I bambini e il lutto

I bambini e il lutto

 

 

 

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I bambini e il lutto

IL LUTTO E I BAMBINI
Il silenzio protegge dalla sofferenza?

(tratto da: I giorni rinascono dai giorni. Condividere la perdita in un gruppo di auto mutuo aiuto, Edizioni Paoline, 2007)

 

LIVIA CROZZOLI AITE

 

II processo di elaborazione del lutto per la morte di una persona amata avviene gradualmente nel tempo e si ripropone più volte nel corso della vita, ogni volta che si sperimenta una nuova perdita.  Generalmente, con la crescita, aumenta la consapevolezza e la capacità di affrontare le esperienze dolorose dell’incontro con il limite e con la morte, ma da come sono state vissute ed elaborate nell'infanzia, nel primo approccio con l’assenza definitiva di una persona cara, dipenderà il modo in cui saranno affrontate successivamente nella vita. Anche per questo motivo è molto importante prendersi cura dei bambini, quando per la prima volta si confrontano con la perdita.
Nella nostra cultura rispetto ai bambini impera una censura netta sull’esperienza della malattia, della morte e del lutto, censura che riguarda sia gli eventi reali che quelli emozionali che in genere disorientano, spaventano e imbarazzano gli adulti.
Purtroppo non possiamo evitare di far sperimentare ai bambini il dolore della perdita e gli inevitabili cambiamenti e le complicazioni che intervengono con l’assenza definitiva di una persona della propria famiglia - un genitore, un fratello, un nonno - ma come accompagnarli e sostenerli in modo che la loro esperienza sia meno traumatica e difficile?
Cosa influenza maggiormente la loro capacità di affrontare l’esperienza: la preparazione graduale alla perdita o il silenzio? La partecipazione e la condivisione dell’esperienza della sofferenza con gli altri familiari o l’esclusione?

 

I bambini e il lutto

Fino a tempi abbastanza recenti  si pensava che i bambini non fossero particolarmente toccati dall’esperienza del lutto, ma numerose ricerche hanno mostrato che soffrono per la morte di una persona significativa della loro vita e sperimentano emozioni e stati d’animo simili agli adulti, anche se non sanno esprimere con le parole ciò che sentono.
Dal punto di vista psicologico, la morte e il lutto richiedono ai bambini processi di elaborazione e reintegrazione più complessi che per l'adulto. In primo luogo perché si trovano per la prima volta ad affrontare il contatto con la morte e la perdita definitiva di una persona per loro importante e inoltre perché perdono, oltre a un loro oggetto d'amore, anche un supporto essenziale e un sostegno identifìcatorio, necessario per il loro processo di crescita.
Ecco questo bisogno espresso da due bambini. Il primo di nove anni, con un papà gravemente malato di cuore, ha detto alla mamma: “ se papà muore, tu ti devi risposare, non voglio stare senza un papà!" e l’altro di sette anni alla morte del fratello ha esclamato: “Come farò senza di lui a fare a cazzotti con i miei compagni?”
La qualità, l'intensità e la durata delle manifestazioni che i bambini possono presentare non sono soltanto collegate alle modalità dell’evento “morte”, ma alla complessità della situazione vissuta dal bambino prima e dopo la scomparsa della persona amata.
Le modalità di risposta dipendono infatti dalla interazione di una molteplicità di fattori. Oltre alle caratteristiche personali dei bambini (età, grado di maturazione mentale ed emozionale) contano la qualità e l’intensità della relazione e del legame con la persona deceduta, le risorse della famiglia (capacità comunicative, contenitive ed elaborative) e quelle dell’ambiente sociale, la partecipazione nella cura della persona malata e nella condivisione del dolore e del ricordo della persona scomparsa, la possibilità di continuare la vita abituale di ogni giorno.
Da tutto questo deriva che le conseguenze variano enormemente e che ogni bambino ha un suo proprio modo di elaborare la perdita. Se c’è un ambiente familiare e sociale sensibile e attento, se sono aiutati a esprimere ciò che avviene dentro di loro, se sono informati e rassicurati su ciò che avviene intorno a loro, possiamo dire, insieme con DeSpelder  e Strickland che : “La morte di un genitore, di un fratello, di una persona cara, non porta necessariamente a gravi difficoltà e a un arresto dello sviluppo. I bambini mostrano una certa forza e resistenza nel lottare contro le difficoltà e le tragedie della propria vita e bisogna aver fiducia nelle loro possibilità di partecipazione e recupero, nel loro coraggio e creatività e perfino nel loro realismo e senso pratico”.

