrisse dopo quell'opera rappresentò un regresso: musica pallida, piena di ripetizioni, in cui anni di abilità agivano per pura forza di abitudine. « Un compositore di talento che una volta fu un genio », disse Ernest Newman. Altri invece dicono che dopo essersi liberato del superficiale sensazionalismo dei poemi sinfonici, Strauss cominciò a comporre la lunga serie di opere culminata nelle opere « magistrali », « autunnali » e « profonde » della vecchiaia. Lo stesso Strauss fece capire che nella Salomè (1905) e in Elettra (1908) si era spinto troppo vicino all'abisso per non provarne disagio, ed era tornato precipitosamente indietro: « Entrambe quelle opere sono uniche nella mia vita. In esse sono andato ai limiti estremi dell'armonia, della polifonia psicologica (il sogno di Clitennestra) e della recettività dell'orecchio moderno ». La reazione del pubblico alle opere che vennero dopo Il Cavaliere - e anche quella di quasi tutti i colleghi di Strauss - si conformò al giudizio di Newman a proposito del talento che si era sostituito al genio. Strauss aveva fatto sempre sensazione, superandosi continuamente con composizioni una piú audace dell'altra. Quando non fu più capace di superare per audacia e sensazionalismo quello che aveva fatto prima, ci fu un raffreddamento senza precedenti nel pubblico. Le sue prime cessarono di essere avvenimenti internazionali. I lavori ricevevano un'accoglienza cortese, ma niente di piú; non ci sarebbero state mai piú le vivaci discussioni di un tempo. Dopo il 1911 Strauss continuò a comporre sempre, piú o meno, la stessa opera, e i colleghi non avrebbero potuto mostrarsi piú indifferenti. Salomè e Elettra erano il massimo risultato di Strauss: adesso c'erano i nuovi eroi della musica internazionale, Prokof'ev, Bartók e soprattutto Stravinskij. Si parlava molto anche di Arnold Schönberg, che con la sua musica faceva sembrare antiquata quella, un tempo rivoluzionaria, di Strauss.
Richard Strauss nacque a Monaco l'11 giugno 1864. Il padre, uomo vivacissimo, ostinato e senza peli sulla lingua, era il piú celebre suonatore di corno della Germania, e compositore: considerava Wagner un sovversivo e giurava che dopo Mendelssohn e Schumann non si era piú scritta della vera musica. Franz Strauss suonava nell'orchestra dell'opera di Monaco, e perciò aveva partecipato alle prime mondiali del Tristano e Isotta e dei Maestri Cantori. Aveva sempre avuto violenti scontri con Hans von Bülow e con lo stesso Wagner. Detestava, senza mezzi termini, le parti per corno delle opere wagneriane; ma le suonava cosí bene che Wagner preferiva ignorare i suoi sarcasmi. Considerando il carattere fieramente indipendente di Franz, dovettero essere roventi anche gli scontri con Bülow, direttore ferreo e intransigente, il piú collerico dei tempi suoi. Una volta Bülow invitò Strauss a ritirarsi in pensione; senza farselo dire due volte, Strauss prese il suo strumento e andò a chiedere davvero la pensione « visto che Herr von Bülow lo ha ordinato ». L'incidente fu rimediato. Qualche anno dopo, quando lavorava con il giovane Richard, Bülow diventò addirittura amico di Franz.
