La seconda scuola di Vienna

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La seconda scuola di Vienna

La seconda scuola viennese: Schönberg, Berg, Webern
Il primo decennio del ventesimo secolo vide una serie di convulsi cambiamenti nel pensiero umano, cosí radicali che a quel tempo non si videro le implicazioni del loro impatto; e ci vollero anni perché le conseguenze si avvertissero in pieno. Nel 1900 Sigmund Freud pubblicò Die Traumdeutung (L'interpretazione dei sogni), indicando una nuova strada per penetrare nella psiche umana. Nello stesso anno Max Planck pubblicò la teoria dei quanti, che distrusse la geometria euclidea e la fisica newtoniana. Lavorando con le equazioni di Planck, nel 1905 Albert Einstein elaborò la teoria della relatività, che trasformò il modo di concepire le norme che governano la vita dell'universo. Nel 1903 i fratelli Wright riuscirono a sollevarsi da terra con l'aeroplano, concludendo cosí una secolare ricerca per il volo a motore. Nel 1910 Vasilij Kandinskij dipinse il suo primo quadro non figurativo, dopo del quale la pittura non sarebbe stata mai piú la stessa. Per la prima volta un quadro poteva essere considerato esclusivamente insieme di forme e di colori senza alcun riferimento a esseri o oggetti reali. E nel 1908 Arnold Schönberg compose il Buch der hängenden Gärten, distruggendo il secolare concetto di tonalità con la stessa efficacia con cui Einstein aveva distrutto il macrocosmo di Newton. E tutto questo in soli dieci anni, forse i piú rivoluzionari della storia documentata.
Arnold Schönberg, nato a Vienna il 13 settembre 1874, fu un rivoluzionario che per tutta la vita si protestò tradizionalista. Pur costretto ad ammettere di avere rifiutato l'estetica musicale del passato, sostenne che nondimeno tutta la sua opera era « scaturita esclusivamente dalle tradizioni della musica tedesca ... I miei maestri furono prima di tutto Bach e Mozart; poi Beethoven, Brahms e Wagner », scrisse. E ancora: « Io sono un conservatore costretto a diventare radicale! ». Era basso, calvo, con un volto fanatico, forte, dai lineamenti decisi, un volto messianico, di uomo che non accetta compromessi: bocca piegata da un tenace sogghigno diffidente, occhi enormi, lucidi, magnetici. « Gli occhi erano sporgenti ed esplosivi, e contenevano tutta la forza dell'uomo » (Stravinskij).
Schönberg si sentiva investito di una missione. « Una volta, nell'esercito, mi domandarono se ero il compositore Arnold Schönberg. " Bisogna bene che qualcuno lo sia " risposi, " e siccome nessuno voleva accettare, mi sono deciso io. " » Concepiva la musica come un'arte che trasmetteva « un messaggio profetico rivelante una forma superiore di vita verso la quale l'umanità si evolve ». Naturalmente era il profeta latore del messaggio. Una forza superiore lo guidava. Quando fini la Sinfonia da camera, disse agli amici che adesso aveva definito il suo stile. « Ma la mia prossima opera rivelerà una grande deviazione da questo stile; era il mio primo passo verso il mio stile attuale ... Il Comandante supremo mi ha ordinato di prendere una strada piú elevata. » Le sue lettere sono piene di richiami all'inalterabile esattezza della sua musica. L'egocentrismo di Schönberg si avvicinava a quello di Wagner. « ... Io credo in ciò che faccio e faccio soltanto ciò in cui credo; e guai a chi tocca la mia fede. Quest'uomo io lo considero un nemico, e non gli do quartiere! Chi non è con me è contro di me. » Oppure: « Le idee che divergono dalle mie sono qualcosa di cui non posso risentirmi, cosí come non posso risentirmi se uno ha un altro difetto, una gamba piú corta, una mano rattrappita, eccetera. Posso soltanto dispiacermi per questo individuo, ma non posso essere in collera con lui ». Nel 1942 un laureando gli chiese certe informazioni sulla sua persona e la sua musica. La risposta distrusse il giovanotto: « Il compositore di Pierrot lunaire e di altre opere che hanno cambiato la storia della musica vi ringrazia per l'onore di averlo invitato a partecipare alla compilazione di una tesi di laurea. Ma ritiene che sia piú importante scrivere quelle opere che i candidati alla laurea non conosceranno mai; e se le conosceranno, non capiranno mai la distanza che li divide da lui e che dovrebbe proibire loro di infastidirlo con queste richieste ». Di conseguenza, poco o niente della musica composta ai suoi tempi lo soddisfaceva. Prendeva in giro Stravinskij e il suo neoclassicismo. Per i compositori che ammucchiavano dissonanze su dissonanze « come ghiottoni (nella speranza di passare per “moderni”) senza avere il coraggio di ricavarne le logiche conseguenze », aveva solo disprezzo. Ironizzava sugli « pseudotonalisti » e sui compositori neobarocchi come Busoni e Hindemith « che pretendono di voler " tornare a tizio e caio " » (ma, con una certa incoerenza, considerava un genio Reger, l'esponente del movimento per il ritorno a Bach). Aveva in antipatia anche la scuola folcloristica capeggiata da Bartók, « il quale vorrebbe applicare alle idee della musica popolare, che sono per loro natura primitive, una tecnica adatta soltanto a un tipo piú evoluto di pensiero ». Finalmente, quasi ad accertarsi di non aver trascurato nessuno, lanciò un anatema generale contro « tutti gli " isti ", che posso considerare soltanto manieristi ».
Dapprincipio Schönberg scrisse musica piú o meno convenzionale, di un tessuto cromatico opulento che derivava da Wagner e Mahler. Ma fu subito considerato un sovversivo. Nel 1900 un gruppo di liriche sue provocò proteste del pubblico. « Da allora lo scandalo non è mai cessato » disse il compositore molti anni dopo. Anche Verklärte Nacht, alla prima esecuzione, nel 1903, provocò tumulti. Oggi un pezzo come quello è considerato l'essenza del tardo romanticismo: ma il pubblico dei primi anni del nuovo secolo la pensava diversamente, disorientato dalla mancanza di una precisa tonalità.
