Bambini con disabilità visiva

Bambini con disabilità visiva

 

 

 

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Bambini con disabilità visiva

 

Che cos’è la minorazione visiva?

L’espressione minorazione visiva in generale si riferisce ad una serie di situazioni di vario genere, in cui la capacità visiva non può essere corretta e ricondotta a ciò che viene considerato “la norma”.
In questo volume tale espressione viene usata per indicare una perdita di capacità visiva che rende difficile, oppure impossibile, effettuare i compiti connessi con la vita quotidiana, senza fare ricorso ad adattamenti speciali; spesso tale minorazione visiva è dovuta alla perdita di acuità visiva.
Ciò significa che l’occhio non è in grado di vedere gli oggetti con la chiarezza consueta – ossia non è in grado di identificare i dettagli; la minorazione visiva, nelle sue varie forme può essere dovuta anche ad una perdita del campo visivo – la superficie totale che può essere percepita visivamente, senza bisogno di fare dei movimenti, con gli occhi o con la testa. Un bambino con una perdita di campo visivo può avere o meno la capacità di vedere degli oggetti chiaramente, all’interno del suo campo visivo, per quanto ridotto. [il che significa che non esiste una relazione fra l’ampiezza del campo visivo e l’acuità visiva].
Vi possono essere tre cause che danno luogo ad una minorazione della vista: in primo luogo essa può essere dovuta ad un danno che interessa una o più parti dell’occhio essenziali per la visione; tale danno può interferire con il modo in cui l’occhio riceve ed elabora le informazioni visive. In secondo luogo può darsi che le dimensioni del bulbo oculare non abbiano le giuste proporzioni (che differiscano dalla norma), rendendo così più difficile la messa a fuoco degli oggetti. In terzo luogo può darsi che la regione cerebrale deputata all’elaborazione dell’informazione visiva non funzioni correttamente; può essere quindi che l’occhio sia perfettamente normale ma che il cervello non sia in grado di analizzare e di interpretare l’informazione visiva, mettendo il bambino in condizione di vedere.
La minorazione visiva può essere presente al momento della nascita, oppure può sopravvenire durante l’infanzia o la fanciullezza; vi sono poi vari tipi di minorazione visiva, alcuni dei quali fanno registrare un peggioramento della situazione nel corso degli anni mentre in altri casi la situazione è relativamente stabile ; in altri casi ancora, meno numerosi, si assiste ad un certo miglioramento. Alcuni bambini hanno una “vista fluttuante” – il che significa che la loro capacità visiva varia nel corso della giornata.
Può darsi che due bambini con la medesima forma di minorazione visiva, abbiano in realtà una capacità visiva molto diversa fra loro: l’uno può avere una lieve perdita di capacità visiva mentre nell’altro questa è maggiore (…) dovete tenere sempre presente comunque che ogni bambino è un caso a sé. La vista di vostro figlio può essere molto diversa da quella di un altro bambino con lo stesso  quadro clinico, il vostro oculista o il vostro optometrista saranno i migliori punti di riferimento per informarvi sulla natura e sulle entità della minorazione visiva che ha vostro figlio.

Come si misura la vista

Per comprendere come avviene la diagnosi della minorazione visiva dovete prima capire come viene misurata la vista; quasi tutti noi, in un qualche momento della vita, abbiamo fatto un controllo della vista, ma che vuol dire realmente quando ci dicono che la nostra vista è di 20/20 ( o che ci manca qualcosa?)? [20/20 è l’equivalente dell’espressione italiana 10/10]
La misurazione dell’acuità visiva.
L’espressione “visus di 20/20” rappresenta una misurazione di quanto bene un soggetto è capace di leggere una scheda contenente determinate lettere e/o numeri, di diverse grandezze; la scheda più usata comunemente dagli oculisti riporta una grande E in alto e viene talvolta chiamata la scheda “E” anche se la sua denominazione ufficiale è “scheda di Snellen”. L’acuità visiva (ossia quanto chiaramente vede un soggetto) è determinata dalle dimensioni delle lettere che si riescono a leggere e dalla distanza da cui si effettua la lettura; generalmente il paziente si pone ad una distanza di 20 piedi (circa 6 metri), perché da questa distanza il nostro occhio è rilassato, la lente che si trova nell’occhio è nella sua posizione naturale e non c’è bisogno di movimenti particolari per la messa a fuoco ( o accomodamento).
Un soggetto con visus normale è in grado di leggere chiaramente delle lettere o dei numeri delle dimensioni di 3/8 di pollice (circa 0,95 cm) ad una distanza di 20 piedi; in questo caso si dice che questo soggetto ha una vista di 20/20 perché a 20 piedi di distanza dalla scheda riesce a leggere ciò che una persona normovedente vede a 20 piedi. Quando l’acuità visiva di un soggetto è inferiore alla norma il secondo (quello dopo la /) sarà maggiore del primo. Se si dice che uno ha una vista di 20/80, per esempio, questo vuol dire che quel soggetto, a 20 piedi di distanza, vede quello che un altro con vista normale vede a 80 piedi. Se diciamo che un soggetto ha una acuità visiva di 20/600, vuol dire che egli vede a 20 piedi quello che una persona con vista normale vede a 600 piedi di distanza. Quando in un soggetto l’acuità visiva è superiore alla norma, il secondo numero sarà inferiore a 20; per esempio, se diciamo che qualcuno ha una acuità visiva di 20/15, vuol dire che egli vede a 20 piedi di distanza ciò che una persona normale riesce a vedere solo da 15 piedi. (per convertire la notazione Snellen, utilizzata negli Stati Uniti, in notazione metrica, occorre dividere sia il numeratore che il denominatore per 3,25; per esempio 20/200 equivale a 6/60 espresso in notazione metrica).
Notate l’uso dell’espressione normovedente: non esiste infatti la vista “perfetta”, un visus di 20/20 sta solo ad indicare che un soggetto, seduto sulla sedia dell’ambulatorio oculistico, è riuscito a leggere determinate lettere dell’ottotipo; tale misurazione comunque non ci dice nulla sul modo in cui il soggetto utilizza le informazioni che via via arrivano agli occhi.
Naturalmente l’ottotipo di Snellen per la misurazione dell’acuità visiva viene utilizzato soltanto se il soggetto è in grado di leggere lettere e numeri, mentre nel caso di bambini molto piccoli, oppure quando il paziente non è in grado di leggere, vi sono altri modi per misurare il visus, tra cui il più usato è un test, conosciuto come flash di Lighthouse per Bambini. Questo test è analogo all’ottotipo di Snellen , salvo che, in luogo delle lettere e dei numeri, abbiamo delle figure a linee moltomarcate: un cerchio e una mela, una casa ed un quadrato; tali forme sono riconoscibili anche da bambini in età prescolare per cui è possibile effettuare una misurazione dell’acuità visiva anche in età molto precoce.
Un’altra maniera per misurare l’acuità visiva, sia pure approssimativamente, consiste nell’utilizzare dei giocattoli oppure gli oggetti più comuni di varie dimensioni, cercando di valutare la capacità del bambino di vederli da distanze diverse. Nel caso in cui il bambino porti gli occhiali, la misurazione del visus viene effettuata sia con gli occhiali che senza.
E’ difficile, e talvolta impossibile, stabilire con precisione l’acuità visiva, nel caso di bambini con difficoltà di comunicazione; uno dei possibili modi per misurarla, sia pure con approssimazione, consiste nella tecnica dello sguardo preferenziale. Il medico mostra al bambino due schede simultaneamente, di cui una presenta delle strisce bianche e nere, mentre l’altra presenta una zona grigia molto estesa; il medico osserva se il bambino fissa (mette a fuoco) la scheda a strisce, presumendo che sia quella di maggiore interesse per il bambino; successivamente il medico presenta altre schede, a strisce sempre più vicine tra loro e sempre più strette, fino a quando il bambino cessa di mettere a fuoco. In questo modo è possibile una prima approssimata misurazione del visus, in attesa di poterne effettuare una più accurata.
L’oculista si preoccuperà di misurare l’acuità visiva per entrambi gli occhi con misurazioni singole e combinate; vi sono casi in cui un occhio ha un visus di 20/20, l’altro ha un visus di 20/40 e tuttavia il visus risultante è di 20/20; l’oculista che misura il visus di vostro figlio quindi vi dirà prima quanto vede dall’occhio destro e dall’occhio sinistro e poi vi dirà qual è il suo visus complessivo.
La misurazione del campo visivo.
L'oculista può misurare anche il campo visivo del bambino; questo lo aiuterà a stabilire qual è la porzione di spazio circostante che vostro figlio riesce a vedere senza muovere gli occhi e la testa; il campo visivo viene espresso in gradi. Nei soggetti "normali" il campo visivo dei due occhi è limitato dai lineamenti del viso, come il naso e le arcate sopraccigliari, ma in generale esso si estende su un arco di 160-170 gradi sul piano orizzontale.
L'oculista può misurare anche il campo visivo del bambino; questo lo aiuterà a stabilire qual è la porzione di spazio circostan­te che vostro figlio riesce a vedere senza muovere gli occhi e la testa; il campo visivo viene espresso in gradi. Nei soggetti "nor­mali" il campo visivo dei due occhi è limitato dai lineamenti del viso, come il naso e le arcate sopraccigliari, ma in generale esso si estende su un arco di 160-170 gradi sul piano orizzontale.
L'esame del campo visivo può presentare qualche difficoltà in alcuni casi, in quanto, per ottenere una certa precisione nei risul­tati il bambino deve mantenere il capo perfettamente fermo, in posizione eretta, e deve fissare lo sguardo per un certo tempo verso un punto posto di fronte a lui; e, come è facile immagina­re, raramente un bambino molto piccolo ci riesce! Può darsi allo­ra che l'oculista vi chieda di collaborare, con risultati magari meno precisi, ma certo più sicuri. Si tratta di prendere in braccio il bambino e sedersi su una sedia o sul pavimento, esattamente di fronte al medico; lui tiene in mano un giocattolo che possa desta­re l'interesse del piccolo; mentre voi prendete un altro giocattolo, o un oggetto, o anche una lampadina tascabile, e la fate muo­vere lentamente da dietro verso avanti. Osservando gli occhi del bambino, l'oculista sarà in grado di stabilire il momento in cui il suo sguardo viene attratto da qualcosa di nuovo che entra nel campo visivo; ripeterete lo stesso procedimento varie volte, por­tando il giocattolo nel campo visivo da vari punti, dall'alto o da un lato, o dal basso.
Se partecipate alla valutazione, vi potrete rendere conto meglio di come il bambino sposti lo sguardo nelle normali attività quoti­diane, e di come egli faccia uso della visione periferica; per esem­pio, mentre è a tavola per il pranzo, in cucina, il suo sguardo viene attratto dal gatto che passa; questo è un esempio di come egli mostri di percepire un movimento che ha luogo fuori dal suo campo visivo.
Allorché vostro figlio sarà più grande e riuscirà a restare immo­bile per un tempo più lungo, l'oculista probabilmente riterrà opportuno effettuare una valutazione più sofisticata del suo campo visivo, ma, fino a quel momento, sono le valutazioni infor­mali che forniscono notizie utili.
Talvolta gli oculisti usano delle abbreviazioni per descrivere un determinato difetto visivo; non abbiate tintore a chiedere chiari­menti, quando l'oculista usa dei termini che non comprendete; dopo tutto lo specialista che lavora con voi dovrebbe essere dispo­nibile a fornire ogni genere di spiegazione. D'altro canto, fategli capire tranquillamente se avete compreso quel che vi dice, e rassi­curatelo sul fatto che può fornirvi informazioni più complicate; spetta a voi il compito di determinare il tono, la lunghezza d'onda, nell'interazione con lo specialista. Rimandiamo al capitolo 2 per approfondire la tematica dei rapporti con gli specialisti dell'appa­rato visivo.

