Sviluppo cognitivo dei bambini

Sviluppo cognitivo dei bambini

 

 

 

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Sviluppo cognitivo dei bambini

LE TAPPE DELLO SVILUPPO COGNITIVO
Nel corso del primo anno: 

  • segue con lo sguardo gli oggetti in movimento;
  • distingue i volti delle persone; alla presenza di un estraneo reagisce col pianto;
  • risponde alle espressioni facciali dell’adulto imitandole;
  • risponde a ordini verbali molto semplici;
  • imita gesti ed azioni;
  • intenzionalmente, toglie e mette in un contenitore piccoli oggetti;

Tra uno e due anni: 

  •  imita azioni e parole dall’adulto;
  • comprende ed esegue ordini verbali semplici e familiari;
  • risponde a parole o comandi con azioni appropriate;
  • è capace di appaiare due oggetti uguali;
  • guardando un libro illustrato con un adulto nomina e indica, su richiesta, le cose rappresentate a lui familiari;
  • riconosce la differenza tra sé e gli altri;
  • ha una capacità molto limitata di mantenere l’attenzione;
  • impara,prevalentemente, attraverso l’auto-esplorazione;

Tra i due e i tre anni:

  • risponde a ordini verbali semplici;
  • sceglie e guarda libri illustrati; riconosce e nomina molti degli oggetti contenuti in una figura;
  • giocando appaia oggetti appartenenti ad una stessa categoria (per esempio, veicoli a motore, armi da guerra, ecc.);
  • dispone su un supporto verticale anelli di diversa grandezza, ordinandoli dal più grande al più piccolo;
  • riconosce la sua immagine nello specchio e dice la parola "bimbo" o il proprio nome;
  • può descrivere in maniera semplice cosa sta facendo; imita le azioni degli adulti;
  • ha capacità di attenzione limitata; impara attraverso l’esplorazione dell’ambiente e le indicazioni dell’adulto;
  • inizia a capire il ruolo funzionale di oggetti familiari ed il concetto di parte/tutto;

 Tra i tre e i quattro anni:

  • riconosce ed appaia sei colori;
  • intenzionalmente, dispone uno sull’altro, dal più grande al più piccolo, dei cubi o dei cerchi;
  • è in grado di disegnare qualcosa che è riconoscibile a lui ma non all’adulto; descrive in maniera semplice ciò che ha disegnato;
  • fa domande a ripetizione (usa spesso “Perché?” o “Come?”) per saperne di più;
  • conosce la propria età;
  • sa dire il proprio nome;
  • ha tempi di attenzione limitati; apprende osservando e imitando l’adulto, ma anche seguendo le istruzioni e le spiegazioni che gli vengono fornite; è facilmente distraibile;
  • è in grado di capire sempre più le funzioni degli oggetti e il concetto parte/tutto;
  • comincia ad essere consapevole del passato e del presente;

 Tra i quattro e i cinque anni:

  • gioca con le parole: crea rime e dice o inventa parole con suoni simili;
  • indica e nomina da quattro a sei colori;
  • abbina figure di oggetti a lui familiari;
  • disegna la figura umana con due/sei parti ben riconoscibili (ad esempio, la testa, le braccia, le gambe, ecc.); denomina le parti del corpo disegnate e le abbina a quelle del proprio corpo;
  • disegna, denomina e descrive figure riconoscibili;
  • ripete i numeri fino a cinque, imitando l’adulto;
  • sa dire il nome della propria città e della strada dove abita;
  • ha una capacità d’attenzione più estesa; impara osservando e ascoltando l’adulto, così come esplorando l’ambiente; è ancora facilmente distraibile;
  • ha una migliore comprensione del concetto di tempo, della funzione degli oggetti e della relazione parte/tutto; la funzione di un oggetto può essere dichiarata dal bambino in aggiunta al nome dell’oggetto stesso;
  • il concetto di tempo del bambino si estende: può parlare con facilità di eventi del passato, del presente o del futuro;

 Tra i cinque e i sei anni:

  • ripete storie rappresentate su libri illustrati con un buon livello di accuratezza;
  • è in grado di riconoscere e denominare alcune lettere e numeri;
  • sa contare fino a dieci;
  • ordina gli oggetti in base alle loro caratteristiche distintive;
  • inizia ad usare con accuratezza i concetti di tempo passato (“Ieri”) e futuro (“Domani”);
  • usa gli strumenti disponibili in classe appropriatamente ed in maniera finalizzata;
  • comincia a correlare le ore del giorno con le attività che generalmente svolge in quelle ore;
  • la sua capacità di attenzione si incrementa notevolmente; impara grazie alle istruzioni degli adulti; quando è interessato, può non distrarsi affatto;
  • la comprensione della funzione degli oggetti migliora sempre più, così come la comprensione del legame causa-effetto ed il concetto di tempo, in particolare per quanto riguarda gli eventi futuri.

 

 

 

SVILUPPO DEL LINGUAGGIO

STADIO PRELINGUISTICO

da 0 a 10-12 mesi
il periodo prelinguistico è reso possibile dall'abilità di rappresentarsi mentalmente la realtà. Il bambino prima "pensa" l'oggetto e l'ambiente circostante e solamente in seguito individua secondo un processo di scoperta le varie forme linguistiche con cui codificarlo. L'operatività cognitiva si nutre dell'attività motoria del bambino precedendo la produzione del linguaggio e la comprensione dello stesso.


Gli atti perlocutori (piangere, sorridere, prendere, toccare, ecc.) sono il suo principale repertorio comunicativo finalizzati ai bisogni primari. Impara a riprodurli consapevolmente e volontariamente con una esplicita intenzionalità comunicativa (anche la suzione rientra a pieno titolo in questo repertorio). Mimica e gestualità posturale appoggiano le variazione di intonazione ritmo vocale connotando a comunicazione.

VAGITO - Primo tentativo vocalico del neonato. Valore progressivamente espressivo che giunge al dittongo. Le produzioni sonore sembrano essere casuali e non intenzionali senza simbolizzazione. Nei primi tre mesi la produzione vocalica si accompagna ed è scatenata dal movimento corporeo, accompagnandosi alla tensione scaricata nel pianto.


In queste rudimentali vocalizzazioni si riconoscono suoni sia di tipo vocalico (prevalenza di (e) aperta), sia di tipo consonantico (prevalenza di nasali e velari).


VERSO IL CONTROLLO ARTICOLATORIO

dai 4-5 mesi ai 10-12 mesi

Considerazioni generali


Dal quarto mese in poi (fino al settimo circa) la migliorata coordinazione orofaringea realizza nella fusione di suoni e di rumori la ripetizione ludica di sillabe: la lallazione (consonante + vocale, dal tedesco "lallen", "balbettio"). E' la lallazione che sviluppa e precisa il controllo motorio della produzione sonora portando il bambino a mutare, esercitando, senza intenzionalità alcuna posture articolari realizzando suoni diversi, costruendo sequenziali catene di movimenti articolatori indispensabili per la fluenza, associando suoni e posture degli organi della fonazioni grazie alle sensazioni acustiche e propriocettive.


Lallazione - "Ripetizione di sillabe uguali, con ritmo respiratorio uguale a quello del linguaggio articolato, senza contenuto designativo specifico, senza alcuna finalità cosciente"

Fra il secondo e il quinto/sesto mese il bambino inizia ad esercitare un controllo su alcuni elementi della produzione vocalica in particolare nella durata e nell'intensità, permettendo alla mamma di riconoscere il pianto di fame, il pianto di capriccio, ecc.


Contemporaneamente il bambino sviluppa la capacità di localizzare le sorgenti sonore, reagendo a suoni armonici e distesi quali quelli della voce umana che riconosce (madre). Esercita la percezione e l'acuità sonora simultaneamente alla lallazione ed in seguito al parlare costituito.


Lo sviluppo articolatorio necessita sia della maturazione della percezione uditiva che della coordinazione neuromuscolare-cordale (che procede da attivazioni dinamiche quali la deglutizione, la masticazione, la suzione, fino all'articolazione delle parole). Discriminare un suono e possibilità di costruirlo sono strettamente connesse e dipendenti.


STADIO della LALLAZIONE

I periodo

Interazione aritmica di sillabe

5-6 mesi

II periodo

Lallazione modulata. L'articolazione dei suoni diviene più chiara in entrata, particolarmente con la madre, ma anche in uscita.

E' da precisare che il cervello del bambino è in grado di rappresentare ed evocare oggetti e/o situazioni molto prima di essere in grado di pronunciare una parola.

In tale periodo il bambino, con la comparsa della rappresentazione mentale giunge alla comprensione delle prime parole. Espande il suo patrimonio comunicativo con atti illocutori: offre, porge, indica, prende, ecc. Realizza scambi verbali di tipo ludico sia in sequenza che simultaneamente (all'unisono), rafforzando il sentimento di fiducia nell'altro.

7-9 mesi

III periodo

Lallazione comunicativa. Fase iniziale dell'imitazione.

9-11 mesi

IV periodo

Fonema affettivo. Un fonema particolare viene associato sempre alla stessa gestualità. Si inaugura l'associazione indice-suono-oggetto. La comunicazione acquista un carattere spiccatamente volitivo, legata all'oggetto e alla persona.

11-12 mesi

V periodo

Fonema indicativo. Il linguaggio nelle sue parti elementari acquista valore segnico, indicando un oggetto specifico. E' lo sviluppo della frase precedente.

12-13 mesi


ECOLALIA

Considerazioni generali


Dalla ripetizione della stessa sillaba il bambino ottiene variazioni sonore grazie al prolungamento della vocale, al rallentamento e all' accelerazione del ritmo di emissione del fiato, giungendo alla produzione di una sillaba del tutto nuova.


Durante la fase della lallazione o immediatamente dopo esordisce il periodo dell'ecolalia rappresentato dal tentativo del bambino di imitare i modelli sonori appena uditi. All'iniziale ecolalia tonematica (centrata sull'intonazione, accentazione e scelta di ritmi omogenei), seguono melodie ritmiche diverse utilizzati per indicare intenzioni e desideri differenti. Il bambino vocalizza le sue emozioni prima di potere esprimere i suoi pensieri.


Grazie a repertori ritmici, a modulazioni di tono e di intensità il bambino raggiunge una comunicazione più intenzionale.

Da questa maturazione del sistema vocalico (dall'inizio fino a questo momento) procedono sistemi fondamentali per la comunicazione, modificati nel corso della vita: il sollievo dal disagio attraverso il pianto o il grido, l'espressione delle emozioni attraverso l'utilizzo dell'intonazione e della frase (si pensi ai registri che il bambino utilizza a livello sociale per trasformare i propri enunciati in espressioni di collera, ansia, gioia, etc.).


Infine il sistema di coordinamento vocale attraverso il controllo uditivo e propriocettivo delle varie posture del tratto vocale impegnato nella produzione delle parole, gli consentiranno di impadronirsi compiutamente del complesso sistema fonologica della lingua.


STADIO INTERLINGUISTICO PRIMARIO

dai 18 ai 36 mesi

Considerazioni generali


Il linguaggio in questo periodo stimola ed organizza funzionalmente i pensieri e i suoi oggetti, senza tuttavia consentire al bambino di utilizzarli per finalità operative senza avere un riferimento concreto. Molta di questa fase viene impiegata per sviluppare e consolidare il sistema fonologico, sintattico e il vocabolario, precisando i contenuti mentali.


L'intenzione comunicativa del bambino si sviluppa e di arricchisce differenziandosi. Fra il 12 e il 20 mese il bambino tocca gli oggetti denominadoli, chiede aiuto attraverso il gesto, chiama per attirare l'attenzione, saluta con la mano anche quando va via pronunciando la parola ciao, risponde in maniera elementare, resiste e protesta, ripete quello che sente dire esercitando ludicamente nell'esercizio vocalico.


Il bambino procedendo ancora oltre inaugura il suo "domandare" notizie sull'ambiente circostante, gioca a far finta immaginando, tentando di raccontare. Aumentano i suoi contatti e scambi comunicativi con gli altri, variando e modulando il livello delle sue risposte e delle sue comunicazioni a seconda delle persona o delle situazioni in cui si trova.


Dai due anni aumentano le frasi complesse, l'utilizzo delle congiunzioni (e, ma, perchè) consente di costruire più frasi semplici di seguito oppure d'innestare un pensiero nell'altro. I bambini comprendono domande che comportano una risposta affermativa o negativa quando introdotto da pronomi o avverbi interrogativi. Procedono invece più gradualmente le frasi negative rispetto a quelle affermative, anche se nella fase olofrastica è presente nel bambino l'espressione di una negazione (no latte!..).


La competenza comunicativa e le routine sociali aumentano con quell'elementare conversazione tra la mamma e il bambino in cui la prima arricchisce e amplia i tentativi minimi del figlio interpretandoli affettivamente e realisticamente. Il dialogo con i "grandi" indirettamente amplia e modella la produzione verbale del bambino, mentre con i suoi pari assume più le caratteristiche di un soliloquio o monologo parallelo di tipo egocentrico (piagetiano).


I periodo

Periodo della parola-frase (olofrase). Indicativamente dalla fine del primo al secondo anno. Il bambino è strettamente legato all'intelligenza linguistica e ai modelli di comunicazione dei genitori.

Intorno ai dodici mesi inizia il periodo baby-talk che continua fino circa i trentasei mesi, dividendosi in sub-stadi secondo alcuni studiosi. Il bambino impara a produrre le prime parole comprendendo comandi semplici e poco articolati. Verso i diciotto mesi compaiono le prime parole senza alcuna fisionomia fonologica e semantica (significato) tipica del linguaggio adulto.

Nomi e interiezioni costituiscono insieme circa il 50/60% del patrimonio verbale di un bambino di circa 18 mesi, proporzione che decresce con il passare dell'età. Progressivamente aumentano la frequenza dei pronomi, dei verbi, degli aggettivi, delle congiunzioni e preposizioni.