Richard ereditò l'istinto musicale del padre. Suonava il piano a quattro anni e mezzo e il violino poco tempo dopo; e a sei componeva. Franz lo tenne a una dieta musicale rigorosamente conservatrice, e le composizioni giovanili di Richard lo dimostrano: erano costruite con abilità, ma sembravano scritte nei primi anni del diciannovesimo secolo. Richard avrebbe potuto fare tournées come fanciullo prodigio, alla Mozart, ma il padre non volle che si muovesse da Monaco e lo fece andare al ginnasio, dove ebbe una buona istruzione generale. Non c'era fretta: era scontato, in famiglia, che Richard sarebbe stato musicista, ma ogni cosa a suo tempo. Dal ginnasio, il giovane passò all'università nel 1882 (superò qualche esame ma non prese mai la laurea) e poi si trasferí a Berlino facendo la solita routine e suonando il piano alle serate musicali private. Nel 1884, sempre a Berlino, conobbe Bülow che con la sua orchestra di Meiningen presentò la Serenata per strumenti a fiato in mi bemolle (op. 7). Bülow fece dirigere al vice e si sedette tra il pubblico, applaudendo calorosamente. La Serenata gli piacque tanto che esortò Strauss a comporne un'altra simile. Nacque cosí la Suite per fiati in si bemolle (op. 4). Bülow la mise in prova a Meiningen ma, con un gesto gentile nei confronti del giovane e geniale compositore, volle che fosse data in prima esecuzione nella città natale di Strauss, Monaco. E propose a Richard di dirigerla. Quando Bülow « proponeva » tutti obbedivano. Strauss non aveva mai tenuto la bacchetta in mano, ma diresse lo stesso: in uno stato di choc, raccontò anni dopo. Sapeva soltanto di non aver commesso grossi errori. Dopo la prima, il padre volle ringraziare Bülow, che ebbe una delle sue tipiche uscite: « Lei non deve ringraziarmi di niente. Non ho dimenticato quel che ho avuto da lei in questa maledetta città. Quello che ho fatto io, oggi, l'ho fatto perché suo figlio ha del talento, e non per lei ». Poi, scrisse Strauss in un articoletto sul famoso direttore « Bülow tornò di colpo di ottimo umore ». Si era sfogato, ed era soddisfatto.
Il giudizio positivo di una persona potente come Bülow era sufficiente per avviare Strauss a una carriera promettente. E Bülow vide in lui abbastanza talento per nominarlo suo vice a Meiningen, nel 1885; Strauss debuttò dirigendo una sua composizione, la Sinfonia in fa minore. Era bene avviato, ma a diventare un compositore accademico.
Tutto cambiò quando conobbe Alexander Ritter, violinista dell'orchestra di Meiningen. Ritter aveva conosciuto Wagner e ne aveva anche sposato una nipote, Franziska. Fu lui a iniziare Strauss alla musica di Berlioz, Liszt e Wagner; a spiegargli che cos'era la « musica del futuro »; a incoraggiarlo a cercare nuove vie. Strauss non ci arrivò subito. Scrisse un Quartetto per piano in do minore alla Brahms e cercò di perfezionarsi nella direzione. Nel novembre 1885 Bülow si dimise da Meiningen e Strauss rimase solo a capo di quell'orchestra. Fini la stagione, andò in Italia, tornò a Monaco e compose una sinfonia intitolata Aus Italien. Alla prima, nel 1887, l'ultimo movimento fece colpo: ci furono fischi e applausi. Strauss non si preoccupò dei dissensi: « Mi conforta sapere che sono sulla strada che volevo prendere, perfettamente consapevole che non c'è mai stato artista che non fosse considerato pazzo da migliaia di persone ». Ma non aveva ancora trovato se stesso, benché la selvaggia orchestrazione dell'ultimo movimento di Aus Italien (Dall'Italia) in cui citava Funiculí-funiculà di Luigi Denza (credendo che si trattasse di un canto popolare) fece capire con sufficiente chiarezza quale brillante compositore sarebbe diventato.