Gradi di perdita della capacità visiva
Dopo la misurazione dell'acuità visiva e del campo visivo, l'o­culista o l'optometrista saranno in grado di dirvi: 1) se vostro figlio è affetto da minorazione visiva, e, eventualmente, 2) qual è il suo grado di gravità.
Se il bambino è affetto da minorazione visiva, vedrete che vi sono alcune classificazioni, per descrivere, da un punto di vista quantitativo, la risorsa visiva di cui egli dispone. Dobbiamo far notare a questo proposito che vi è stato un dibattito ampio ed approfondito sulle definizioni e sulla terminologia da usare, in pre­senza di soggetti affetti da minorazione visiva. Tale dibattito peral­tro è tuttora in corso, in relazione alla necessità o al desiderio di usare una terminologia tale da rispecchiare con precisione lo stato dell'abilità visiva dell'individuo, certo, ma anche per la persisten­za di una sensibilità polarizzata in senso negativo, nei confronti dell'uso di alcuni termini, quali "cieco", e "cecità"; in effetti, sto­ricamente, la parola "cieco" ha una connotazione del tutto negati­va nella nostra cultura. Nessuno certo, ai bordi del campo di base­ball, prende come un complimento al giudice di gara per la sua maestria il grido di invettiva "arbitro cecato". Analogamente, se diciamo che uno "segue ciecamente la massa", vogliamo dire che questa persona non brilla né per capacità di pensiero critico, né per capacità di giudizio autonomo. In realtà tuttavia la parola "cieco", è il termine più appropriato per descrivere una perdita di capacità visiva, e non implica alcun giudizio di merito sul valore o sulle abilità della persona. Non insisteremo mai abbastanza sul fatto che la parola "cieco" non comporta alcuna vergogna.
Detto ciò comunque, occorre aggiungere che, per descrivere con precisione i vari gradi di perdita di capacità visiva, si può far ricorso ad alcuni termini più specifici; per esempio, quando si parla di "ipovedenti", o "subvedenti", ci si riferisce a persone che sono in grado di leggere testi a stampa (in caratteri di dimensio­ni normali, oppure a lettere grandiY. Sentirete par di "ciechi ai sensi di legge" [o ciechi legalmente riconosciuti].
Vi sono poi casi di bambini nei quali è del tutto i ]possibile effettuare la misurazione dell'acuità visiva per mezzo dell'ottotipo; l'oculista allora può far ricorso a metodi alternativi, sempre fina­lizzati a provare la vista. Riportiamo qui di seguito alcuni tra i ter­mini usati più comunemente:

Conta le dita. (o c.f.) [c.f. è la sigla inglese corrispondente a questa espressione] a ---/--- piedi (o pollici) Questo significa semplicemente che l'oculista mostra le dita e chiede al bambino di contarle (o, per quelli molto piccoli, di indicarle o di toccarle), registrando la distanza a cui si pone il bambino.

Movimento della mano (h.m.) [sigla inglese corrisponden­te; in italiano si dice anche "motu manu"] a ---/--- piedi (o pollici)
Questa misurazione sta ad indicare la distanza da cui il bam­bino riesce a distinguere il movimento della mano posta di fronte agli occhi.

Proiezione della luce
Questa espressione si riferisce alla capacità di distinguere la provenienza della luce, e può essere misurata chiedendo al bambino di indicare la direzione da cui proviene la luce (la finestra, o la porta aperta).

Percezione della luce
Questa espressione si riferisce alla capacità di distinguere la presenza o l'assenza di luce (ossia se la luce è accesa o spen­ta), senza peraltro distinguerne la provenienza

Come vedete quindi, sono molti i termini per descrivere le varie abilità visive, ed è raro il caso di un bambino che sia totalmente cieco, salvo quando abbiamo a che fare con l'enucleazione dei bulbi oculari (asportazione), avvenuta per una qualche ragione. Se nel bambino è presente un certo livello di capacità visiva, questa può venire utilizzata per compiti molto importanti, quali l'orienta­mento e la mobilità, e per le attività di vita quotidiana.
E' difficile comprendere cosa significa realmente "cecità totale"; la spiegazione più acuta mi è capitato di sentirla da una persona adulta, che aveva subito una perdita totale di capacità visiva da un occhio, a causa della resecazione del nervo ottico; in parole pove­re, il nervo che trasporta gli impulsi dall'occhio al cervello era stato completamente tagliato, per cui è cessato il flusso di informazioni da quell'occhio al cervello. Ad uno che insistentemente gli chiede­va "Cosa vedi con quell'occhio? Ma che si vede, tutto buio?" Egli ebbe a rispondere: "Vedi, con questo occhio io vedo esattamente quello che tu vedi col naso: cioè niente". Ecco un modo diverten­te per esprimere un concetto estremamente difficile.

