Il bambino che sei stato

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Il bambino che sei stato

LA MIA STORIA: IL BAMBINO CHE SONO STATO

Ognuno di noi ha una storia del proprio vissuto, un racconto interiore, la cui continuità, il cui senso è la nostra vita. Si potrebbe dire che ognuno di noi costruisce e vive un “racconto”, e che questo racconto è noi stessi, la nostra identità.
Se vogliamo sapere qualcosa di un uomo, chiediamoci: “Qual è la sua storia, la sua storia vera, intima?”, poiché ciascuno di noi è una biografia, una storia. Ognuno di noi è un racconto peculiare, costruito di continuo, inconsciamente da noi, in noi e attraverso di noi, attraverso le nostre percezioni, i nostri sentimenti, i nostri pensieri, le nostre azioni; e, non ultimo, il nostro discorso, i nostri racconti orali.
Da un punto di vista biologico, fisiologico, noi non differiamo molto l’uno dall’altro; storicamente, come racconti, ognuno di noi è unico.

La trasmissione intergenerazionale
Ogni essere umano non nasce nel vuoto, bensì in uno spazio le cui coordinate sono date da una storia familiare sedimentata attraverso più generazioni che veicola significati e aspettative specifiche. Il gruppo, di cui il figlio entra a far parte, predispone e consegna al nuovo venuto segni di riconoscimento e di richiamo, assegna dei posti, presenta degli oggetti, offre dei mezzi di protezione e di attacco, traccia delle vie di realizzazione, segnala dei limiti.
Dal punto di vista biologico è stato calcolato che un bambino è la combinazione dei geni di 240 persone, otto generazioni, cioè circa due secoli. Questa componente genetica si manifesta fin dalla nascita negli aspetti della somiglianza, cui viene attribuito immediatamente un particolare significato di appartenenza del figlio alle due stirpi familiari. L’attribuzione di somiglianza evolve nel tempo e trascende l’aspetto fisico per abbracciare tratti della personalità del figlio che richiamano spesso persone della parentela anche allargata. Questo movimento tipicamente familiare veicola un significato di appartenenza del figlio alla più ampia genealogia familiare. Ma in esso si annida anche un elemento di rischio: vi sono a volte attribuzioni di somiglianza fisica e/o caratteriale che rimangono rigide nel tempo, pervasive e che ingabbiano il figlio e tendono in ultima analisi a iscriverlo entro una sola delle due stirpi. Se la somiglianza rinvenuta è su aspetti positivi, il figlio è percepito come più simile esclusivamente a una sola genealogia familiare, escludendolo dall’altra. L’attribuzione di somiglianza su aspetti giudicati negativi e non accettabili rappresenta per il figlio un fardello assai pesante, con cui è difficile nel tempo fare i conti. Questo processo, in buona parte inconsapevole, è specifico per ogni figlio ed è certamente influenzato dall’ordine di genitura e dal genere del figlio stesso.
La trasmissione tra le generazioni non riguarda solo i geni, ma anche un patrimonio di beni materiali, di status, di valori, credenze, tradizioni, modalità relazionali, miti, tabù, aspettative e così via. Tale patrimonio si manifesta in alcune pratiche e routine familiari visibili (ad esempio, come ci si mette a tavola, come si festeggiano i compleanni, ecc.) e in alcune credenze (come si curano le malattie, come si crescono i neonati e come si alimentano, ecc.), ma incide anche su aspetti meno tangibili, come la storia, le aspettative di ruolo (quali sono i compiti di un uomo e di una donna), i valori, il senso religioso, le aspirazioni scolastiche e professionali, gli atteggiamenti verso il denaro e la politica e così via. Tutto ciò passa da una generazione a quella successiva e sedimenta in buona parte in modo inconsapevole: ciò che affiora alla consapevolezza non è che la punta di un iceberg.
Il senso di appartenenza familiare è fondamentale nella costruzione dell’identità personale.
Nella scelta del nome si condensano le aspettative e viene definito in parte lo spazio psicologico preparato dia genitori e, attraverso di loro, dalla famiglia al nuovo nato. Nella scelta viene veicolato un messaggio denso di significati e di attese.