Nel 1886 Strauss passò all'opera di Vienna come terzo direttore. Intanto continuò a comporre secondo lo stile tradizionale. Tra l'altro scrisse il piacevole Burlesque per piano e orchestra (1885) e la Sonata per violino in si bemolle (1887), piena di grazia e di eleganza, addirittura magistrale, ma pur sempre musica del passato. Nel 1.886 conobbe Pauline de Ahna, il soprano che avrebbe sposato. Aveva cantato varie volte a Monaco sotto la sua direzione, e a una prova, pare, avevano litigato violentemente. Strauss era scomparso nel camerino di lei, e ne era riemerso annunciando il fidanzamento. Pauline era figlia di un generale e non perdeva occasione per far sapere che nella sua famiglia scorreva sangue blu. Trattò sempre dall'alto in basso gli Strass e l'ambiente borghese al quale appartenevano. La madre di Richard, Tosephine Pschorr, veniva da una ricca famiglia di birrai (la Pschorr è ancora oggi una delle marche piú popolari, a Monaco). Birrai! Strauss espresse il suo amore per Pauline in una serie di liriche scritte appositamente per lei, e che lei cantava in pubblico accompagnata al piano dal marito. Una, Ständchen del 1886, è rimasta tra le più popolari del repertorio. Strauss non smise mai di scrivere liriche e il mondo sarebbe molto piú povero se non esistessero pezzi come Rube, meine Seele; Cäcilie; Heimliche Aufforderung; Morgen; Freundliche Vision; Traum durch die Dämmerung e quelle che molti giudicano le piú belle di tutte, le quattro liriche per voce e orchestra composte nel 1888 e note col titolo di Vier letzte Lieder (Le ultime quattro liriche).
La prima opera di rottura è del 1889, ed è il poema sinfonico Don Giovanni. Tutti in Europa scrivevano poemi sinfonici. Il poema sinfonico fu per l'ultimo romanticismo ciò che il concerto grosso era stato per il barocco. Nell'avanguardia era diffusa una certa insofferenza per la tradizionale forma sinfonica. Beethoven aveva detto tutto quanto c'era da dire in materia e aveva ricavato il massimo possibile dalla sinfonia. Uno dei sistemi per risolvere il problema era ampliare il problema sinfonico lisztiano, e Strauss sembrò l'uomo piú adatto a farlo. L'11 novembre 1889 il Don Giovanni fu presentato in prima esecuzione a Weimar: era nata una nuova, potente personalità.
Fu grazie al Don Giovanni che tutti riconobbero in Strauss l'erede naturale di Liszt e, fino a un certo punto, di Wagner. Il poema richiedeva un'orchestra di dimensioni senza precedenti e diretta con un virtuosismo anch'esso senza precedenti. Il materiale melodico, con la sua ampia estensione e i suoi improvvisi slanci, era cosa nuova. E benché l'opera fosse legata a uno specifico programma letterario, la musica era abbastanza ricca di inventiva e aveva abbastanza integrità strutturale (forma sonata libera) per reggersi come musica e basta. Al Don Giovanni seguì una serie di poemi sinfonici che si imposero all'attenzione di tutta l'Europa: Tod und Verklärung (Morte e trasfigurazione) nel 1890 (le date si riferiscono non all'anno di composizione ma a quello della prima esecuzione), Till Eulenspiegels lustige Streiche (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) del 1895, Also sprach Zarathustra (Cosí parlò Zarathustra) del 1896, Don Chisciotte del 1.898, Ein Heldenleben (Vita d'eroe) del 1899, La Sinfonia domestica del 1904. L'ultimo fu la Alpensin f onie (Sinfonia delle Alpi), data nel 1915, che fu un fiasco. I poemi sinfonici diventavano sempre più grossi e sensazionali. Si può forse dire che il loro valore musicale è inversamente proporzionale alle dimensioni e alle date di composizione. Un sondaggio d'opinione condotto tra i musicisti dimostrerebbe probabilmente che i piú apprezzati sono i primi quattro.
Tutte queste composizioni derivavano fondamentalmente da Liszt. Ma mentre i poemi sinfonici di Liszt hanno un contenuto molto generico, Strauss compose esplicitamente musica descrittiva: si sforzò di rendere ti respiro di un moribondo, il processo di Till Eulenspiegel, il protagonista di Vita d'eroe che lotta con i suoi critici, l'alba in Zarathustra, Don Chisciotte che carica i mulini a vento, e cosí via. I poemi sinfonici si fecero sempre più dettagliati; e il titolo di un articolo sulla Sinfonia domestica apparso su un giornale di New York, nel 1904, coglieva nel segno: « Home Sweet Home, di Richard Strauss: papà, mammina e figlioletto celebrati in un immane conglomerato sinfonico ». Strauss difese la Domestica con la sua caratteristica mancanza di umorismo:
La Sinfonia intende essere una rappresentazione musicale della vita matrimoniale. So che alcuni considerano l'opera come la scherzosa rappresentazione della felicità familiare, ma confesso che non intendevo scherzare, componendola. Che cosa c'è di piú serio della vita matrimoniale? Il matrimonio è l'avvenimento piú importante della vita, e la santa gioia che dà questa unione è intensificata dall'arrivo del bambino. Certo, ha il suo aspetto divertente, e ho introdotto anche questo nella mia composizione, allo scopo di renderla piú vivace. Ma voglio che sia presa sul serio, ed è con questo spirito che è stata eseguita in Germania.