La funzionalità visiva
Accade talvolta che due bambini, pur avendo la stessa acuità visiva, non hanno poi la medesima abilità di usare la vista nello svolgimento delle attività quotidiane. Possiamo avere ad esempio un bambino di 6 anni con un visus di 20/400, che sa andare da solo fino alla fermata dell'autobus in fondo alla strada ed un altro, con lo stesso visus, che non ci riesce. Un ragazzo di 12 anni con un visus di 20/600 magari è in grado di leggere le cartine nel suo testo di scienze sociali, mentre un altro allievo con lo stesso visus deve fare i salti mortali. Per aiutare genitori e gli adulti che interagiscono con il bambino a capire come egli usa la vista per essere all'altezza della situazione, si dovrebbe fare una valutazione funzionale della sua capacità visiva; tale valutazione dovrebbe essere affidata ad un insegnante con una preparazione specifica nel settore della mino­razione visiva.
Vi sono vari tipi di valutazione della funzionalità visiva, ma in generale essa si basa sulle informazioni raccolte sistematicamente sul modo in cui il bambino utilizza la vista, osservandolo in vari contesti. La persona che conduce la valutazione dovrebbe osser­vare il bambino mentre svolge attività diverse, sia in ambienti chiu­si che all'aperto, in attività strutturate (ad esempio quelle previste dal programma della scuola materna), e in attività non strutturate (attività di gioco ad esempio, nei momenti in cui il bambino sta decidendo quale attività vuoi fare, o sta cercando la maniera per eseguire un certo compito). Dalla valutazione funzionale dovreb­bero emergere alcune informazioni quali:

  • A che livello il bambino utilizza gli occhi per scrutare l'ambiente, per localizzare un oggetto o una persona.

 

  • Qual è l'illuminazione più appropriata? Riesce a spostarsi facilmente da un ambiente illuminato ad un ambiente buio (e viceversa), senza difficoltà visive? Infatti, contrariamente a quanto si crede comunemente, non è detto che i bambini con problemi di vista abbiano bisogno di una maggiore illuminazione, o di una luce più forte; per quelli affetti da albinismo infatti spesso una luce troppo forte è fastidiosa.
  • A quale distanza il bambino riesce a distinguere gli oggetti, e di quali dimensioni?

 

  • Si stanca facilmente, se fa delle attività basate sull'uso della vista, quali ad esempio leggere, scrivere, colorare, guardare foto o illustrazioni?
  •  Quali meccanismi naturali di compensazione mette in atto quando si trova in difficoltà? Storce gli occhi? Avvicina w l'oggetto, inclina il capo?

 

  • Quali sono per il bambino le migliori posizioni? E' meglio cioè presentare gli oggetti, i giocattoli, il cibo, in maniera che g; si trovino alla  sua destra, oppure alla sua sinistra?
  • Cosa guarda di preferenza? Fonti di luce intensa, giocattoli colorati? Oggetti in bianco e nero?

 

  • Come utilizza la vista  per gli spostamenti? Riesce ad evitare oggetti grandi basandosi solo su informazioni visive, o deve toccarli?

 

Raccogliendo questo tipo di informazioni, lo specialista per la minorazione visiva è in grado di aiutarvi a strutturare un ambien­te senza pericoli per vostro figlio, che sia al tempo stesso sti­molante e visivamente interes­sante. Anche se la sua capacità visiva è molto ridotta, è sempre possibile insegnargli a muoversi nel suo ambiente correttamente e senza problemi.
Alcuni Stati richiedono una  certificazione da cui risulti una valutazione funzionale della capacità visiva, al fine di deter­minare il diritto ad usufruire di programmi speciali educativi, mentre in altri Stati essa non viene richiesta; ma anche nel caso in cui il vostro Stato non richieda una valutazione della funzionalità visiva, è importante tuttavia che l'in­segnante specializzato la rediga; ciò vi servirà ad avere idee più chiare su come organizzare meglio l'ambiente in cui vive il bambino; poi gli insegnanti, a loro volta, prenderanno conoscenza del grado di efficienza con cui il bambino utilizza la sua capacità visi­va, e saranno in grado di insegnare le strategie per utilizzarla con maggior efficienza; l'obiettivo infatti non è quello di migliorare l'a­cuità visiva, ma di incoraggiare il bambino a ottimizzare l'uso della vista.
Prima ancora di avere una valutazione della funzionalità visiva, sarete certamente in grado di identificare alcune situazioni nelle quali egli fa uso della vista per acquisire certe informazioni, e altre situazioni invece nelle quali egli si rende conto che è più utile ricor­rere agli altri sensi. E' importante a questo punto che voi comin­ciate a scambiare le informazioni su come vostro figlio utilizza la capacità visiva, con le persone che lavorano con lui; ad esempio, dite pure all'insegnante di Catechismo che vostro figlio riesce bene a vedere le figure colorate del libro, ma che magari non è in grado di colorare stando dentro le righe del quaderno, troppo sottili per lui; oppure avvertite la babysitter che, quando entra o esce dalla stanza, deve parlare, in modo che il bambino sappia sempre dove sia. Quanto maggiore sarà il tempo che dedicate a prendervi cura del bambino, a giocare con lui, ad osservarlo, tanto meglio riusci­rete a capire come egli usa la vista nelle attività quotidiane.

 

La vista fluttuante
Non tutti i bambini minorati della vista hanno una vista flut­tuante, ma è molto importante stabilire se il problema riguarda, anche vostro figlio. Vi sono diversi fattori che possono provocare una vista fluttuante, quali ad esempio: cambiamenti di illumina­zione, il grado di familiarità o di complessità di un determinato compito, la stanchezza; poi vi sono altri fattori legati ad alcuni aspetti clinici, che si aggiungono o si combinano con i precedenti. Se il bambino ha una vista fluttuante, vi renderete conto che egli è in grado di eseguire un determinato compito basato sulla vista più facilmente in certe ore che in certe altre; talvolta egli accusa un senso di frustrazione, oppure manifesta irritazione, o si strofina gli
occhi, o accusa mal di testa. Osservandolo con attenzione, a poco a poco riuscirete ad individuare quali sono i fattori che incidono sulla sua abilità ad usare la vista, e sarete sempre più in grado di aiutarlo a tenere sotto controllo questi fattori, in qualunque situa­zione egli venga a trovarsi: a casa, a scuola, in chiesa e così via.
Un semplice potenziometro, collegato alla luce di casa, può con­sentirvi di modificare l'illuminazione, in modo da venire incontro alle necessità del bambino, anche se esse variano nell'arco della gior­nata. Per alleviare la stanchezza, potrete invitare il bambino a ripo­sarsi qualche minuto ad occhi chiusi, tra un'attività e l'altra; analo­gamente potrà essere utile insegnargli ad aver pazienza quando passa dalla luce solare ad un ambiente più buio (o viceversa), aspettando il tempo necessario per consentire all'occhio di adattarsi alla nuova situazione. Talvolta il bambino riesce da solo ad adottare le oppor­tune strategie compensative, ma non è detto che sia sempre così; ed allora, ecco che, se voi gli insegnate questi semplici "trucchetti", lo aiutate proprio a sentirsi più a suo agio e ad ottenere risultati miglio­ri. Vi è poi un altro aspetto, ugualmente importante: infatti egli con­stata che gli adattamenti che fate per lui fanno parte della sua vita normale, e che sono totalmente accettati, anche se possono richiede­re un po' di tempo in più.

 

Anatomia dell'occhio: concetti fondamentali
Quando parlate con lo specialista che ha in cura vostro figlio, può capitare che questi faccia riferimento a varie parti dell'oc­chio, in relazione al disturbo del bambino. Naturalmente nessu­no pretende che il genitore abbia una conoscenza completa del­l'occhio dal punto di vista medico; tuttavia una certa dimesti­chezza con le parti dell'occhio ed il loro funzionamento risulta essenziale per capire la minorazione da cui è affetto il bambino.
L'occhio è di piccole dimensioni, ma ha una struttura molto complessa; le parti che esso contiene sono tra le più minuscole del nostro corpo, e il suo funzionamento non è ancora chiarito fino in fondo, anche se le acquisizioni scientifiche intorno alle singole parti e sul loro modo di funzionare hanno fatto notevo­li progressi da cent'anni a questa parte. In relazione al ruolo che hanno ai fini della visione, le parti dell'occhio si possono suddi­videre in 3 gruppi, conosciuti rispettivamente come il sistema ottico, il sistema nervoso, ed il sistema a cui fanno capo i movi­menti oculari. Nel paragrafo che segue spiegheremo come inte­ragiscono questi tre sistemi, per permetterci di vedere
Fate riferimento allo schema della pag. 29 via via che procediamo con la descrizione delle varie parti.