 

I bambini e la perdita di un genitore

Certamente la morte di un genitore e in particolare la perdita della madre è l’esperienza più dolorosa e grave che un bambino possa incontrare. “Nulla è più come prima” : significa la perdita di sicurezza e di affetto, la perdita di vicinanza e di supporto con cui era stato nutrito e su cui faceva affidamento.
Perché il bambino possa accedere a un' autentica rinuncia alla presenza del proprio genitore è necessario un lento e graduale processo, il cui significato va negoziando in continuazione e la cui elaborazione si andrà evolvendo e completando nel corso di tutta la vita.
I bambini, i primi tempi, vedono che il genitore non c’é e sanno che non può ritornare, ma lo continuano a desiderare, a cercare, a chiamare e, talvolta, ne possono ricreare l'esistenza, parlandogli o immaginando di ritrovarlo e riconoscerlo in qualche altra persona.
Ad esempio alcuni anni fa ho seguito una bambina di quasi tre anni che il padre, subito dopo la morte della mamma, su consiglio del medico, mi aveva portato per una valutazione. Dai lavori e dai comportamenti della piccola emerse la paura, la confusione e il caos della situazione che stava vivendo. La bambina poteva non conoscere con precisione il concetto della parola “morte”, ma la privazione e l'assenza della madre la facevano soffrire e la sconvolgevano profondamente! Al momento della nostra separazione aveva mostrato tutta la sua disperazione, buttandosi per terra e strillando a perdifiato che non voleva andar via, che voleva rimanere da me, dalla “mamma”, scalciando contro il padre e aggrappandosi alla porta per non essere portata via.
La presenza illusoria di un genitore immaginario o l’errato riconoscimento in un’altra persona è frequente nei bambini e, inizialmente, può aiutare a sostenere l’angoscia della separazione.
I bambini in lutto ricordano a lungo e molto di frequente il genitore scomparso. Lo fanno immaginandolo vicino, conservando o indossando oggetti che gli appartenevano, oppure riguardando le foto e rivedendolo anche attraverso i sogni, in cui il padre o la madre si ripresentano vivi e attivi. Molti sentono anche la presenza fisica del genitore, alcuni con il timore di essere disapprovati, altri con il piacere di sentirsi protetti.
Spesso nell’elaborare la perdita ricostruiscono, proprio come gli adulti, un insieme di avvenimenti e ricordi, che sono strumentali alla costruzione di un’immagine interiore del genitore ormai assente, consentendo di sentirne e mantenerne la presenza affettiva dentro di sé.
Una bambina malata di Aids, ricoverata in ospedale, poco tempo prima di morire, mi descriveva la sensazione di piacere sperimentata durante una gita al mare, quando il padre, ormai deceduto per la sua stessa malattia, la portava in giro in bicicletta. Era lieta di ricordare il papà e l’esperienza vissuta insieme, “con il vento che mi scompigliava i capelli e papà che mi stringeva forte” e descriveva serenamente questo suo prezioso ricordo, che le faceva sentire la vicinanza del padre.
La perdita è irrecuperabile, ma la rappresentazione mentale permette di mantenere una relazione che “cambia via via nel processo di maturazione del bambino e si modifica di intensità in relazione al diminuire del dolore” .
Anche i sensi di colpa sono parte integrante del lutto dei bambini, proprio come negli adulti, alcuni temono di aver provocato la morte del genitore o per colpe reali - perché li avevano fatti arrabbiare o avevano litigato - o per colpe immaginarie in base ad alcuni pensieri negativi - come ad esempio quello di augurare la morte del genitore perché severo, giudicante o violento - oppure si sentono in colpa per il fatto di essere vivi e sopravvissuti al genitore.
Dalle parole di un bambino di sei anni, arrabbiato e insieme angosciato per la scomparsa della madre: “Perché, perché se ne è andata? E’ stata cattiva, ci ha lasciato soli, che faremo senza di lei?", si comprende facilmente che, se non  riceve una risposta, se non c’è una forma di condivisione che ne permetta l’elaborazione, di sicuro ne risentirà a lungo successivamente.
Infatti, se i bambini sono lasciati a se stessi nel far fronte a dubbi, rabbia, aggressività, angoscia, sentimenti di abbandono o emozioni confuse di colpa e di biasimo e non vengono preparati pian piano e anche informati sufficientemente su quello che succede sia dentro che fuori di loro, le difficoltà possono intensificarsi e perdurare anche nell’età adulta, spesso con effetti traumatici.
I grandi devono rassicurare i bambini che i loro vissuti sono normali e comuni, che nulla di quello che loro hanno detto o fatto può aver causato la morte del genitore.
I bambini, che tanto amano “l’economia del sicuro”, hanno inoltre delle ansietà sulla loro sorte e sui cambiamenti concreti che avverranno in famiglia: "Chi mi porterà a scuola? Chi mi curerà se mi ammalo? Chi mi racconterà le favole? Chi mi riprende a ginnastica? Potremo rimanere in questa casa? Chi ci manterrà?"
Per quanto possibile è bene che ci sia una continuità nelle abitudini del vivere quotidiano ed é molto utile discutere di questi problemi concreti e reali per tranquillizzarli su come andrà avanti la loro vita e quella della famiglia.
Un’altra difficoltà che incontrano i bambini è nel sociale, ad esempio nella scuola, nei gruppi sportivi e ricreativi che frequentano dove, sentendo la diversità dagli altri, possono provare un senso di inferiorità e di separazione. Basti pensare alla festa del papà o della mamma, che si celebra in classe e che loro non possono vivere né condividere pienamente con i compagni. Anche per questo motivo alcune volte non dicono cosa è successo in famiglia e scrivono dei pensieri o rispondono alle domande, dicendo delle bugie.