Strauss cambiò continuamente opinione circa l'importanza che il programma aveva nei suoi poemi sinfonici. Dava una sceneggiatura dettagliata per ognuno di essi, ma si irritava se i critici e il pubblico ci facevano troppo caso. Nel 1905 cercò di spiegare le sue teorie a Romain Rolland, lo scrittore e critico francese. Gli scrisse che « un programma poetico è solo un pretesto per l'espressione e lo sviluppo puramente musicali dei miei sentimenti ». Il programma non era, sottolineava « una semplice descrizione fisica di fatti precisi della vita. Questo sarebbe quanto mai contrario allo spirito della musica ». La musica, continuava, doveva essere contenuta « in una forma determinante ». Ma non si senti mai legato alle forme classiche, nei poemi sinfonici. « Le idee nuove hanno bisogno di forme nuove », ripeteva. In generale, scelse bene le sue strutture formali. Quale che fosse il valore intrinseco del materiale musicale, lo espresse in forme libere bene integrate: forma-sonata modificata, variazioni, rondò. Fu un tecnico superbo e uno dei piú bravi orchestratori di tutti i tempi. Perfino Debussy, che era al polo opposto in fatto di teorie musicali, dovette riconoscere « la tremenda versatilità dell'orchestrazione, e la frenetica energia con cui trascina con sé l'ascoltatore per tutto il tempo che vuole ... Bisogna ammettere che chi ha composto un'opera del genere [Vita d'eroe] a una pressione cosí ininterrottamente alta è molto vicino al genio ». Pure, per quanto apparissero « modernistiche » ai contemporanei, le sue composizioni segnano la fine di un periodo e non l'inizio. Dopo di lui, pochissimi scrissero poemi sinfonici; oggi poi non li scrive, si può dire, nessuno. Il poema sinfonico come mezzo d'espressione ci appare oggi morto quanto il concerto grosso: di piú, anzi, perché il concerto grosso ha avuto, se non altro, una ripresa nel periodo neoclassico che va dal 1920 al 1935.
Insieme con la fama di compositore, cresceva anche la reputazione di Strauss come direttore. Nel 1898 successe a Felix Weingartner al Teatro Reale dell'Opera di Berlino, dove rimase fino al 1918, quando diventò condirettore dell'Opera di Vienna. Come direttore, si mise in prima fila tra gli esponenti della rivolta al romanticismo che cominciò a delinearsi nei primi anni del secolo. La direzione romantica era libera, impulsiva, spesso compiaciuta. Strauss, come Weingartner, Karl Muck e Arturo Toscanini, e a differenza dei romantici, dirigeva senza farsi trascinare dalla musica. Con gesti misurati, manteneva regolarmente il ritmo con perfetta aderenza allo spartito ed evitando ogni spettacolarità. Dirigeva generalmente al teatro dell'opera: anzi, non passò molto tempo che si dedicò quasi esclusivamente alla composizione e alla direzione di opere.