Schönberg arrivò alla musica come compositore autodidatta. È vero che suonava il violino a otto anni, ma aveva pochissima preparazione. Quando si provò a comporre, adolescente, imitò la musica che aveva sentito. Per un po' lavorò in banca, pur partecipando alla vita intellettuale di Vienna e frequentando artisti, scrittori e musicisti. Conobbe il compositore e direttore Alexander von Zemlinsky e prese lezioni di contrappunto da lui. Per quanto se ne sa, non ebbe altro tipo di preparazione. Fu uno dei pochi importanti compositori della storia assolutamente autodidatti. Nel 1901 sposò la sorella di Zemlinsky (che mori nel 1923; in seconde nozze, Schönberg sposò la sorella del violinista Rudolf Kolisch).
Le prime opere di Schönberg comprendono un quartetto d'archi e un gruppo di liriche. Nel 1899 compose il voluttuoso sestetto d'archi Verklärte Nacht, che è un lungo e languido sospiro post-Tristano. (Nel 1941 lo riorchestrò per complesso d'archi.) Un fatto strano, di questa composizione, è che si tratta di un brano di musica da camera a programma (l'altro caso del genere che viene subito alla mente è il Quartetto in mi minore di Smetana, Aus meinem Leben). La storia è ricavata da una poesia di Richard Dehmel. Poi Schönberg passò a comporre musica che violava tutte le « regole » e alle fine creò un sistema strutturale - il cosiddetto « metodo dodecafonico » - che avrebbe rappresentato, preso singolarmente, la piú importante influenza sul pensiero musicale della generazione dopo la seconda guerra mondiale. Ma, paradossalmente, Verklärte Nacht, piuttosto convenzionale, è rimasta l'opera sua piú popolare, cosí come di tutte le opere di Stravinskij L'Uccello di fuoco è quella che viene per prima nei favori del pubblico.
Per un breve periodo dopo il matrimonio Schönberg lavorò a Berlino, dirigendo sia al music-hall sia all'operetta. Lavorò al poema sinfonico Pelléas und Mélisande e all'enorme Gurrelieder nel 1900, orchestrato solo dopo molti anni. Nel 1903 ritornò a Vienna e cominciò a insegnare. Ebbe tra i primi discepoli Anton von Webern e Alban Berg. Webern nacque il 3 dicembre 1883. Uomo tranquillo e coltissimo, nel 1906 si laureò in musicologia. Per molti anni si guadagnò da vivere dirigendo i concerti sinfonici per i lavoratori a Vienna. Berg, nato il 9 febbraio 1885, era un bel giovanotto, alto e aristocratico, di famiglia ricca. Quando si presentò come musicista, era un dilettante nel senso piú pieno della parola. « Lo stato in cui si trovava » scrisse Schönberg nel 1910 « ... era tale che la sua immaginazione sembrava poter lavorare soltanto alle canzoni. Perfino l'accompagnamento pianistico alle canzoni aveva quello stile. Era assolutamente incapace di scrivere un movimento strumentale o di inventare un tema strumentale. Non si ha idea del lavoro che dovetti fare per eliminare questo difetto dal suo talento. » Schönberg ebbe altri discepoli dotati, ma nessuno del livello di Berg o di Webern. Gli allievi lo veneravano, e questo andava benissimo perché Schönberg esigeva di essere venerato. Voleva assolutamente che si rifacessero alla loro immaginazione, anche quand'erano appena principianti. Gli esercizi non dovevano essere scritti meccanicamente: dovevano essere, anche nella forma piú semplice, esercitazioni d'espressione. « Perciò » scrisse in seguito Webern « l'allievo deve creare nel vero senso della parola, anche nei più rudimentali esordi della costruzione musicale. Ciò che Schönberg spiega agli studenti è dunque perfettamente legato al lavoro di cui si sta occupando. Non gli impone dogmi esterni. Educa attraverso la creazione. Segue le tracce della personalità dell'allievo con la massima energia, cerca di approfondirla, di aiutarla a manifestarsi ... » Per tutta la vita Schönberg rimase il padre spirituale di Berg e Webern. Lui predicava, loro, obbedienti, ascoltavano.
La musica di Schönberg cominciò ben presto a discostarsi dalle colossali concezioni orchestrali del Pelléas und Mélisande e del Gurrelieder. Diventò piú compatta, aforistica e dissonante. Nella Sinfonia da camera del 1906 fece esperimenti con le quarte, piú o meno come stava facendo Scriabin, nello stesso momento, in Russia. Nel 1908 Schönberg era arrivato ad abolire completamente la tonalità. Capí che le liriche del Buch der hängenden Gärten (op. 15) avevano portato a qualcosa di nuovo:
Con le liriche dell'op. 15 sono riuscito per la prima volta ad avvicinarmi a un ideale di forma e di espressione che si librava sopra di me da anni ... Sono consapevole di avere eliminato tutte le tracce di una estetica passata; e se è vero che mi avvio verso un obiettivo che mi sembra certo infallibile, sento già le opposizioni che dovrò superare ... Credo che perfino le persone che hanno creduto in me fino a questo momento non si renderanno conto della necessità di questa evoluzione.