 

Gli adulti e i bambini

Accade spesso che in famiglia gli adulti, spesso frastornati, spaventati o impreparati, non rivelino ai bambini  la morte che sta per sopraggiungere, né la morte sopraggiunta.
Volendoli proteggere, gli adulti  tendono a tacere, a nascondere o a mascherare in qualche modo la verità, a tenerli lontano dalla persona malata, facendoli distrarre e, con l'approssimarsi della morte, anche ad allontanarli da casa e a non  farli partecipare ai funerali, perché non soffrano, perché non si trovino in una situazione carica di emozioni e tensioni, specie quando la morte è improvvisa, a seguito di un suicidio, di un omicidio o di un incidente.
Gli adulti pensano che i bambini siano troppo piccoli per capire e partecipare, o troppo impressionabili e fragili per reggere la situazione, temono le loro reazioni e hanno timore di non saperle gestire o di commettere degli errori, provocando ulteriori sofferenze.
Ma i bambini, anche se non ne fanno cenno, intuiscono gli stati d'animo, il tono emotivo dei discorsi, osservano ogni modifica e cambiamento nello svolgersi delle interazioni familiari, vedono sia il peggioramento fisico che la minor partecipazione alla vita familiare della persona malata, e ancor più ne notano la scomparsa, per cui è del tutto inutile ed è anzi negativo disconfermare questo loro sapere emozionale e cognitivo.
Ecco cosa un bambino di sei anni ha confidato al suo amichetto del cuore, mentre giocavano insieme, commentando questo tipo di comportamento dei familiari: "mio papà sta morendo, ma la mamma e i nonni mi dicono che non è vero e che guarirà, ma io non ci credo".
Essendo tenuti lontani e all'oscuro molto spesso non possono neppure vedere e dare per l'ultima volta un saluto al loro genitore, al loro fratello, al loro nonno, venendo quindi privati di un’esperienza di grande importanza per il loro futuro.
Certamente i bambini vicino a un genitore morente parlano poco, si sentono preoccupati, smarriti, confusi e anche impauriti, capiscono che qualcosa di grave sta accadendo. Ecco attraverso le parole di una madre, che ha condiviso col figlio la gravità della propria malattia, il vissuto della loro condivisione: “i figli ti guardano e nel loro sguardo intelligente leggi tutto il bene che ti vogliono, leggi il loro dolore innocente e piangi con loro.”
Ma sono meglio il pianto, il dolore e gli affetti condivisi che l’allontanamento, l’esclusione, il silenzio! Queste modalità di risolvere il problema da parte degli adulti non proteggono i bambini dal dolore, né al momento della morte né successivamente, non li preservano dalla paura e dallo smarrimento, né li fanno diventare più maturi.
Il silenzio non protegge dalla sofferenza! I momenti peggiori sono proprio quelli in cui i bambini, anche i più piccoli, percepiscono che c’è qualcosa di grave e non sanno trovare risposte a tutto quello che avviene in famiglia, e si sentono esclusi, ignorati e lasciati soli.
E’ vero che i bambini non riescono a tollerare per lungo tempo il dolore. Per la loro mobilità e labilità di attenzione passano facilmente dal pianto al riso e si alleggeriscono distraendosi e interessandosi ad altro. Questi comportamenti, che non corrispondono alle aspettative degli adulti, vengono molto spesso scambiati per disinteresse, indifferenza, incapacità di provare sofferenza verso ciò che sta accadendo o è accaduto. Si pensa che non si ricordino della persona malata o scomparsa, perché si mettono a giocare e a correre come al solito con i compagni. Un padre, ad esempio, era desolato per il comportamento del figlio: "Una volta stavamo parlando della mamma che stava molto male e mio figlio se ne è andato via a giocare, come se niente fosse".
I bambini ascoltano tanto quanto possono accogliere e padroneggiare e hanno profonde risonanze affettive, si pongono numerosi interrogativi e soprattutto rivelano le loro difficoltà attraverso manifestazioni psicosomatiche che sono da considerarsi come equivalenti del lutto .
Certamente i tempi, la capacità di assorbimento e di accettazione sono diversi da quelli degli adulti e non sempre sono disponibili quando i grandi lo sono. Ma i bambini sono desiderosi e perfino curiosi di sapere: si domandano cosa sta succedendo o cosa è successo e se si permette loro di esprimersi e fare domande, si può cogliere che le osservazioni e gli interrogativi sono precisi e pertinenti.
Non si dovrebbe inibire la curiosità dei bambini e far loro perdere la fiducia nei grandi, anzi andrebbero accompagnati nella loro ricerca di risposte, perché in questo modo imparano a confrontarsi con la perdita, a partecipare agli avvenimenti familiari insieme agli altri, a collaborare e a porsi delle domande sulla vita e sulla morte. A favore di ciò ecco una breve osservazione di una nonna che insieme alla figlia, mamma del bambino defunto, aveva deciso di non far partecipare il fratellino più piccolo ai funerali: “ Quando ritornammo a casa, lo trovammo triste, silenzioso, aveva lo sguardo fisso a terra. Con il tempo capii che avevamo fatto un grosso sbaglio a non portarlo con noi ai funerali; infatti gli ci vollero dei mesi, prima di capire che la morte del fratello era irreversibile e definitiva”.
E' bene creare un'atmosfera dove le domande possano essere espresse e accolte anche se spesso sono formulate in momenti del tutto inattesi.
Naturalmente nel sottolineare l’importanza della comunicazione schietta e sincera s’intende che le considerazioni e le parole debbano essere chiare e semplici, rispondenti all’età e alle capacità di comprensione del bambino, perché una comunicazione intempestiva, confusa e inadatta, può diventare inutile e dolorosa. E’ anche importante che le parole siano accompagnate da un contatto fisico intenso e caloroso e forse, ancora prima di parlare o di rispondere alle domande dei bambini, sarebbe bene chiedersi cosa ne pensano loro e successivamente verificare cosa ricordano e provano delle cose che abbiamo detto.