Nel periodo in cui era stato occupato a scrivere la serie di poemi sinfonici, Strauss aveva composto un'opera wagneriana, Guntram. Data in prima rappresentazione a Weimar, nel 1894, non ebbe repliche. (Fu ripresa solo nel 1935, da Radio Berlino.) Non si vide mai un fiasco simile. « È incredibile il numero dei nemici che mi ha fatto il Guntram » scrisse l'autore. « Poco manca che mi processino come un criminale pericoloso. » Si scoraggiò talmente che aspettò sei anni prima di cimentarsi nuovamente con il palcoscenico. Ma ancora una volta, col Feuersnot, fece fiasco. Finalmente nel 1905, con Salomè, compose un'opera che elettrizzò il pubblico non meno dei poemi sinfonici. L'argomento trattato non ebbe poca parte, in quel successo. Tutti volevano vedere Salomè che si coccolava la testa troncata di Giovanni e si toglieva i setti veli, uno per uno. (Marie Wittich, che ricopri il, ruolo alla prima mondiale di Dresda, in un primo momento aveva rifiutato: « Non faccio quella parte » aveva detto « sono una donna perbene ».) Tutti rabbrividivano a quella musica stridente, « decadente », quasi atonale. Nella Salomè e nell'Elettra, che è del 1908, Strauss usci dal castello post-romantico per dar battaglia con un nuovo tipo di armonia, un nuovo e potente tipo di melodia, e uno stile progressista che gli avrebbero permesso di affrontare imprese ancora piú grandi. Entrambe le opere fecero scandalo, e fino a un certo punto lo fanno ancora oggi. Ma, come spaventato dall'abisso che aveva visto, Strauss si tirò indietro e non si cimentò mai piú nel tipo di armonia diseguale e di sottolineatura psicologica che fanno della Salomè e dell'Elettra due tra le piú provocatorie opere del secolo.
Allora, l'Elettra poneva problemi tremendi ai cantanti e all'orchestra. Strauss pretendeva che si cantasse in modo nuovo; si levarono allora alti lai, proprio come ai tempi di Wagner e di Meyerbeer, ci si lamento che la voce umana ne sarebbe stata definitivamente rovinata. I cantanti educati alla maniera tradizionale erano spaventati. Ernestine Schumann-Heink, il grande contralto, fu Clitennestra alla prima, e non dimenticò mai piú l'esperienza. « Eravamo un bel gruppetto di pazze, davvero » ricordava qualche anno dopo. « Era stato lui a volerci cosí, nelle nostre parti, e pazze diventammo veramente ... Anche la musica fa diventare pazzi. Strauss scrive una melodia bella, bellissima, cinque misure; poi, quasi dispiaciuto di aver scritto una cosa bella, se ne esce con una dissonanza che fa allegare i denti. Non ha bisogno di cantanti perché è la partitura orchestrale che crea il quadro. » E concludeva: « Se il signor Hammerstein mettesse in scena quest'opera domani e mi offrisse due milioni per cantare Clitennestra, risponderei di no. Eppure due milioni sono molti e io ho tanti bambini ».
Con l'Elettra cominciò il sodalizio tra Strauss e Hugo von Hofmannsthal. Nel 1903, Max Reinhardt mise in scena l'Elettra di Sofocle nella traduzione di Hofmannsthal, e Strauss decise di musicarla. Hofmannsthal preparò l'adattamento: e in quel librettista Strauss trovò il suo Boito e il suo Lorenzo da Ponte. Per quasi venticinque anni lavorarono insieme, e da quella collaborazione vennero Il Cavaliere della Rosa (1911) la prima versione di Ariadne auf Naxos (Arianna a Nasso) (1912) il balletto Josefslegende (1914), la Arianna rivista (1916) Die Frau ohne Schatten (La donna senz'ombra) (1918), Die ägyptische Helena (1928) e Arabella (1933). Non è detto che l'influenza di Hofmannsthal su Strauss fosse tutta positiva. Egli lo distolse dallo stile dell'Elettra per orientarlo verso un genere letterario impregnato di simbolismo. Strauss, musicalmente, fu per natura estroverso, violento, convulso, sensazionale; ma guidato da Hofmannsthal si avviò verso una grigia terra di allegorie e di simboli inadatta alla sua esuberanza. Delle opere nate da quella collaborazione, solo Il Cavaliere della Rosa e l'Elettra godono ancora oggi di grande popolarità. Arianna a Nasso (1916) ebbe anch'essa un folto seguito di ammiratori, ma oggi è data di rado. Tra l'altro, è un problema trovare interpreti adatti. Strauss scrisse l'opera per voci di robustezza wagneriana e, nel ruolo di Zerbinetta, per un soprano di coloritura che deve affrontare difficoltà incredibili. L'aria di Zerbinetta del secondo atto, Grossnzdchtigen Prinzessin, è un pezzo di bravura nel quale sono utilizzati, tradotti in termini del ventesimo secolo, espedienti tipici del bel canto, e sono pochissimi i cantanti che riescono a cantare la lunga aria conservando in ogni sua parte la necessaria disinvoltura. Gli altri frutti della collaborazione Strauss-Hofmannsthal - Die Frau ohne Schatten, Die ägyptische Helena e Arabella - oggi vivono anche in Germania e in Austria, solo in virtú di un gruppetto di fanatici ammiratori.