Genitorialità e storia familiare
La storia familiare influenza profondamente anche la genitorialità. Infatti, il fondamento dell’essere genitori è l’interiorizzazione delle funzioni genitoriali che ciascun coniuge compie a partire dalle relazioni vissute nella famiglia d’origine. Le modalità relazionali genitori-figli sono influenzate dallo schema di comportamento che è stato assimilato dai genitori a loro volta figli, da ciò che di bene essi hanno ricevuto nell’esperienza da loro vissuta come figli, ma anche dai desideri rimasti inappagati, dalle sofferenze, dalle mancanze.
La famiglia d’origine è la matrice costitutiva dell’identità personale.
Ricostruire e connettere modelli relazionali del passato con quelli attuali permette di identificare le risorse disponibili che scaturiscono dal riconoscimento di valori e doni trasmessi alle nuove generazioni e di riconoscere e accettare i limiti e le carenze originarie.
La famiglia d’origine è il luogo del primo apprendimento familiare. È nella nostra famiglia d’origine che apprendiamo il modello di famiglia: cosa significhi essere figlio ed essere fratello, cosa significhi essere padre o madre; qui apprendiamo anche cosa significhi essere coniuge e genitore. È nella famiglia che l’individuo costruisce la sua identità: nell’immagine che i genitori gli riflettono egli impara a riconoscere sé stesso, a modellarsi nel costante confronto con lo specchio che essi gli mettono davanti.
L’apprendimento familiare/relazionale costruito nella propria famiglia d’origine diventa una mappa sulla quale sono collocate le esperienze successive, che acquistano così significati emozionali del tutto personali a seconda delle coordinate che la griglia/mappa è in grado di fornire. Se la mappa di riferimento (il modello familiare/relazionale) non è sufficientemente conosciuta, se cioè non si è avviato quel processo di digestione delle esperienze emozionali significative, meno ancora le nuove esperienze possono diventare utilizzabili per le operazioni del pensiero.
Solo ripercorrendo tutti i passaggi che ci hanno portato a essere noi stessi è possibile conoscere veramente le nostre esperienze infantili e scoprirne il significato. La conoscenza così raggiunta modificherà l’influsso stesso di quegli eventi sulla nostra personalità. Si modificherà il nostro atteggiamento verso le nostre esperienze, e con esso anche l’atteggiamento verso le analoghe esperienze dei nostri figli. L’aumentata conoscenza di noi stessi ci porterà inevitabilmente a una maggiore comprensione dei nostri figli, soprattutto quando tali nuovi squarci di consapevolezza vengono raggiunti grazie al rapporto con loro.

Esplorare la propria infanzia da adulti: conoscersi per educare efficacemente
Nel tempo, si può arrivare a una rivisitazione del proprio passato, cogliendone sia ciò che di positivo si è ricevuto, sia pervenendo a una maggior consapevolezza e accettazione pacifica delle mancanze. Solitamente la presa di coscienza dei propri limiti e dei propri errori nell’esercizio della funzione genitoriale permette di guardare con occhi diversi agli errori e alle mancanze che i propri genitori a loro volta hanno commesso, indipendentemente dalla loro gravità, garantendo uno spazio per la comprensione fino all’indulgenza e a volte al perdono.
Esplorare da adulti le proprie esperienze infantili può portare a scoperte e intuizioni molto importanti.
È necessario cercare di analizzare l’educazione ricevuta per capire meglio quale educazione dare ai propri figli. Ogni genitore ha l’importante compito di andare a scoprire e riconoscere, o perlomeno di cercare di conoscere, i passaggi importanti della propria formazione. Questo è un punto essenziale che consente da un lato di sviluppare empatia nei confronti dei propri figli, la capacità cioè di mettersi nei loro panni rivivendo situazioni già vissute, e dall’altro di superare la condizione filiale che ci ancora al passato, e che ci impedisce di esercitare adeguatamente il nostro ruolo di genitori. Rileggere l’educazione che si è ricevuta è un modo per liberarsene, per adottare modelli educativi più validi qualora i nostri non lo siano stati.
Senza una rivisitazione consapevole delle esperienze educative vissute in prima persona, l’educatore e il genitore rischia di predicare bene e razzolare male, di offrire ottime prescrizioni che facilmente sono negate sul piano strettamente pratico operativo. C’è una profonda differenza tra educazione intenzionale ed educazione non intenzionale, fra il pensato e l’agito, fra le idee e i modi concreti di operare. E i figli recepiscono ciò che i genitori sono, non quello che i genitori dicono.
Quasi tutti noi ci rendiamo conto di avere fatto nostre molte delle qualità che ci piacciono dei nostri genitori, mentre non siamo consapevoli di aver interiorizzato anche gli aspetti negativi del loro atteggiamento verso di noi, di esserci cioè identificati anche con quegli aspetti. Ce ne accorgiamo, di solito con un senso di sconfortato stupore, quando ci sorprendiamo a sgridare i nostri figli esattamente con lo stesso tono di voce, le stesse parole persino, che avevano usato con noi i nostri genitori. E questo nonostante avessimo giurato a noi stessi di non comportarci mai in quel modo con i nostri figli.