 

// silenzio dei bambini

I bambini, specie i più piccoli, non conoscono né sanno usare le parole astratte che denominano emozioni e stati d’animo, né si rendono conto che le loro reazioni sono connesse alla perdita. Inoltre, certe esperienze sono così profonde che non sono accessibili al linguaggio, sono veramente indicibili  con le parole.
Gli adulti devono allora cercare di interpretare le preoccupazioni, le emozioni nascoste nei gesti, nei comportamenti rassicurandoli, consolandoli, incoraggiandoli a esprimersi, sia con le parole che con l’ausilio di collage e disegni, affinché angosce, interrogativi e sentimenti non rimangano sepolti e non continuino a essere troppo  disturbanti e dolorosi.
Spesso  i bambini non sanno se è permesso mostrare i sentimenti che provano e osservano gli adulti per comprendere quali siano i comportamenti giusti e accettabili, che anche loro possono manifestare e concedersi. E’ bene quindi che vedano le persone piangere e sapere che gli altri familiari sono confusi, tristi e in difficoltà, come loro. “Non condividere la pena aggiunge sofferenza alla sofferenza,” ha detto una sorella .
Molte volte il silenzio del bambino, la mancanza di domande o l'apparente indifferenza possono essere interpretati come accettazione della perdita, mentre invece mascherano uno stato di rinuncia, di rassegnazione, di sfiducia, di distacco e sono spie di una situazione di difficoltà. Questi comportamenti talvolta sono correttamente letti dai familiari come uno stato di sofferenza, ma erroneamente si ritiene che i bambini non debbano essere disturbati, né vadano afflitti da discorsi troppo seri e dolorosi e che possano farcela da soli.
C'è anche un'altra lettura del loro silenzio. Tacciono perché vogliono proteggere il genitore e gli altri familiari da ulteriori carichi di difficoltà e dolori: “In famiglia ognuno si sente responsabile delle lacrime dell’altro ed è convinto di recare ancora più dolore”. In altri casi tacciono, obbedendo alle regole del funzionamento familiare. Se l'atmosfera dominante in casa è quella del “non si parla, non si comunica, non si chiede”, i bambini, come dicevo prima, taceranno, ma che qualcosa di grave sta accadendo o è accaduto lo sanno di sicuro e ne soffrono in silenzio e in solitudine.
Mentre, se il bambino partecipa agli eventi e viene informato in maniera semplice e realistica, se comunica con gli altri familiari, avrà maggiori strumenti per esprimere e interpretare le emozioni e i sentimenti propri e altrui.
Una signora, durante il percorso analitico, si rese conto che la figlia di otto  anni non parlava mai del padre perché lei stessa, ogni volta che lo ricordavano, si metteva a piangere. La bimba poté iniziare a esprimersi apertamente e a condividere ed elaborare il suo lutto, quando la madre riuscì ad avere un rapporto diverso con il proprio dolore e, soprattutto, con i propri gravi sentimenti di colpa nei confronti del marito.
Spesso i genitori tacciono perché “non ce la fanno” e non sanno "cosa, come, quando e quanto" dire. Si può comprendere che per sentirsi in grado di parlare, senza dare spiegazioni false o risposte confondenti del tipo: "papà è andato a dormire," oppure " mamma è partita per un lungo viaggio" o "il fratellino è andato dai nonni", debbano loro stessi essere capaci di confrontarsi con la realtà della situazione.
Saggio quindi e opportuno il consiglio che “prima di chiedere a un genitore di parlare col proprio figlio è necessario aiutarlo a riconoscere sia le proprie paure e difficoltà che le espressioni di disagio del proprio bambino” e a pensare alle domande possibili e alle risposte più efficaci e utili da restituirgli.
Talvolta ci troviamo di fronte a bambini lasciati soli a se stessi o distolti quando chiedono spiegazioni. Se invece il genitore sano o superstite, seppur sofferente, o un altro familiare o una persona significativa, anche esterna alla famiglia, creano una situazione affettiva di cura e di dialogo, i bambini si sentiranno accolti, compresi e contenuti. Hanno infatti bisogno di esprimere a loro modo e coi loro tempi il dolore per la perdita della persona amata e soprattutto di ricordarla e pensarla per poterne conservare dentro di sé l'immagine e il legame che li univa.
Nominare, ricordare la persona amata scomparsa, rievocare le esperienze vissute insieme è un aspetto importante del processo di elaborazione del lutto: fa riemergere ed entrare in contatto con le emozioni e gli affetti, che in seguito possono essere condivisi anche con le parole.
I bambini non si adattano facilmente alla scomparsa e all'assenza della persona per loro importante, anche quando un discorso sulla morte del genitore è stato espresso e condiviso. Bisogna più volte riprendere la storia della malattia e della morte, perché i bambini stessi ripetendosela, ritornandoci sopra e ripensandola, si possano appropriare di questa realtà dolorosa.
“Il genitore che è in grado di dare ascolto al figlio e di consentirgli di esprimere i propri sentimenti, lascia aperta per il bambino la possibilità di continuare il lavoro interno e cioè il processo che consente di mentalizzare e rappresentare la morte, il dolore e il ricordo, utilizzando i nuovi strumenti e le capacità cognitive ed emotive di cui il bambino dispone nel corso della sua maturazione".
Come esemplificazione di questi bisogni di scambio e di dialogo dei bambini, vorrei riportare due situazioni, che ho seguito e che, pur essendo partite in maniera sfavorevole, si sono evolute con esiti differenti, la prima in maniera sufficientemente positiva, la seconda negativamente, per la mancanza di un supporto adeguato.