I due uomini ebbero un curioso rapporto. Hofmannsthal, austriaco, fu uno dei piú illustri letterati della Germania. Uomo tranquillo, timido e sensibile, idealista. era perfettamente consapevole, al tempo stesso, del proprio valore. Strauss era il suo opposto: ostinato, pratico, interessato al concreto piú che all'astratto. I due chiaramente si ammiravano e si rispettavano. Eppure non furono mai molto intimi ed ebbero rapporti stranamente formali. La loro copiosa corrispondenza, che si svolse lungo un arco di anni, è affascinante da piú punti di vista. Soprattutto, dà un'idea dell'eterno contrasto tra le esigenze della musica e le esigenze della parola. Anche Strauss ponderò per decine d'anni il problema, e la sua ultima opera, Capriccio (1942), su libretto suo e di Clemens Krauss, non è che una lunga meditazione sulla questione del rapporto tra parole e musica. Che cosa è piú importante? Strauss non seppe deciderlo, e l'opera si conclude con un punto interrogativo.
La corrispondenza rivela che agli occhi di Hofmannsthal, Strauss era una terribile figura di creatore, da ammirare ma anche da temere. Per Strauss, invece, Hofmannsthal era semplicemente una macchina per far libretti. Non temeva di calpestare i suoi sentimenti, e durante la preparazione dell'Arianna non esitò, quando arrivarono a un punto delicato, a suggerirgli di prendersi un collaboratore. « Queste cose si fanno meglio in due. » Hofmannsthal, col timore reverenziale che aveva di Strauss, non si sarebbe mai sognato di fargli una proposta analoga. Continuò a scrivere per lui perché era convinto che stendere un libretto era arte non meno che costruire un dramma. « So che cosa vale il mio lavoro » scrisse una volta a Strauss. « So che per molte generazioni nessun poeta di qualche distinzione, di quel livello al quale mi lusingo di appartenere tra i viventi, si è dedicato volentieri e con impegno ai compito di lavorare con un musicista. » Si inchinava alla musica. « Considero il dottor Strauss il socio principale, e la musica l'elemento dominante. » Perciò si rassegnò alla ricorrente mancanza di comprensione da parte di Strauss. Certe lettere nelle quali cerca di giustificare il suo atteggiamento mettono un pochino di malinconia. Strauss, da uomo pratico di teatro (in generale le critiche che faceva ai libretti di Hofmannsthal erano giuste), sollevava spesso con energia le sue obiezioni. Hofmannsthal si difendeva, come nella lunga lettera del luglio 1911 in cui illustra l'importanza filosofica dell'Arianna. Poi, ansioso di ricevere almeno una lode, continua col tono che potrebbe usare una ragazza civetta con l'uomo amato: « Tutto questo, devo dirlo, mi pareva meritasse qualche espressione di apprezzamento da parte della sola persona per la quale la mia opera fu immaginata, pensata e realizzata. Dubito, inoltre, che si possano facilmente trovare in un altro libretto per un'opera in un atto tre poesie di delicatezza paragonabile a questa, e nello stesso tempo di tono egualmente caratteristico, come la canzone di Arlecchino, il rondò per Zerbinetta, e la canzone di Circe, di Bacco. Non era innaturale che preferissi sentire tutto questo da lei, invece di essere costretto a scriverlo io ». Si può immaginare benissimo con quale esasperata impazienza Strauss leggesse queste parole.