12-24 mesi

II periodo

Periodo dell'elaborazione delocutoria. Il discorso del bambino avviene in terza persona, esprime giudizi elementari, ricorda nomi e cose senza la loro presenza. Al bambino che tenta di parlare come i genitori mancano la grammatica e la sintassi, non precisione circa le coordinate spaziali e temporali.

fino a 20/21 mesi

III periodo

Periodo della frase grammaticale o del "linguaggio costituito". Il bambino passa dalla terza alla prima persona, utilizzando il pronome personale io. Costruisce frasi complete, acquistando gradualmente gli elementi grammaticali e della sintassi (unisce il verbo con l'aggettivo in maniera conforme alle leggi sintattiche). In questo periodo il bambino inizia a comprendere frasi che si riferiscono a oggetti e/o situazioni non presenti nel suo campo percettivo.

La produzione linguistica di questo periodo inizialmente è estremamente sintetica, linguaggio telegrafico, per la mancanza di elementi sintattici connettivi, pur procedendo l'arricchimento lessicale e la precisione nell'articolazione dei suoni. Il linguaggio consiste di nomi, verbi e aggettivi, contandosi pochi pronomi e pochissime congiunzioni (connettivi).

oltre i due anni

IV periodo

Periodo del PERCHE'. Il bambino assimila introiettandole le forme sintattiche e grammaticali attraverso un'incessante domandare che arricchisce il lessico e il vocabolario. Questo periodo che inizia verso i due anni è legato alla qualità e alla quantità delle risposte ricevute dal bambino da parte dei genitori.

fino ai 3-4 anni




STADIO INTERLINGUISTICO SECONDARIO

dai 3-4 ai 7-8 anni

Considerazioni generali


Dai 3-4 anni in poi il bambino dovrebbe raggiungere una normalità espressiva. Tale sviluppo dipende più di ogni altro momento dalla stimolazione dei genitori e dalla situazione ambientale. Il modello linguistico dei genitori, la frequenza serena della scuola materna, il feedback affettivo e verbale con i genitori, rappresentano fattori catalizzatori di questa maturità verbale.


Il bambino diventa capace di padroneggiare strutture linguistiche complesse, come l'uso dell'imperativo, del condizionale, ecc. La progressiva comprensione e produzione delle frasi interrogative manifesta la maturazione del linguaggio.


A rilento invece procede l'apprendimento delle frasi negative rispetto a quelle affermative, pur sottolineando che nella fase olofrastica il bambino esprime normalmente la sua volontà negativa e il suo rifiuto.


Lo sviluppo della socialità promossa dalla scolarizzazione materna ed elementare caratterizza questa fase di sviluppo. Il bambino attraversa da un punto di vista cognitivo l'ultimo stadio del pensiero preoperatorio, dirigendosi verso la reversibilità concettuale.

E' il periodo del monologo egocentrico, del pensiero ad alta voce (come lo interpreta Vygotskij), che anticipando il linguaggio interiore aiuta ludicamente, come principio regolatore, il pensiero e il comportamento. Gradualmente il bambino diviene capace di mantenere l'argomento del suo discorso nella conversazione, variandola a seconda dell'interlocutore, mostrando di potere effettuare congetture sull'altro.

Il gioco simbolico gli consente di interpretare ruoli sociali (il papà, la mamma, la maestra, il dottore, ecc.).

L'ingresso nella scuola primaria espande e generalizza l'uso delle principali funzioni interattive del bambino; si perfezionano le modalità con cui si scambiano le informazioni e si formulano le domande, le funzioni matetiche (immaginari, descrivere, commentare, valutare secondo riferimenti ad oggetti concreti) emergono con sicurezza sollecitate dall'ascolta e dalla comprensione di narrazioni fiabesche e racconti illustrati.

I bambini di 4/6 anni progredendo nella competenza cognitiva riescono a giungere anche a livelli considerevoli di consapevolezza metalinguistica.

Lo sviluppo e l'espansione del lessico impegna il bambino a coniugare le esigenze della sintassi (prime regole) e l'organizzazione delle idee. Da questa interna fatica e in coincidenza con questo sovraccarico sistemico possono presentarsi fenomeni linguistici scompensati quali esitazioni, e ripetizioni in particolare nell'esordio della frase, dando origine a disfluenze.



STADIO LINGUISTICO

dai 7-8 anni

Considerazioni generali


Completato il controllo del sistema fonologico con la produzione chiara di fonemi complessi quali la consonante liquida / r /, dei gruppi policonsonantici (es. / str /) e delle parole di qualsiasi lunghezza, l'acquisizione del linguaggio pu definirsi compiuta.


Il raggiungimento di questo stadio non è tuttavia l'esito dell'età ma anche il risultato del pensiero e del suo livello di astrazione.


Apprendimenti quali la storia, la geografia sono possibili unicamente per la possibilità del bambino di utilizzare lo strumento linguistico senza riferimenti sensoriali concreti (spazio) e temporali. Il vocabolario si espande in assenza del riferimento alle esperienze vissute.

Lo stile narrativo, descrittivo ed espositivo tipici del discorso si consolidano grazie alla scolarizzazione e grazie anche ad una sintassi resa versatile dall'uso dei modi verbali.

Verso gli 11-12 anni il codice linguistico può considerarsi, da un punto di vista strutturale sia fonologico che sintattico, evolutivamente compiuto, mentre le modalità cognitive e l'espansione del vocabolario rimangono in permanente evoluzione durante tutto l'arco della vita

LO SVILUPPO DELLA COMUNICAZIONE PRIMA DEL LINGUAGGIO

L'individuo comunica prima di saper padroneggiare il linguaggio.
Il bambino è capace di comunicare intenzionalmente i propri desideri, bisogni e scopi utilizzando una varietà di gesti e vocalizzi. Il neonato infatti, è socialmente responsivo ma è anche socialmente attivo. In particolare, il pianto, il sorriso e l'espressione facciale del piccolo hanno un effetto sulle persone che se ne prendono cura, e vengono di norma interpretati come indicatori di disagio, gioia o piacere. Fin dai primi mesi di vita l'interazione faccia - a - faccia tra il bambino e la madre appare caratterizzata da sincronia, contingenza, coordinazione e alternanza di turni, tutte caratteristiche che rendono gli scambi madre - bambino armoniosamente sincronizzati dal punto di vista dei comportamenti motori, vocalici ed espressivi della madre e del bambino. Negli scambi precoci madre - bambino si realizza una comunicazione espressiva o affettiva, cioè la comunicazione riguarda la diade stessa piuttosto che un argomento o tema esterno alla coppia. Questa è la fase della comunicazione preintenzionale, in cui il bambino viene trattato come partner comunicativo dall'adulto ma non è ancora tale in forma intenzionale.
La comunicazione intenzionale compare verso la fine del primo anno di vita (9-10 mesi circa) e rappresenta la tappa davvero cruciale dello sviluppo comunicativo del bambino.
In uno studio della fine degli anni '80, alcuni autori hanno individuato dunque queste due fasi nello sviluppo prelinguistico, e precisamente.
1) fase PRE-INTENZIONALE: in cui il bambino produce comportamenti (pianti, sorrisi, vocalizzi, ecc...) che possono assumere il valore di segnali per l'interlocutore adulto ma che non hanno ancora questo valore. Ad esempio, quando il neonato o il lattante piange disperato perchè ha fame o sonno e la madre accorre per nutrirlo o confortarlo, l'adulto non ha dubbi nell'interpretare il pianto come segnale di disagio e nell'agire di conseguenza, ma il bambino non è consapevole di produrre, piangendo, un segnale comunicativo;
2) fase INTENZIONALE, in cui il bambino sa produrre comportamenti che hanno per lui/lei valore di segnali, e li produce al fine di soddisfare i propri scopi o i raggiungere particolari obiettivi. Ad esempio, egli indica con il dito una bottiglia di acqua poggiata sul tavolo, guardando alternativamente la bottiglia e la madre finchè quest'ultima interviene per dargli da bere, interpretando il gesto come una richiesta.
La comparsa dell'intenzione comunicativa si fonda sulla capacità di padroneggiare la nozione di "agente", ovvero riconoscere gli esseri umani come soggetti autonomi, capaci di attivarsi per soddisfare una varietà di scopi, sia propri che altrui.
Ma dunque qual è la relazione tra comunicazione prelinguistica fin qui illustrata e l'acquisizione del linguaggio? In quale misura le conquiste compiute dal bambino nelle diverse fasi dello sviluppo comunicativo fungono da precursori per la successiva comparsa del linguaggio?
Gli studiosi si differenziano fra loro optando per una spiegazione che privilegia la continuità o piuttosto la discontinuità. Secondo i più recenti studi, le diverse fasi dello sviluppo comunicativo ci portano a c aratterizzare la conquista del linguaggio come un processo lento e graduale, al quale contribuiscono altre capacità cognitive e sociali dell'individuo sia preesistenti che concomitanti alla comparsa del linguaggio.
In generale dunque possiamo affermare che il bambino possiede delle capacità comunicative anche prima di parlare. Gli strumenti a sua disposizione sono:

  • il sorriso sociale;
  • suoni, vocalizzi e lallazioni;
  • gesti comunicativi.

Esistono due patologie dell'età evolutiva che si differenziano per lo sviluppo comunicativo. L'autismo e la Sindrome di Down sono caratterizzate da un profilo comunicativo specifico. L'autismo è caratterizzato da un deficit specifico nell'attenzione condivisa e nella comunicazione dichiarativa, mentre nella sindrome di Down vi è una specifica difficoltà a livello della produzione vocale che viene compensata da un maggior ricorso alla comunicazione gestuale e in particolare ai gesti referenziali.

 

 

 

 

 

Le diverse fasi dello sviluppo del bambino

Le interazioni sociali

Se prendiamo in considerazione le interazioni sociali che il bambino sviluppa nei suoi primi anni possiamo riscontrare come già a partire dalla nascita queste relazioni siano fondamentali nella regolarizzazione dei processi biologici di base del neonato come ad esempio l’alimentazione o il ciclo sonno-veglia.
Già a partire dai due mesi possiamo notare un aumento nell’efficienza visiva che porta il neonato ad essere più conscio dell’ambiente esterno e della presenza di altre persone. Si sviluppa gradualmente, inoltre, la capacità di mantenere una relazione faccia a faccia che lo porta ad apprendere le regole che governano tali interazioni.
Verso i 5 mesi si inseriscono gli oggetti nelle interazioni sociali, grazie all’emergere delle capacità di manipolazione il bimbo si rivolge sempre di più verso il mondo delle cose, passando dalla relazione faccia a faccia alla capacità di condivisione di oggetti con i genitori.
Dal periodo degli 8-9 mesi il comportamento del bimbo diviene più flessibile, coordinato e finalizzato grazie allo sviluppo di molte capacità e abilità che il bimbo riesce a svolgere ora in modo contemporaneo. Il fanciullo diviene un partner paritario, agisce reciprocamente e intenzionalmente nei rapporti sociali, uno dei contesti migliori per evidenziare questi cambiamenti è rappresentato dai giochi che l’adulto sviluppa con il bimbo stesso.
I giochi forniscono ai bambini la possibilità di apprendere ad anticipare la mossa successiva, ad integrare il loro comportamento con quello dell’altra persona ed a scambiare periodicamente i ruoli.
Fino a circa 8 mesi la partecipazione nel gioco è limitata al “prendere”: la madre offre il giocattolo, il bimbo lo prende e la sequenza termina con i piccolo che lascia cadere il gioco.
Dopo questa età il gioco diviene bidirezionale, nella fase del primo anno il gioco diviene una routine dove emergerà sempre più la reciprocità e l’intenzionalità.

 

Uso dei gesti

Fin dalla fine del primo anno si verifica un notevole incremento degli strumenti per comunicare con gli altri; prima delle parole, i bambini cominciano a utilizzare i gesti.
Uno dei primi gesti si riferisce all’indicare, già a partire dai 3-5 mesi viene utilizzato come semplice dimostrazione di interesse e attenzione.
A partire dai 9 mesi il bimbo comincia a seguire correttamente la direzione anche se solo in condizioni in cui viene facilitato, con il dito vicino all’oggetto indicato. Nello stesso periodo sviluppa la capacità di utilizzare l’atto dell’indicare come mezzo per dimostrare un interesse verso gli oggetti, questo gesto si sviluppa inizialmente come forma di indicare a “se stessi” solo più tardi appare come gesto per indicare agli altri una cosa.
Prima dei 10 mesi i bimbi potranno dare un oggetto alla loro madre, ma lo faranno sempre controllando l’oggetto, solo successivamente segnaleranno con gli occhi che l’oggetto è per la madre.
Dal secondo anno il comportamento gestuale va incontro ad un ulteriore sviluppo, ossia il bimbo utilizza la gestualità non verbale per rappresentare simbolicamente oggetti ed eventi da integrare nella comunicazione con altri.
L’uso della gestualità tende poi a diminuire man mano che aumenta l’uso del linguaggio.