Le liriche furono seguite dalla breve opera in un atto Erwartung, dai Cinque pezzi per orchestra (l'una e gli altri del 1909), i Sei piccoli pezzi per pianoforte del 1911 e, soprattutto, il Pierrot lunaire del 1912. Schönberg ormai scriveva musica espressionistica, e non piú post-romantica. Non era un caso. Era strettamente legato ai pittori tedeschi di Die Brücke, il gruppo che avviò l'espressionismo pittorico; e anche lui dipinse quadri intensi, se pure dilettanteschi, tra cui un autoritratto. La definizione della pittura espressionista data da Kandinskij conteneva questa espressione:
« ... La presentazione di un'espressione interna in forma esterna, visibile »; e Schönberg, con perfetta consapevolezza, cercò di fare in musica ciò che gli espressionisti facevano in pittura. « Tutto ciò che è scritto ha una certa somiglianza interiore con me stesso. » L'espressionismo è romanticismo intensificato, esplorazione di stati interiori. L'arte e la musica espressionistiche sono sempre serissime. L'espressionismo evita la grazia superficiale e i tentativi di trascendere la natura. Spesso esprime un commento sociale, psicologico, si occupa della psiche, dell'inconscio. Una volta Kokoschka dipinse un ritratto. « Quelli che ti conoscono non ti riconosceranno », disse al modello, « ma quelli che non ti conoscono ti ricorderanno benissimo. » Mentre gli impressionisti cercavano di evocare uno stato ideale attraverso tessuti trasparenti e sensuali, ed evitando quindi il pigmento nero (« il nero non esiste in natura »), l'espressionismo è cupo, spesso brutale, di proposito deformato nella linea e nel tessuto, carico di tensione nervosa. La musica impressionistica è scorrevole e non rompe mai completamente con la tonalità (= natura); la musica espressionistica è dissonante, atonale, con salti melodici ineguali, e la sua materia è un realismo reso piú intenso, e non l'idealismo.
Schönberg si muoveva continuamente verso tessuti completamente atonali - « l'emancipazione della dissonanza », come diceva lui - e li realizzò nei pezzi per pianoforte dell.op. 11 e nel Pierrot lunaire. L'opera Erwartung fu un passo significativo nel senso di quella estetica che poi avrebbe portato al Wozzeck di Berg. Schönberg la compose in diciassette giorni di lavoro frenetico, tra il 17 agosto e il 12 settembre 1909 (ma dovette aspettare quindici anni per vedere messa in scena quest'opera che dura trenta minuti. Il testo è di Marie Pappenheim. Una donna cerca il suo amante nella foresta. Lo trova morto, vicino alla casa della donna che gliel'ha rubato. La vicenda è tutta qui. La musica riflette gli stati d'animo della donna, in una linea vocale che è in buona misura declamatoria e in un'armonia che è fatta in larga misura di quarte e quarte alterate, settime e gruppi di note. Tutta l'opera è atematica; non ci sono cioè ripetizioni di nessun tema e la melodia nel senso corrente della parola è scomparsa. Eppure il lavoro, dopo che uno si è immerso nel suo linguaggio, guarda indietro non meno che avanti. Anzi è fortemente wagneriano. Wagner si rivela nelle dimensioni dell'orchestra, nei ricchi impasti e in molti aspetti del libretto. Il Tristano e Isotta è pieno di simbolismi e anche l'Erwartung. Tristano e Isotta si conclude con una morte d'amore e cosí 1'Erwartung: quando la donna dell'opera di Schönberg trova morto l'amante, canta un lungo brano che è, né piú né meno, un Liebestod. Nel linguaggio nuovo e anticonvenzionale di Schönberg si avverte qualcosa di perfettamente tradizionale.
Cosí come si rifà a Wagner, l'Erwartung, preannuncia anche il Pierrot lunaire che molti considerano lo spartito piú significativo di Schönberg. Il Pierrot lunaire è composto per un narratore (fu commissionato da un'attrice, e non da un cantante o una cantante), flauto (doppiato dall'ottavino), clarinetto (doppiato dal clarinetto basso), violino (doppiato dalla viola), violoncello e pianoforte. Per le ventuno canzoni del Pierrot lunaire, l'autore si servi di un poema di Albert Giraud, tradotto in tedesco da Otto Erich Hartleben. Il poemetto è parallelo al posteriore Waste Land di T.S. Eliot ed è una serie che tratta della decadenza dell'uomo moderno. Le soluzioni di Schónberg non hanno precedenti nella loro audacia e novità: per la prima volta entrano nel linguaggio le parole Sprechstimme (letteralmente « linguaggio parlato ») e Sprechgesang (letteralmente « canto parlato »). La linea vocale esige una sorta intensificata di canto parlato - Sprechgesang - in cui i modelli del linguaggio parlato si alzano e si abbassano. Non è canto, non è parlato ma è una via di mezzo, con la voce che a volte si alza di colpo e a volte si abbassa in suoni di intonazione approssimativa (e qua e là si leva anche in un alto falsetto che ha qualcosa di innaturale). Parte della musica del Pierrot lunaire si basa su forme tradizionali: passacaglia, canoni e cosí via. Ma se le forme possono essere classicamente precise, il linguaggio armonico e melodico viola tutte le regole note. I musicisti capirono immediatamente di trovarsi di fronte a un mondo di suoni del tutto nuovo. Ma c'è qualcosa di piú. Il Pierrot lunaire è uno spartito magico ed evocativo che abita un mondo in miniatura, spettrale, pieno di immagini e di cruenti simbolismi. Oggi è riconosciuta opera feconda di conseguenze come Le Sacre du Printemps, l'Ulisse di Jovce, Les demoiselles d'Avignon di Picasso e il ragionamento che portò all'E = mc². In particolare, il suo stile vocale esercitò un'enorme influenza su molti compositori del secondo dopoguerra.