Il tiro alla fune tra il poeta e il musicista non si risolse, e non si risolverà mai, con la vittoria dell'uno o dell'altro. Ciascuno considerava importante il proprio contributo e lo difendeva a spada tratta. Generalmente era Hofmannsthal a cedere, con gemiti e lamenti biblici. In anni e anni di concessioni, di dare e prendere, fu soprattutto Hofmannsthal a dare e soprattutto Strauss a prendere. Di gran lunga piú riuscito, come prodotto della loro collaborazione, fu Il Cavaliere della Rosa. Dopo l'Elettra, Strauss decise di comporre un'opera comica e Hofmannsthal gli propose un lavoro con due ruoli principali, « uno per baritono e uno per una giovane e graziosa ragazza vestita da uomo, tipo Farrar o Mary Garden. Periodo: Vienna al tempo di Maria Teresa ». Il repertorio operistico tedesco aveva gran bisogno di una nuova opera comica. Non aveva avuto un successo internazionale dai Maestri Cantori, del 1868. Il Cavaliere della Rosa fu portato a termine dopo molte lotte da una parte e dall'altra. Strauss insisteva per avere certi tocchi drammatici che Hofmannsthal inserí ma con grande riluttanza. Finalmente ammise che Strauss aveva ragione: « Mi accorgo che è tutto molto meglio, dal punto di vista puramente teatrale, e di molto superiore alla prima lezione ». Una delle cose sulle quali Strauss insisteva di piú era la valorizzazione degli elementi comici. « Non dimentichi che il pubblico deve ridere! Ridere, non soltanto sorridere o ridacchiare! Mi pare che nel nostro lavoro non ci sia ancora una situazione veramente comica: è tutto divertente e basta, ma non comico! » Per un po' si discusse anche del titolo. Ancora nell'aprile 1910 Strauss pensava di chiamarla Ochs. Hofmannsthal propose di intitolarla Il Cavaliere della Rosa e di definirla « opera burlesca ». Strauss trovò da ridire sul termine burlesca ». Osservò che questo aggettivo avrebbe subito fatto pensare a Offenbach o Gilbert e Sullivan. Finalmente si accordarono per « Il Cavaliere della Rosa, commedia per musica di Hugo von Hofmannsthal, musica di Richard Strauss ».
Convennero inoltre che il personaggio centrale non doveva essere Ottaviano e neppure Ochs, ma la Marescialla. « È lei la protagonista, per il pubblico » scrisse Hofmannsthal. « Per le donne soprattutto, è questo il personaggio che emoziona e commuove. » È interessante che nella stessa lettera Hofmannsthal scrivesse che Il Cavaliere della Rosa segnava « una svolta dall'intollerabile urlio erotico di Wagner: senza limiti nella lunghezza come nella misura. Una cosa repulsiva, barbarica, quasi bestiale, questo gridare di due creature in calore, cosí come lo rende Wagner ». Stava prendendo piede l'antiwagnerismo e Il Cavaliere della Rosa, pur contenendo dei residui di wagnerismo, segue un'estetica diversa. I Maestri Cantori ha un libretto che è pesantemente Pfannkuchen tedesco, mentre Il Cavaliere della Rosa ha una raffinatezza, specialmente per quanto riguarda il sesso, che Wagner non avrebbe mai raggiunto. (Wagner, cosí sensuale, nelle opere fu addirittura pudibondo.) Hofmannsthal tratta l'amore dei giovani e dei vecchi in maniera civile, elegante. Nel Tristano Wagner tratta del sesso in maniera primitiva, e si ha l'impressione di assistere all'amore di due balene. Nel Cavaliere della Rosa non ci sono archetipi junghiani, ma solo situazioni umane: invece di lunghi racconti, ci sono i valzer viennesi; invece di un monumentale Liebestod c'è il triste, elegante lamento di una donna bella e aristocratica che vede avvicinarsi la vecchiaia; invece della morte c'è un trio dolce-amaro, bello e orecchiabile, che in sostanza dice che la vita andrà avanti come è sempre andata. Nel mondo di Hofmannsthal non si muore per amore. Si affronta l'inevitabile, ci si arrende con tutta l'eleganza di cui si è capaci e poi ci si guarda intorno, in cerca di qualcos'altro. Come disse poi lo stesso Strauss, la Marescialla ha avuto degli amanti prima di Ottaviano e ne avrà anche dopo.