Come ricordiamo: l’esperienza fa di noi ciò che siamo
Quando diventiamo genitori, portiamo con noi elementi del passato che influenzano il nostro modo di entrare in relazione con i nostri figli. Nel bene e nel male, siamo profondamente segnati da come i nostri genitori hanno affrontato i conflitti con noi. Esperienze non completamente elaborate possono dare origine a questioni non risolte o lasciate in sospeso che si riflettono nel rapporto con i nostri figli. Questioni lasciate in sospeso o non risolte possono continuare a influenzare il nostro modo di essere nel presente, soprattutto se non siamo stati capaci di analizzarli e integrarli nella visione che abbiamo di noi stessi. Questioni lasciate in sospeso spesso si ripercuotono sul nostro modo di essere genitori, e causano in noi e nei nostri figli frustrazioni e conflitti non necessari.
Se riusciamo a comprendere il senso delle nostre esperienze infantili, possiamo essere in grado di costruire con attenzione la relazione con i nostri bambini, scegliendo il tipo di interazione che ogni giorno abbiamo con loro. Liberi dai fardelli del passato, possiamo vivere con loro più pienamente, con maggiore flessibilità e spontaneità e con un atteggiamento più fiducioso verso il futuro. Se siamo in grado di dare un senso alle esperienze della nostra infanzia possiamo essere buoni genitori anche se i nostri non lo sono stati.
Prendersi cura e acquisire una maggiore consapevolezza di sé come genitore non è necessariamente o esclusivamente un lavoro psicologico, ma significa tentare di sciogliere e dipanare i blocchi e i nodi biografici che ci impediscono di gestire con intenzionalità il nostro potere educativo. Formarsi e conoscersi, in uno sforzo introspettivo, è il compito principale di chi vuol essere a sua volta educatore.
Un lavoro di autobiografia educativa. Si tratta di provare a esplorare con l’aiuto di alcuni strumenti come le fotografie o l’esercizio della scrittura autobiografica, le modalità dell’educazione ricevuta.
In fondo da chi abbiamo appreso a fare i genitori? Ripercorrere la nostra biografia educativa è a tutti gli effetti un apprendistato per vivere noi stessi da educatori ed esserlo in un certo modo. Si tratta insomma di trovare i nessi che possono collegare i problemi e le difficoltà che viviamo a specifiche vicende risalenti alla nostra biografia di “educati”; ma anche di cogliere in questa stessa biografia le chiavi che aprono la nostra crescita.
Solo un percorso di auto-conoscenza potrà rinfrancare la speranza di rompere i meccanismi della ripetizione inconscia che, di generazione in generazione, spaziano dai ceffoni ai ricatti senza individuare una via d’uscita efficace.
I valori in cui credete, le aspirazioni e il modo in cui vi comportate con i figli sono condizionati dai vostri genitori. Qualsiasi esperienza abbiate fatto da bambini, il modo in cui allevate vostro figlio sarà influenzato dal modo in cui siete stati allevati voi, che lo vogliate o ne siate consapevoli o no.