In Stile e idea Schönberg raccontò la storia del suo sviluppo dal Verklärte Nacht al Pierrot lunaire e alla dodecafonia. Importante è il brano in cui si tratta dei concetti che portarono al Pierrot:
Negli ultimi cento anni il concetto di armonia è cambiato enormemente attraverso lo sviluppo del cromatismo. L'idea che un tono fondamentale, la radice, dominasse la costruzione degli accordi e ne regolasse la successione - il concetto di tonalità - dovette svilupparsi prima nel concetto di tonalità estesa. Prestissimo si dubitò che una radice rimanesse ancora il centro al quale doveva riferirsi ogni successione armonica e ogni armonia. Inoltre si dubitò che una tonica che apparisse all'inizio, o alla fine o in qualsiasi altro punto, avesse veramente un significato costruttivo. L'armonia di Richard Wagner aveva provocato un cambiamento nella logica e nella capacità costruttiva dell'armonia. Una delle conseguenze di questo fu l'uso cosiddetto impressionistico delle armonie, praticato specialmente da Debussy. Le sue armonie, senza significato costruttivo, spesso avevano lo scopo coloristico di esprimere stati d'animo e ritratti. Stati d'animo e ritratti, pur essendo extra-musicali, diventarono cosí elementi costruttivi, incorporati nelle funzioni musicali; produssero una sorta di comprensibilità emotiva nella pratica, se non nella teoria. Da solo, questo forse non avrebbe provocato un cambiamento radicale nella tecnica compositiva. Tuttavia, un cambiamento del genere si impose quando si ebbe, contemporaneamente, uno sviluppo che fini in quella che io chiamo l'emancipazione della dissonanza.
Il termine « emancipazione della dissonanza », spiega Schönberg, si riferisce alla comprensibilità della dissonanza « che è considerata equivalente alla comprensibilità della consonanza. Uno stile basato su questa premessa tratta le dissonanze alla stregua di consonanze e rinuncia al centro tonale. Evitando di stabilire una tonalità, la modulazione è esclusa, poiché modulazione significa lasciare una tonalità stabilita e stabilirne un'altra ». Era stato nel 1908, dice Schönberg, che le prime composizioni in questo stile erano state scritte da lui e, subito dopo, da Webern e Berg.
Inutile dire che questo tipo di musica incontrò grandissima ostilità e l'incontra tuttora. Ancora negli anni sessanta, quando Schönberg e Webern erano al culmine del favore tra i compositori, la loro musica veniva eseguita di rado. Nei primi decenni del secolo ogni prima di Schönberg, si può dire, provocava scandalo. Non che ce ne fossero molte. La musica era strana, difficilissima: al pubblico non piaceva e perciò i direttori evitavano di metterla in programma. Schönberg non dubitava che il suo sarebbe diventato un giorno il normale linguaggio musicale. « Tra dieci anni », scrisse nel 1910 « ogni compositore di talento scriverà a questo modo, indipendentemente dal fatto che l'abbia appreso direttamente da me o soltanto dalle mie opere. » In un secondo momento non fu altrettanto fiducioso. « Oggi » scrisse nel 1924 « mi rendo conto che non posso essere capito e mi accontento del rispetto. » Diversi anni prima di morire era già rassegnato al suo destino. In una lettera del 1947 scrisse: « Sono perfettamente cosciente del fatto che le mie opere potranno essere capite in pieno solo tra qualche decina d'anni. La mente dei musicisti e degli ascoltatori dovrà maturare per poter comprendere la mia musica. Io, lo so, ho personalmente rinunciato al successo prematuro e so anche che - successo o no - è mio dovere storico scrivere ciò che il mio destino mi ordina di scrivere ».
Come ogni compositore Schönberg si dette da fare perché la sua musica venisse eseguita. Ma a differenza di tanti altri insistette perché venisse eseguita fedelmente - e cioè preparata con molta cura - altrimenti non autorizzava le esecuzioni. « Non mi lascerò imporre da nessuno », scrisse al suo editore nel 1913, dopo che il compositore-direttore Franz Schreker minacciò di togliere un suo brano dal programma. « Non ci tengo poi tanto al successo. In particolare: a me interessa non una esecuzione ma soltanto una buona esecuzione ... Vi prego di non esitare a rinunciare alla programmazione. » Non permetteva che le sue opere, l'Erwartung o Die glückliche Hand, venissero date per una sola sera e poi tolte dal cartellone. « Permetterei solo che un teatro l'includesse nel repertorio. » Irritato e offeso, perché l'Orchestra Filarmonica di Vienna non aveva mai suonato cose sue, mandò questo avvertimento a Wilhelm Furtwängler: « Non permetterei che una mia novità venisse presentata a Vienna. Il fatto è che io sono il solo compositore di una certa fama mai eseguito dalla Filarmonica. E per me le cose possono anche restare cosí! ». Negli Stati Uniti venne a sapere che Otto Klemperer aveva espresso avversione per la sua musica, e aveva detto che la sentiva « estranea ». Quando Klemperer si mise in contatto con Schönberg perché voleva dirigere una sua composizione, si vide arrivare una lettera aspramente risentita in cui gli veniva rinfacciata quella presunta dichiarazione. « Ritengo dunque che dovreste rinunciare a dirigere le mie composizioni. Che cosa ne può uscire da una esecuzione di una musica che vi è diventata estranea? » Nel 1922 Edgar Varèse, che aveva deciso di dare il Pierrot lunaire, si vide arrivare una lettera gelida di Schönberg, che diceva tra l'altro:
Ciò che mi offende, tuttavia, è che senza chiedermi se potete fare questo e quello, fissate semplicemente la data definitiva per il mio Pierrot lunaire. Avete già un narratore adatto? Un violinista, un pianista, un direttore, eccetera? Quante prove intendete fare, eccetera eccetera. A Vienna, con ogni sorta di sacrifici, si tennero qualcosa come cento prove, e i miei collaboratori raggiunsero un affiatamento perfetto; voialtri invece fissate una data e pensate che basti. Avete una pallida idea delle difficoltà, dello stile, della declamazione, dei tempi, della dinamica e di tutto quanto? E vi aspettate che io mi associ a tutto questo? No, non sono abbastanza alla moda per una cosa del genere. Se volete avere in qualche modo a che fare con me, dovete metterla in maniera completamente diversa. Ciò che voglio sapere è: 1. Quante prove? 2. Chi si incarica delle prove? 3. Chi fa la Sprechstimme? 4. Chi sono gli esecutori? Se tutto questo sarà di mia soddisfazione, vi darò la mia benedizione. Quanto al resto io sono, ovviamente, impotente e potete fare come vi pare. Ma allora abbiate la cortesia di non chiedermi niente. Mi dispiace di non poter dire niente di piú gentile. Ma devo respingere questa impostazione esclusivamente affaristica. Spero sinceramente di poter avere, un'altra volta, modo di dimostrarmi piú cordiale.