 

Il sistema ottico
Probabilmente avrete sentito parlare dell'occhio come di un organo recettore della luce; ciò significa che l'occhio riceve dei raggi luminosi, i quali vengono successivamente interpretati dal cervello; il sistema ottico è quella parte dell'occhio che riceve i raggi luminosi e li mette a fuoco, prima di inviarli al cervello; al sistema ottico appartengono le seguenti parti dell'occhio:
La cornea è quella cupola che si trova nella parte esterna del­l'occhio; per funzionare correttamente essa deve essere liscia, con una curvatura regolare, e deve essere trasparente, in maniera che la luce la possa attraversare; la cornea è l'unica parte dell'occhio che oggi può essere soggetta ad un trapianto.
La camera anteriore è lo spazio compreso tra la cornea e l'iri­de; essa è piena di un liquido chiamato amor acqueo.
L'iride è la parte colorata dell'occhio. La quantità di pigmento presente nell'iride può variare, ed è minima negli occhi chiari e blu, mentre ha la massima densità negli occhi scuri, castani. La funzione dell'iride è quella di regolare la quantità di luce che entra nell'occhio. Se l'iride è sana, ovvero normale, essa ha forma circo lare, e regola la dimensione della pupilla, la quale, a sua volta, ha l'aspetto di un punto nero, al centro dell'occhio, ma in realtà è un foro, creato dall'iride stessa, che ha la forma di una frittella a ciam­bellina. [L'immagine di una ciambellina fritta è più familiare al let­tori americani, ma un po' meno per noi]. Esso consente alla pupil­la di contrarsi o di espandersi (ossia di diventare più piccola o più grande), in modo da lasciar entrare nell'occhio la giusta quantità di luce.
Dietro l'iride si trova una lente, detta anche cristallino, che deve essere sempre trasparente, in modo che la luce la possa attra­versare; il cristallino cambia di forma, diventando più spesso o più sottile, in maniera da mettere a fuoco la luce dietro l'occhio. Questa capacità dell'occhio di mettere a fuoco viene definita adat­tamento. Nei bambini tale capacità raggiunge i massimi livelli per la lettura da vicino, o per le attività a distanza ravvicinata, ed è que­sto il motivo per cui alcuni bambini riescono a leggere da molto vicino senza stancarsi gli occhi. L'abilità di messa a fuoco dimi­nuisce con il crescere dell'età.
Nella parte posteriore dell'occhio si possono osservare tre stra­ti: lo strato più esterno, che ricopre la parte esterna dell'occhio, e che si chiama edera; esso è la parte bianca dell'occhio, e si esten­de dalla parte posteriore dell'occhio fino alla cornea; essa fa sì che l'occhio possa mantenere la sua forma. Il secondo strato si chiama coroide; è ricco di vasi sanguigni, che portano il nutrimento all'oc­chio. L'ultimo strato, quello più interno, è la retina; la retina è composta da milioni di cellule, le quali hanno la funzione di recet­tori di luce.
Il segnale che parte da questi recettori di luce viene poi tra­smesso al cervello, attraverso il nervo ottico.
Il sistema del nervo ottico

Come abbiamo appena spiegato, la retina è composta da milio­ni di recettori luminosi; essi sono di due tipi: i coni e i bastoncelli.I coni sono situati nella parte centrale della retina, detta macu­la, per cui spesso si parla di recettori centrali, o maculari; i coni ci  permettono di vedere i particolari degli oggetti e i colori; è grazie ai coni che riusciamo a vedere i dettagli quando leggiamo.
I bastoncelli servono principalmente per la visione periferica, ovvero per la visione "laterale"; per questo talvolta, per indicarli, si parla di recettori periferici. Essi sono anche preposti alla visione dei movimenti, e ci consentono di vedere in condizioni di minore illuminazione.
La natura e la gravità di diverse patologie oculari dipende da quale tipo di recettori retinici è interessato (danneggiato o non fun­zionale), e dall'entità del danno; purtroppo oggi non è ancora pos­sibile riparare i recettori retinici, o le fibre del nervo ottico, una volta che il danno si è verificato, oppure in caso di mancato fun­zionamento.
Il nervo ottico, che si compone di milioni di fibre nervose, tra­sporta il messaggio dai recettori luminosi alla regione cerebrale associata alla visione.

Il sistema che presiede ai movimenti oculari

 

Ne abbiamo uno per ciascuno dei due occhi, il quale si com­pone di sei muscoli collegati alla parte esterna dell'occhio; questi, chiamati muscoli extra-oculari, consentono all'occhio di puntare, di ricercare, di seguire, di. fissare, di convergere (i due occhi si incontrano) e di divergere; se questi muscoli sono bene allineati, i due occhi sono in grado di fondere le due immagini separate, dando luogo ad un'unica immagine tridimensionale; ciò consente di avere la percezione della profondità, (visione binoculare).

 

Come ha luogo la visione
ll processo della visione ha inizio nel momento in cui il sistema che sovraintende ai movimenti oculari dirige gli occhi in maniera da puntare e fissare un oggetto qualunque dell'ambiente. Il siste­ma ottico allora mette a fuoco l'immagine, come una macchina fotografica fissa l'immagine sulla pellicola. Dapprima quindi i raggi luminosi riflessi da un oggetto entrano nell'occhio attraverso la cornea, che è liscia, trasparente e curva; qui ha inizio il proces­so di incurvatura dei raggi luminosi, in maniera tale che essi vada­no a convergere correttamente dietro la retina. Poi i raggi lumino­si attraversano la pupilla e vanno a colpire il cristallino; i muscoli che si trovano nell'iride, intorno alla pupilla, si espandono e si con­traggono, in modo che vi sia la giusta quantità di luce. Il cristalli­no quindi aggiusta con maggior precisione i raggi luminosi, in modo tale che le immagini che essi vanno a formare, proprio sulla retina, siano immagini chiare. I raggi luminosi che colpiscono i recettori retinici vengono convertiti in impulsi nervosi, grazie ad una reazione fotochimica, quindi gli impulsi nervosi vengono tra­smessi al cervello attraverso il nervo ottico; infine il cervello "ela­bora" ed interpreta l'immagine proiettata sulla retina. Il nostro "vedere" non è altro che la percezione che noi abbiamo dell'im­magine interpretata.

 

Le cause dei difetti visivi
Come abbiamo visto, per vederci bene occorre il concorso di numerose parti dell'occhio e del cervello; per questo molti sono i fattori che possono dar luogo ad un cattivo funzionamento della vista.
Nel caso del bambino, vi possono essere varie cause che pro­vocano un danno, o un cattivo funzionamento di una o più parti del sistema visivo, ma possiamo dire che, in generale, vi sono tre ordini di fattori che possono dar luogo ad un difetto visivo; infat­ti possiamo avere:
1. difetti strutturali, ovvero un danno ad una o a più parti del­l'occhio;
2. vizi di rifrazione, ovvero una incapacità dell'occhio di mette­re a fuoco con precisione le immagini dietro la retina; oppure 3. un difetto visivo a livello corticale, dovuto ad un danno che interessa la parte del cervello che interpreta l'informazione visiva.
Nel paragrafo seguente descriveremo le situazioni più comuni dell'occhio, in relazione ai tre ordini di fattori suaccennati. Si trat­ta di una descrizione abbastanza sommaria, quindi, per informa­zioni più particolareggiate sulla situazione di vostro figlio, sarà opportuno rivolgersi al medico di famiglia, oppure consultare uno degli elenchi di letture consigliate, riportati nel retro del volume.