L’esplosione del passato
La storia di ciascuno fa dunque da scenario sullo sfondo del quale si svolge nell’oggi la relazione tra genitori e figli. A volte i genitori nutrono la speranza, che si rivela spesso un’illusione, che nella nuova relazione si riescano magicamente a ricucire le ferite del passato. Anzi, tanto più l’esperienza vissuta in quanto figli è stata contrassegnata da mancanze, trascuratezza, ingiustizie, tanto più la relazione con il nuovo nato risulterà caricata da aspettative compensatorie: a volte si chiede al figlio, ancor prima che nasca e che possa esprimere la sua personalità, di riscattare alcuni errori commessi dalla generazione precedente.
I genitori, come anche gli educatori e gli insegnanti, vivono spesso interiormente conflitti intrapersonali irrisolti. Prima di essere genitori, infatti, si è stati figli: accade così che la propria storia autobiografica sia inevitabilmente proiettata sui bambini di cui ci si occupa. Spesso si è animati dal bisogno di rivisitare la propria infanzia, soprattutto se è stata un’infanzia perduta, trascurata, soffocata. Ma questa proiezione, apparentemente salvifica, provoca al contrario un’irriducibile velleità, quella di crescere i bambini nel benessere, nella felicità armonica, secondo il concetto perfezionistico: “Quello che non ho avuto io, devi averlo almeno tu”.
Quante volte avete sentito voi stessi dire a vostro figlio esattamente la stessa frase che fu detta a voi, usando persino lo stesso tono di voce? Magari volete replicare  qualcosa che ha reso speciale la vostra infanzia oppure il ricordo di un’osservazione negativa si è insinuato nella vostra decisione di essere genitori diversi. L’apprendimento passa attraverso l’esperienza: significa che inevitabilmente queste reazioni automatiche si verificheranno, a meno che non le controlliate in modo consapevole. Nei periodi di stress è più probabile che vi comportiate come i vostri genitori hanno fatto con voi. Se intendete evitare questi comportamenti, allora provate a capire quando è più probabile che si manifestino e esercitate via reagire diversamente. Progettare nuovi schemi di comportamento aiuterà a perdere le vecchie abitudini.
Come reazione a un’infanzia difficile è possibile che vi comportiate con i vostri figli in modo totalmente opposto a quello dei vostri genitori. Se questi ultimi sono stati severi, può darsi che voi imponiate ai vostri figli poche regole o che compriate loro tutto ciò che chiedono per compensare il fatto che voi avete avuto molto poco. In questi casi si teme che, iniziando a usare la disciplina, si possa perdere il controllo ripetendo gli stessi schemi comportamentali da cui si è stati feriti. Purtroppo, rifiutando completamente la vostra infanzia, potreste ritrovarvi nella situazione opposta, il che significa che potreste non trasmettere a vostro figlio i limiti e le regole di cui ha bisogno. Se durante la vostra infanzia non avete avuto una figura di riferimento positiva, un modo efficace per trovare il vostro stile genitoriale è leggere libri di puericultura, osservare gli altri e frequentare un corso per genitori.

La conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori
Il significato che diamo alle nostre esperienze infantili ha un profondo impatto sul nostro modo di essere genitori. Una maggiore conoscenza e comprensione di noi stessi e della nostra storia può aiutarci a costruire una relazione più efficace e soddisfacente con i nostri figli, alimentando la nostra capacità di generare uno stato di benessere emotivo e di sicurezza che li aiuta a crescere in maniera ottimale.
Non possiamo cambiare ciò che ci è successo da bambini; possiamo però cambiare il nostro modo di pensare a quegli eventi. Pensare in modo diverso alla storia della propria vita significa anche essere consapevoli delle esperienze presenti, incluse emozioni e percezioni, e apprezzare il modo in cui il presente risente degli avvenimenti del passato.
L’attaccamento che i figli sviluppano nei confronti dei genitori è direttamente influenzato dal tipo di esperienze infantili che questi ultimi hanno avuto, qualora tali esperienze non siano state elaborate e comprese.
Ciò che è veramente importante per i nostri figli non è quanto è successo a noi nel passato, ma il modo in cui siamo riusciti a elaborare e comprendere tali avvenimenti.