 

Il linguaggio

Il linguaggio del bambino si sviluppa padroneggiando progressivamente le regole dei suoni, della grammatica e del significato per apprendere infine a combinare le parole in modo accettabile e comprensibile.
 A circa un mese il bambino comincia a pronunciare il suono “ooo” che sembra collegato ad interazioni sociali piacevoli, soprattutto presenti in quelle normali attività quotidiane, come il cambio del pannolino, o il bagnetto. La madre cerca in questa fase di incentivare un dialogo reciproco.
Dai 9 mesi il bimbo produce un maggior numero di suoni vocalici e qualche consonante, presenta inoltre quella che viene chiamata “ecolalia”, ossia la ripetizione frequente dei suoni come “bababa” o “mamama”. Può anche cercare d attirare l’attenzione con grida di rabbia, e quando è solo passa molto tempo ad allenarsi con i suoni.
Ancora prima che il bimbo comprenda il significato delle prime parole, dà segni di comprendere in parte ciò che gli si dice.
Un certo suono si può comunque considerare una vera parola se il bimbo l’associa sempre a certi oggetti o a particolari situazioni, altrettanto se il bimbo esprime una sola parola alla volta, ma con intonazione, gesti, situazioni diverse, può trasmettere significati diversi.
A 18 mesi si padroneggiano circa 20 parole, a 21 mesi più o meno 200.
A 18 mesi il bimbo inizia a comporre frasi di 2 parole, dai 24-27 mesi pronuncia regolarmente frasi di 3-4 parole, da questo momento si assiste ad un rapido progresso nell’uso delle regole grammaticali. Si osserva una padronanza sempre maggiore nell’uso delle costruzioni interrogative, pur se con qualche imperfezione. Il no è infatti collocato a casi nella frase, per poi col tempo migliorare gradualmente. La velocità con il quale i bambini acquisiscono il linguaggio dal secondo anno è impressionante, ci si chiede tuttora quanto influiscono su tutto questo le azioni delle altre persone, l’imitazione e certi stimoli sociali.
In questa fascia d’età i bambini danno molta importanza a poesie e canzoncine che hanno imparato.
Il linguaggio verso i 3 anni è in massima parte comprensibile per l’adulto, anche se estraneo alla famiglia; l’estensione e la complessità de discorsi aumentano ulteriormente.
Quando entra alla scuola materna, il bambino sa comprendere e formulare frasi complete, il linguaggio è ora molto simile a quello dell’adulto.

 

Riferimento sociale

A fronte di situazioni in cui il bambino piccolo viene messo a contatto con un oggetto o una persona estranei, si comporterà nel seguente modo: tenderà inizialmente a fissarli con lo sguardo per un breve periodo e metterà in atto qualche azione, che potrà andare dal contatto con lo stimolo, fino ad un suo allontanamento.
Dopo i 9-10 mesi il bimbo prima di entrare in azione, non guarderà solo l’oggetto, ma anche la madre o qualsiasi altra persona familiare presente, per poter cercare un consenso da  parte loro, che rappresentano quindi un’importante via di comunicazione dei sentimenti.
L’evento nuovo rappresenta per un bambino incertezza, quindi non ci si deve sorprendere che con lo sguardo cerchi un sostegno da parte della madre, un indizio che lo aiuti nella comprensione della situazione.

 

Comprensione di sé e degli altri

Inizia a comprendere gli altri quando capisce di essere un individuo distinto dalle altre persone e che queste ultime hanno un’esistenza separata da lui, deve quindi acquisire prima un senso di sé separato.
Verso i 9-12 mesi sono capaci di distinguere le immagini che li raffigurano dalle immagini di altri soggetti.
Dai 15 ai 18 mesi usano etichette verbali per distinguere le proprie immagini da quelle altrui; dopo i 18 mesi capiscono che l’immagine allo specchio li riflette.
Alcuni autori sostengono che i bambini apprendono tre categorie sociali attraverso i quali differenziarsi: la familiarità, il sesso e l’età.
L’importanza della familiarità può essere messa in luce in quelle situazioni in cui il bambino si comporta in modo diverso nei confronti degli adulti familiari o estranei, già evidenti a partire dai 7-9 mesi; a partire dai 10-12 mesi, invece, reagirà diversamente rispetto ai coetanei familiari e non familiari.
Anche l’età, come sopra indicato, viene utilizzata come indicatore per categorizzare gli individui: già a partire dai 6-9 mesi i bimbi rispondono in modo diverso ai coetanei rispetto agli adulti, e verso i 9-12 mesi riescono a distinguere tra fotografie di volti di bimbi e di adulti.
La differenziazione delle persone in base al sesso compare verso i 9-12 mesi, rispondendo in modo diverso a donne e uomini estranei.

 

Sviluppo emotivo

I neonati cominciano a segnalare il proprio stato emotivo fin dalla nascita. La prima distinzione può essere molto generale tra affetto positivo e affetto negativo.
Le madri sanno distinguere nei loro figli un ampio ventaglio di emozioni, tra quelle di base si possono individuare, fin dalla nascita, la felicità, la sorpresa, la tristezza, la paura, la rabbia e il dolore.
Le risposte di paura aumentano dal settimo mese quando i bimbi diventano diffidenti e timorosi nei confronti di persone/oggetti non familiari.
Anche rabbia e dolore diventano più facilmente distinguibili dopo il settimo mese d’età.

 

Espressione verbale delle emozioni

A partire circa dai 18 mesi, il bambino inizia a parlare delle emozioni (es. divertito, spaventato, triste) e a ricorrere a parole che indicano emozioni nel corso di conversazioni spontanee, questo evento diviene più frequente intorno ai 24 mesi, ed è rivolto inizialmente ad indicare emozioni proprie, ma diviene sempre più utilizzato a breve termine per spiegare le emozioni altrui.
A 28 mesi usano il linguaggio per chiarire e spiegare agli altri i propri sentimenti.

 

Differenze sessuali

A partire dai 3 anni quasi tutti i bambini sanno individuare il proprio sesso,  e quello dell’altra persona.
Si dice che essi hanno raggiunto l’identità sessuale.
Dai 4-5 anni il bimbo si rende conto che il genere è costante nel tempo; un po’ più tardi,verso i 7 anni, acquisiscono la consapevolezza che il sesso biologico è immutabile malgrado i cambiamenti dell’aspetto.

 

Gioco

Il gioco di fantasia è da fare risalire ai 12-15 mesi di età circa. La madre struttura le azioni del bimbo mediante commenti, suggerimenti
Il bambino viene corretto quando le sue simulazioni violano le leggi del mondo reale.
Dai 16 ai 20 mesi il bambino osserva ed imita la madre e si adegua al suo comportamento.
Dai 21 ai 24 mesi la madre diviene una “spettatrice interessata”: si limita a predisporre un contesto per il gioco di fantasia del figlio e ad incoraggiarlo.
Ai 2 anni il bambino usa anche il linguaggio come gioco, speso parla fra sé e sé prima di addormentarsi o di alzarsi.
Dai 24 ai 30 mesi la madre sollecita l’introduzione di nuovi elementi ed invita il figlio a simulazioni più realistiche. A circa 26 mesi, cominciano a comprendere e ad apprezzare le battute a doppio senso, prima di questa età, ridono a sproposito e si cimentano in pre-indovinelli.
Dai 31 ai 36 mesi, la madre esorta il bambino all’indipendenza.
L’uso umoristico del linguaggio diviene assai comune verso la fine dell’età prescolare. Tra i 3 e i 6 anni si fanno frequenti le verbalizzazioni scherzose: verso i 2 anni ridono per il linguaggio incongruo e i soprannomi affibbiati a oggetti ed eventi, a circa 4 anni inizia a divertirli anche l’incognita concettuale.
Il vero e proprio gioco di lotta tra pari è comune dai 3 anni in poi, fino all’adolescenza; alla lotta si accompagna il più delle volte l’inseguimento.
Secondo Piajet vi è un’evoluzione che porta il bimbo dal gioco pratico al gioco simbolico, per poi giungere al gioco con regole.

 

Le Fasi della Strutturazione dello Schema Corporeo

L'organizzazione dello schema corporeo inizia a partire dal corpo della madre e dal proprio corpo che uniti nel periodo della gravidanza, alla nascita si presentano separati e saranno percepiti così dal bambino non subito ma dopo un periodo di iniziale indifferenziazione.
Gli stimoli ambientali sono colti inizialmente per mezzo dello stretto contatto con l'adulto e la madre in particolare, e in seguito tramite l'adulto in movimento nello spazio. La possibilità di sentirsi come entità corporea, la coscienza delle percezioni, la possibilità di agire intenzionalmente è imprenscindibile dal potersi percepire differenziato dall'ambiente.
Secondo le teorie di J. Ajuriaguerra (1973), e H. Wallon (1931), la strutturazione dello schema corporeo avviene nei tre stadi di corpo vissuto, corpo percepito e corpo rappresentato.
J. Le Boulch (1983), vi aggiunge lo stadio di corpo subìto che pone nei primissimi mesi di vita a partire dalla nascita.

Gli Stadi della Strutterazione dello Schema Corporeo

STADI

ETA'

SCHEMA CORPOREO

ATTIVITA'

0-3 mesi

Corpo Subìto (Narcisismo Primario)

Automatismi innati:

  • Riflessi arcaici .
  • Automatismi relativi ai bisogni

3-36 mesi

Corpo Vissuto

Motricità volontaria

3-6 anni

Corpo Percepito

  • Strutturazione percettiva
  • Coscienza del proprio corpo

6-14 anni

Corpo Rappresentato

  • I.Immagine sintetica del corpo
  • II.Rappresentazione decentrata
  • III.Rappresentazione mentale

( Jean Le Boulch )

  • Corpo subìto (0-3 mesi)

Il bambino dipende totalmente dalla madre, il suo “Io” non si differenzia ancora dal “non Io”.
Ogni sua attività è dovuta agli automatismi primitivi innati, quelli legati ai bisogni primari della respirazione e della suzione, e ai riflessi arcaici (r.della triplice flessione – r.di estensione crociata – r.tonico labirintico – r.tonico simmetrico e asimmetrico del collo – r.di Moro – r.di raddrizzamento – r.della marcia automatica – r.di prensione palmare – reazioni associate).

  • Corpo vissuto (3 mesi-3 anni)

Ricopre un aspetto SENSOMOTORIO dello schema corporeo.
E' la coscienza del proprio corpo in quanto strumento di esplorazione e conoscenza del mondo e per l'acquisizione delle prassie elementari.
Attraverso l'esplorazione del proprio corpo e di quello della madre inizia il processo di differenziazione tra sé e l'altro.
I riflessi arcaici dal secondo al sesto mese sono tutti scomparsi.
Prima con il lancio degli oggetti nello spazio (8 mesi), poi con l'uso strumentale dell'adulto (10-12 mesi), poi con la deambulazione autonoma (12-15 mesi), si forma la coscienza del proprio corpo come strumento di esplorazione e conoscenza del mondo. Vi è un impegno globale della motricità e una percezione del corpo legata all'azione.
In questo periodo il bambino acquisisce le posture fondamentali
(supina, prona, seduta, carponi, in ginocchio, eretta); ha una conoscenza del corpo relativa alle parti più elementari (testa, occhi, naso, bocca, orecchie, capelli, braccia, pancia, glutei, gambe).
Comincia a configurarsi un “Io” attraverso l'imitazione dell'adulto.

  • Corpo percepito (3-6/7 anni)

Ricopre un aspetto PRE-OPERATORIO dello schema corporeo.
E' la percezione del corpo come unità, come immagine simmetrica. Nel periodo precedente la percezione era rivolta principalmente verso il mondo esterno (guardare, toccare, sentire); in questo periodo la percezione si rivolge verso il proprio corpo, il bambino è capace di portare la propria attenzione sulle singole parti del proprio corpo olre che sulla totalità di esso e ciò dipende dalla interiorizzazione che è un momento di presa di coscienza dell' Io.
Nell'attività motoria emerge un maggior controllo posturale e tonico e un affinamento della attività prassica.
Grazie poi all'affermarsi della dominanza, lo spazio viene organizzato in modo migliore.
In questo periodo il bambino acquisisce una conoscenza di parti del corpo più complesse (articolazioni, organi interni); una coscienza dei due emisomi; una cosienza dell'orientamento del corpo nello spazio; un più preciso apprezzamento delle durate temporali.

  • Corpo rappresentato (6/7-11/12 anni)

Ricopre l'aspetto OPERATORIO dello schema corporeo.
E' la percezione della tridimensionalità del corpo, della successione dei suoi gesti, movimenti, spostamenti. Il corpo è punto di riferimento per l'orientamento e la strutturazione spaziale.
Percezione tridimensionale: all'altezza e alla larghezza si aggiunge la percezione della profondità.
Il bambino passa ad una rappresentazione mentale di tipo dinamico del suo corpo. Grazie ad una maggiore percezione e memorizzazione dei dati temporali è consapevole della successione dei gesti, movimenti e spostamenti, ed è proprio la consapevolezza della successione che permette la rappresentazione mentale del corpo in movimento. Interiorizza questa immagine e i movimenti diventano più coordinati e fini. E' in grado di staccarsi dall'azione concreta e di rappresentarla anche attraverso la rappresentazione grafica e verbalmente.
In questo periodo il bambino giunge ad individuare la destra e la sinistra sull'altro e a proiettare questi rapporti di destra e sinistra rispetto agli oggetti e nell'orientamento spaziale in genere (lateralizzazione).

 

 

LE TAPPE DELLO SVILUPPO AFFETTIVO


Da 0 a 7 mesi
Le emozioni insorgono durante i primi mesi di vita del neonato ed esse sono da mettere in relazione alla piacevolezza o al disagio provati in base alla soddisfazione o meno dei bisogni primari del bambino. Si riconoscono dunque emozioni piacevoli legate, per esempio, alla soddisfazione del bisogno di mangiare o all’atto di essere massaggiato a lungo. Sensazioni di disagio invece sono da rapportare a situazioni di dolore generalizzato come per esempio in caso di coliche del neonato o di contrazioni muscolari della parete dello stomaco quando questo ha bisogno di essere appagato con il latte. La personalità del neonato, dunque, è costituita da un insieme di bisogni che esigono la loro soddisfazione piena e immediata: il bambino percepisce lo stato emozionale del benessere quando questo arriva come soddisfacimento al disagio. Nei primi mesi, la figura della mamma è ancora percepita dal bambino come parte integrante di se stesso: le braccia della mamma sono il completamento di sé e l’esserne separato può venire percepito come un disagio cui trovare soluzione. Ecco quindi che piano piano sboccia il primo legame affettivo, quello con la persona che fin dall’inizio si prende cura in modo esclusivo del bambino, indipendentemente se si tratti della mamma biologica o della mamma adottiva.