Difetti strutturali

 

Se un bambino ha un difetto strutturale, significa che una o più parti di uno dei sistemi (ottico, motorio, nervo ottico), o è poco sviluppata, o è danneggiata, oppure ha un cattivo funzionamento. I difetti strutturali possono verificarsi prima della nascita o suc­cessivamente; nel primo caso ciò può essere dovuto a fattori ere­ditari, o a qualche evento che può avere interrotto il normale pro­cesso di sviluppo del sistema visivo. Nel secondo caso invece il danno strutturale può essere dovuto ad un fatto traumatico a cari­co dell'occhio, ad una malattia, a fattori ereditari, o ad altre cause. Indipendentemente dal momento in cui si è verificato il danno, la cosa più importante è identificare il difetto visivo il più presto pos­sibile, e adottare subito tutte le misure possibili per ridurre al minimo le conseguenze sullo sviluppo e sull'apprendimento del bambino.

La cataratta

 

La cataratta è un offuscamento del cristallino; siccome la luce non può più passare normalmente attraverso la cataratta, la visio­ne risulta oscurata.
L'effetto che ne deriva può andare da un disturbo visivo tra­scurabile, ad una grave perdita della capacità visiva, e, nei casi gravi, il bambino riesce soltanto a distinguere la luce dal buio. Abbiamo alcuni tipi di cataratta che peggiorano progressivamen­te, mentre in altri casi la situazione rimane invariata per tutta la vita. La cataratta si può presentare in un solo occhio (monolatera­le) oppure può interessarli entrambi (bilaterale), e può comparire fin dalla nascita.
La cataratta può variare sia per le dimensioni che per il grado di gravità, e poiché i primi mesi e i primi anni dell'infanzia costituiscono un periodo critico per tutti gli apprendimenti, acquista gran­de importanza la tempestività nella valutazione e nella diagnosi.
Le cause della cataratta infantile sono molteplici: essa infatti può essere dovuta a fattori ereditari, oppure ad un'infezione con­tratta dalla madre nel periodo della gravidanza. Inoltre la cataratk, ta può far parte di un quadro patologico più complesso, che inte­ressa varie parti del corpo; la sindrome di Marfay, la sindrome di Turner, la sindrome del graffio del gatto (cri du chat), la sindrome di Crouzon, la sindrome di Apert, la sindrome di Lowe, la sindrome di Down, l'osteogenesis imperfecta e l'artrite reumatoide giovanile, sono tutti esempi di situazioni associate alla cataratta.
La terapia risolutiva prevede la rimozione delle cataratte mediante un'operazione chirurgica; nel caso in cui la cataratta è talmente spessa da oscurare la visione, è necessario intervenire tempestivamente. Spesso è necessario che l'operazione abbia luogo entro il terzo mese, per consentire un corretto sviluppo della capacità visiva. Per i bambini l'operazione di cataratta viene effet­tuata sotto anestesia totale, con ricovero ospedaliero, oppure in struttura ambulatoriale, in relazione all'età ed allo stato di salute generale del bambino. Nel caso di bambini piccoli, è necessario trascorrere una notte in ospedale; raramente si richiede una degen­za più prolungata; in generale non è un'operazione dolorosa.
La rimozione del cristallino mediante un'operazione chirurgica dà luogo a ciò che i medici chiamano afachia (occhio privo di lente); l'occhio, privato di una lente, non è più in grado da solo di mettere a fuoco, perciò vostro figlio avrà bisogno o di lenti a contatto, o di un paio di occhiali, in modo da inviare alla retina un'immagine nitida. L'intervento chirurgico di cataratta in generale riesce bene per pazienti di ogni età; se l'occhio del bambino è un occhio sano, la sua capacità visiva potrà avere uno sviluppo nor­male dopo l'operazione; subito dopo l'intervento di solito i bambini diventano ipermetropi, ed hanno necessità di lenti fortemente correttive. La correzione si effettua con una lente a contatto, se è interessato un solo occhio, con due lenti o con un paio di occhia­li se il bambino è stato operato ad ambo gli occhi; il grado di ipermetropia spesso diminuisce con l'andar degli anni, di mano in mano che l'occhio cresce, fino ad assumere, nel periodo della pubertà, le dimensioni normali dell'adulto; di conseguenza il bambino avrà bisogno con una certa frequenza di cambiare le lenti cor­rettive; una volta che la crescita si è arrestata, potrà portare delle lenti artificiali (lenti intraoculari impiantate in modo permanente); il vostro medico curante peraltro potrà suggerire di impiantare queste lenti anche prima di questo momento.
Qualche volta i bambini che hanno sofferto di cataratta hanno difficoltà ad imparare ad usare la vista, da un occhio o da entram­bi gli occhi; in questo caso può darsi che il medico prescriva l'uso di una benda, come si dirà meglio nel prossimo paragrafo, a pro­posito dell'ambliopia. La strada che conduce ad uno sviluppo otti­male della capacità visiva, dopo un'operazione di cataratta, è lunga, e richiede controlli costanti e grande attenzione. Seguite scrupolosamente i consigli del medico, e prevedete delle visite periodiche, in modo da verificare i progressi del bambino nello sviluppo della capacità visiva.

Il  glaucoma

 

Il glaucoma si ha quando la pressione del liquido contenuto nella camera anteriore dell'occhio è troppo elevata. Se la situazio­ne non viene prontamente identificata e curata, l'eccessiva pres­sione può danneggiare il nervo ottico in maniera irreversibile; tale danno provocherà dapprima una perdita di visione periferica (laterale) e, ove il danno si prolunghi nel tempo, una perdita di visione centrale.
Se il glaucoma viene curato prima che il nervo venga danneg­giato in maniera grave, non è escluso che si verifichino dei difetti visivi permanenti; infatti, poiché la parete esterna dell'occhio è molto elastica nei bambini, un'alta pressione persistente provoca una dilatazione della parete stessa, e quindi una dilatazione del­l'occhio (soltanto in età infantile l'occhio aumenta di dimensioni a causa del glaucoma, e una volta dilatato, in genere esso rimane tale anche dopo l'intervento chirurgico). Il glaucoma ha come effetto forte miopia e astigmatismo (vedi oltre, il paragrafo sui "vizi di rifrazione"). Con il dilatarsi dell'occhio, anche la cornea può subi­re una dilatazione, il che può provocare un offuscamento ed una lesione. Il glaucoma non è doloroso nel caso dei bambini.
Per prevenire o per ridurre al minimo il danno all'occhio ed al nervo ottico, il medico cercherà di far sì che diminuisca la pres­sione all'interno dell'occhio, con dei colliri o con delle pasticche, ma in genere è necessario intervenire chirurgicamente. II chirurgo apre i «canali di drenaggio" che si trovano nella camera anteriore dell'occhio, per consentire al liquido di defluire più rapidamente; con questa operazione in genere si riesce molto bene a far dimi­nuire la pressione. Analogamente all'operazione di cataratta, anche quella di glaucoma viene eseguita in anestesia totale, in ambulatorio o in ospedale. Nel caso di glaucoma infantile, soltan­to il chirurgo è in grado di tenere sotto controllo la pressione, nel corso dell'intera esistenza; tuttavia è molto importante effettuare dei controlli periodici, e tenere sotto osservazione la pressione intraoculare.
L'entità della perdita di capacità visiva, conseguente al glauco­ma, può variare, da una riduzione praticamente zero, alla cecità totale; il grado di gravità dipende dal momento di insorgenza del glaucoma, dalla tempestività con cui è stato diagnosticato e cura­to, dalla reazione alla terapia, e dall'aumento che ha subito la pres­sione. Una volta che si riesce a tenere sotto controllo la pressione, il glaucoma in genere non provoca ulteriori danni. Spesso i bam­bini hanno bisogno di occhiali per migliorare la capacità visiva, che è stata compromessa dall'aumento di dimensioni degli occhi; in molti casi è necessario anche il ricorso alla benda, in relazione all'ambliopia, come vedremo in seguito.
Il glaucoma, come fatto ereditario isolato, si presenta in un caso su 10.000 circa, in età neonatale, o in età precoce; esso può com­parire in un quadro patologico più complesso, che riguarda gli occhi o altre parti del corpo; possiamo ricordare qui la sindrome di Sturge-Weber, l'aniridia, la sindrome di Lowe, la neurofibromatosi, la sindrome di Marfan, la sindrome di Stickler, la sindro­me di Rubinstein-Taybi, la trisomia 13, la mucopolisaccaridosi e la retinopatia da parto prematuro.