Dopo Il Cavaliere della Rosa Strauss diventò un anacronismo. La musica europea prese un indirizzo nuovo, mentre lui lavorava ancora con le vecchie formule. Ogni compositore fa lo stesso, in un certo senso, perché la musica è l'uomo; ma un Beethoven, un Mozart, un Verdi, un Chopin continuarono a espandersi e ad approfondirsi, arricchendosi di significati, diventando piú originali. Niente di tutto ciò nella serie di opere senza impennate di Strauss, anche se Die Frau ohne Schatten ha delle cose bellissime (l'autore la considerò la sua migliore). Le opere che vennero dopo la collaborazione con Hofmannsthal comprendono Die schweigende Frau (La donna silenziosa) (1935), Friedenstag (1936), Daphne (1937), Die Liebe der Danae (1940) e Capriccio (1942). C'è anche una curiosa operina che si chiama Intermezzo (1924), per la quale Strauss scrisse anche il libretto. L autobiografica, uno scherzo familiare sulla gelosia di Pauline.
Passò del tempo. I nazisti presero il potere e Strauss fu nominato presidente della Reichsmusikkammer. I nazisti non sapevano come comportarsi con lui. Era il piú importante compositore tedesco, aveva deciso di restare in Germania eppure faceva e diceva cose che avrebbero fatto finire in campo di concentramento chiunque altro. Poi si affrettava a fare pace, con le autorità. Opportunista, amorale e apolitico, Strauss desiderava soltanto essere lasciato tranquillo a comporre e accumulare denaro. Era dispostissimo a servirsi di un librettista ebreo e lo fece, collaborando con Stefan Zweig, con grande irritazione dei nazisti. D'altro canto non mosse mai un dito contro gli orrori del regime nazista. Si sforzò di conciliare l'inconciliabile.
Durante la seconda guerra mondiale compose una serie di pezzi a carattere meditativo, quasi tutti per piccola orchestra: il Concerto per oboe (1946), il Concerto per corno n. 2 (1942), Metamorphosen (1945), per ventitrè archi. Poi scrisse le Ultime quattro liriche per soprano e orchestra. Su questa musica le opinioni sono contrastanti. Alcuni vi ritrovano ciò che caratterizza anche le altre opere dell'ultimo periodo: l'ultimo guizzo del post-romanticismo, le riflessioni di un grande compositore ormai venerando, al culmine della maestria. Altri ne sono sinceramente irritati, giudicandole opere abilissime che però ripetono formule del passato e non dicono niente di nuovo. Strauss mori a Garmisch l'8 settembre 1949. I necrologi resero tutti omaggio all'importanza che aveva avuto per la musica della fine del diciannovesimo secolo e del principio del ventesimo: ma non mancarono nette riserve sulle composizioni venute dopo Il Cavaliere della Rosa. E se ne fanno ancora. In ogni caso, è chiaro che Strauss esercitò, poca o nessuna influenza sulla nuova scuola di compositori, che generalmente non amarono o addirittura disprezzarono le sue cose. Tipica è la reazione di Stravinskij: « ... Magniloquenza e rodomontate ... melassa ... la musica [di Capriccio] mi asfissia. Strauss non sa punteggiare. Il suo atletismo non ha misura ». Alla nuova generazione i poemi sinfonici apparvero plateali, sovraccarichi nell'orchestrazione, pomposi; e le opere generalmente noiose, pesanti, prive di originalità, cariche di simbolismi e di filosofeggiamenti fasulli. Non resta molto del povero Strauss; e in verità è difficile sopportare le petulanza e le ampollosità della Vita d'eroe, che un tempo parve elettrizzante, o le rappresentazioni della natura del Don Chisciotte o di tanta musica che una volta parve densa di significati. Niente diventa cosí rapidamente datato come il sensazionalismo fine a se stesso.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/La%20lunga%20coda%20del%20romanticismo.doc

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