Da 8 mesi
La percezione di essere un sé separato dalla mamma, inizia nel bambino tra il settimo e l’ottavo mese: egli comincia a comprendere di essere una entità diversa alla mamma, dal papà e da tutte le altre figure che popolano la famiglia. Da questa tappa inizia il progressivo distacco tra sé e l’altro, anche fisicamente: il piccolo comincia a stare seduto da solo, gattona e i suoi movimenti iniziano a seguire uno schema coordinato e non più disorganizzato. È questo il momento in cui insorge la paura dell’estraneo. Il bambino, infatti, mostra una sorta di angoscia quando ad avvicinarsi per prenderlo in braccio è una figura che non sia quella materna. Con la percezione della realtà esterna al proprio io, inizia per il bambino anche la progressiva instaurazione di legami affettivi: le emozioni istintive dei primi mesi lasciano il posto ai sentimenti come la gioia, la paura, l’angoscia e la rabbia. Il legame con la mamma si fa più consapevole: il bambino inizia a sperimentare il distacco dal suo punto di riferimento certo e se questo passaggio viene affrontato serenamente, il bambino svilupperà un senso di benessere affettivo che lo accompagnerà nel corso di tutta la vita. Il primo legame affettivo amplia gli orizzonti, ora a essere oggetto dell’affettività da parte del bambino oltre al papà ci sono anche i fratellini, i nonni, baby sitter, ma anche i suoi peluche e i giochi.

Da 18 mesi
Se il progressivo distacco dalla mamma è avvenuto in modo sereno e consapevole, il bambino avrà potuto quindi sviluppare una delle sua prime convinzioni: la sua mamma è una base sicura da dove partire, sapendo che al rientro è sempre pronta ad accoglierlo con un caldo abbraccio. È dallo sviluppo di questa prima convinzione che il bambino è pronto per affrontare la realtà esterna, a stabilire relazioni con gli altri componenti della famiglia riconoscendo loro il proprio ruolo (come quello dei nonni, dei fratelli, degli zii) e a instaurare i primi legami con gli altri bambini al nido o con le educatrici. La relativa autonomia motoria, progressivamente acquisita, permette al bambino di sperimentare gli stati emotivi che possono derivare dal voler vedere soddisfatto immediatamente un bisogno. Per esempio, se il bambino vuole un gioco che non può ottenere o se desidera essere preso in braccio ma per qualche ragione questo non può avvenire, l’emozione della rabbia può dar l’avvio a un sentimento di impazienza.

Dai 3 anni
Il bambino a questa età, grazie allo sviluppo psico-neurologico, è decisamente più autonomo, anche nelle relazioni affettive: il sistema nervoso e motorio sono quasi completati. L’ingresso alla scuola materna, e quindi la socializzazione con gli altri bambini, fa sì che i sentimenti inizino a essere proiettati anche verso persone diverse dalla propria famiglia. Ecco quindi i primi sentimenti contrastanti: le prime simpatie o antipatie verso coetanei con cui gioca in modo più o meno in sintonia. Nascono i primi sentimenti verso l’altro sesso, anche se si tratta ovviamente di sentimenti semplici e soprattutto molto vulnerabili. Poiché il bambino non ha ancora imparato a gestire la sua affettività, come la rabbia, la gelosia, il possesso verso le cose e le persone, non sono rari gli atteggiamenti aggressivi, come mordere o picchiare gli altri bambini; di fatto il bimbo non è ancora in grado di controllare i propri stati emotivi. Con l’ingresso alla scuola elementare l’affettività si amplia ulteriormente verso i coetanei, con i quali i rapporti diventano meno conflittuali poiché il bimbo ha imparato ora a gestire la sua affettività e le insicurezze.

Dagli 11 anni
È con l’adolescenza che i legami affettivi assumono una forma più simile ai sentimenti degli adulti. L’adolescente inizia a essere attratto sentimentalmente verso i coetanei dell’altro sesso: responsabile di questo nuovo comportamento sono i feromoni (sostanze specifiche emesse dagli organismi animali che permettono il riconoscimento sessuale degli individui) e l’assetto ormonale che proprio in questo periodo raggiunge il massimo equilibrio sia nelle ragazze sia nei ragazzi. Biologicamente si attiva la fisiologica ricerca del partner verso cui riversare l’affettività. Le emozioni e i sentimenti continuano a essere, in concomitanza con lo sviluppo biologico, la base per lo sviluppo dell’affettività, che resterà così inalterata per tutto il corso della vita.

 

Lo sviluppo emotivo ed  affettivo del bambino dalla nascita fino ai tre anni

 

L’emozioneviene definita come un’esperienza complessa, multidimensionale e processuale, che svolge un ruolo di organizzatore cognitivo-affettivo e che media il rapporto tra l’organismo e l’ambiente consentendo all’organismo stesso di adattarsi ad una situazione nuova, più o meno attesa. Sebbene non esista a tutt’oggi una teoria o modello unitario dell’emozione nel suo aspetto processuale, così come non è univoca tra gli studiosi la classificazione e l’interpretazione delle emozioni (primarie/secondarie, semplici/complesse), l’emozione viene unanimemente considerata come la modificazione del normale stato di quiete dell’organismo che si esprime con l’impulso all’azione, con specifiche reazioni fisiologiche interne, producendo diversi vissuti psicologici; essa è strettamente funzionale all’adattamento alla realtà, sebbene, come è noto, superando determinati livelli ottimali, produca un comportamento disorganizzato e quindi disfunzionale. Lo stesso Darwin, precursore degli studi sull’emozione e sulla comunicazione non verbale, sosteneva che le manifestazioni emotive sono istintive e funzionali dal punto di vista comunicativo e dell’adattamento all’ambiente sociale.
L’emozione è strettamente connessa all’affettività, ma anche alla dimensione cognitiva e sociale. L’emozione infatti ha:

  • una dimensione fisiologica perché comporta specifiche reazioni corporee connesse alle diverse emozioni, elicitate dal SNC, dal SNA e dal sistema endocrino;
  • una fondamentale dimensione cognitiva in quanto è presente una valutazione e un’attribuzione di significato alle reazioni messe in atto dall’organismo che stimola l’individuo a far fronte agli eventi;
  • una dimensione motivazionale che consente la regolazione del comportamento in relazione ai desideri e agli scopi;
  • una dimensione espressivo-comunicativa attraverso configurazioni facciali e altre manifestazioni non verbali, tendenzialmente universali e specifiche per ogni emozione;
  • una dimensione sociale perché è l’emozione è sempre connessa al contesto e alle relazioni.

L’intreccio tra fattori cognitivi, sociali, affettivi ed emozionali regola sia i processi comuni a tutti gli individui sia quelli che caratterizzano nello specifico ciascuno. Il sorriso, per esempio, è molto gratificante per il caregiver e induce maggiore disponibilità. Con il tempo il bambino capisce che le espressioni emotive hanno conseguenze sociali, dà un significato alle azioni di chi si prende cura di lui ed impara a modulare le emozioni e l’espressione delle stesse sulla base delle aspettative.
Il modello processuale fondamentale è quello di Schachter e Singer (1962) secondo il quale l’emozione deriva sia dall’eccitazione fisiologica sia dall’etichetta/valutazione attribuita dal soggetto allo stimolo, ovvero dalla componente cognitiva.

Fig.1 Il modello del processo emotivo secondo Schachter e Singer (1962)
Poiché l’individuo funziona come una totalità, è evidente che in una prospettiva evolutiva non solo componente emotiva ed affettiva sono inscindibili, ma che lo sviluppo emotivo si interseca anche con quello cognitivo e sociale. Nell’interazione sociale infatti emergono e si dispiegano “emozioni” ( o, meglio, come vedremo sulla base della teoria della differenziazione emotiva “precursori dell’emozione”)  fin dalla nascita e la qualità delle relazioni promuove nel bambino l’emergere di determinate emozioni più che di altre, così come promuove la capacità di regolarle in modo più o meno adattivo. Emozioni e regolazione sono influenzate dalla valutazione e dall’attribuzione di significato, quindi dall’intervento di fattori cognitivi che si arricchiscono nel tempo di previsioni e di anticipazioni mentali. I primi segnali emotivi del neonato, come il pianto o il sorriso endogeno, non hanno alcun significato sociale, ma la reazione del caregiver è “come se” lo avesse attribuendo al bambino intenzionalità.
Esiste dunque senz’altro uno sviluppo emotivo e in molte direzioni, e anche in questo caso troviamo diversi modelli esplicativi e diversi filoni di ricerca.
Tra gli studi più noti e più seguiti è utile ricordare quelli di Sroufe (Sroufe, Alan L. ''Lo sviluppo delle emozioni. I primi anni di vita'', Milano, Raffaello Cortina Editore, 2000), uno degli psicologi più accreditati nello studio dello sviluppo emozionale che ritiene che esso si colleghi alle tappe dello sviluppo cognitivo di Piaget, con la sua teoria della “differenziazione emotiva”.
Possiamo parlare di vera e propria emozione quando il bambino è in grado di avere una “sindrome reattiva multidimensionale”, cosa che non è presente nel 1° mese di vita quando cioè non può esservi alcuna valutazione cognitiva, seppur primitiva, dello stimolo. All’inizio l’indifferenziazione tra Sé e l’ambiente, la mancanza di una sia pur minima rudimentale coscienza impediscono di parlare di vere e proprie emozioni. Il neonato evidenzia un prototipo a base interamente fisiologica di quella che poi solo in seguito sarà propriamente l’emozione. Il sorriso endogeno, per esempio, è precursore dell’emozione di gioia. Dai tre mesi abbiamo invece la comparsa di emozioni sebbene indifferenziate. Non basta uno stimolo qualsiasi a produrre attivazione, ma uno stimolo specifico come, per esempio, nel caso del sorriso sociale che segnala l’emozione di piacere per la vista di un volto umano ( sorriso esogeno non selettivo) in cui il sorriso implica appunto analisi e riconoscimento. Successivamente l’emozione si differenzia in gioia (dal 4° mese) quando il sorriso sociale diventa selettivo cioè come risposta specifica alle persone familiari con le quali il bambino instaura uno scambio reciproco. Dopo gli 8 mesi gioia e riso non implicano solo riconoscimento, ma segnalano la comprensione immediata del significato dell’evento. In altre parole il significato fa da stimolo (gioco del cucù). Nel sistema circospezione/ paura il neonato piange per uno stimolo che produce attenzione forzata o intensa ( trasalimento), quindi l’eccesso di attivazione fisiologica e infine la reazione di disagio, costruiscono il precursore della paura. Verso i 4 mesi un estraneo in quanto ignoto può produrre disagio e pianto, reazione psicologica al contenuto dell’evento. A partire dagli 8 mesi la reazione al significato negativo di un evento compare come emozione di paura. Sroufe, come molti altri, ritiene che le emozioni siano a base innata tant’è che la loro espressione è presente in tutte le società e anche in bambini disabili come i sordo-ciechi. Tuttavia si può parlare di emozioni vere e proprie con lo sviluppo cognitivo a partire dai 6 mesi, cioè da quando compaiono progressi fondamentali nel concetto di oggetto, nell’intenzionalità, nella comprensione della causalità, nella capacità di anticipazione e padroneggiamento della  realtà. I processi cognitivi guidano l’emozione, ma le emozioni influenzano la cognizione al punto che il riconoscimento di certi eventi è influenzato dalle stesse emozioni. Infatti l’emozione può avviare, indirizzare o interrompere l’elaborazione delle informazioni, selezionarle o far emergere dalla memoria alcune informazioni piuttosto che altre. Tale dialettica tra emozione e cognizione avviene all’interno delle relazioni sociali. Infatti le emozioni provate all’interno delle relazioni affettive primarie possono dare significati diversi agli eventi e ai contesti in cui il bambino è inserito. Le emozioni vengono usate ed espresse per manifestare e sono suscettibili di modifiche in funzione delle aspettative. Precocemente il bambino mostra anche segnali ambigui con emozioni contrastanti, usando il tempo necessario per codificare le intenzioni e il probabile atteggiamento dell’altro. Emerge dunque un uso strumentale delle emozioni che consente la negoziazione.