Durante la prima guerra mondiale Schönberg fu sotto le armi a due riprese, tra il 1914 e il 1917. Compose pochissimo, e tornò a pubblicare solo nel 1923. Dei suoi due famosi allievi, Berg rimase nell'esercito per tre anni e Webern soltanto per un breve periodo. Berg, cosí bell'uomo, dall'apparenza sana e che invece non stette mai bene, fu esentato perché aveva l'asma. Webern fu congedato perché molto miope. Berg, Webern e Schönberg rimasero sempre in contatto durante gli anni della guerra e dopo, quando Schönberg si trasferí a Berlino, sempre in corrispondenza, descrivendo e analizzando l'uno l'ultima composizione dell'altro. Berg era il piú romantico dei tre, quello che piú faceva pensare a Wagner, Mahler e al post-romanticismo. Come Schönberg, Berg affondava le sue radici nella tradizione tedesca e lavorava sempre nelle vecchie forme. Non compose molto. Nel 1912 vennero le liriche di Altenberg, nel 1914 i Tre pezzi per orchestra, e, sempre nel 1914, cominciò a lavorare al Wozzeck, adattando il dramma di Georg Büchner. Fini il libretto nel 1917, la partitura nel 1922. Fu caratteristico che Berg costruisse l'opera su forme classiche e preclassiche. Quest'opera atonale, espressionistica, fu definita dal compositore una sonata, in cui il primo atto costituiva l'esposizione, il secondo lo sviluppo e il terzo una forma di ricapitolazione. L'atto primo, in cinque scene, contiene una suite, una rapsodia, una marcia militare, una ninna nanna, una passacaglia e un rondò. Le cinque scene del secondo atto sono in realtà cinque movimenti di una sinfonia: movimento sonata, fantasia e fuga, largo, scherzo e rondò (con un'introduzione). Il terzo atto, anch'esso in cinque scene, è una serie di invenzioni: su un tema, un timbro, un ritmo, un accordo, una tonalità.
Pochi si rendono conto di questa costruzione quando ascoltano il Wozzeck. Rappresentato per la prima volta nel 1925 all'Opera di Stato di Berlino con la direzione di Erich Kieiber, e dopo una serie di prove senza precedenti, non si può dire che piacesse: ma fece tanto scalpore che gli altri teatri dell'opera europei si precipitarono a metterla in scena. I critici l'attaccarono, dissero che si trattava di arte degenerata e che era un caos musicale; ma Wozzeck ebbe anche ammiratori e difensori. Un'opera cosí potente e originale non poteva non avere dalla sua parte alcuni spettatori particolarmente acuti. I piú sensibili decisero che c'era del metodo nella follia di Berg. Max Marschalk, nel " Vossiche Zeitung ", osservò che nel Wozzeck la dissonanza era stata elevata a principio; che « le forme si risolvono in continuità, i colori si raggrumano e ne risulta qualcosa che, per la sua stessa oscillazione e l'atmosfera nebulosa, è forse proprio la musica che giustifica la trasformazione in opera del Wozzeck ». In Die Musik Adolf Weissman scrisse dei valori spirituali dell'opera e della sua « percezione istintiva ».
Altri critici si sentirono a disagio. « Lo spettatore raggiunge uno stato di ipnosi in cui ha l'impressione che le mura del teatro stiano per crollargli addosso », scrisse Erich Steinhardt in " Der Auftakt ". Naturalmente, i critici vecchio stampo schiumarono di rabbia. Paul Zschorlich del " Deutsche Zeitung " fu tra questi: « Uscendo dall'Opera di Stato, ho avuto la sensazione di essere stato non in un teatro pubblico ma in un manicomio. Sul palcoscenico, nell'orchestra, nei palchi: veri e propri pazzi ... Qui, da un punto di vista musicale, ci troviamo di fronte a un delitto capitale ». Naturalmente i critici sovietici videro nel Wozzeck una delle tante manifestazioni della decadenza occidentale ed espressero il loro giudizio nel linguaggio ideologico corrente: « L'opera di Berg ... rivela l'impotenza degli intellettuali piccolo-borghesi dell'Europa Occidentale di fronte all'imminente fascistizzazione e rivela la crisi non solo della coscienza individuale del compositore borghese dell'Europa Occidentale, ma della cultura musicale dell'Europa Occidentale in generale » (Boris Asafiev, in " Sovietskaya Musica ").
Nel 1928 Berg spiegò che cosa si proponeva di fare in un linguaggio che si rifà a Gluck e a Wagner:
Non ho mai accarezzato l'idea di riformare col Wozzeck la struttura artistica dell'opera ... Volevo comporre buona musica, sviluppare musicalmente i contenuti del dramma immortale di Büchner,
tradurre in musica il suo linguaggio poetico; ma a parte questo, decidendo di scrivere un'opera ho inteso soltanto, anche per quanto riguarda la tecnica di composizione, di dare al teatro ciò che al teatro appartiene. In altre parole, la musica deve essere formata il piú consapevolmente possibile in modo da svolgere la sua funzione, che è quella di servire ad ogni momento l'azione. Ancor piú, la musica dovrebbe essere preparata a fornire l'azione necessaria per essere trasformata in realtà sul palcoscenico ...
Che questi scopi dovessero essere realizzati mediante l'uso di forme musicali piú o meno antiche (considerate dai critici come una delle piú importanti tra le riforme ostensibili da me operate nell'opera) era una conseguenza naturale. Per il libretto, era necessario fare una scelta tra le ventisei scene scritte da Büchner, non strettamente legate tra loro e a volte frammentarie. Bisognava evitare le ripetizioni che non si prestavano a variazioni musicali. Infine bisognava distribuire e raggruppare in atti le scene scelte. Il problema perciò è diventato, del tutto indipendentemente dalla mia volontà, piú musicale che letterario, da risolversi in base alle leggi della struttura musicale più che in base alle regole della drammaturgia ...