 

Un’ esclusione recuperata

La prima vicenda riguarda una bambina di nove anni, che aveva perso la mamma per una malattia fulminante, durata quattro mesi. A causa dell'aggravamento, la bambina fu mandata a vivere dai nonni paterni e tenuta all'oscuro sia dell'avvicinarsi della fine sia della morte stessa della madre.
Quando il padre, dopo un mese, decise di farle sapere la verità e di riportarla a casa, le parlò piangendo con commozione della morte della madre e le espose con chiarezza i motivi che l'avevano condotto alla decisione di tenerla lontana per proteggerla dal proprio dolore e per aspettare di essere pronto a stare con lei e a parlarle di sé e della mamma.
Le disse che la mamma aveva avuto dei dubbi se rivederla e riabbracciarla prima di morire ma che aveva voluto che la figlia la ricordasse come era quando stava ancora bene, e gli aveva affidato il compito di dirle tutto il bene che le voleva. La figlia riuscì a dirgli che aveva provato dispiacere e rabbia di essere stata allontanata: aveva temuto che la mamma e il papà non le volessero più bene, anche se i nonni l'avevano rassicurata.
La possibilità di condividere liberamente sentimenti e paure con un padre sensibile e attento, capace di accogliere anche i sentimenti negativi, ha reso possibile a questa bambina di sviluppare ulteriormente la capacità d'ascolto di sé e anche di comprendere il comportamento dei genitori e la loro sensibilità, senza sentirsi deprivata del loro affetto.

 

                1. Una condivisione mancata

La seconda storia invece rivela le conseguenze che la mancanza di sostegno e comprensione da parte dell'ambiente familiare ha generato in una bambina, alla morte improvvisa della nonna che l'aveva allevata.
La bambina aveva cinque anni e ne risentì tantissimo, anche perché già segnata dalla deprivazione della madre che, quando aveva otto mesi, si era dovuta allontanare da casa per lavoro. Ho seguito questa persona quando aveva ormai più di trenta anni.
Sapeva della separazione dalla madre ma non ne conosceva, né poteva ricordare i  particolari, mentre aveva ben presente la perdita della nonna. Le era rimasto impresso che, dopo il funerale, si era raggomitolata in un angolo della casa, piena di tristezza e con tanta voglia di piangere. La madre l'aveva presa per mano e l'aveva coinvolta in un impegno di famiglia, senza tener conto dei sentimenti che la bambina stava sperimentando.
La piccola non ebbe l'energia di manifestare apertamente e con forza la propria sofferenza, non pianse, non si disperò, non si arrabbiò, ma si sentì incompresa. Si aspettava di essere sostenuta senza doverlo chiedere, come in passato faceva con lei la nonna. Secondo questa giovane nessuno in famiglia si prese cura della sua sofferenza né fece riferimento alla figura della nonna scomparsa.
La bambina sentì un vuoto incolmabile e le rimase la convinzione che delle cose dolorose non si doveva parlare e che ciò che sentiva non era importante per gli altri. Si abituò a non dar credito ai propri sentimenti, a non mostrarli, a pensare che nessuno la potesse capire e che non valeva la pena di amare profondamente perché, se l'altro scompariva, si ritrovava sola e abbandonata. Utilizzò quindi difese massicce per non sperimentare mai più il dolore della perdita e della separazione, ma questo vissuto fece crescere in lei un distacco dal suo sentire e anche dagli altri.
Se i nostri profondi nuclei intrapsichici non diventano oggetto di presa di coscienza ed elaborazione, restano dentro, generando il soffocamento dell'affettività, il nemico più potente e pericoloso del tempo del lutto e anche della vita.

