Bambini adottati a scuola

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Bambini adottati a scuola

BAMBINI ADOTTATI A SCUOLA

L’inserimento scolastico sancisce, per ogni bambino, il momento di ingresso nel contesto sociale di appartenenza e impone un cambiamento significativo che lo mette a confronto con un elevato numero di compiti, relazioni e novità che influenzeranno non solo il suo bagaglio culturale, ma anche la sua crescita complessiva e la sua identità.
A scuola esistono diversi fattori tipici del contesto, raggruppabili in due grandi aree: quella disciplinare e quella affettivo-relazionale; la prima riguarda l’insieme dei contenuti disciplinari e le abilità cognitive di apprendimento, mentre la seconda fa riferimento alle dinamiche relazionali che il bambino mette in atto con i compagni di classe (competizioni, alleanze, conflitti, gelosie, leadership …) e con gli insegnanti (rispecchiamento, conferma, svalutazione, attaccamento emotivo …).
Nel rapporto con i compagni di classe e con l’insegnante esiste una ricchezza e una pluralità di parti di sé che gli alunni mettono in gioco, talvolta persino sanando difficoltà vissute in altri contesti. Se, ad esempio, un bambino fatica ad esporsi per timidezza o svalutazione di sé e viene inserito in un gruppo classe capace di farlo sentire accolto e accettato, potrà trovare uno stimolo ad esprimersi e acquisire maggiore sicurezza. In ugual modo è importante l’atteggiamento che l’insegnante assume con i suoi studenti: se ritiene che siano capaci e in grado di ottenere determinati risultati, trasmetterà loro, sia a livello verbale, che con il proprio atteggiamento non verbale, un messaggio di incoraggiamento e fiducia ed essi stessi finiranno per sentirsi capaci e meritevoli. La relazione è fondamentale per aiutare i bambini a capire cosa sanno e cosa sanno fare, come si rapportano agli altri e che caratteristiche di personalità possiedono, per quale attività o disciplina sono più portati, contribuendo a rafforzare la loro autostima e a prepararsi per diventare, un giorno, uomini e donne autonomi e responsabili.
Se questo è vero ed importante per tutti i bambini e tutti i ragazzi, lo è ancor più per quelli adottati che hanno vissuto un allontanamento precoce dai genitori e, nella maggioranza dei casi, dalla terra di origine e sono particolarmente bisognosi di sentirsi accolti e desiderati e di dare un senso di continuità alle due diverse storie che li caratterizzano (quella prima dell’adozione e quella dopo, nella famiglia adottiva e nel paese d’arrivo), per sviluppare un sentimento e una coscienza di identità stabile e integrata.
Queste premesse sono fondamentali per comprendere il rendimento scolastico dei bambini adottati, che spesso è inferiore a quello dei compagni. L’accoglienza emotiva e la sicurezza di essere amati rassicura e fa in modo che le energie mentali si rendano disponibili per l’apprendimento.
L’esperienza dell’abbandono, inoltre, ha una notevole influenza sul modo di affrontare il cambiamento di abitudini e di contesti che si verifica al momento dell’ingresso a scuola, perché genera in chi l’ha vissuta una particolare ansia e un bisogno di certezze e di stabilità superiore a quelle dei coetanei; questo genere di esperienze esistenziali lasciano un segno nella psiche e conferiscono una sensibilità particolare ai vissuti e alle aspettative delle persone affettivamente significative: i bambini adottati avvertono costantemente il bisogno di accertarsi che le persone care non li abbandonino di nuovo e che la situazione sia sempre sotto controllo, impiegando quasi tutte le proprie energie psichiche per gestire l’ansia di separazione dai genitori.
Esistono ulteriori aspetti all’origine dello stato ansioso che altera l’apprendimento e il comportamento a scuola. Tutti i bambini si pongono, fin da molto piccoli, numerose domande sulla loro storia, sul luogo da dove sono venuti e sulla loro collocazione prima di arrivare nella famiglia attuale e i bambini adottati non fanno eccezione, ma le affrontano con modalità peculiari: alcuni hanno uno stile ansioso e si chiedono continuamente come sia stata la loro vita precedente all’adozione e perché siano stati abbandonati dai genitori biologici; si ritengono, generalmente, responsabili del proprio abbandono e persone di scarso valore e hanno molta paura di essere lasciati di nuovo, per cui impiegano molte energie nel dare risposte a queste domande angoscianti. All’opposto, altri affrontano il loro abbandono utilizzando una modalità difensiva, che minimizza l’esperienza subita, spingendoli ad evitare di porsi domande e di riflettere per darsi risposte. In questo secondo caso, alcune risorse cognitive e riflessive rimangono costantemente inutilizzate, anche quando dovrebbero essere spese per l’apprendimento scolastico, e i bambini sono spinti a dedicarsi ad attività superficiali, che non mettano a rischio il loro pseudo-equilibrio, senza utilizzare mai completamente le proprie potenzialità, nemmeno a scuola.
