Parafrasi sonetti e sepolcri

Parafrasi sonetti e sepolcri

 

 

 

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Parafrasi sonetti e sepolcri

ALLA SERA
Forse perché tu o sera sei l’ immagine della morte, così gradita quando vieni a me. Sempre scendi gradita sia quando ti accompagnano le nuvole estive e i venti sereni, sia quando tu o sera porti dal cielo nevoso tenebre lunghe e inquietanti e tu occupi le vie segrete del mio cuore con dolcezza. Tu o sera mi fai vagabondare sulle orme della morte e intento il tempo che sto vivendo fugge e con lui vanno le preoccupazioni, per colpa delle quali il tempo si consuma con me; e mentre io osservo la tua pace, dorme lo spirito che dentro di me ruggisce.

A ZACINTO
Io non potrò mai più toccare le sacre sponde dove il mio corpo da piccolo giacque; o Zante mia, che ti rispecchi nelle onde del mare greco dal quale nacque la dea vergine Venere, e rese feconde quelle isole attraverso il suo primo sorriso, motivo per cui l’ alta poesia di Omero non poté non parlare del tuo limpido cielo, e delle avventure di Ulisse per il mare governato dal fato e l’ esilio di colui, bello per la fama e per la disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua Itaca piena di pietre. Tu Zacinto non avrai altro che la poesia del tuo figlio, a noi il destino ha ordinato una sepoltura senza lacrime.

IN MORTE DEL FRATELLO GIOVANNI
Un giorno, ammesso che io smetta di essere in esilio, mi vedrai seduto sulla tua tomba, fratello mio, a piangere per il fiore della tua giovinezza, caduta anzitempo. La madre adesso parla di me con il tuo cadavere, trascinando la sua tarda giornata, io invece tendo a voi due le mani e posso salutare solo da lontano la mia patria. Sento le avversità del destino e le preoccupazioni che tormentano la tua vita e desidero anche io la tua stessa quiete. Mi resta solo questo desiderio oggi! Stranieri, rendete al cuore di mia madre il mio cadavere.

SEPOLCRI – (1-90) (Sepolcro come legame di affetti)
Il sonno [eterno] della morte è forse meno
doloroso all’ombra dei cipressi e dentro le
tombe [nei camposanti] consolate dal pianto [dei vivi]?
Quando il sole non fecondi più sulla terra
ai miei occhi per questa bella popolazione di piante e di animali, e quando davanti a me non danzeranno
[non si mostreranno] le ore future, attraenti di belle promesse,
né udirò più [recitare] da te, dolce amico [Pindemonte], i [tuoi] versi
e l’armonia malinconica che li ispira, né più mi parlerà
nel cuore l’interesse nella mia vita
da esule [quando sarò morto],
quale consolazione sarà per i giorni perduti [per la vita finita]
un sasso [la lapide sepolcrale] che distingua
le mie [ossa] dalle infine ossa che la morte sparge in terra e in mare?
È proprio vero Pindemonte! anche la speranza,
ultima dea, fugge le tombe e la dimenticanza circonda tutte le cose nella sua tenebra; e una forza attiva le trasforma incessantemente di movimento in movimento; e il tempo tramuta sia l’uomo sia le sue tombe
sia le ultime tracce sia ciò che è stato risparmiato [provvisoriamente] dalla terra e dal cielo.
Ma perché l’uomo dovrebbe negare prima del tempo a sé
l’illusione che [una volta] morto lo trattiene [gli fa
credere di fermarsi] ancora sulle soglie dell’oltretomba?
Egli [l’uomo da morto] non vive forse anche sotto terra, quando [pure]sarà [divenuta] per lui impercettibile l’attrattiva della vita se può risvegliarla [l’armonia del giorno, cioè la vita perduta] nella mente dei suoi [cari] con nobili preoccupazioni? Questa corrispondenza di sentimenti amorosi è divina, è una dote divina negli uomini; e grazie a essa spesso si vive [ci si illude di vivere] con l’amico morto e il morto [vive] con noi, se la sacra terra che lo ha accolto neonato e lo ha nutrito, offrendo[gli] l’ultimo asilo (albergo-luogo dove dimorare) nel suo grembo materno, renda intoccabili i [suoi] resti dalle offese degli agenti atmosferici e dal piede profanatore degli uomini, e un sasso[la pietra sepolcrale] conservi il nome, e un albero amico profumato di fiori consoli le ceneri[del defunto] con le [sue]ombre gradevoli.
Solamente chi non lascia eredità di affetti [chi muore senza legami affettivi] ha poca gioia nella tomba; e se solo guarda [immagina]
oltre la [propria] sepoltura, vede la propria anima vagabondare in mezzo al dolore dei luoghi infernali, o rifugiarsi sotto
le grandi ali del perdono di Dio: ma lascia i suoi
resti [ceneri] alle ortiche di una terra deserta
dove non prega [nessuna] donna innamorata,
né [alcun] passante solitario ode il sospiro
che la natura manda a noi dalla tomba.
Tuttavia una nuova legge [l’editto di Saint-Cloud]
oggi impone [che] le tombe [siano] fuori dagli sguardi pietosi [fuori dai centri abitati], e nega la fama ai morti.
E giace senza tomba il tuo sacerdote, o Talia,
che poetando per te coltivò con lungo amore un lauro
nella sua povera casa, e ti consacrò molte opere;
e tu abbellivi del tuo sorriso [della tua armonia] le sue
poesie che criticavano i viziosi aristocratici lombardi,
ai quali procura piacere solo il muggito dei buoi
che dalle stalle dell’Adda e dal Ticino
lo rendono beato di ozi e e vivande. Dove sei tu? O bella Musa
fra queste piante dove io siedo e ricordo
con desiderio la mia casa materna non sento
profumare l’ambrosia, indizio della tua divinità. Eppure tu venivi e sorridevi a lui [Parini] sotto quel tiglio che ora con fronde tristi va fremendo, o Dea, perché non copre la tomba del vecchio [Parini] al quale in passato era generosa di pace e di ombra.
Forse tu [Musa] cerchi vagando fra le tombe umili
dove dorma [dove sia sepolta] la sacra
testa del tuo Parini? La città [Milano], immorale,
 appassionata di cantanti castrati, non pose
in suo onore alberi tra le sue mura,
né lapidi, né iscrizioni; e forse il ladro che scontò sul patibolo i delitti gli insanguina le ossa con la testa mozzata.
[Tu Musa], senti raspare fra le macerie [i tumuli mortuari]
e gli sterpi la cagna randagia che va errando
sulle fosse e ululando famelica; e [senti, cioè vedi]
l’upupa uscire dal teschio, dove fuggiva la [luce della] luna,
e [la vedi] svolazzare intorno alle croci sparse
per il camposanto e [senti] l’uccello immondo [l’upupa]
rimproverare con il [suo] verso funebre i raggi dei quali
le stelle si mostrano pietose verso le sepolture dimenticate.
O Dea, preghi inutilmente [che] sul tuo poeta [Parini]
[cadano] rugiade dalla notte tetra. Ahi! Sui morti non sorge [nessun] fiore, quando non sia onorato da lodi umane
e da pianto affettuoso.