 

                  1. Doppio lutto

Un altro aspetto che rende problematica la situazione dei bambini, che si confrontano con la perdita di un genitore è quello di dover affrontare l'esperienza di un doppio lutto.
Infatti, oltre al dolore per la morte di un genitore, vivono anche l'inconsolabile sofferenza dell’altro, per cui il compito elaborativo e riparativo diventa ancora più complesso.
Ecco alcune considerazioni di una figlia: “Non c’è comunicazione con mia madre, non ho il coraggio di dirle che mi sento triste. Penso che lei se ne farebbe una colpa e tutte e due ci sentiremmo ancora peggio”.
Il modo di reagire alla perdita da parte del genitore sopravvissuto diventa per il bambino un modello interiore di reazione e di rapporto con il proprio dolore, a meno che vicino non ci sia una valida figura sostitutiva e un ambiente che dia fiducia e che possa comunque sostenerlo e accompagnarlo.
Voglio riferire come esempio la storia di una donna che ho seguito per alcuni anni in analisi. Alla morte di suo padre, la madre si era letteralmente sepolta in una stanza con le serrande abbassate. Non si era più occupata dei suoi tre figli e non era più uscita di casa per tre anni, eppure era un' assistente sociale, abituata al contatto con la sofferenza e il dolore umano.
Grazie alla presenza di una sorella maggiore e alle proprie capacità relazionali e intellettuali, questa signora, allora bambina di dieci anni, era riuscita a studiare, laurearsi, lavorare, sposarsi, diventare madre di due figli, sviluppando un perfetto adattamento esteriore ma, interiormente, era rimasta insicura, fragile, con una tendenza a creare legami fusionali e di dipendenza. Il suo doppio lutto inesplorato dentro, quello del padre scomparso e della madre, morta alla vita, non aveva trovato una via di condivisione e di espressione.

 