Per quanto competente possa essere a giudicare le forme musicali contenute nella struttura generale di quest'opera, la precisione e la logica con cui ognuna è stata elaborata e l'abilità che si rivela in ogni particolare, dal levarsi del sipario al momento in cui cala per l'ultima volta, nessuno del pubblico deve badare alle varie fughe, invenzioni, suite, movimenti di sonata, variazioni e passacaglie: nessuno deve occuparsi d'altro che dell'idea di quest'opera, che trascende di gran lunga il destino personale di Wozzeck. E credo che questo io sia riuscito a ottenerlo.
Intanto Webern esplorava un mondo diverso: il mondo del microcosmo e non del macrocosmo, un mondo di suoni delicati, effimeri, puntinistici, di nuove relazioni di tonalità, di silenzi, di costante distillazione aforistica, di orchestrazione raffinatamente brillante. Nella Passacaglia per orchestra, nelle liriche di Ste fan George, nei Cinque movimenti per quartetto d'archi e nei Sei pezzi per orchestra, tutte cose scritte tra il 1908 e il 1909, lavorò con piccoli frammenti, motti, cellule anziché temi. Elaborò un nuovo metodo di orchestrazione, in cui quasi ogni nota di una frase era assegnata a uno strumento diverso, con colori conseguentemente mutevoli. Prese l'idea da Schönberg, che aveva parlato di « una melodia di colori sonori » o Klangfarbenmelodie. La musica di Webern continuò a farsi sempre piú compatta e breve. Con i cicli di lieder del 1914-17 anticipò quasi (secondo il giudizio di Pierre Boulez) il sistema seriale con 1'« assimilazione del rigido contrappunto alle forme seriali fondamentali ». Per Boulez, Weber creò una nuova dimensione: spazio-suono. « Il genio di Webern appare senza precedenti, sia per il radicalismo dei suoi punti di vista sia per la novità della sua sensibilità. »
Nel 1923 Schönberg ricominciò a comporre e dette al mondo un nuovo tipo di strutturazione musicale. « Definii questo procedimento " metodo di comporre con dodici toni che sono in rapporto soltanto l'uno con l'altro ". » Un compositore, .Josef Matthias Hauer aveva sviluppato un sistema analogo, ma fu quello di Schònberg ad affermarsi. In breve, il metodo dodecafonico di Schönberg comportava una composizione basata su una « serie » costituita da dodici note della scala cromatica, sistemate in modo che nessuna nota venisse ripetuta all'interno del gruppo fondamentale, o serie (donde il termine « composizione seriale »). Perciò non c'era una nota piú importante delle altre. Questo gruppo fondamentale, o serie fondamentale, funzionante da tema o da motivo, poteva essere manipolato in tre modi. Poteva essere suonato capovolto (inversione), andando all'indietro (retrogrado) e all'indietro e capovolto (inversione retrograda). Sono tutte forme a specchio e non nuove. Bach le aveva usate in Die Kunst der Fuge e altrove. Schönberg cercava - anzi, Bach cercava - un sistema per ottenere l'unità assoluta all'interno di un brano musicale. Secondo Schönberg, il nuovo metodo corrispondeva « al principio della percezione assoluta e unitaria di spazio musicale ». Ma comunque la musica fosse composta, quale che fosse il sistema adottato, Schönberg ribadiva che gli ascoltatori e i musicisti dovevano dimenticare il sistema e giudicare la musica in quanto tale. « Non lo ripeterò mai abbastanza: le mie opere sono composizioni dodecafoniche, non composizioni dodecafoniche. »
Questa nuova musica era, fondamentalmente, orizzontale (contrappuntistica) e si contrapponeva alla scrittura verticale (armonica) dei romantici. La sua linea melodica era discontinua, con salti notevoli. Era distribuita in modo che non si avesse la sensazione di un'armonia triadica (tradizionale). (Berg sarebbe venuto meno a questa norma.) Gli strumenti e la voce venivano impiegati in registri insoliti. Invece di temi riconoscibili c'erano cellule derivate dalla serie-base. L'ultimo movimento dei Pezzi per pianoforte di Schönberg (op. 23) e alcune parti della Serenata, gli uni e l'altra pubblicati nel 1923, contenevano elementi dodecafonici; e la Suite per pianoforte (op. 25), anch'essa pubblicata nel 1923, era un'opera dodecafonica dal principio alla fine.
I due discepoli di Schönberg adottarono entusiasticamente la nuova tecnica. Berg non si staccò mai completamente dal post-romanticismo, e i puristi seriali hanno definito la sua opera un ibrido, perché anche nella tecnica seriale spesso risulta tonale. Berg si mise a lavorare alla Suite lirica per quartetto d'archi e al Concerto da camera, che incorporavano entrambi principi seriali. Poi cominciò un'opera seriale, Lulú; e seriale era anche la sua ultima composizione, il Concerto per violino. Per Lulú Berg riuní due drammi di Frank Wedekind, Erdgeist e Die Büchse der Pandora. Lulú è la personificazione di Lilith: una tentatrice amorale che rovina tutto ciò che tocca; eppure ha una sua curiosa innocenza perché è inconsapevole della propria malvagità. È il serpente nel serraglio della vita. Berg derivò l'opera dalla serie iniziale di dodici suoni, ma com'è tipico della sua musica, i rapporti tra nota e nota spesso hanno qualcosa che si avvicina alla tonalità. Non fini mai l'ultimo atto, di cui abbiamo però molti abbozzi e un breve spartito. Gli studiosi di Berg sostengono che il terzo atto potrebbe essere facilmente completato in piena fedeltà alle intenzioni del compositore, ma i proprietari dei diritti non hanno mai dato la necessaria autorizzazione.