 

SEPOLCRI – (151-212) - (Sepolcro ispiratore di “egregie cose”)

Le tombe dei grandi spingono a nobili imprese
gli animi grandi, o Pindemonte e rendono
al [giudizio del] forestiero bella e santa la terra
che le contiene. Io quando vidi il monumento [la chiesa di S.Croce a Firenze] dove riposa il corpo di quel grande [Machiavelli]
che, temprando lo scettro  ai potenti [fingendo di insegnare loro le tecniche del potere], ne sfronda gli allori [la gloria], e svela alle genti di quali lagrime e di quale sangue [di quanto dolore] grondi [il potere]; e la tomba di colui [Michelangelo] che in Roma innalzò agli dei un nuovo Olimpo [la cupola di San Pietro]; e la tomba di colui che [Galileo] vide ruotare vari pianeti sotto la volta celeste, e il sole irraggiarli [stando] immobile, così che aprì per primo le vie del firmamento inglese [:Newton] che [poi] vi avanzò profondamente;
esclamai “beata te” [Firenze], per l’aria felice [e]
piena di vita, per le acque che l’Appennino fa
scorrere verso di te dalle sue montagne!
La luna, lieta della tua aria, ricopre di luce
limpidissima i tuoi colli, festanti per la vendemmia;
e le valli circostanti popolate di case e di oliveti,
mandano verso il cielo mille profumi di fiori.
Tu [Firenze], inoltre, hai udito per prima il poema [la divina commedia] che rallegrò [consolò] l’ira al ghibellino esule [Dante],
e tu hai dato i cari genitori e la lingua a quella dolce
voce di Calliope, che adornando di un velo candidissimo
l’amore, [il quale era] nudo in Grecia e nudo in Roma, [lo] restituì in braccio a Venere celeste;
ma [sei] più beata [ancora, tu] che raccolte
in un’unica chiesa conservi le glorie italiane,
forse le uniche [rimaste] da quando le Alpi
indifese e l’onnipotenza delle alterne
sorti umane ti hanno sottratto le armi
e le ricchezze e tutto [il resto],
tranne la memoria [della passata grandezza].
E spesso Vittorio [Alfieri] venne ad ispirarsi
presso questi marmi [le tombe di Santa Croce].
Irato con il destino della patria, vagava silenzioso
dove l’Arno è più deserto, osservando desideroso i campi
e il cielo; e poiché nessun aspetto vivente gli addolciva l’ansia,
[egli], severo, si fermava qui; e sul volto aveva
il pallore della morte e la speranza.
[Alfieri] abita [è sepolto] in eterni con questi grandi: e le ossa
emanano amore di patria. Ah si! Un Dio parla di quella pace
sacra e ispirò il valore e l’ira dei greci contro
i persiani in Maratona, dove Atene
consacrò le tombe ai suoi prodi. Il navigatore
che navigò a vela quel mare [l’Egeo]
sotto [l’isola] Eubea, vedeva
nella vastità buia balenare scintille di elmi
e di spade che si scontrano, [vedeva]
le pire [per bruciare i cadaveri] fumare vapore di fuoco,
[vedeva] fantasmi di guerrieri lampeggianti di armi
di ferro cercare lo scontro; e nell’orrore dei silenzi notturni
si spargeva nei campi un lungo frastuono di eserciti e un suono di trombe e un [rumore prodotto dall’] incalzare di cavalli che corrono scalpitando sugli elmi dei moribondi, e pianto, ed inni, e il canto della Parche.

