Parafrasi Chiare, fresche e dolci acque

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Parafrasi Chiare, fresche e dolci acque

Chiare, fresche e dolci acque, di F. Petrarca – parafrasi/analisi

Stanze

Parafrasi

Analisi del testo

I
vv. 1-13

Chiare, fresche e dolci acque, dove adagiò le membra leggiadre colei che ai miei occhi è la sola signora (del mio cuore); il gentile albero che lei volle (ancora sospiro ricordandolo) prendere per sostegno del bel fianco  (appoggiandosi a esso); erba e fiori che la gonna leggiadra ricoprì con il suo lembo angelico; cielo sacro (per la presenza di Laura), luminoso, nel luogo in cui Amore mi ferì il cuore attraverso lo sguardo della donna amata: voi, tutti insieme, prestate ascolto alle mie ultime dolorose parole.

Il poeta si rivolge agli elementi della natura, testimoni del suo amore, e li invita ad ascoltarlo, a dargli «udienza». La strofa è ricca di suoni e parole che concorrono a esaltare la bellezza di Laura e del luogo. Le parole-chiave ruotano intorno a una parola molto comune, «bellezza»: «belle membra», «bel fianco», «begli occhi». Petrarca scegli, solitamente, parole piane, semplici, d’uso comune, a formare un intreccio lessicale nel quale nessun elemento spicca sugli altri  («unilinguismo»). Altre parole chiave, come gli aggettivi «chiare», «fresche», «dolci», «gentil», «leggiadra», «angelico», «sereno» e i sostantivi «acque», «ramo», «fianco», «erbe», «fior», «gonna», «seno», «aer», «occhi» esprimono una visione di grazia, leggiadria, bellezza che coinvolge sia Laura che la natura, perfettamente fuse in un accordo musicale di suoni e colori.

II
vv. 14-26

Se tuttavia è mio destino, e il cielo si adopera a tale scopo, che Amore mi chiuda gli occhi (cioè mi faccia morire) a causa dell’eccesso di lacrime, qualche grazia divina possa far si che il mio misero corpo sia sepolto qui tra voi e l’anima priva del corpo torni alla sua sede originaria (cioè in cielo). La morte sarà meno dolorosa, se porto con me questa speranza nel momento del trapasso pieno di dubbi (perché la sorte eterna delle anime è incerta), dal momento che il mio spirito travagliato non potrebbe lasciare il proprio corpo tormentato e le ossa in un porto più quieto né in una fossa più tranquilla.

È in contrasto con la prima stanza: annunciato dall’ultimo verso della prima («a le dolenti mie parole estreme»)si affaccia un triste presagio di morte: se è destino del poeta morire d’amore, che almeno si compia qui, in questo luogo a lui così caro, perché testimone del suo amore. Il lessico si intona alla malinconia del poeta e fa da contrappunto a quello usato nella prima strofa. Parole, immagini ed espressioni hanno intonazione e significato tetro: «destino»,. «occhi lagrimando chiuda», «meschino corpo», «alma ignuda», «morte», «dubbioso passo», «spirito lasso», «fossa», «carne travagliata e ossa»; sono parole che hanno in comune l’idea di morte. All’amore celebrato nella prima stanza si abbina la morte, un binomio caro alla poesia di tutti i tempi.

III
vv. 27-39

Forse verrà un giorno in cui la donna amata (la donna è fiera per la passione lacerante che provoca nel poeta con la sola forza della sua bellezza e della sua grazia in modo inconsapevole) tornerà al luogo a noi consueto, e là dove mi vide nel giorno benedetto (perché voluto da Dio) rivolga la vista desiderosa (di rivedermi): e, o pietà!, nel vedermi già divenuto  polvere tra le pietre, Amore la ispiri in modo che sospiri così dolcemente da ottenere per me perdono da Dio, e pieghi la volontà del cielo (alla misericordia), asciugandosi le lacrime con il bel velo.

La tristezza del presagio sfuma in un sogno di consolazione: il poeta immagina di essere morto e che Laura torni in quel luogo desiderosa di vederlo. Ne trova la tomba e allora, con gesto d’amore, si asciuga gli occhi «col bel velo», e prega Dio invocando pietà per l’anima del poeta. Il pensiero della morte non incute più paura al poeta, ma gli infonde un senso di pace, grazie alla metamorfosi amorosa di Laura, definita, con un celebre ossimoro, «fera bella e mansueta». (ossimoro: riunire in modo paradossale due termini contraddittori in una stessa espressione)

IV
vv. 40-52

Dai bei rami scendeva (e mi è dolce ricordarlo) una nuvola di fiori sopra il suo grembo; ed ella si sedeva senza superbia, coperta già da una nuvola di fiori amorosi (perché ispirano amore). Un fiore cadeva sul suo vestito, uno sulle trecce bionde, che quel giorno a vedersi sembravano oro splendente insieme a perle; un fiore si posava in terra, e uno sulle onde del fiume; uno, girando con un leggiadro volteggio, pareva dire: Qui regna l’Amore.

Tornando al ricordo, si riallaccia alla prima, ne riprende la descrizione e la amplifica in immagini che dissolvono ogni ombra di malinconia. Nella memoria, pacificata dal sogno, la natura torna in festa, una pioggia di fiori cade sull’erba, sull’acqua, su Laura e sui suoi biondi capelli; fiori volteggiano nell’aria a coronare una visione d’amore.

V
vv. 53-65

Quante volte in quella occasione io dissi con tremore e ammirazione: Costei nacque certamente in paradiso. Il portamento angelico, il volto, le parole e il dolce sorriso di Laura mi aveva riempito d’estasi (cioè mi avevano fatto dimenticare la realtà) e allontanato dall’immagine reale a tal punto che io dicevo sospirando: In questo posto quando e come ci venni?; perché credevo di essere in paradiso, non là (sulla terra) dove mi trovavo realmente. Da quel giorno in poi mi piace questa riva (dove sedeva Laura) così tanto, che non trova tranquillità in nessun altro posto.

Si incentra sulla frase «Costei per fermo nacque in paradiso». Non c’è nulla in questa frase che possa riallacciarsi alla concezione dantesca di Beatrice: si tratta solo di un’iperbole, cioè di un’esagerazione. La visione del poeta è così suggestiva da farlo cadere in uno stato di estasi in cui la realtà si dissolve dandogli l’illusione di «essere in ciel». In questo suo abbandono al ricordo e al sogno egli tocca la gioia suprema.

Congedo
vv. 66-68

Se tu, o canzone, avessi virtù retoriche pari al desiderio (di cantare la donna amata), potresti senza esitazione uscire dal bosco, e andare a fra la gente.

Gli ultimi tre versi formano il congedo, formula di chiusura tradizionale della canzoni. Il poeta si rivolge direttamente alla sua lirica e la invita a uscire dal luogo che le fa da sfondo e ad andare tra la gente.

 

Fonte: http://www.itdavinci.gov.it/elearning/claroline/backends/download.php?url=L1RFUlpBLzAwN19QYXJhZnJhc2lfZGlfQ2hpYXJlX2ZyZXNjaGVfLi5fZGlfUGV0cmFyY2EuZG9j&cidReset=true&cidReq=LETITA1516

Sito web da visitare: http://www.itdavinci.gov.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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