 

Mesi

 

Piacere/Gioia

 

Circospezione/paura

 

Frustrazione/rabbia

Sotto-stadi dello sviluppo dell’intelligenza percettivo-motoria (Piaget)

0

Sorriso endogeno

Trasalimento/dolore
Attenzione coatta ( protratta ispezione di uno stimolo visivo, con inibizione motoria, che termina con reazione di sconforto )

Sconforto/disagio per costrizione fisica

 I sotto-stadio esercizio dei riflessi (0-1mese) 

 

1

2

 

 

 

II sotto-stadio: reazioni circolari primarie e primi adattamenti acquisiti (1-4 mesi)

3

Sorriso sociale non selettivo

 

Reazione alla frustrazione

4

Piacere/ riso attivo

Circospezione

 

5

 

 

 

III sotto-stadio: le reazioni circolari secondarie (4-8 mesi) 

6

 

 

 

7

Gioia

 

Rabbia

8

Sorriso sociale selettivo (madre)

Paura dell’estraneo

 

9

Reattività sociale differenziale

 

 

IV sotto-stadio: coordinamento degli schemi secondari e applicazione a situazioni nuove (8-12 mesi) 

10

 

 

11

 

 

12

Esultanza

Ansia

Umore irato, petulanza

V sotto-stadio: reazioni circolari terziarie e scoperta di mezzi nuovi con sperimentazione attiva (12-18 mesi) 

13

 

 

 

 18/24

Affetto per se stesso

Vergogna

Sfida, collera, opposizione

VI sotto-stadio : invenzione di mezzi nuovi mediante combinazione mentale (18-24 mesi) 

Fig.2 Schema dello sviluppo emotivo secondo Sroufer (1995)

 

Con lo sviluppo si producono fondamentali cambiamenti non solo nel passaggio da un’eccitazione indifferenziata a emozioni sempre più differenziate, ma anche perché cambia l’espressione dell’emozione cioè la capacità di codificare e decodificare l’emozione attraverso l’insieme dei modelli espressivi propri dell’ambiente.L’espressione delle emozioni non ha solo la funzione di comunicare agli altri uno stato interno e di preparare l’organismo all'azione, ma contribuisce  a quel processo di negoziazione tra gli individui che, più o meno consapevolmente avviene sempre all’interno dell’interazione sociale. Tale interazione è bidirezionale. Le emozioni e la loro regolazione sono l’esito dell’intreccio tra le componenti cognitive ed emotive che riguardano 2 o più persone coinvolte in una relazione.
In questo specifico ambito una lunga tradizione di studi che va da Darwin a Ekman ha studiato  le espressioni facciali, vocali, posturali e motorie con cui viene manifestata l’emozione. Il volto umano costituisce il canale privilegiato per il riconoscimento della specificità dell’emozione attraverso risposte che, insieme ai correlati fisiologici, sono universali, come è emerso da studi transculturali. Invece le modalità di regolazione, il significato delle emozioni nei diversi contesti e le cosiddette regole di ostentazione”( Ekman e Friesen, 1969)  evidenziano che in ogni società e cultura esistono delle regole (display rules) che determinano le connessioni tra stato interno ed espressione dell’emotività. Queste regole sono apprese durante i processi di socializzazione primaria e vengono rispettate sia in età infantile che in età adulta e consistono in:

  • Intensificare l’espressione di un’emozione
  • Mostrare emozioni di intensità minore rispetto a quelle che in realtà si provano
  • Nascondere quello che si prova
  • Mostrare un’emozione al posto di un’altra
  • Simulare uno stato d’animo

 

In relazione alle regole sociali che regolano l’espressione dell’emozione, ma soprattutto rispetto ad un più efficace orientamento dell’impulso all’azione rispetto alla situazione, in campo educativo si parla di maturazione emotiva. Oltre a differire l’espressione dell’emozione nel tempo e in modi socialmente adattati la maturazione emotiva implica una sempre maggiore capacità di pensare in luogo di agire. In questo senso l’emozione diviene gradualmente un’esperienza interiore.
I fattori dello sviluppo a livello ambientale intervengono nel passaggio della valutazione che si arricchisce della memoria delle esperienze precedenti e dello sviluppo cognitivo, e su quello della vera e propria maturazione nella misura in cui l’ambiente è in grado di fornire rinforzi e modelli di identificazione positivi, all’interno di relazioni significative, nonché occasioni di possibilità di articolazione del pensiero sul piano della realtà/irrealtà.
Lo sviluppo affettivo è lo sviluppo dei rapporti significativi che il soggetto instaura con l'ambiente sociale. Particolarmente importante, in una lunga tradizione di studi psicologici, è la relazione madre-figlio: infatti la madre consente la prima relazione “oggettuale” (oggetto libidico, cioè oggetto d’amore nella prospettiva psicoanalitica)  al bambino, sull'esperienza della quale egli costruirà le successive relazioni interpersonali. Se questo rapporto manca o viene significativamente alterato precocemente, nel bambino si genereranno, dal punto di vista emozionale, stati carenziali rispetto ad una  una condizione prolungata di non soddisfazione dei bisogni primari del bambino nel rapporto diadico con la madre, che influenzeranno negativamente, e spesso irreversibilmente, il suo sviluppo psicofisico. I bambini che sperimentano una condizione di carenza affettiva sono quelli istituzionalizzati, ospedalizzati, o quelli che sono allontanati per lungo tempo dalla famiglia senza la possibilità di godere di un sostituto materno valido. 
Per Sigmund Freud, padre della Psicoanalisi, l’affetto del bambino per la propria madre è determinato da una motivazione secondaria,derivante dal fatto che è questa figura a provvedere ai suoi bisogni fisiologici, diventando progressivamente anche l’oggetto privilegiato su cui il piccolo può scaricare libido e aggressività. Freud delinea lo sviluppo affettivo in termini di una successione di fasi caratterizzate dalla centralità di una determinata zona erogena (fonte di piacere), le fasi dello sviluppo psicosessuale.Dal punto di vista psicoanalitico lo sviluppo affettivo, ovvero del mondo emozionale, dei legami affettivi, delle modalità dei rapporti interpersonali, dei conflitti e delle reazioni difensive caratterizza profondamente la personalità dell’individuo. Freud considera la personalità umana un iceberg, di cui solo la parte superficiale č visibile. L’uomo nella concezione freudiana, è un essere in continua tensione verso il soddisfacimento dei propri impulsi, di motivazioni ad agire, guidate dall’istinto di sopravvivenza e di riproduzione, che  rimangono quasi sempre nascoste nell’inconscio. La psiche è costituita da contenuti mentali consci, preconsci ( cioè accessibili alla coscienza attraverso uno sforzo), ma, soprattutto, inconsci ovvero totalmente inaccessibili se non indirettamente attraverso il sogno, l’atto mancato, il simbolo, il sintomo. La mente è suddivisa in

  • IO – insieme delle capacità motorie, percettive, sensitive, cognitive che permettono all’individuo di codificare e operare sulla realtà per il soddisfacimento dei propri bisogni secondo il principio di realtà.
  • ES – insieme delle forze istintive che l’individuo eredita e presenta fin dalla nascita e che alla fine Freud identifica in EROS ( pulsione verso la vita, verso il legame) e Thanatos (pulsione verso la morte, verso la distruzione del legame, verso il ritorno allo stato inorganico). E’ irrazionale e scarsamente organizzato e caratterizzato dal principio di piacere.
  • SUPER-IO – rappresenta la componente normativa e sociale, č l’istanza morale introiettata e conduce all’adeguamento sociale.

La personalità infantile iniziale si identifica con l’ES. ove vige il principio di piacere: ogni desiderio richiede un soddisfacimento immediato.  La pressione della realtà esterna, poiché il desiderio non può essere soddisfatto immediatamente, porta una parte dell’ES a modificarsi. Ne deriva l’IO che regola i rapporti tra i desideri e la realtà esterna, impara ad aspettare, a tollerare l’attesa (principio di realtà). Successivamente si sviluppa il Super-IO attraverso l’interiorizzazione, dei valori e delle norme morali dei genitori prima e dell’ambiente sociale dopo.
Lo sviluppo della personalità, della vita affettiva e relazionale dell’individuo, attraversa dunque varie fasi nel corso delle quali la libido si organizza intorno a determinate zone erogene:
Fase orale ( dalla nascita fino ai 12/18 mesi): è organizzata intorno alla funzione alimentare. La relazione che lega sin dall’inizio il bambino al seno della madre č determinata sia dalla necessità di soddisfare il bisogno di mangiare sia dalla necessità di soddisfare un piacere in sè che ha come zona erogena la bocca.
Fase anale ( dai 18 ai 36 mesi): caratterizzata dall’acquisizione del controllo sfinterico. Questa nuova acquisizione è un ulteriore passo verso l’individuazione, in quanto la defecazione, con il piacere associato di espellere o trattenere, diventa un atto che il bambino può controllare.Inoltre trattenere o lasciare andare le feci diventa espressione di controllo sul mondo esterno, per cui defecare assume il significato di dono o di ostilità.
Fase fallica (dai tre ai cinque anni): caratterizzata dalle esperienze masturbatorie legate all’interesse per la zona genitale quale nuova zona esogena e a fantasie. L’interesse sia del maschio che della femmina per gli organi genitali produce un confronto che rende evidente l’esistenza di differenze anatomiche tra maschi e femmine (curiosità sessuali). In questa fase il complesso di Edipo fa sì che il bambino, pur presentando sentimenti d’amore per entrambi i genitori, investa il genitore di sesso opposto prevalentemente di cariche libidiche, mentre quello dello stesso sesso viene preso come modello di identificazione e percepito come rivale. L’eccitamento sessuale nei confronti del genitori del sesso opposto crea nel bambino forti sentimenti di colpa e la paura di essere punito dal genitore dello stesso sesso (angoscia di castrazione). In questo modo il bambino o la bambina rinuncia al genitore amato e si identifica con il genitore dello stesso sesso, superando il complesso edipico. Le dinamiche edipiche portano all’acquisizione del concetto della triangolarità: il bambino percepisce se stesso in contrapposizione alla coppia genitoriale, nonché alla formazione della terza istanza della personalità, ovvero del Super-Io. 
La teoria psicoanalitica colloca il conflitto al centro della vita psichica. Conflitto tra desideri e realtà esterna, nella misura in cui l’ambiente esercita una funzione di controllo diretta a punire o reprimere l’espressione immediata della pulsione, conflitto tra Io - Es - Super-io, quando vengono interiorizzate le norme e i precetti dei genitori. Fondamentali dunque i “meccanismi di difesa”  ovvero quelle configurazioni psicologiche inconsce che riducono il conflitto, e di conseguenza l’angoscia, mantengono un equilibrio intrapsichico, regolano l’autostima e proteggono il Sé nelle relazioni: Essi agiscono a livello inconscio, ma sono funzioni dell’IO e quindi soggetti allo sviluppo così come alle caratteristiche specifiche della personalità di ognuno.

Nello studio dello sviluppo delle relazioni affettive è importante ricordare il contributo di Renè Spitz relativo non solo alle conseguenze dell’ospedalizzazione, dell’istituzionalizzazione e quindi delle carenze/ privazioni di cure materne, ma anche alle fondamentali tappe della psiche infantile nel primo anno di vita. Egli ha osservato che la psiche infantile passerebbe nel corso del primo anno da uno stato di disorganizzazione, che lo pone in un rapporto quasi simbiotico con la madre, a uno stato di maggiore individuazione, riscontrabile attraverso la comparsa di tre comportamenti osservabili: il primo è il sorriso sociale, che si manifesta intorno al terzo mese di vita. Esso va differenziato dal sorriso endogeno, che è una risposta riflessa riscontrabile anche nei neonati, al quale viene erroneamente attribuita una valenza intenzionale. A questo sorriso Spitz attribuisce il ruolo di primo organizzatore psichico, ovvero un elemento che testimonierebbe uno stato di maggiore differenziazione del proprio Sé rispetto alla madre. Intorno all’ottavo mese emerge l’angoscia dell’estraneo, il secondo organizzatore, che testimonia del fatto che il bambino riconosce la madre e la differenzia da tutte le altre persone, al punto che è angosciato in presenza di una persona non familiare. L’ultimo organizzatore è la capacità di dire no del bambino, che emerge intorno ai 15 mesi, e che renderebbe conto dell’avvenuto processo di individuazione del bambino rispetto alla madre, in quanto da questo momento egli sarebbe in grado di opporre la propria individualità a quella materna.