L'ambliopia

II termine ambliopia deriva da una parola greca, che sta a indi­care un "ottundimento della vista"; corrisponde a quel che comu­nemente si chiama "occhio pigro". Con questo termine ci riferia­mo a quel particolare difetto visivo che ha luogo quando il bambi­no sopprime l'immagine di uno dei due occhi. E' importante nota­re che l'ambliopia non equivale ad un occhio deviato, ma può esse­re la conseguenza di un occhio deviato.
In genere l'apparato visivo si sviluppa fino al nono anno di età, ma talvolta alcuni fattori interferiscono con il normale sviluppo della capacità visiva di uno o di entrambi gli occhi; ciò accade di solito: 1) quando l'acuità visiva è maggiore in un occhio che nel­l'altro (a causa di un vizio di rifrazione, o di cataratte, di lesione della cornea, della "pal bra infossata", o di tumore); 2) quando l'occhio è incrociato, o torto, per strabismo (vedi oltre). Per evi­tare la visione doppia ó offuscata, data dai due occhi, può darsi che il cervello del bambino ne selezioni uno in particolare, ed ignori l'immagine proveniente dall'altro, il che, con l'andar del tempo, può produrre una riduzione permanente della capacità visiva, a carico dell'occhio che non viene utilizzato; e tale riduzio­ne, a sua volta, può assumere diversi gradi, da lieve a grave, senza peraltro arrivare mai alla cecità totale.
Se l'ambliopia viene diagnosticata e curata prima che l'appara­to visivo abbia raggiunto un livello maturo di sviluppo, (il che avviene a nove anni di età circa), la perdita di capacità visiva può essere reversibile; infatti, così come l'occhio può diventare un "occhio pigro", in caso di soppressione dell'immagine, oppure nel caso in cui l'immagine non è messa bene a fuoco, allo stesso modo esso è in grado di riacquistare la capacità visiva grazie ad un trat­tamento appropriato.
Nel trattamento dell'ambliopia, il primo passo generalmente consiste nell'individuare il perché il bambino non usa uno degli occhi, e di curare un eventuale disturbo visivo a carico di quell'occhio. Ad esempio, se siamo di fronte ad una palpebra depressa, o ad una cataratta, o ad un forte vizio di rifrazione, la prima cosa da fare è quella di curare questi disturbi. Il trat­tamento dell'ambliopia in senso stretto consiste nel forzare il bambino ad utilizzare l'occhio "pigro", il che viene fatto nor­malmente bendando l'occhio più sano; può essere necessario portare la benda in ogni situazione, per un certo periodo di tempo, che può andare da qualche mese a oltre un anno. Spesso sono necessari anche gli occhiali, in modo che l'imma­gine che arriva all'occhio sia messa a fuoco correttamente. In questo contesto assumono particolare importanza sia la dia­gnosi che il trattamento precoce, in quanto più il bambino è piccolo, tanto meglio l'occhio reagisce ai trattamenti.
La benda talvolta risulta fastidiosa per il bambino; infatti è molto strano vedere solo con 1"'occhio pigro", e alcuni bambini protestano; è quindi molto importante che il genitore si renda conto che, affinché la benda possa sortire il suo effetto, occorre seguire scrupolosamente la prescrizione del medico. Siate diligen­ti e costanti nell'aiutare vostro figlio a tenere la benda! Cercate di immaginare un modo per incoraggiare, e magari premiare il bam­bino, quando riesce a tenere la benda; ovviamente cercate di tro­vare qualche ricompensa che non abbia nulla a che fare con la benda stessa; ad esempio, toglierla per qualche minuto non sareb­be una buona idea; potreste magari proporre un salto in bibliote­ca, all'ora della favola, oppure di andare a trovare la zia preferita. Ricordatevi: il momento migliore per questo tipo di terapia sono i primi anni di vita; i danni provocati dal mancato uso della benda saranno danni permanenti.

Lo strabismo

 

Con questo termine viene indicato in genere un allineamento non corretto degli occhi; può darsi che uno, o entrambi gli occhi, siano rivolti verso l'interno (esotropia), o verso l'esterno (exotropia), oppure abbiamo il caso in cui lo sguardo di uno degli occhi è più alto dell'altro (ipertropia). Lo strabismo può essere manifesto nell'arco del primo anno di vita del bambino, oppure può fare la sua comparsa improvvisamente, diversi anni dopo. Lo strabismo è una delle più diffuse patologie oculari tra i bambini.
Il trattamento dello strabismo dipende dalle cause che lo hanno provocato. Talvolta i bambini con ipermetropia incrociano gli occhi, per mettere meglio a fuoco, e avere quindi una visione più chiara; gli occhiali di correzione dell'ipermetropia spesso correg­gono anche lo strabismo. Talvolta invece lo strabismo è dovuto ad una paralisi dei muscoli extraoculari, del sistema che sovraintende ai movimenti dell'occhio, e quindi si ha un disequilibrio rispetto allo sforzo che fanno i vari muscoli. In altri casi il bambino nasce con una esotropia (esotropia congenita), e in questi casi la causa dello strabismo è sconosciuta. Per i soggetti con esotropia conge­nita si richiede l'intervento chirurgico, allo scopo di correggere il disallineamento; l'operazione ha luogo in anestesia totale ambula­torialmente. Nel 70% dei casi è sufficiente una sola operazione, per "riparare" il disallineamento; se necessario si potrà procedere ad un ulteriore intervento, a distanza di qualche mese, o dopo qualche anno, allo scopo di migliorare ulteriormente la visione binoculare, o per ragioni estetiche.
Se lo strabismo non viene preso in tempo, può darsi che vostro figlio ignori, o sopprima l'immagine proveniente da uno degli occhi, per evitare la visione doppia. Come abbiamo visto prece­dentemente, ciò può impedire all'occhio di raggiungere un livello normale di capacità visiva (ambliopia). Anche la visione binocula­re ("3D") [tridimensionale] risulterà impoverita, se gli occhi del bambino non sono allineati correttamente (nei bambini con eso­tropia congenita tale difetto potrà persistere anche dopo l'inter­vento chirurgico). Poiché il periodo critico per lo sviluppo del­l'apparato visivo coincide approssimativamente con i primi dieci anni di vita, lo strabismo dovrebbe essere curato il più precoce­mente possibile; ciò può rendere ottimale lo sviluppo della visione binoculare nel bambino, e al tempo stesso ridurre al minimo il rischio di ambliopia.

La retinopatia da parto prematuro

 

La retinopatia da nascita prematura (R.O.P) [la sigla è l'acro­nimo dell'espressione inglese corrispondente], può causare una perdita della capacità visiva, che può andare fino alla cecità com­pleta, nei bambini nati prematuri; come dice il suo stesso nome, essa viene provocata da un danno alla retina.
Normalmente i vasi sanguigni della retina completano il loro sviluppo in coincidenza con la nascita (nel nono mese di gestazio­ne), perciò il bambino prematuro nasce prima che i vasi sanguigni della retina completino il loro sviluppo; poiché essi continuano a svilupparsi anche dopo la nascita prematura del bambino, può darsi che nell'occhio si formino vasi anormali, oppure che si formi del tessuto lesionato, e, nei casi estremi, si può arrivare a lesioni della retina, o a distorsioni, o al distacco di retina (ossia la retina si separa dalla parte posteriore dell'occhio). Questo provoca un difetto visivo, che va da una diminuzione del visus di grado lieve, fino alla perdita totale della visione. Di solito però la R.O.P fa registrare un miglioramento spontaneo, prima che la retina venga danneggiata in modo grave.
Quanto più la nascita del bambino è prematura, e quanto minore è il peso del neonato, tanto maggiore è il rischio che si verifichi la R.O.P Per bambini di peso superiore ai 2500 grammi (5 libre e 8 once), il rischio generalmente non esisto, mentre per quelli nati dopo 28 settimane di gestazione o prima, oppure con un peso inferiore a 1250-1500 grammi (circa 2 libre e 12 once), è maggiore il rischio di R.O.P. Una ricerca ha constatato che il 66% dei neonati di 1250 grammi di peso o inferiore (circa 2 libre e 3 once), sono affetti da R.O.P in grado più o meno grave. Si ritie­ne che i bambini prematuri ai quali viene somministrato l'ossige­no per problemi di respirazione, siano più esposti al rischio di R.O.P
Vi sono vari tipi di trattamento che molte volte riescono ad impedire che la R.O.P giunga alle estreme conseguenze. La crio­terapia (terapia del freddo), e la terapia laser possono venire impiegate per impedire una crescita abnorme dei vasi sanguigni nell'occhio. Il punto limite per determinare l'opportunità di inter­venire con l'una o l'altra tecnica viene definito Situazione patologi­ca limite. Se nel bambino è già avvenuto il distacco di retina in ambedue gli occhi, si rendono necessari complicati interventi chi­rurgici, per tentare di riattaccare la retina, e se il distacco è totale, sono maggiori le difficoltà di riuscita, e presumibilmente si avrà un difetto visivo abbastanza grave.
I bambini con RO.P generalmente necessitano di trattamento oculistico per un lungo periodo di tempo; sebbene alcuni di essi abbiano un visus normale, spesso si osserva la presenza dell'am­bliopia, e di notevoli vizi di rifrazione, quali miopia, ipermetropia e astigmatismo; vi sono inoltre casi di cecità totale, con assenza della percezione della luce. Infine possono fare la loro comparsa anche lo strabismo ed il glaucoma, che richiederanno un tratta­mento aggiuntivo.