Perdita di un fratello/sorella

Soltanto in questi ultimi anni si è iniziato in Italia ad approfondire la problematica dei fratelli e delle sorelle di bambini o adolescenti che perdono la vita, sia a causa di una malattia che per morti improvvise causate da droga, suicidio, incidenti.
La morte di un fratello, anche se non rappresenta la perdita totale di sicurezza e protezione come la morte di un genitore, è un’esperienza di separazione che disorienta e cambia la vita: ha conseguenze per lo sviluppo della propria identità personale, per il rapporto con i genitori e gli altri familiari e per le relazioni nella loro vita adulta.
La relazione tra fratelli è unica e varia a seconda dell’età e del tipo di rapporto esistente. Per chi rimane vuol dire perdere una figura chiave della propria vita quotidiana, non avere più un compagno di giochi, non condividere più le confidenze né la stanza, non ricevere né dare sostegno dopo una marachella, sentirsi più soli, non proteggere né essere protetti nei momenti di difficoltà fuori di casa, non fare più litigate e avventure insieme.
Qualche fratello all’inizio si sente sollevato e contento perché ha una stanza tutta per sé, perché non ha più rivali nell’affetto dei genitori e dei nonni o non c’è più nessuno che lo sovrasti con la forza, la bravura o la prepotenza, ma successivamente sopravvengono interrogativi e problemi all’interno di sé e fuori di sé, cui si deve far fronte.
Difficoltà sicuramente già esistono durante il corso della malattia quando i genitori non hanno in genere energie sufficienti per occuparsi appieno degli altri figli, che quindi sperimentano una separazione, anche questa luttuosa, prima ancora di subire la perdita definitiva del fratello.
I figli soffrono per la ridotta o del tutto assente disponibilità dei genitori, per la mancanza di attenzione, di dialogo e di presenza fisica nell'ambito familiare e vivono questa realtà come un rifiuto, un'esclusione dall'amore dei genitori, si sentono tagliati fuori, soli, incerti, confusi, abbandonati e traditi.
Un ragazzo ventenne, nel riferirmi la sua storia, mi disse che durante la malattia della sorella si era sentito “invisibile e inesistente” agli occhi dei genitori.
I bambini sperimentano gelosia, rabbia, risentimento e sensi di colpa per le profonde emozioni che provano nei confronti sia dei genitori che del fratello malato. In questa situazione possono diventare irritabili, aggressivi, ostili, aver timore di ammalarsi richiedendo in questo modo l'attenzione dei genitori, di altri familiari o degli insegnanti.
Tali reazioni sono comprensibili agli occhi dei genitori ma c’é difficoltà ad accettarle. Le sentono inappropriate ed esagerate e le considerano segni di insensibilità o immaturità.
Anche dopo la morte la situazione in famiglia può permanere difficile e generare una grande varietà di risposte e di sentimenti. I figli possono subire un sovrainvestimento affettivo, un’iperprotezione, divengono bersaglio di un’apprensione esagerata da parte dei genitori, dovendo svolgere una funzione sostitutiva e consolatoria rispetto al figlio scomparso.
All'opposto può accadere che i bambini continuino a subire una deprivazione affettiva se il fratello scomparso continua a essere la figura più importante nel cuore dei genitori o i genitori non hanno ancora ripreso a sufficienza le loro energie.
Le dolenti e accorate parole di una mamma, che aveva perso il figlio all’improvviso, ci mostrano quanto questi vissuti siano veritieri: “dopo la morte improvvisa del mio primogenito non sapevo se avrei avuto le forze di continuare a vivere per gli altri figli rimasti”.
Ecco una breve ma forte testimonianza di una sorella ormai adolescente, che ci mostra le possibili difficoltà che i figli incontrano in famiglia: “ero arrabbiata con mio fratello perché era morto, perché mi aveva lasciato sola e perché eravamo tutti diventati tristi e distrutti. Ognuno soffriva per proprio conto, non eravamo più uniti, prima ero parte di una famiglia unita e felice. I miei genitori si allontanavano sempre di più uno dall’altro, spesso li sentivo litigare. Ognuno ha preso la sua strada e, anche se abitiamo sotto lo stesso tetto, non siamo più una cosa sola, non siamo più uniti”.
Realmente la morte di un figlio è un duro colpo per tutte le famiglie e se la coppia non si riprende proprio grazie all’amore reciproco e all’interessamento per i figli rimasti, può arrivare anche alla separazione.
In questo senso ecco la testimonianza di una mamma che aveva perso il figlio: “continuo a considerarmi più fortunata di tante altre mamme, anche perché ho un bambino che, con la sua esuberanza, la sua curiosità, la sua continua necessità di attenzioni e perché no di capricci, in tutto questo periodo riporta me e mio marito prepotentemente alla normalità, e anche adesso non ci consente di lasciarci andare troppo: lui ha bisogno di noi, ma anche noi abbiamo bisogno di lui”.
Sarebbe utile che le sorelle e i fratelli rimasti avessero l’opportunità di esplorare cosa è accaduto, di ricostruire la storia della relazione e della vita vissuta insieme e, per una risoluzione salutare della perdita, essere sostenuti nello scoprire come la vita può essere vissuta anche senza la presenza fisica del fratello o della sorella.

 

Lutto irrisolto: ripercussioni nella famiglia e nelle generazioni successive

Vorrei sottolineare un altro aspetto importante legato all'esperienza del lutto all’interno del nucleo familiare. Come abbiamo visto, se la morte di una persona non diviene oggetto di elaborazione e di presa di coscienza, il grave lutto irrisolto può divenire un elemento che provoca delle conseguenze anche nelle generazioni successive, come se la vita psichica si trasmettesse di generazione in generazione. Ciò appare inevitabile se si considera che l'evento della morte e del lutto riveste un profondo significato nella trasmissione del sapere familiare e del patrimonio culturale, psicologico, simbolico e morale che dà continuità al succedersi delle generazioni.
Se pensiamo alle perdite che le famiglie subiscono - per un aborto, per un figlio che muore alla nascita, per la malattia di una persona giovane, o per un incidente e ancor più per un suicidio inspiegabile o per un omicidio, come del resto per malattie croniche e devastanti - comprendiamo che sono esperienze di vita che danno un orientamento diverso al procedere di tutti i membri della famiglia e, se non elaborate e condivise, si possono ripercuotere anche nelle generazioni successive.
Come esempio voglio riferire la situazione di un bambino di quattro anni che gli insegnanti di scuola materna avevano segnalato perché aveva difficoltà a esprimersi ed entrare in rapporto con gli altri bambini e gli adulti. Dopo alcuni colloqui i genitori, con molta difficoltà e riluttanza, rivelarono di aver perso pochi anni prima una bambina di meno di un anno per la c. d. "morte bianca". Si sentivano responsabili della sua morte e in colpa di non averla protetta a sufficienza, per cui avevano un eccesso di cure, anzi di sorveglianza nei confronti del nuovo nato. Era come se per loro il tempo si fosse fermato e non riuscissero a vedere questo secondo figlio come un essere a sé stante, diverso dal precedente. In famiglia aleggiava la presenza e il timore della morte: la notte la madre rimaneva sveglia per controllare che il figlio fosse ancora vivo.
L'essere in vita di questo secondo bambino doveva riparare il dolore della perdita e i sensi di colpa dei genitori. Nel portare alla luce e nel condividere questo evento, i due coniugi sono potuti entrare in contatto con i loro veri sentimenti e hanno cercato di sciogliere la situazione presente dai vincoli e dai nodi del passato, salvando il nuovo nato da un destino non di morte ma di anaffettività e di distanziamento dagli altri esseri umani.