Durante gli anni venti, Weber continuò a raffinare il suo stile in quella che Boulez definisce « una nuova maniera di essere musicale ». Webern, dice « fu il primo a esplorare la possibilità di una dialettica di suoni e silenzi », in cui i silenzi sono parte integrante delle cellule ritmiche. Webern inoltre mise a punto una nuova struttura di toni, ripensando « l'idea stessa della musica polifonica sulla base dei principi della scrittura seriale » (Boulez). Mentre Schönberg e Berg non rifiutarono mai il romanticismo, Webern lavorò nella pura strutturazione tonale, respingendo ogni retorica romantica. Si potrebbe dire che non c'era affatto retorica nelle sue composizioni. La sua scrittura era cosí condensata che un brano poteva durare anche pochi minuti, e qualche volta anche meno di un minuto. Delle forme cosí fortemente concentrate non tollerano lunghi sviluppi. Boulez, che di Webern si fece portavoce, fa notare che l'adozione di una tecnica seriale contribuí a unificare il vocabolario del compositore ma non ne modificò fondamentalmente il pensiero musicale: il suo stile era stato rivoluzionario prima del dodecafonismo e rimase rivoluzionario dopo. Boulez osserva che nelle opere della maturità, tra il 1927 e il 1934 - queste opere comprendono il Trio per archi, la Sinfonia e il Concerto per nove strumenti - « ciascun suono diventa un fenomeno a sé, legato agli altri ... Webern dilata le sue posizioni nel tempo e nello spazio come pure nel loro contesto strumentale ». La strumentazione stessa assume una funzione strutturale. Boulez riassume il contributo di Webern definendolo arte di raffinatezza e concentrazione senza precedenti dei materiali musicali, nella quale le relazioni sono organizzate in maniera cosi rigorosa che la melodia, l'armonia e perfino il ritmo diventano indissolubili. Di qui, era breve il passo per la musica totalmente organizzata di Olivier Messiaen, Milton Babbitt e dello stesso Boulez, che apparve poco dopo la fine della seconda guerra mondiale. Nella musica totalmente organizzata vengono trattati serialmente anche le dinamiche, i colori tonali e i silenzi.
Il passaggio dalla musica seriale alla musica totalmente organizzata si sarebbe verificato prima, senza i nazisti e sette anni di guerra. Con l'avvento al potere di Hitler, la musica della seconda scuola viennese - con questo nome fu conosciuto il gruppo Schönberg-Berg-Webern - fu messa al bando come esempio di bolscevismo culturale. Berg mori nel 1935 prima che l'orrore nazista si manifestasse in tutta la sua evidenza. Webern fu costretto a vivere nell'oscurità, svolgendo lavoro editoriale per la Universal Edition. Venne ucciso accidentalmente a Mittersill nella notte del 14 settembre 1945 da un soldato americano che faceva mercato nero con la complicità del genero di Webern. Schönberg, ebreo, dovette fuggire da Berlino nel 1933. Vi abitava dal 1926, e insegnava all'Accademia di Stato. Andò in Francia e poi negli Stati Uniti, dove si stabili a Boston, nel 1933, insegnando al Conservatorio Malkin. Di salute cagionevole l'anno seguente dovette trasferirsi a Los Angeles, dove insegnò all'Università di California e dette lezioni private. Si fece cittadino americano nel 1941 e cambiò l'ortografia del nome da Schönberg in Schoenberg. « Il mio nome si dovrebbe scrivere con il dittongo oe ". Lo cambiai quando venni in America perché non tutti i tipografi hanno il carattere " ö ", e io volevo evitare la forma " Schonberg ". » Nel 1944, a settant'anni, dovette lasciare l'Università ma era stato membro della facoltà per otto anni soltanto e perciò ebbe una pensione minima, 38 dollari al mese. Fu costretto perciò a continuare l'insegnamento privato. Nei diciassette anni vissuti in California fu cosí occupato che ebbe relativamente poco tempo per la composizione; eppure riuscí a finire il Concerto per violino, il Quartetto per archi n. 4, il Tema e Variazione per banda, il Concerto per pianoforte e A Survivor from Warsaw, per narratore, coro maschile e orchestra. Lavorò anche all'opera Moses und Aron, iniziata nel 1927. Due atti erano stati completati per il 1932. Ci teneva moltissimo a finirla, ma non ci riuscí. Morí a Los Angeles il 13 luglio 1951.
In Moses und Aron c'è molto di Schönberg. Gli ultimi anni lo videro amareggiato, acutamente consapevole del proprio valore e risentito per il fatto di essere trascurato: uomo di altissimi ideali, avrebbe voluto trasmettere al mondo un messaggio che a molti risultava sgradevole o incomprensibile. Non c'è da stupirsi se si identificò con Mosè. Aveva lasciato la sua religione, ma quando l'ondata antisemita si fece piú violenta in Germania vi tornò, proclamando fieramente la sua ebraicità. Abbiamo due lettere interessantissime e rivelatrici, scritte a Kandinskij nel 1923. Kandinskij era stato tra i fondatori del Blaue Reiter, un gruppo di pittori d'avanguardia (il nome « Cavaliere azzurro » veniva dai cavalli azzurri che usava dipingere Franz Marc) con cui Schönberg era stato in contatto, ed era intimo amico del compositore. Dopo la prima guerra mondiale Kandinskij entrò a far parte del gruppo del Bauhaus, e si sparse la voce che alcuni membri del Bauhaus erano antisemiti. Ma essi tentavano di giustificare razionalmente le proprie convinzioni, e avevano degli ebrei tra i loro migliori amici. Il 20 aprile 1923 Schönberg scrisse una lettera angosciata a Kandinskij: « Ho almeno imparato la lezione che mi è stata impartita negli anni, e non la dimenticherò mai. Questa lezione è che io non sono tedesco, non sono europeo, forse non sono neppure un essere umano (per lo meno, gli europei preferiscono i peggiori esemplari della loro razza a me), ma sono ebreo ... Ho sentito che perfino un Kandinskij vede solo del male nelle azioni degli ebrei e nelle azioni malvagie solo l'ebraismo, e a questo punto abbandono la speranza di arrivare a un'intesa ... Vorrei che il Kandinskij che ho conosciuto nel passato e il Kandinskij di oggi prendessero ciascuno la parte che gli spetta dei miei cordiali e rispettosi saluti ». Kandinskij rispose spiegando che Schönberg non era un ebreo tipico. Schönberg esplose:
Caro Kandinskij,
mi rivolgo cosí a te perché hai scritto di essere stato profondamente commosso dalla mia lettera. Era questo che speravo da Kandinskij, anche se non ho ancora detto una centesima parte di quello che la sua immaginazione deve evocare davanti agli occhi della sua mente se egli vuole essere il mio Kandinskij. Perché non ho ancora detto, per esempio, che quando cammino per la strada e tutti mi guardano per vedere se sono ebreo o cristiano, non posso dire a tutti, uno per uno, che io sono il tizio per il quale Kandinskij e qualche altro fanno un'eccezione, anche se ovviamente Hitler non è della loro opinione ...