Il nistagmo

Il nistagmo è un'oscillazione ritmica degli occhi (piccole scos­se), che il bambino non riesce a controllare; nella maggior parte dei casi gli occhi si muovono in avanti e all'indietro, ma talvolta il movimento avviene dall'alto al basso, e viceversa, secondo un andamento rotatorio, o a scatti, oppure con andamento combina­to. Generalmente il nistagmo interessa ambo gli occhi, ma vi sono anche casi di nistagmo ad un occhio solo; esso può presentarsi iso­lato, oppure associato ad altri disturbi visivi, come cataratte con­genite, albinismo, o può far parte di un quadro neurologico più complesso, o può accompagnare un'anormalità che interessa la cornea.
Sebbene il nistagmo congenito in genere non sembra provoca­re uno spostamento degli oggetti,
si osserva tuttavia una riduzione dell'acuità visiva; infatti, nei bambini con nistagmo congenito,
la visione a distanza può subire una riduzione, da 20/40 a 20/400, anche se spesso questi soggetti
riescono a trovare ima determinata posizione del capo o degli occhi, in modo da ridurre l'intensità del
nistagmo stesso; tale posizione denominata "punto zero", diventa la posizione preferita dal bambino, in quanto gli consente la Migliore acuità visiva possibile. Talvolta la posizione, ovvero la Postura, risulta talmente estrema che si rende opportuno un intervento chirurgico, allo scopo di alterare l'allineamento degli occhi, sPostando di conseguenza anche il punto zero. L'operazione in fiere riesce a spostare il punto zero, ma non elimina il nistagmo. Questo spesso risulta leggermente attenuato quando il bambino guarda un oggetto vicino, perciò può darsi benissimo che vostro figlio veda molto meglio per la lettura, rispetto e come vede da lon­tano. Alcuni genitori riferiscono che la situazione del bambino P8giora quando ha gli occhi stanchi.
Non esiste un trattamento del nistagmo valido in tutte le situa­zioni; si può far ricorso ad apposite lenti prismatiche, per miglio­
e l'efficienza visiva; esse inoltre sono più comode, se il bambi­no riesce a ridurre il nistagmo con una certa posizione del capo. Tali lenti non vengono portate sempre, ma vengono usate solo per determinate attività; inoltre il dottore sarà in grado di stabilire se
bambino è affetto da miopia, ipermetropia o astigmatismo, e potrà eventualmente prescrivere gli occhiali adatti. Sono stati com­piuti alcuni esperimenti, con risultati diversi, per diminuire l’intensità del nistagmo, sia ricorrendo ad interventi chirurgici sui muscoli dell'occhio, sia iniettando tossine di botulino (sostanza velenosa) nella zona circostante; i risultati di tali trattamenti tutta­via non sono condivisi, e quindi vi suggeriamo di consultare l'oculista, che sarà in grado di consigliarvi sull'opportunità di simili interventi, oggetto di controversia.

L’albinismo

 

L'albinismo è una malattia ereditaria, che provoca una riduzio­ne della pigmentazione che interessa la pelle, i capelli e gli occhi, oppure che interessa soltanto gli occhi; tale mancanza di pigmen­tazíone, nella parte esterna dell'occhio (iride), è molto evidente, e fa sì che l'iride stesso assuma un colore celeste; la mancanza di pig­mentazione inoltre fa sì che il riflesso rosso attraversi sia l'iride che la pupilla, per cui l'iride assume un colore "rosato". L'albinismo si manifesta fin dalla nascita, e non è soggetto a peggioramento. Questa patologia interessa circa 1 bambino su 20.000.
Nei soggetti affetti da albinismo si ha uno sviluppo incompleto (ipoplasia) della macula - la porzione centrale della retina, che rende la visione più precisa. Spesso questi soggetti sono anche affetti da nistagmo, e presentano vizi di rifrazione (vedi oltre); tutto ciò provoca una riduzione dell'acuità visiva. Con lenti cor­rettive in genere si arriva ad un visus di 20/100 - 20/200, ma non mancano casi in cui si può arrivare persino a 20/40.
Data la carenza di pigmento, che blocca o assorbe i raggi lumi­nosi, i bambini affetti da albinismo talvolta sono molto sensibili alla luce (fotofobia); in questi casi degli occhiali anneriti oppure delle lenti possono attenuare questo fenomeno; lenti appropriate, o ausili per l'ipovisione, secondo la prescrizione, potranno otti­mizzare la visione.

L'atrofia del nervo ottico

 

Il nervo ottico si compone di circa un milione di fibre, le quali trasmettono i segnali dalla retina al cervello; se le fibre subiscono un danno, possono morire ed atrofizzarsi (andare distrutte); quan­do le fibre si atrofizzano, la trasmissione dell'informazione dall'occhio al cervello viene ostacolata, e il difetto visivo che ne deri­va può andare da una perdita minima di acuità visiva o del campo visivo, alla cecità totale.
L'atrofia ottica può derivare da varie patologie, tra cui idroce­falo, glaucoma, retinite pigmentosa, oppure può essere dovuta ad un fatto traumatico. Il grado di gravità del difetto visivo dipenderà dalla entità del danno. In relazione alla causa che ha determinato l'atrofia ottica, lo stato della capacità visiva di vostro figlio potrà subire o meno un peggioramento progressivo. Ove è possibile, si cerca di curare la causa specifica, allo scopo di evitare che il nervo subisca un danno ulteriore; se ad esempio il danno è dovuto a idrocefalo, la terapia prevederà la cura della pressione attorno al cervello; se invece la lesione è causata dal glaucoma, la terapia terrà conto della pressione oculare

I vizi di rifrazione
La rifrazione è quel processo mediante il quale la cornea ed il cristallino deviano i raggi luminosi, in modo tale da metterli a fuoco sulla retina; affinché la messa a fuoco sia precisa, è neces­sario che il bulbo oculare abbia la giusta lunghezza, che il cri­stallino abbia la giusta potenza, e che la cornea abbia quella determinata forma; se una qualunque di queste parti non ha le giuste proporzioni, abbiamo una riduzione del visus; questo tipo di difetto visivo è conosciuto come vizio di rifrazione. Tra i vari tipi di vizio di rifrazione ricordiamo la miopia, l'ipermetropia, e l'astigmatismo.
I vizi di rifrazione, specialmente la miopia, in generale hanno un peggioramento progressivo, via via che il bambino si svilup­pa; tuttavia, dopo l'adolescenza, o nei primi anni della giovinez­za, la situazione resta abbastanza stabile. Alcuni vizi di rifrazione sono legati a fattori ereditari, ossia vengono trasmessi dai genito­ri ai figli; inoltre vi sono alcune patologie oculari che possono dar luogo a gravi vizi di rifrazione; tra queste ricordiamo la retinopa­tia da parto prematuro, l'afachia, il glaucoma e la microftalmia.
Spesso i vizi di rifrazione possono venir corretti con gli occhia­li, che in una certa misura migliorano la visione, quando vengono portati; anche le lenti a contatto possono essere di aiuto, se il bam­bino è abbastanza maturo e responsabile, oppure se ha subito l'a­sportazione del cristallino in seguito ad un'operazione di catarat­ta; si veda anche, più oltre, la parte relativa alle "lenti correttive ed alle loro limitazioni".