E per finire

L'esperienza del lutto è da considerarsi una delle determinanti che influenza la vita psichica di ogni essere umano e che fin dall’infanzia, come abbiamo visto negli esempi riportati, può segnare in maniera talvolta indelebile la situazione emotiva interiore.
Per le persone di ogni età la condizione necessaria al superamento della perdita é la presenza di un ambiente sensibile e partecipativo, ma per i bambini ciò è assolutamente indispensabile. Altrimenti la vita può riprendere regolare sul piano della realtà e della concretezza ma interiormente possono permanere dolori, assenze e vuoti, che vanno a costituire le matrici dei nostri destini di adulti.
I bambini devono quindi essere sostenuti e accompagnati passo passo nel percorso di accettazione ed elaborazione della realtà dolorosa e ciò può realizzarsi solo all'interno di un rapporto affettivo fatto di fiducia, dialogo e condivisione sia all’interno della famiglia che in ambito sociale.
L'esclusione e il silenzio sono sentiti come un rifiuto e generano un sentimento di disorientamento, di abbandono, di non riconoscimento, che  bruciano e devastano più che la condivisione dei sentimenti dolorosi, poiché possono bloccare ogni ricerca, apertura, interrogativo ed elaborazione.
Per consentire che gli eventi, seppure portatori di sofferenza, diventino parte ed esperienza vissuta ed elaborata del proprio sviluppo personale, bisogna rompere il tabù che non si possa condividere con i bambini il dolore per la malattia e la morte di un familiare, né la  partecipazione alle cure e ai funerali.
Per elaborare la perdita e consentire l'interiorizzazione della figura amata c'è bisogno invece di condividere la storia del rapporto, le gioie e i dolori, gli avvenimenti, le speranze e le preoccupazioni vissute insieme alla persona scomparsa. Solo in questo modo l’assenza diventa pensabile ed elaborabile e la morte può diventare  parte della vita, facendosi relazionalità e memoria, "eredità d'affetti" che continuano a vivere e a esprimersi in chi rimane.

 

           L. DeSpelder, A. Strickland (a cura di F. Campione), The Last Dance, L’incontro con la morte e il morire, trad. it., Clueb, Bologna 2005, p. 261.

           Come afferma il titolo di un testo Americano, che si riferisce a questa tematica: D. Schurmann, Never the same, Coming to Terms with death of a parent, St. Martin’s Griffin, New York 2003.

           L. DeSpelder, A. Strickland (a cura di F. Campione), cit.,p. 264.

           Gli stessi  sentimenti sono spesso sperimentati nei confronti di una sorella o di un fratello deceduto.

           S. Veggetti Finzi, Il romanzo della famiglia, Mondadori, Milano 1992, p. 258.

           B. Costantini, Esperienza di appartenenza e separazione, in N. Crotti, G. Scambia, Psiconcologia della famiglia, Poletto Editore, Milano 2005, p. 37.

          Nei bambini si possono presentare ripiegamenti regressivi (succhiamento del pollice, enuresi, encopresi, paura del buio, non volere stare o dormire da soli), difficoltà di attenzione e calo nel rendimento scolastico, ma soprattutto manifestazioni psicosomatiche (insonnia, inappetenza, balbuzie, disturbi della pelle, incubi notturni, peggioramento di sintomi già presenti, come asma, cefalee ) e psicologiche ( inibizione psicomotoria con comportamenti abulici, passivi di isolamento e ripiegamento su se stessi, o iperattività reattiva con irrequietezza, rabbia, aggressività, note depressive di pianto, disperazione, ansia), che esprimono la pervasività della sofferenza a livello fisico e psichico e le angosce di separazione, abbandono e talvolta di annientamento, che i bambini stanno sperimentando.

              S. Roccatagliata, Un figlio non può morire, l’esperienza di continuare a vivere, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2003, p. 62.

           Ibidem, p. 197.

         A. Feltrin, Relazione con il bambino malato e i suoi fratelli, in N. Crotti, G. Scambia, Psiconcologia della famiglia, Poletto Editore, Milano 2005, p. 48.

         E. M. Marzano, La responsabilità di sostenere un duplice lutto. Intervento psicoterapeutico con i familiari del bambino, in Richard e Piggle, II Pensiero Scientifico, 2/2004, p. 200.

         S. Roccatagliata, Un figlio non….cit.,p. 15.

         Ibidem, pp. 204-205.

         L. Aite, Culla di parole, Boringhieri, Torino 2006, p. 158.

 

Fonte: http://www.gruppoeventi.it/Bambini_e_lutto.doc

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