Sempre in ambito psicoanalitico, numerosi sono stati gli apporti a partire dalla figlia di Freud, Anna, a Melanie Klein che ha contributo in modo straordinario alla conoscenza del mondo della prima infanzia e ha messo a punto fondamentali strumenti terapeutici attraverso l’analisi del gioco del bambino e delle sue valenze proiettive, a W.Bion  e a D.Winnicott che hanno elaborato concetti di grande importanza anche in ambito educativo.
Il contributo di Winnicott all’elaborazione di un modello di sviluppo del bambino evidenzia il fatto che il bambino, appena nato, parte da uno stato di indifferenziazione rispetto al proprio ambiente, che è sostanzialmente la madre, e cerca di organizzare le sue esperienze corporee e sensoriali, necessariamente frammentate, in qualcosa di unico ed unitario. 
In questa prima fase della sua vita, che dura circa sei mesi, la fase dello “sviluppo primario”, il bambino è totalmente dipendente dalla madre, e non si percepisce come distinto da essa, pertanto egli può concepire la presenza del seno materno solo come un oggetto da lui stesso creato.
Il compito della madre sarà allora quello di favorire questa illusione del bambino, entrando in contatto profondo con il figlio, attraverso un rapporto empatico che implicherà, per lei, l’accettazione di una propria regressione per raggiungere il suo bambino là dove egli si trova, andando incontro a questa sua allucinazione sensoriale del seno, offrendoglielo proprio nel momento in cui egli è pronto a “crearlo”.  La madre in questo modo asseconda l’illusione del neonato, gli permette di essere il seno che lo nutre, consentendogli così di sperimentare quella continuità di esistenza che è il fondamento del suo vero Sé.  Quando ancora non c’è una relazione oggettuale, né una struttura psichica, il bambino vive il seno fantasticato, che è  una cosa che può soddisfare il suo bisogno, come qualcosa di non separato da se stesso,  come una sua creazione, purchè glielo si presenti nella situazione in cui lui è pronto a crearlo.  Inizia così a svilupparsi quel sentimento di unità psiche-soma, dentro-fuori, prima-dopo, così essenziale per lo sviluppo dell’identità. 
Questo è il primo gesto di rispetto che la madre offre al suo bambino, la prima occasione in cui si pone in suo ascolto, rinunciando a sovrapporre la propria volontà alla fantasia e al modo di essere del neonato.  La madre che Winnicott definisce “sufficientemente buona” è quella che è pronta a cogliere il gesto spontaneo o l’allucinazione sensoriale dell’infante per andare loro incontro, per rafforzarli, rafforzando in tal modo l’Io debole del bambino, incoraggiandone di fatto lo sviluppo verso il vero Sé.  Questa necessità per la madre di assecondare l’allucinazione creativa del bambino  è solo il germe di quello spazio di sviluppo del bambino che Winnicott chiama          “area dell’illusione ”, o “ area transizionale ”. Nel processo di crescita del bambino l’onnipotenza allucinatoria originaria è una fase del tutto normale, ma arriva il momento (l’autore lo colloca intorno ai quattro-cinque mesi) in cui il bambino dimostra di esser capace di compiere azioni sulla realtà in qualche modo deliberate. Ad esempio, quando il bambino piccolo lasciar cadere intenzionalmente un oggetto  dimostra con il suo gioco di capire che esiste un “dentro” che gli appartiene, e che esiste un “fuori” cui le cose appartengono, e che può appropriarsi e sbarazzarsi di una cosa in base alla soddisfazione che ne ricava. Il compito della madre è perciò quello di creare uno spazio mentale tra sé stessa ed il figlio, per fare in modo che diventi un individuo, un’entità separata da lei. Per fare ciò dovrà progressivamente togliere al bambino l’illusione originaria, quella di aver creato lui il seno che lo alimenta. Ai fini dello svolgimento di questo delicato compito del bambino la madre non solo deve procedere con assoluta cautela, specialmente nella prima fase, ma, paradossalmente, deve disilludere il bambino e al tempo stesso coltivarne le illusioni, deve saper regredire con lui, giocare e saper stare con lui nell’illusione, per portarlo poco per volta nel mondo della realtà. 
La madre sufficientemente buona è quella che riesce ad introdurre la realtà, nella mente del bambino, a piccole dosi, affinché la sua accettazione non risulti troppo dolorosa in relazione  al grado di sviluppo da lui raggiunto (il primo duro contatto con la realtà è dato innanzitutto dalla presa di coscienza di essere qualcosa di separato dalla madre). In altri termini la figura materna deve saper alternare la frustrazione alla gratificazione:   se protegge troppo il bambino non gli consente di crescere e di svilupparsi; se lo “consegna” bruscamente alla realtà lo priva di quel benefico contatto con il proprio “vero Sé”, lo fa diventare adulto troppo presto.
Lo “ spazio ” in cui si svolge questo processo di graduale “acquisizione” della realtà è un’area dell’esperienza che Winnicott chiama  “area dell’illusione” o “ area transizionale” che coincide sostanzialmente con “l’area del gioco”.  Quando il bambino accede a questo spazio, accetta la separazione dalla madre e, spesso, nel tentativo di elaborare l’angoscia della separazione, si serve di “oggetti-ponte”, oggetti che servono a legare l’esperienza del Sé all’esperienza precedente di totale dipendenza dalla madre, gli “oggetti transizionali” : essi sono oggetti concreti, si pensi all’orsacchiotto, che pertanto fanno parte della realtà esterna, ma sono anche qualcosa di interiore e di fantasmatico che prescinde dalla situazione esterna. Il loro bisogno si manifesta quando l’impatto con la realtà è troppo forte, e non sono rilevanti le qualità fisiche dell’oggetto, quanto la sua capacità di durare nel tempo. L’oggetto transizionale è senza dubbio anche un oggetto interno, rappresenta il seno materno, ma l’accesso all’oggetto transizionale è possibile solo qualora l’oggetto interno sia stato introiettato come un oggetto, non troppo presente, persecutorio, soffocante, ma neppure troppo labile.  Attraverso di esso il bambino dimostra il suo primo interesse per il mondo esterno: possiede qualcosa che è diverso da sé, che è fuori da lui ma che non appartiene esclusivamente alla realtà esterna, che gli consente di essere un individuo (separato dalla madre) e di non subire il terrore della separazione. Winnicott introduce una significativa analogia tra l’oggetto transizionale, “l’area dell’illusione”  e  “ l’area del gioco :” il gioco comincia nello spazio potenziale che si crea tra madre e bambino, la zona dell’illusione: nell’atto di giocare il bambino è in grado di essere creativo perché fa ancora effettivamente esperienza, in qualche misura, dell’onnipotenza, può far uso dell’intera personalità, e solo nell’essere creativo scopre il SéAll’interno di questo contesto deve svolgersi, la conoscenza della realtà che dovrà essere offerta al bambino non solo gradualmente, ma anche come una sua scoperta, ancora una volta come qualcosa che fa lui, che egli “crea”. La progressiva disillusione  diviene, così, apprendimento.


La prospettiva attualmente più seguita è quella della teoria dell’attaccamento di John Bowlby

L’attaccamento costituisce uno dei sistemi di controllo del comportamento che motiva il bambino a ricercare e a mantenere, nelle situazioni di pericolo, la vicinanza fisica con la figura di riferimento, allo scopo di ottenere protezione. Sulla base di presupposti evoluzionistici e delle ricerche etologiche, Bowlby individua nella protezione un bisogno primario: il bambino sarebbe quindi predisposto ad instaurare, nel corso del primo anno di vita, almeno una relazione affettiva significativa con una persona in grado di soddisfare il suo bisogno di protezione. Il bisogno di esplorazione, la curiosità, cioè il bisogno di una stimolazione ottimale, è altrettanto primario nel bambino, ma regolato secondo un meccanismo di tipo omeostatico, a feedback che richiede la soddisfazione del bisogno di protezione: quanto più il bambino si sente sicuro, perché protetto dai pericoli, quanto più può esplorare. Il correlato interno di tale condizione è la sensazione di sentirsi protetto e “al sicuro”: l’insieme e la qualità degli scambi interattivi tra il bambino e la figura di attaccamento costituiscono la base per la costruzione di questo legame. I  primi 12 mesi costituiscono il PERIODO SENSIBILE per la costruzione dell’attaccamento. Il legame di attaccamento non è un costrutto tutto o niente, ma è definito da caratteristiche di qualità che producono differenze individuali nell’attaccamento. Alla fine del primo anno di vita, il bambino ha costruito il proprio legame di attaccamento con un adulto, il quale diventa la sua FIGURA DI ATTACCAMENTO che rimarrà fondamentale nel corso di tutta la vita. La QUALITĀ DEL LEGAME DI ATTACCAMENTO tra il bambino e la sua figura di riferimento dipende da molti fattori ma, soprattutto, dalla QUALITA’ delle INTERAZIONI fra i due connesse con la ricerca di protezione da parte del bambino Le modalità con cui l’adulto fornisce protezione, ovvero la  SENSIBILITA’ ( capacità di comprendere i bisogni del bambino e i suoi segnali) e la DISPONIBILITA’ ( capacità di soddisfare i bisogni del bambino) in ragione della relazione, del contesto e di numerose variabili sociali, delle caratteristiche di personalità della figura di attaccamento e, a sua volta, del tipo di attaccamento che ha “improntato” la sua vita di relazione.
Secondo la teoria dell’attaccamento la qualità del legame, cioè l’insieme delle sue specifiche caratteristiche, oggi ricondotte a 4 tipologie fondamentali, tende a mantenersi nel corso della vita, riproponendosi all’interno delle altre relazioni e, specificamente, nella relazione genitore-figlio.
La più importanti scoperte sulle diverse qualità del legame di attaccamento sono state realizzate da Mary Ainsworth, collaboratrice di Bowlby, che condusse numerose osservazioni naturalistiche su diadi madre-bambino in situazioni connesse col bisogno di protezione da parte del bambino Osservò che le diadi differivano tra loro per le modalità di richiesta di protezione da parte del bambino e per le modalitā di risposta da parte dell’adulto. La psicologa realizzò la famosa STRANGE SITUATION PROCEDURE (SSP), pubblicata nel 1978, per osservare e definire le differenze individuali dell’attaccamentoc ostruito dal bambino durante il  primo anno di vita. Una procedura di laboratorio che pone il bambino in condizioni PERICOLOSE per valutare la qualità dell’attaccamento nella prima infanzia. Il fatto di sentirsi in pericolo fa sì che il bambino attivi il sistema e i comportamenti di attaccamento deputati a ricevere protezione dall’adulto. La SSP č composta da una serie di 8 episodi che pongono il bambino in condizione di stress crescente:
1) Ingresso nella stanza
2) Permanenza nella stanza con la madre
5) Riunione con la madre
4) Separazione dalla madre. Il bambino rimane con l’estraneo
6) Il bambino rimane solo nella stanza
3) Ingresso di un adulto estraneo
7) Ingresso dell’estraneo
8) Riunione con la madre
Il processo di codifica della Strange Situation Procedure conduce all’individuazione di una serie di categorie di attaccamento che definiscono le differenze individuali nella qualità del legame di attaccamento costruito dal bambino con la sua figura di riferimento:
Attaccamento Sicuro (B) = sono bambini che protestano al momento della separazione dal genitore, anche piangendo, ma al momento della riunione si avvicinano prontamente a lui cercando il contatto fisico. Si consolano prontamente in presenza o in contatto col genitore, per tornare al gioco o all’esplorazione dell’ambiente.
Attaccamento insicuro Evitante (A) = sono bambini che non protestano alla separazione dal genitore o al fatto di trovarsi in un ambiente nuovoe non familiare, concentrandosi maggiormente sull’esplorazione dell’ambiente e comportandosi spesso in modo amichevole con l’estraneo quando presente nella stanza. Al ritorno del genitore, il bambino spesso lo ignora continuando le proprie attività e distogliendo lo sguardo da lui.
Attaccamento insicuro Ambivalente (C) = sono bambini che protestano angosciati alla separazione dal genitore e ricercano il contatto al momento della riunione; la loro caratteristica è quella di fare fatica a essere consolati e a riprendere le attivitā di gioco o di esplorazione.
Attaccamento insicuro Disorganizzato/Disorientato (D) = sono bambini che non mostrano una coerente strategia nei comportamenti di attaccamento messi in atto nei confronti del genitore, ma mostrano comportamenti contraddittori, stereotipati, che indicano la perdita di una continuità organizzativa nella gestione della situazione di pericolo.
Attaccamento Non Classificabile (Cannot Classify, CC) = sono bambini che presentano un’alternanza di strategie di attaccamento che non consente una classificazione secondo i parametri indicati dalla metodologia.
Attaccamento Sicuro (B) = La madre è sensibile ai segnali del bambino e responsiva alle sue richieste. Inoltre, è  supportiva in episodi di stress
Attaccamento insicuro Evitante (A) = La madre rifiuta il contatto fisico, anche in situazioni di stress del bambino
Attaccamento insicuro Ambivalente (C) = La madre è imprevedibile nelle risposte alle richieste del bambino: comportamento molto affettivo o rifiutante scollegato dalle esigenze del figlio
Attaccamento insicuro Disorganizzato/Disorientato (D) = Madre con personalità rigida ed anaffettiva. Padre disimpegnato e periferico.
Attaccamento Non Classificabile (Cannot Classify, CC) = madre completamente rifiutante o lontano
La costruzione del legame di attaccamento ha come obiettivo il raggiungimento di una condizione di PROTEZIONE e, quindi, di una sensazione di SICUREZZA da parte del bambino. Gli stili di attaccamento INSICURO non identificano una forma di psicopatologia né del bambino, né della relazione con l’adulto. Molte ricerche hanno riscontrato che, all’interno di gruppi di bambini della popolazione generale, le proporzioni in cui le diverse categorie di attaccamento compaiono sono:

  • Attaccamento Sicuro (B) 54-67%
  • Attaccamento Evitante (A) 20-23%
  • Attaccamento Ambivalente (C) 8-13%
  • Attaccamento Disorganizzato/Disorientato (D) 14%

L’attaccamento si può tuttavia organizzare con disturbi profondi e generalizzati dei sentimenti di protezione e sicurezza del bambino che vengono descritti all’interno delle classificazioni diagnostiche del DSM-IV come Disturbi dell’attaccamento (disturbi intraindividuali che possono emergere nella relazione con una sola o con più figure di attaccamento e possono associarsi o meno ad altri comportamenti socialmente devianti o sintomatici al di fuori della specifica relazione di attaccamento in cui sorgono):

  • Disturbo da ASSENZA DI ATTACCAMENTO: è comune tra i bambini istituzionalizzati o che hanno subito molteplici cambiamenti nelle figure primarie di attaccamento, non riuscendo in questo modo a costruire un legame di attaccamento privilegiato Per questo non dimostrano alcuna preferenza per una figura adulta in particolare, non protestano alle separazioni o lo fanno in modo  indiscriminato, cercando consolazione presso qualunque persona presente Nella maggior parte dei casi, sono distaccati da tutti ed è difficile coinvolgerli in una interazione
  • Disturbo di ATTACCAMENTO INDISCRIMINATO: sono bambini che non fanno riferimento a una specifica figura di attaccamento, ma si aggregano e si avvicinano a chiunque, anche in circostante minacciose o paurose. Fanno uso promiscuo e indiscriminato dell’altro, cercando talvolta conforto e protezione presso persone anche completamente estranee. Questo aspetto li può condurre a mettere in atto comportamenti rischiosi
  • Disturbo di ATTACCAMENTO INIBITO: contraddistingue quei bambini che difficilmente si allontanano dalla figura di attaccamento per esplorare l’ambiente. Essi evitano attivamente le relazioni con persone estranee e sono riluttanti a giocare in ambienti estranei, sostituendo al gioco comportamenti di osservazione ipervigile del contesto.
  • Bambini con dipendenza eccessiva, impauriti e ansiosi di fronte a persone non familiari, che vivono le separazioni dalla figura di attaccamento con eccessiva angoscia Troviamo due sottotipi:Bambini con acquiescenza compulsava nei confronti della figura di attaccamento perché impauriti da essa. Accondiscendono immediatamente e completamente come risposta a precedenti maltrattamenti o eccessive punizioni fisiche
  • Disturbo di ATTACCAMENTOAGGRESSIVO: si caratterizza per la presenza di una figura di attaccamento preferenziale, con cui la relazione è costantemente aggressiva e piena di rabbia, rivolta contro l’altro e verso il sé. Spesso il bambino ha subito o ha assistito a precedenti violenze domestiche
  • Disturbo di ATTACCAMENTO CON INVERSIONE DI RUOLI: consiste in una modalità di attaccamento in presenza di genitori molto disturbati, di fronte ai quali il bambino si trova costretto, per sopravvivere, ad assumere egli stesso funzioni genitoriali nei loro confronti, in maniera talora compiacente, talora sadica. L’aspetto responsabile e il comportamento adultomorfo di questi bambini non consentono loro, anche in situazioni extrafamiliari, di trovare quel rifornimento affettivo necessario allo sviluppo.