In linea con queste riflessioni è l’osservazione di uno stile di attaccamento insicuro in tutti i bambini adottati e la sua correlazione con le loro risorse di apprendimento. La teoria dell’attaccamento, frutto degli studi dello psicanalista John Bowlby, sostiene l’esistenza nell’uomo di un bisogno innato e universale di creare legami affettivi stretti che gli garantiscano protezione e sicurezza e permettano la sua sopravvivenza e un suo sano sviluppo psichico. Questo bisogno spinge il bambino, fin da appena nato, a mettere in atto comportamenti di ricerca di protezione e affetto, cercando una risposta nell’adulto che ne ha cura. In base alla sensibilità dell’adulto e alla sua capacità di cogliere e di rispondere ai segnali del bambino, si crea un legame di attaccamento sicuro o insicuro.
Le prime esperienze di interazione tra bambino e adulto vengono interiorizzate dal piccolo e costituiranno una sorta di modello interno per le relazioni affettive future e per la sua immagine di sé. In particolare, il legame di attaccamento diventa sicuro se gli adulti capiscono i bisogni del bambino ed egli si sente fiducioso nell’esplorare il mondo e degno di amore, sapendo di poter contare sempre sulla loro presenza costante. Se, al contrario, ciò avviene in maniera parziale, se i genitori sono distratti, sofferenti o affettivamente poco disponibili, il bambino non sviluppa dentro di sé la certezza della presenza di un punto di riferimento costante ed ha timore di allontanarsi dal genitore ed esplorare il mondo per paura di non trovarlo più al suo ritorno. Egli tende, infine, a sviluppare un’immagine di sé come indegno dell’amore degli altri, interiorizzando un modello di attaccamento insicuro.
Il legame di attaccamento con il genitore comincia a costruirsi già durante il periodo della gestazione e se verrà interrotto da un abbandono, come nel caso dei bambini adottati, verrà minata alle fondamenta la sicurezza di base che il legame garantisce ed essa potrà essere recuperata solo attraverso un nuovo legame di attaccamento con i genitori adottivi.
Oggi i bambini adottati, soprattutto quelli provenienti dall’estero, arrivano già in età pre-scolare o scolare e l’inserimento scolastico avviene quasi immediatamente, senza che ci sia stato tempo sufficiente per creare e consolidare il nuovo legame di attaccamento con i genitori. Essendo emotivamente molto impegnati in questo processo psicologico complesso, potrebbero non riuscire a gestire, contemporaneamente tutte le novità e l’impegno necessari all’adattamento al contesto scolastico, manifestando difficoltà di apprendimento e di relazione e comportamenti disturbati e disturbanti in classe.
Spesso, per evitare un impegno troppo gravoso per il bambino, si suggerisce ai genitori di lasciar passare diversi mesi prima di inserirlo in classe e contemporaneamente si consiglia agli insegnanti di non concentrarsi subito sui suoi risultati scolastici, ma lasciargli il tempo necessario a trovare la sua dimensione emotiva e il senso di appartenenza alla classe, per sentirsi abbastanza sicuro e fiducioso e poter rivolgere la propria attenzione anche allo studio. L’apprendimento della lingua italiana, ad esempio, è spesso collegato ad un vissuto di appartenenza del bambino al nuovo contesto: il rifiuto di impararla può essere indicativo della sua reticenza o del suo rifiuto ad entrare a far parte di una nuova famiglia e di una nuova comunità culturale che si riconosce in quella lingua. La sua storia, le sue tradizioni e la sua cultura originaria, non possono essere abbandonate e non possono nemmeno essere integrate con le nostre in maniera improvvisa e senza un lavoro psicologico importante, soprattutto per un bambino piccolo.
I bambini adottati hanno, generalmente, una raffinata sensibilità e marcate capacità creative che possono essere espresse, inizialmente, attraverso attività (come il gioco, il disegno ecc.) in cui prevalgono la libera espressione e le abilità di socializzazione, che facilitano il vissuto di appartenenza alla classe. Utilizzare questo tipo di attività può essere un modo per iniziare una relazione educativa efficace e preparare il terreno ad un proficuo apprendimento.
Aiutarlo a prendere coscienza della sua diversità e della sua storia e ridarle un senso che permetta a lui e ai compagni di non percepirla come uno stigma o un deficit, ma come un arricchimento e una risorsa, implica un lavoro che coinvolge tutta la classe e richiede che tematiche riferite all’adozione, come la doppia genitorialità, l’albero genealogico differente e più complesso, la provenienza da paesi stranieri e le differenze culturali e religiose vengano affrontate apertamente in classe, attraverso attività che favoriscono la libera espressione delle proprie impressioni ed idee e il confronto in un clima privo di giudizio. In questo modo il bambino adottato vivrà la sua storia e la sua provenienza come qualcosa di speciale e di arricchente per tutti e si sentirà più forte e libero di dare risposte alle sue domande.