La miopia (vista da vicino)

Nella miopia (vista da vicino), la cornea è eccessivamente ricur­va, il cristallino è troppo potente, oppure l'occhio assume una forma allungata; ciò fa sì che l'immagine degli oggetti lontani non venga messa a fuoco esattamente sulla retina, ma in un punto posto davanti ad essa, per cui appaiono sfuocati; in genere i bam­bini affetti da miopia riescono a distinguere con maggiore chiarezza gli oggetti più vicini.
La miopia è una patologia abbastanza diffusa: infatti ne sono affetti 2 bambini su 100 in età di 6 anni, mentre la percentuale sale al 10% nei bambini di 10 anni, e a 20 anni il 20% delle persone ha qualche forma di miopia.
La miopia viene misurata, e per questo si usa una speciale unità di misura, chiamata diottria, che corrisponde alla formula del tipo 20/XX, di cui abbiamo parlato nel primo capitolo; mag­giore è il denominatore, più elevato è il grado di miopia del bam­bino. Un bambino con 20/100 ad esempio, vedrà a 20 piedi quel­lo che normalmente si vede a 100 piedi; quando si dice che un bambino vede 20/600, significa che vede a 20 piedi ciò che nor­malmente si vedrebbe da una distanza di 600 piedi. Se vostro figlio non riesce a vedere il segno più grande di tutti sull'ottoti­po normale (sia esso una lettera, un numero, un'immagine o una sagoma), da una distanza di 20 piedi, l'esame verrà effettuato a distanza più ravvicinata, e si registrerà quindi la distanza dalla quale egli riesce a vederlo; per esempio, l'espressione 6/400 sta a significare che il bambino è riuscito ad identificare un segno di 20/400 da una distanza di 6 piedi. Analogamente, l'espressione 2/400 starebbe a significare che per vostro figlio è stato necessa­rio porre un segno di dimensioni 20/400 a distanza di 2 piedi per distinguerlo.
La miopia può comparire isolatamente, oppure associata ad altre patologie oculari; i bambini prematuri affetti da retinopatia del pretermine, ad esempio, spesso presentano anche vizi di rifra­zione in grado elevato (significativo), e quindi forte miopia e/o forte anisometropia (vedi oltre).

L'ipermetropia (vista da lontano)
Si ha l'ipermetropia quando la cornea è relativamente piatta, o quando l'occhio non ha la lunghezza normale, oppure quando la potenza di focalizzazione dell'occhio è troppo bassa; ne conse­gue che il fuoco dell'immagine viene a collocarsi dietro la retina; ciò a sua volta richiede uno sforzo eccessivo da parte del bambi no, per la messa a fuoco, specialmente nel caso di oggetti a distanza ravvicinata. Quando il grado di ipermetropia è relativa­mente lieve, spesso il bambino riesce a distinguere abbastanza bene sia gli oggetti lontani che quelli vicini, e ciò si deve al fatto che i bambini hanno una capacità straordinaria di aumentare la potenza di focalizzazione dell'occhio, e quindi di "mettere" a fuoco gli oggetti sulla retina. Nel caso di un'ipermetropia di grado più elevato, invece, ciò in genere non è possibile, e pertan­to il bambino ha bisogno degli occhiali per ottenere un'immagi­ne chiara di oggetti singoli, come pure vi è bisogno di occhiali nel caso in cui il bambino incroci gli occhi, nel tentativo di mettere a fuoco l'immagine; essi infatti servono a migliorare l'allineamento degli occhi.
Il grado di ipermetropia viene espresso in diottrie, come per la miopia; quanto maggiore è il numero delle diottrie riportato nella prescrizione di lenti correttive, tanto più elevato sarà il grado di ipermetropia del bambino.

L'anisometropia

 

In genere i due occhi del bambino hanno più o meno la mede­sima potenza di rifrazione; accade, talvolta, tuttavia di osservare una differenza significativa tra i due occhi, per cui, ad esempio, possiamo avere un occhio miope, mentre l'altro ipermetrope; que­sta difformità, che riguarda la potenza di rifrazione si chiama ani­sometropia.
Poiché a prima vista può sembrare che il bambino abbia gli occhi diritti e normali, tale patologia talvolta sfugge all'osserva­zione; ciò può dar luogo all'ambliopia, e ad una "visione tridi­mensionale" (acuità stereoscopica) che è inferiore alla norma, qualora il cervello escluda in maniera selettiva l'immagine prove­niente da uno dei due occhi. Con l'impiego di occhiali, per cor­reggere eventuali differenze di rilievo tra i due occhi, e se l'am­bliopia viene curata con la massima tempestività, si riesce ad otti­mizzare la capacità del bambino di avere una visione chiara della profondità.

L'astigmatismo

Nel caso dell'astigmatismo abbiamo la cornea che non ha la forma regolare, per cui i raggi di luce che la attraversano non ven­gono messi a fuoco correttamente; nella maggior parte dei casi la cornea è più appuntita (più incurvata), rispetto ad uno degli assi (quello verticale), rispetto all'altro, ossia a quello orizzontale; di conseguenza ogni asse ha una potenza diversa di focalizzazione; può darsi allora che il bambino astigmatico veda sfuocati sia gli oggetti vicini che quelli lontani, in relazione alla gravità del difet­to. L'astigmatismo spesso compare associato a miopia, o all'iper­metropia.

Difetto visivo corticale

A differenza del disturbo dovuto a cause strutturali, o ad un vizio di rifrazione, il disturbo visivo corticale ("cecità corticale") non è provocato da un'anomalia degli occhi, bensì è riconducibile ad una lesione cerebrale e, più precisamente, spesso, ad un danno alla regione della corteccia cerebrale preposta alla visione (da cui il termine "corticale' 9. Tale lesione impedisce al bambino di rice­vere e di interpretare adeguatamente i messaggi provenienti dal­l'occhio, sebbene l'occhio in sé abbia una sufficiente capacità di raccogliere le informazioni di tipo visivo. La lesione può provoca­re una diminuzione del visus, o anche la cecità totale. Le cause del difetto visivo di origine corticale possono essere diverse: un'insuf­ficiente ossigenazione del cervello, verificatasi al momento della nascita o durante un'operazione cardiochirurgica, all'idrocefalo, ad un colpo apoplettico, o possono essere di origine traumatica.
I bambini affetti da un difetto visivo di origine corticale spesso presentano anche altre disabilità, quali paralisi cerebrale, attacchi apoplettici, ritardo mentale, o idrocefalismo; ciò si deve al fatto che la stessa lesione che ha colpito i centri della visione, può cau­sare anche altri danni, che danno luogo a loro volta a disturbi di tipo cognitivo, di tipo motorio, o altro. Quando il disturbo visivo corticale si presenta da solo, spesso si deve ricondurre ad una anossìa, (mancanza di ossigeno), o a ipossia (insufficienza di ossigeno), durante il processo della nascita.
Non esiste una terapia per il difetto visivo di origine corticale; tuttavia è importante sgombrare il terreno da un'eventuale ano­malia dell'occhio, come le cataratte, o anomalie della retina, o ano­malie a carico del nervo ottico, le quali possono avere un certo peso nel provocare la perdita di capacità visiva. Nel caso in cui, oltre al disturbo visivo di origine corticale, il bambino presenti anche dei vizi di rifrazione significativi, dovrebbero essere pre­scritti degli occhiali. I disturbi visivi di natura corticale in genera­le non peggiorano nel tempo; talvolta abbiamo invece un miglio­ramento spontaneo della visione, nel corso dei mesi o degli anni, ma permane pur sempre un difetto visivo di qualche entità

 

 

 

I testi sono tratti da “Il bambino con disabilità visiva – guida per i genitori” a cura di M. Cay Holbrook, Ph.D.

 

Fonte: http://www.mondovi.polito.it/uts/visivi/Che%20cos'%C3%A8%20la%20minorazione%20visiva.doc

Sito web da visitare: http://www.mondovi.polito.it

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Bambini con disabilità visiva

 

 

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