A partire dal primo anno di vita, grazie anche allo sviluppo da parte del bambino di nuove competenze cognitive, affettive e comportamentali, l’attaccamento si trasforma da sistema di regolazione del comportamento a sistema di rappresentazioni mentali attraverso un processo di INTERIORIZZAZIONE degli aspetti stabili e ripetuti dell’interazione tra il bambino a la sua figura di attaccamento. Le caratteristiche STRUTTURALI delle ripetute interazioni tra il bambino e la figura di attaccamento vengono interiorizzate in una STRUTTURA RAPPRESENTATIVA,  INTERNAL WORKING MODELS (IWM), MODELLI OPERATIVI INTERNI
Sono rappresentazioni mentali che“contengono”un modello operativo cioè una rappresentazione di sé in relazione ovvero l’idea che ognuno ha di se stesso all’interno delle relazioni, di quanto sia degno e meritevole di amore, cura  e protezione, di quanto sia possibile aspettarsi.

 

LO SVILUPPO DEL DISEGNO INFANTILE
Lo sviluppo del bambino è un continuo di crescita che, per utilità interpretativa, viene suddiviso in tappe o in stadi evolutivi.
Ogni stadio è la risultante del processo precedente e la base di partenza per il successivo, inoltre le caratteristiche più evidenti di una fase devono essere considerate come "dominanti" ma attorniate da altre meno esplicitate, le quali sono comunque indispensabili.
Nei primi due anni di vita ciò che colpisce è l'inesauribile bisogno del bambino di fare esperienze attraverso il movimento; egli è assolutamente coinvolto dal continuo desiderio di compiere delle azioni e quindi si coinvolge in attività pratiche e manipolative.
Il fare del bambino in questi due anni è assolutamente istintivo e casuale poi, lentamente inizia ad essere orientato a degli scopi. Questo lo possiamo notare quando il bambino comincia ad allungare un braccio per afferrare qualche oggetto e quando, successivamente, tenterà di compiere la stessa azione per soddisfare il medesimo interesse.
Questa premessa può apparentemente sembrare lontana dalla comprensione dell'evoluzione del disegno infantile, ma ciò che ho descritto è il naturale e spontaneo processo di sviluppo che continua e si amplia nell'espressione grafica. Infatti, il disegno del bambino è all'inizio, verso i quindici mesi, generato da gesti casuali.
Il piccolo prende una matita e, per caso o per imitazione, traccia il primo segno: ciò che gli dà soddisfazione e cerca di ripetere il gesto. Il bambino sarà contemporaneamente stupito della linea che è scaturita della punta della matita, ma anche entusiasmato dal piacere provato nell'eseguire il movimento che ha prodotto il segno.
Dopo circa sei - sette mesi, quindi verso i vent'uno / ventidue mesi, l'attività istintiva del bambino si sfuma per lasciare emergere un timida intenzionalità, nel senso che il piccolo è in grado di coordinare meglio le sue capacità visive con quelle motorie, e quindi saprà orientare con più scaltrezza il suo movimento per produrre determinati segni.
In questi mesi il bambino sarà interessato a produrre linee orizzontali, verticali e circolari: V. Lowenfeld e W. L. Brittain definiscono questa fase dello "SCARABOCCHIO CONTROLLATO".

Da diverse ricerche è emerso che la forma circolare sia la prediletta a questa età, perché è dovuta ad un movimento di base che egli compie facendo agire insieme la spalla, il braccio, il polso, la mano e le dita. Questo movimento infatti è stato ripreso anche nell'arte-terapia come esercizio di riscaldamento per aiutare il soggetto a mettersi in contatto con sé stesso.
 
La nota ricercatrice Kellogg, analizzando molti disegni dei bambini in contesti culturali diversi, sostiene che la forma circolare è universale e la definisce una sorta di "arte infantile auto-appresa". Queste figure sarebbero per lei come dei veri e propri "mandala", perché permetterebbero al bambino di raffigurare gli oggetti più svariati arricchendo la forma base con modifiche e appendici di vario tipo.
Intorno ai tre anni e mezzo, con l'arricchirsi dell'esperienza del bambino e del suo mondo interno rappresentativo, emergono timidamente i primi abbozzi della "FIGURA UMANA".
Inizialmente sarà una forma rotonda con due appendici inferiori, quindi la testa e le gambe. Gradualmente gli altri elementi compariranno: le braccia come due fili attaccati alla testa, poi ancora un altro cerchio per definire "la pancia" e infine dei segni per caratterizzare il viso. Questi ultimi saranno indistintamente posti dentro o fuori dal cerchio "viso" e solo diversi mesi dopo troveranno una collocazione esatta.

Il colore a questa età è utilizzato in modo assolutamente personale e soggettivo; il viso potrà perciò essere rosso, blu o di qualsiasi altro colore che piaccia al "piccolo artista": ciò che ha importanza per il bambino è il soddisfacimento del suo piacere.
Per tutto il periodo dell'egocentrismo egli disegnerà non curandosi dell'ordine e della logica delle cose, ma obbedirà alla propria sequenza interna, quindi ai propri affetti.

Facilmente in questo periodo si possono vedere oggetti con proporzioni "sbagliate" o con relazioni bizzarre, ma ciò indica l'importanza e l'interesse che sente il bambino per una determinata situazione o cosa o persona.
Il disegno ora è come una fotografia dell'investimento affettivo del bambino, del suo modo di vedere la realtà, la quale spesso non collima con la realtà oggettiva. Il disegno è come una finestra che permette al piccolo sia di guardarsi dentro sia di guardare fuori e comprenderne il significato.
In questa prospettiva si possono interpretare diversamente le omissioni, le dimenticanze, le ripetizioni e le esagerazioni che sempre accompagnano le produzioni dei bambini.
Da questa introduzione si può capire che il disegno è strettamente legato alla maturazione affettiva, intellettiva e sociale del bambino. Ad esempio se un bambino disegna a cinque anni ancora l'omino come un "girino" ciò deve destare particolare interesse perché potrebbe indicare o un ritardo nell'acquisizione dello schema corporeo e/o problematiche affettivo relazionali, quindi la produzione grafica svela a che stadio di sviluppo il bambino si trova.
Verso i sei anni, il bambino, uscendo un po' dal suo egocentrismo, inizia ad essere interessato anche al mondo naturale e quindi si esperimenta nel rappresentare il PAESAGGIO. Lo sforzo che egli deve compiere in questa tappa è quello di adattare ed elaborare dei nuovi segni adeguati alla sua rappresentazione. Come per la figura umana, anche per il paesaggio c'è inizialmente la ripetizione della stessa immagine per possederla in maniera certa, poi avviene il suo continuo arricchimento.

Le prime case dei bambini sono composte da un quadrato e un triangolo; verso i cinque - sei anni compaiono le finestre con le tende, con le maniglie…c'è quindi la ricerca del dettaglio e l'interesse ad abbellire l'immagine stessa. Anche l'uso del colore diventa regolato da un esame della realtà maggiormente attinente, ma comunque ancora permane una certa soggettività.
In questa fase quasi tutti i bambini riescono a colorare dentro ad una forma; ormai hanno chiaro il concetto della linea come elemento che definisce lo spazio e quindi stabilisce il dentro e il fuori.
Con l'assimilazione di queste abilità c'è anche il rinforzarsi della relazione tra il colore e l'oggetto, una rappresentazione dello spazio che svela i nuovi rapporti di consapevolezza circa l'ambiente che lo circonda, ed inoltre il bambino non disegna più solo dal suo punto di vista ma considera la relazione logica fra gli oggetti. Il bambino ora riesce anche a disporre le immagini di un disegno secondo un ordine temporale e a poter verbalizzare l'effetto causale.
Nei disegni dei bambini compare anche la linea di terra; ci sono rispetto a questo elemento diverse ipotesi. Secondo V. Lowenfeld e W. Brittain la linea di base non può derivare da esperienze visive del fanciullo, in quanto né gli oggetti né le persone che si trovano su di un terreno poggiano in realtà sopra un'unica linea.
Si tratta invece di un fenomeno naturale che fa parte dello sviluppo del fanciullo. Invece M. Cesa Bianche e P. Bregani sostengono che l'introduzione della linea derivi da un'esperienza percettiva, anche se il bambino non la percepisce in modo esatto.
Ma a quest'età il bambino introduce anche un'altra linea, quella del cielo, dopo la quale generalmente c'è il colore azzurro. Queste partizioni dello spazio, le quali possono apparire semplici, in realtà riproducono un'analisi ed un'elaborazione molto complessa che il bambino compie sulla realtà.
Fino ai nove anni questa abilità di osservare e riprodurre in modo quasi schematico diventa la caratteristica principale della FASE DELLA COMPLESSITA'. Il bambino diventa abile a raggruppare, categorizzare e ordinare secondo categorie logiche, e poi riesce a riflettere queste elaborazioni mentali nelle rappresentazioni grafiche con semplicità e spontaneità.
La figura umana ora è definita, e spesso ripetuta perché ormai assolutamente sperimentata, ma nello stesso tempo adattabile a esprimere nuovi contesti. Ad esempio, se un bambino vede un particolare personaggio in TV lo riesce a riprodurre partendo dallo schema base per poi integrarlo con altre forme o colori in modo da avvicinarlo al modello.
Il bambino manifesta in questi "adattamenti" la sua creatività, la sua possibilità di elaborare conoscenze possedute.  Anche il colore è ora usato secondo uno schema astratto e simbolico: il cielo azzurro, l'erba verde.., ma anche questo schema è personalizzato pur rimanendo ad esso fedele.
Nel fare l'erba verde ci sono diverse possibilità relative al materiale da usare, alle sfumature da effettuare, la forma del segno da presentare… quindi all'interno dello schema erba- verde il bambino mette in atto le sue presenze e abilità.
Anche l'espressione dell'azione è in questa fase centrale. Il bambino cerca di rendere il disegno dinamico e attivo, ed egli può rappresentare in un solo segno l'elemento che genera l'azione: è lo sguardo attento dell'altro che deve guardare l'immagine per coglierne la complessità che nasconde.
Dai nove anni in avanti si manifestano graduali cambiamenti che testimoniano i progressi nella maturazione percettiva ed intellettiva e la rinnovata sensibilità nel rappresentare l'esperienza. Scompaiono, infatti, gli schemi ripetitivi e si presentano modalità originali di rappresentazione, con una notevole quantità di dettagli. Anche nella fase precedente c'erano i dettagli, ma erano proposti sinteticamente e attraverso forme e linee geometriche; ora sono più realistiche e concrete.
Anche la capacità di osservare è di qualità migliore, quindi scompaiono le esagerazioni e le deformazioni con le quali in bambino esprimeva il suo vissuto, perché questo è manifestato o con l'inserimento di particolari o con la scelta stessa dell'immagine rappresentata. Il legame stretto oggetto - colore è meno rigido e vincolante, quindi c'è il tentativo di coglierne la particolarità e la specificità.
I rapporti tra le cose sono maggiormente proporzionati, la linea di base continua ad esserci ma con un significato diverso: diventa strada, pozzanghere, sabbia, dune… ciò per affermare che il bambino gradualmente supera lo schematismo dello stadio precedente.
Verso gli undici anni, si nota un ulteriore progresso nelle rappresentazioni: i particolari e le sfumature sono dominanti, c'è il riconoscimento degli effetti di chiaro - scuro, si esprime una certa prospettiva e la tridimensionalità, avviene la personalizzazione delle figure umane caratterizzandone l'espressione del viso e le caratteristiche sessuali, c'è la morbidezza delle linee per mostrare particolari oggetti e/o avvenimenti, e poi l'emergere dello spirito critico e quindi una risultante Immagine che tiene conto del mondo affettivo ed emotivo ormai evoluto del ragazzino.
Disegnare è sempre un atto di fiducia verso l'altro, è un modo per poter farsi conoscere anche negli aspetti e nelle zone più nascoste di noi stessi. I bambini lo fanno in modo naturale e inconsapevole, quindi le loro produzioni risultano limpide e ricche di messaggi. Per questi motivi ogni disegno è un dono che noi adulti riceviamo e che dobbiamo accogliere e guardare con amore e responsabilità.