Per far questo, l’insegnante deve conoscere le principali caratteristiche emotive e relazionali legate all’adozione e non aver timore di affrontarle in classe con i propri alunni e deve essere disponibile a confronto costante con i genitori adottivi, per trovare insieme a loro il modo migliore per farlo. Inoltre, è importantissimo che rifletta attentamente sui propri pregiudizi sull’adozione e sui bambini adottati. Spesso, infatti, vengono percepiti come problematici, o, ancora più spesso, vittime di un triste destino.
Ciò che si pensa, anche quando i pensieri e le convinzioni non sono consapevoli, viene trasmesso attraverso i propri messaggi verbali e non verbali e si rischia di rimandare al proprio alunno e alla sua famiglia l’idea che sia problematico e incapace, o si rischia di diventare iperprotettivi, impedendogli di far emergere le proprie risorse perché lo si tratta come una persona che, a causa della sua storia e delle difficoltà attraversate, sarà sempre svantaggiata rispetto agli altri.
E’ importante osservare i comportamenti difficili o disturbanti o eccessivamente passivi e accomodanti dei bambini, con attenzione e con atteggiamento aperto e accogliente, per attribuire loro un significato che sia  utile al bambino, senza trattarlo in maniera privilegiata e diversa dai compagni di classe (punirlo quando occorre, premiarlo e lodarlo quando lo merita) ed evitando di considerare l’adozione alla stregua di una patologia. Esistono situazioni, infatti, in cui si assegna l’insegnante di sostegno semplicemente perché il bambino è adottato e manifesta inizialmente difficoltà nell’apprendimento della lingua italiana o si comporta in maniera incontrollabile. Affiancare ad un bambino un insegnante di sostegno è una scelta forte poiché trasmette a lui e alla famiglia un messaggio di grossa problematicità, che dovrebbe essere riferita solo ai casi in cui esistono psicopatologie conclamate (disturbi dell’apprendimento, disturbo da deficit di attenzione e iperattività, disturbo post-traumatico da stress, disturbi dello sviluppo …).
I bambini adottati hanno una storia generalmente più complessa di quella degli altri, ma hanno spesso risorse più grandi proprio per il fatto di essere sopravvissuti a situazioni di vita difficili. Considerandoli problematici o proteggendoli eccessivamente si rischia di non farli sentire capiti e di impedire alle loro risorse di emergere. Sono bambini come gli altri, con un particolare bisogno di affetto e di comprensione  e questo interroga e sollecita l’insegnante a porre attenzione e mettere in discussione i propri pregiudizi e i propri comportamenti educativi. D’altra parte, tutti i bambini, quando si trovano in difficoltà, hanno bisogno di un adulto di cui fidarsi, che li incoraggi a provare, buttarsi e rischiare, aiutandoli ad affrontare gli ostacoli, senza evitarli né addolcirli, per metterli in condizione di crescere superandoli.
L’atteggiamento di ascolto e di apertura che l’insegnante assume nei confronti dell’alunno adottato diventa un monito per tutta la classe: egli, infatti, così come ogni alunno portatore di una diversità, è una risorsa per tutti i compagni, rappresenta una possibilità per affrontare a scuola, in maniera attiva e concreta, il tema dell’integrazione, incoraggiando un confronto senza pregiudizi con chi è diverso da sé.
Anche i genitori adottivi meritano attenzione e sensibilità da parte dell’insegnante; essi hanno, nella maggioranza dei casi, delle ferite legate all’infertilità che potrebbero non essere del tutto rimarginate e li fanno sentire bisognosi di una legittimazione al proprio ruolo che non è garantita dalla procreazione, ma deve essere consolidata giorno per giorno, attraverso la relazione con il figlio e il riconoscimento sociale. La riuscita scolastica del bambino è uno dei mezzi utilizzati dai genitori per sentirsi legittimati perché se il figlio è bravo a scuola e si comporta bene, loro si sentono bravi genitori. Il rischio, però, è che investano i propri figli e la scuola di aspettative eccessive che impediscono ai bambini di esprimere se stessi liberamente e li spingono ad assecondare i desideri e le aspettative di mamma e papà. In altri casi, invece, il genitore potrebbe essere iperprotettivo con il figlio e ipercritico e sfiduciato nei confronti dell’insegnante per il suo bisogno di sentirsi l’unico adulto in grado di capire il figlio e di educarlo, mettendo in atto un conflitto di potere.
Agire in un contesto relazionale così complesso non è semplice, ma per ottenere un’azione educativa efficace è estremamente importante tenere in considerazione tutte le componenti che interagiscono e caratterizzano la scuola: gli insegnanti, la famiglia e il bambino e soprattutto non perdere mai di vista che al centro di ogni intervento deve esserci sempre l’interesse e la salvaguardia del benessere del minore e la sua crescita globale, culturale, cognitiva ed emotiva.                                                                  

Dott.ssa Silvia Ceccoli   
        psicologa e psicoterapeuta    

 

Fonte: http://web.educazione.sm/news/2010_11/articolo%20portale%20BAMBINI%20ADOTTATI%20A%20SCUOLA.doc

Sito web da visitare: http://web.educazione.sm

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