Questo succedeva nel 1923 e Moses und Aron era ancora di là da venire. Schönberg dopo aver finito il secondo atto nel 1932, non riusciva a trovare la fine dell'opera. Gli si poneva il problema di come conciliare quelle che chiamava « alcune contraddizioni quasi incomprensibili della Bibbia ». In ogni caso, non intendeva comporre un'opera biblica alla Sansone e Dalila. Con il testo delle opere di questo tipo ci si possono prendere tutte le libertà. In un'opera che cerca una verità filosofica, come Moses und Aron, bisogna che le conclusioni siano convalidate. E se Schönberg diventò profondamente religioso dopo la prima guerra mondiale (« In questi anni la religione è stata il mio unico conforto: lo confesso qui per la prima volta »), la sua era una religione basata sulla dottrina etica e non sul conformismo esteriore. Pare che di Mosè lo interessasse soprattutto un piccolo passaggio della Bibbia in cui Mosè dice al Signore: « Io non sono un parlatore; non lo ero in passato, e non lo sono da quando tu hai parlato al tuo servo; giacché io sono tardo di parola e di lingua ». Schönberg mise a confronto Mosè e il fratello Aronne: Mosè vede e intende il Dio degli ebrei, ma non riesce a comunicare la sua visione. Aronne, che ha una visione meno ampia e meno intuito, è un politicante e un demagogo, si fa interprete di Mosè e muove il popolo. Ma può agire solo finché Mosè è al suo fianco.
Ci sono cosí Dio e Mosè da una parte, Aronne e il popolo (la plebaglia?) dall'altra. Ne deriva un conflitto. Mosè capisce l'Unicità di Dio. Ma a pochi è dato di intendere questo. Forse è una cosa che le masse non arriveranno mai a capire. Perfino Aronne, cosí vicino a Mosè, è disposto non solo al compromesso ma anche all'idolatria, quando il suo capo spirituale non gli è accanto. Aronne si rende conto che le masse « non hanno che il loro sentimento ». Per Mosè questo è anatema. « Il mio amore è per l'idea. Io vivo solo per essa. » Aronne gli fa osservare che anche le tavole dei dieci comandamenti sono immagini, « parte dell'idea considerata nella sua interezza ». Allora, dice Mosè, « spezzerò entrambe le tavole, e Gli domanderò di esonerarmi dal compito che mi ha affidato ». Alla fine del secondo atto Mosè cade in ginocchio, disperato. Non che dubiti dell'esistenza del Dio Unico. È che dispera di riuscire mai a spiegare questo concetto al popolo. « Oh parola, parola che manchi! » L'allegoria è chiara. Riuscirà mai a trovare la Parola Mosè-Schönberg?
Il compositore tentò di completare l'opera, riscrivendo quattro volte l'ultimo atto. « Qui », spiegò a un esperto studioso della Bibbia « ho incontrato fino a questo momento grandi difficoltà, a causa di alcune contraddizioni quasi incomprensibili esistenti nella Bibbia. Perché anche se sono relativamente pochi i punti in cui mi attengo rigorosamente alla Bibbia, è precisamente qui che esiste la difficoltà di superare la divergenza tra " e tu colpirai la pietra " e " parlerai alla pietra ". Voi lavorate da tanto tempo su questi problemi: non potreste dirmi dove potrei trovare qualcosa che mi chiarisca la questione? Fino a questo momento ho cercato di trovare la soluzione da solo ... Il problema continua a ossessionarmi. »
Ma la soluzione non riuscí mai a trovarla, e cosí Mosè e Aronne resta un corpo senza testa. Resta anche, però, una delle opere piú originali mai scritte; e purtroppo è un'opera cosí statica, verbosa, anti-operistica che probabilmente non avrà mai molto pubblico. Mosè-Schönberg esorta silenziosamente il popolo a seguirlo, mai dubitando del Messaggio che porta, ma chiedendosi se il Messaggio sarà mai accettato. Potrà mai un principio spirituale trionfare sulla materia e sul Vitello d'oro? Schönberg non dubitò mai dei trionfo finale del principio. E mori proprio quando la visione cominciava ad avverarsi, quando il Messaggio cominciava a dominare i pensieri di ogni compositore d'avanguardia del mondo. Se il periodo che va dal 1830 al 1860 fu il periodo del primo romanticismo, se la seconda metà del secolo fu l'età di Wagner, se il trentennio che va dal 1915 al 1945 appartiene a Stravinskij, il periodo che si iniziò nel 1950 è di Schönberg e della sua scuola; e non ne sono stati raccolti ancora tutti i frutti.
Harold C. Schonberg (da I GRANDI MUSICISTI, traduzione di Vittorio Di Giuro, ed. Mondadori, 1972)

 

Fonte: http://www.resmusica.it/doc/La%20seconda%20scuola%20viennese.doc

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