 

LE TAPPE DELLO SVILUPPO DEL DISEGNO INFANTILE
Il disegno è certamente l’espressione più autentica e originale della personalità infantile; è un mezzo di comunicazione e, come il linguaggio, è capace di esprimere, oltre al livello di maturazione, anche i problemi, i sentimenti, le emozioni ed i conflitti del bambino.
I primi tentativi grafici dei bambini si collocano intorno ai 18-20 mesi: i segni della matita sul foglio, detti scarabocchi, sono essenzialmente il prodotto di colpi, a volte così energici da provocare dei buchi sul foglio. In effetti, a quest’età la carica energetica è grande, mentre il controllo motorio del bambino è ancora molto limitato.
Ad un certo punto il bambino scopre che c'è un rapporto tra i suoi movimenti e i segni ottenuti: questo di solito si verifica intorno ai 2 anni: a questo stadio il bambino varia i suoi movimenti e può fare a piacere linee verticali, orizzontali o circolari. L'intenzione di controllare il gesto è resa possibile solamente dalla maturazione motoria: la matita viene mossa con movimenti guidati dallo sguardo.
Verso i 3 anni il bambino comincia a dare un nome al suo scarabocchio, mostrando così di volergli attribuire dei significati: il bambino non scarabocchia più per il solo piacere del movimento ma per rappresentare sensazioni interne vissute intensamente. Per i bambini che vivono in un ambiente particolarmente stimolante, questa fase può avere inizio già a 2 anni e mezzo. Questo stadio è detto fase dello "scarabocchio a significato" per indicare che è presente un’intenzionalità rappresentativa.
E' solo verso la fine del terzo anno di vita che i bambini iniziano a disegnare figure che assomigliano ad abbozzi di casa e di sole: tendono a seguire il bordo del foglio e nel disegno compaiono croci, pseudo quadrati e configurazioni a sbarre.
A 4 anni gli scarabocchi acquistano organicità ed un significato comprensibile anche all'adulto. Emergono le prime schematiche figure umane; il bambino esce definitivamente dalla fase dello scarabocchio per entrare in quella figurativa. Dallo scarabocchio informe hanno origine sia il disegno che la scrittura; per disegnare, però, è richiesta inizialmente un’abilità motoria inferiore a quella necessaria per scrivere.
E’ a quest’età che il bambino comincia a raffigurare la persona. Della figura umana traccia pochi elementi schematici: un cerchio è la testa da cui partono dei raggi che sono le braccia e le gambe. E' il cosiddetto “omino cefalopode”, comune ai bambini di tutto il mondo. Ben presto all'interno del cerchio compaiono due grandi occhi; successivamente, compaiono la bocca e il naso. Il volto resta per lungo tempo la parte prevalente dell'omino, tant'è vero che se un bambino si rifiuta di disegnarlo si può pensare all’esistenza di qualche problema.
Tra i 4 e i 5 anni il bambino disegna il primo abbozzo di tronco e spesso ci mette l'ombelico.
A 5 anni l'omino è riconoscibilissimo: oltre agli occhi, al naso e alla bocca, c'è il tronco, da cui spuntano le braccia e le gambe. Per ultime compaiono le orecchie, spesso di dimensioni eccessive per il gusto della nuova scoperta. L'occhio acquista il suo contorno e nel centro porta il segno della pupilla. Il tronco si allunga e si allarga fino a diventare più ampio della testa; le gambe e le braccia sono bidimensionali e qualche volta appaiono cenni di vestiario: cappello, bottoni, pantaloni, ecc. L'omino è quasi sempre rappresentato in posizione verticale.
A 6 anni lo schema mentale che il bambino ha del proprio corpo è più completo: e infatti, l'omino si arricchisce del collo, di due mani al fondo delle braccia e l'altezza totale è circa 4 volte la larghezza.
Generalmente le bambine includono nei loro disegni un maggior numero di dettagli, riferiti sia alla persona che all'ambiente (per es., fiori, giocattoli e animali), e la linea che rappresenta la terra: questa ambientazione che trasforma l'omino anonimo in un personaggio è indice di maturità, e il fatto che le femmine la presentino in misura maggiore dei maschi è in relazione alla effettiva precocità delle bambine di questa età rispetto ai loro coetanei maschi. Dal disegno dell'omino possono emergere molte indicazioni sulla maturazione intellettiva del bambino.
Sempre intorno ai 6 anni, le persone amate vengono rappresentate con più cura e hanno dimensioni maggiori delle altre. Il rappresentare figure statiche o in movimento è una caratteristica che dà molte informazioni sulla personalità del bambino: chi disegna figure in movimento è generalmente un estroverso. Prima dei 5 anni l'idea dell'azione è resa dal raggruppamento di più elementi statici; verso i 6 anni il movimento è dato dalle braccia che si tendono rigidamente verso l'oggetto o la persona da raggiungere. Dopo i 6 anni, un modo molto diffuso di rappresentare il movimento del personaggio è quello di disegnarlo di profilo.
Inizialmente il bambino non copia la realtà ma la rappresenta, riportando quello che per lui ha più importanza e significato. Se per lui sono importanti, sia l'interno che l'esterno della casa, li disegna entrambi: così si ha l’effetto trasparenza. Le persone sono visibili attraverso i muri e le gambe attraverso i pantaloni, perché il bambino sa cosa c'è al di là del muro o dietro i vestiti. Se, per esempio, il bambino ha imparato da poco che le piante hanno le radici, le disegna visibili anche se normalmente non lo sono. E' verso i 9 anni che questa fase ha generalmente termine; un ritardo cospicuo (anni) nel superamento di questa fase, è caratteristico dei bambini con problemi intellettivi. Tuttavia l'età in cui scompare la trasparenza, varia non soltanto in rapporto al livello mentale, ma anche all'ambiente e agli insegnamenti degli adulti.  
Anche la proporzione viene acquisita col tempo, così come la prospettiva: man mano che il bambino cresce la razionalità prende il sopravvento e i rapporti tra le parti diventano più realistici anche se per i temi più sentiti permangono certe sproporzioni. Se, infatti, un bambino disegna tutti gli oggetti e le persone sempre nelle loro esatte proporzioni, senza mai dare risalto a nulla in particolare, significa che la sua partecipazione emotiva a ciò che rappresenta è scarsa.
La parte valorizzata può differenziarsi non solo per le dimensioni, ma anche per la sua collocazione spaziale, che è quasi sempre centrale.
Più il bambino è piccolo e più le dimensioni globali dei disegni sono grandi; man mano che cresce, e il controllo dei movimenti aumenta, le dimensioni del disegno diminuiscono ed esso acquista compattezza.
Non vi è nessuna correlazione tra dimensioni del disegno e intelligenza.  
L'attività grafica, oltre ad essere uno dei mezzi che il bambino possiede per analizzare, descrivere e narrare gli avvenimenti e le cose, è anche uno strumento d'espressione della propria vita emotiva.
In generale, la forza e l'intensità del tratto grafico, sono indicativi sia dell'energia del soggetto che dello stato emotivo al momento dell'esecuzione del disegno: una configurazione a tratti dispersi ad esempio, è tipica dei disegni dei bambini meno maturi o che vivono stati di tensione più frequentemente degli altri bambini. I soggetti poco evoluti producono tracciati corti e miseri; i più maturi variano nell'uso del tracciato pur conservando un buon equilibrio tra le parti.
La scelta del colore ha un significato psicologico incontestabile. Esiste, infatti, dal punto di vista evolutivo, un parallelismo tra enfasi del colore ed emotività, per cui i più piccoli (3-6 anni) sono anche quelli che essendo più impulsivi hanno per il colore un forte interesse che precede, in ordine di tempo, l'interesse per la forma. L'interesse per il colore diminuisce man mano che quello per la forma aumenta. Le tonalità sono tanto più forti quanto più il bambino è piccolo, mentre con l'aumentare dell'età subentrano le sfumature, e i toni si fanno meno violenti, sia per l'effetto dell'insegnamento scolastico, che per lo sviluppo del ragionamento. Nella scuola materna, infatti, la maggioranza dei bambini preferisce colori intensi e caldi, mentre soltanto i bimbi più critici e molto controllati scelgono i colori più freddi e, in tale caso, si tratta spesso di bambini con problemi emotivi.
Fin verso i tre anni il bambino non si preoccupa che i colori dei suoi disegni corrispondano a quelli degli oggetti reali: la sua gioia nel maneggiare il colore è tale, che spesso il loro uso è fine a sé stesso. Nel periodo dello scarabocchio, i colori, oltre a divertire il bambino, possono svolgere una funzione di stimolo all'esplorazione e all'attività. Il primo interesse per il colore inizia con i primi tentativi di rappresentazione. In questa fase, che dura fino ai 7-8 anni, il bambino fa uso del colore sotto la spinta delle emozioni e perciò spesso i colori non hanno alcuna attinenza con le tinte degli oggetti reali. Successivamente, il bambino comincia man mano a cogliere le relazioni tra i colori e gli oggetti.
Sono tre i temi dei disegni importanti dal punto di vista della rappresentazione del mondo interiore del bambino: il disegno libero, l'autoritratto e il disegno della famiglia.
Il disegno libero si rivela interessante perché, disegnando, il bambino tende ad esplicitare i propri conflitti e le proprie ansie.
Attraverso l'autoritratto in genere il bambino riproduce con discreta fedeltà la percezione che ha di sé ed il livello di adattamento all’ambiente circostante.  
Attraverso il disegno della famiglia, invece, fornisce elementi interessanti sul rapporto genitori-figli e su come questo si modifica con il progredire dell'età.
Nel disegno libero il bambino rappresenta volentieri ciò che ama e ciò che teme, ciò che lo interessa, ciò cui aspira.
La casa è uno dei temi più rappresentati: essa simboleggia il rifugio, il calore familiare. Può essere accogliente, con un viale fiorito, grandi aperture verso l'esterno, tendine colorate alle finestre, un camino che fuma, tutto insomma che indica che la casa è abitata e che la vita all'interno si svolge serenamente. Ma la casa può anche essere respingente, senza colori, con finestre minuscole, senza il comignolo, senza entrata e con un viottolo di accesso chiuso. Possono anche esserci siepi, muri di cinta che la isolano dal resto del mondo. La casa respingente ha significati diversi a seconda dell'età: tra i 5 e gli 8 anni, indica timidezza e attaccamento alla madre. Dopo gli 8 anni sentimento di inferiorità e isolamento.
Quando la famiglia è disunita, la casa è divisa in due, spesso ha anche due diverse entrate: una parte della casa simboleggia la vita familiare imposta, l'altra la famiglia vera. Quando invece di avere la solita forma la casa è un castello, può esser o il rifugio ideale se ha forme e colori attraenti, oppure la prigione, oppressiva, quando ha un aspetto cupo e cadente.
Anche il sole compare spessissimo nei disegni infantili: per alcuni studiosi il sole è il simbolo del padre ideale. Quando i rapporti tra padre e figlio sono buoni, questa immagine brilla nella sua interezza, se i rapporti non sono buoni, il sole scompare dietro ad una montagna, oppure ne compare una pallida fetta all'orizzonte.
L'inserimento di uno o più animali in un disegno può avvenire per motivi diversi; può darsi che il bambino viva a contatto con animali (es. campagna), ma se nella realtà l'animale non esiste e tuttavia nel disegno gli viene dato grande risalto, può essere che il bambino, non osando raffigurare sé stesso in una situazione che lo colpevolizzerebbe, preferisca proiettare i propri sentimenti, atteggiamenti e desideri sull'animale e far svolgere a lui la parte che egli non ha il coraggio di fare. Un bambino, per esempio, può esprimere più o meno inconsciamente, la sua aggressività verso il fratellino più piccolo, e contemporaneamente il senso di colpa che ne deriva disegnando un lupo che minaccia il piccolo nella culla, mentre i familiari accorrono per ammazzare il lupo.
L’autoritratto che il bambino disegna esprime la percezione che egli ha del suo corpo e dei suoi desideri. Se un omino è armonioso nel suo insieme, ci sono delle buone possibilità che il bambino in questione sia ben adattato. Al contrario, se l'omino è di dimensioni molto ridotte e nel foglio è situato in basso o in un angolo, ciò può significare che il bambino sottovaluta sé stesso e si sente inferiore agli altri. Anche l'assenza di mani e di braccia può essere sintomo di sottovalutazione e d’insicurezza. Il bambino che ha una stima smisurata di sé, disegna l'omino di proporzioni enormi. Il semplice disegno di un omino quindi, inserito o meno in un contesto, può fornire interessanti indicazioni sulla personalità del bambino. Si possono trarre informazioni sull'immagine che il bambino ha del proprio corpo in base alla presenza di certi dettagli e al modo in cui le varie parti del corpo sono sviluppate o tralasciate: se il bambino ha un’imperfezione fisica, questa è spesso raffigurata ed enfatizzata, ad esempio il sordo curerà la parte del disegno riguardante l'orecchio, il poliomielitico l'arto colpito e così via. Un comportamento sintomatico, ma opposto, può essere il tralasciare in maniera clamorosa proprio la parte colpita.
Un'estensione dell’autoritratto può essere considerata la rappresentazione del gruppo dei coetanei. Infatti, disegnando un gruppo di bambini il soggetto finisce per proiettare la sua posizione reale nel gruppo (leader, gregario, isolato) e i suoi rapporti con gli altri bambini. E' molto differente se il bambino disegna sé stesso al centro di un girotondo o come uno dei tanti che fanno parte del cerchio. I disadattati si pongono ai margini del gruppo o addirittura si rappresentano completamente soli.
Ogni bambino ha un suo particolare modo di vivere i rapporti con gli altri membri della famiglia, che dipende oltre che dal suo temperamento, anche dal sesso e dalla posizione che occupa nella gerarchia familiare. Dalla rete di rapporti che si stabiliscono tra familiari, ciascuno non può che vedere quegli aspetti e quelle modalità che dalla sua posizione gli è dato di vedere.
I componenti di una famiglia affiatata sono generalmente rappresentati mentre svolgono insieme un'attività comune o si tengono per mano. Il bambino disegna sé stesso vicino al personaggio con cui si sente più a suo agio o che ama di più. Se al contrario un bambino pensa per esempio che la sorella sia più amata dai genitori, disegna la bambina in mezzo alla coppia e colloca sé stesso in un'altra parte del foglio lontano dal gruppo. Quando un bambino si sente completamente isolato dagli altri membri della famiglia, li separa in vario modo: collocandoli ognuno in una stanza diversa, separandoli con linee verticali o orizzontali, o altri elementi come alberi, steccati, ecc.
Il personaggio valorizzato è spesso il primo ad essere disegnato, perché è il primo a cui il bambino pensa e su cui concentra la sua attenzione. Le dimensioni del personaggio principale sono quasi sempre superiori a quelle degli altri; è anche il più curato nei dettagli, ha più accessori di prestigio come la pipa, la borsetta, la collana ecc. Può essere di profilo o in movimento, mentre gli altri sono di fronte e statici.
Quando uno dei fratelli non è rappresentato, si può dedurre che l'autore del disegno si augura, consciamente o inconsciamente, che non faccia parte della famiglia. Quando un personaggio è svalutato è disegnato per ultimo, più piccolo oppure fuori dal gruppo, in posizione statica e con un numero limitato di dettagli. Un altro modo per svalutare un personaggio è quello di cancellarlo dopo averlo disegnato. La cancellatura è anche indice di conflitto. Ci può anche essere un personaggio aggiunto: in questo il bambino realizza a livello immaginario quelle aspirazioni che lui stesso non riesce, o non osa realizzare. A volte è un adulto che compie qualche importante impresa, altre volte è un neonato in braccio alla madre. Il personaggio aggiunto può anche essere un animale.

 

 

Fonte: http://sfp.uniroma3.it/files/64445447-0f9a-489a-845b-1c13675727e3.doc

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