 

SEPOLCRI – (213-295) - (Sepolcro come fonte di poesia)

O Ippolito, felice te, che ai tuoi verdi
anni [nella giovinezza] percorrevi l’ampio regno dei venti!
E se il pilota rivolse la tua nave oltre le isole Egèe, certo
udisti le coste dell’Ellesponto [ri]suonare di antichi fatti, e
[udisti] la corrente rimbombare portando
le armi di Achille alle coste del Capo Reteo
sopra le ossa di Aiace: la morte è giusta
dispensatrice di gloria verso i valorosi;
né l’astuta intelligenza, né il favore dei re
conservavano a Ulisse le difficili spoglie [le armi di Achille],
poiché l’onda incitata dagli dei dell’oltretomba le ritolse
alla nave errabonda.
E le Muse, animatrici del pensiero umano, chiamano me ad
evocare gli eroi [greci], me che i tempi [malvagi] e
il desiderio di onore fanno andare esule fra popolazioni diverse.
Le Muse siedono [quali] custodi dei sepolcri,
e quando il tempo con le sue fredde ali vi distrugge
perfino le rovine, [esse] allietano i deserti
con il loro canto, e l’armonia supera
il silenzio di mille secoli.
E oggi nella Troade desertica splende
eternamente [davanti] ai viaggiatori un luogo
eterno per la ninfa [Elettra] di cui Giove fu sposo
e [che] diede a Giove il figlio Dàrdano,
da cui derivano Troia e Assàraco e i cinquanta
figli sposati [di Priamo] e il regno della popolazione discendente da Iulo [i Romani]. Infatti quando Elettra udì la parca che la chiamava dalle vitali brezze della luce [dalla vita] [per andare] alle danze dell’Eliso [nell’oltretomba], rivolse a Giove l’ultima preghiera: E se – diceva - a te furono cari i miei capelli e il [mio] viso
e le dolci veglie [d’amore], e la volontà del destino
non mi concede premio migliore [della morte],
almeno proteggi dal cielo l’amante morta [la sua tomba],
così che resti memoria della tua Elettra.
Così pregando moriva. E l’Olimpo [Giove] piangeva di ciò;
e la testa immortale [di Giove ] chinandosi
spandeva dai capelli ambrosia sulla ninfa, e
fece sacri quel corpo e la sua tomba. Qui si riposò Erittonio,
e riposano i resti del giusto Ilo; qui le donne troiane
scioglievano i capelli inutilmente – ahi! - pregando
di allontanare l’imminente destino [la morte] dai loro manti;
qui venne Cassandra, quando il dio [Apollo] [entratole]in petto le faceva predire il giorno mortale; e cantò una profezia appassionata ai morti e [vi] guidava i nipoti, e insegnava ai giovanetti il lamento amoroso.
E [Cassandra] diceva sospirando [ai nipoti] “ O se mai
il cielo permetta a voi di ritornare da Argo [dalla Grecia] dove pascerete i cavalli [sarete schiavi] per Diomede e
per il figlio di Laerte [Ulisse], invano cercherete
la vostra patria! Le mura, opera di Apollo,
fumeranno sotto le loro macerie.
Ma i Penati di Troia avranno dimora in queste tombe;
perché è un dono degli dei conservare
un nome elevato [anche] nelle miserie.
E voi palme e cipressi che le nuore
di Priamo piantano, e [che] crescerete presto – ahi!-
innaffiati di lacrime vedovili, proteggete i miei avi:
e chi, pietoso, asterrà la scure dalle fronde sante
si addolorerà meno di lutti di parenti
e toccherà santamente l’altare. Un giorno vedrete
un cieco mendicante [Omero] aggirarsi sotto le vostre
ombre antichissime, e penetrare nei loculi a tentoni,
e abbracciare le urne, e interrogarle.
Le cavità nascoste gemeranno,
e tutte le tombe narreranno di Troia,
distrutta due volte e due risorta
splendidamente sulle vie silenziose
per rendere più bella la vittoria finale
ai figli di Peleo [Achille e Pirro, cioè i greci] mandati dal fato.
Il sacro poeta [Omero], consolando con la poesia
quelle anime afflitte, eternerà i principi greci
per tutte le terre che il gran padre oceano circonda.
E anche tu Ettore, avrai l’onore del pianto
ovunque sarà [considerato] santo e degno di lagrime il sangue
versato per la patria [dovunque vi sarà civiltà], e finché il sole risplenderà sulle sciagure umane [finché durerà l’uomo].

 

Fonte: https://barbaraceccotti4d.wikispaces.com/file/view/parafrasi+sonetti+e+sepolcri.doc

Sito web da visitare: https://barbaraceccotti4d.wikispaces.com

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