Chi è il bambino che sei stato?
La tua infanzia, nel vero e proprio senso della parola, è qualcosa che continua a esistere dentro di te e influisce su tutto quello che fai e che provi. E i sentimenti e gli atteggiamenti provenienti dall’infanzia influenzano, se non arrivano addirittura a determinare e a dominare, i tuoi rapporti con gli amici, con i colleghi, con il partner e perfino con i tuoi figli. Il bambino che eri sopravvive nella tua scorza di adulto.
Ognuno di noi porta dentro di sé il suo “bambino del passato”: quel bagaglio, cioè, di sentimenti e comportamenti che abbiamo sviluppato nella nostra infanzia. Il “bambino del passato” continua a vivere fino alla fine della nostra esistenza, con tutti i suoi sentimenti e i suoi atteggiamenti.
Molte persone adulte sono spesso inconsapevoli del fatto che gran parte dei loro atteggiamenti verso il mondo in generale  e verso sé stesse in particolare non sono a sé stanti, ma sono una pura e semplice ripetizione di modi di fare dei loro genitori. Quando ti rendi conto che quei comportamenti ti sono estranei, puoi davvero incominciare a creartene di tuoi.
Il “bambino del passato” prende parte a tutto quello che facciamo da adulti, alle nostre gioie e alle nostre difficoltà.
Proprio come gli alberi si formano dal suolo in cui crescono, con l’aiuto del sole, del vento e della pioggia, nello stesso modo il clima creato dagli atteggiamenti dei tuoi genitori ha influenzato il tuo sviluppo emotivo e il tuo modo di pensare. L’obiettivo che poniamo alla ricerca sono i tratti principali degli atteggiamenti dei tuoi genitori nell’affrontare con te i problemi di ogni giorno. Ciò che devi richiamare alla memoria è il senso quotidiano del comportamento dei tuoi genitori e le tue reazioni a esso. Ricordare l’atmosfera familiare della tua prima età. Da bambino hai assorbito automaticamente tutti gli stati d’animo, i sentimenti e i valori. Facevano quasi parte dell’aria che respiravi, come pure del cibo che mangiavi.
I bambini vedono i loro genitori come esseri onnipotenti e quasi divine e hanno bisogno della loro approvazione. Man mano che crescono e cominciano ad acquisire una maggiore responsabilità personale, la statura divina del genitore subisce un necessario ridimensionamento. Con il tempo si arriva a considerare mamma e papà dei normali esseri umani, con le esigenze, difficoltà, debolezze e stravaganze di tutti gli altri esseri umani. L’accettazione delle fragilità umane e delle qualità dei genitori è indice di maturità. La maggior parte di loro ha agito al meglio delle sue capacità. Il nostro scopo non è quello di trascinare in tribunale i nostri genitori. Il nostro scopo è liberarci da tutti quegli effetti devastanti che il loro modo di fare può aver provocato in noi.
Non dobbiamo dare la colpa ai nostri genitori. Ora che siamo cresciuti, possiamo cominciare a vedere i nostri genitori come erano in realtà, non persone onnipotenti e onniscienti come li vedevamo da bambini. Per noi adesso sono semplicemente degli esseri umani con i loro problemi, non molto diversi dai problemi degli altri. Hanno sicuramente commesso degli errori nell’educarci, ma l’hanno fatto al meglio delle loro capacità.

 

Bibliografia

  • Andolfi M., Cigoli V. (2003). La famiglia d’origine. L’incontro in psicoterapia e nella formazione (a cura di), Franco Angeli, Milano

 

  • Bettelheim B. Un genitore quasi perfetto, Feltrinelli
  • Halsey C. I Nostri Figli - Domande e Risposte. Dalla prima infanzia all'adolescenza, tutto quello che vorreste chiedere all'esperto, De Agostini

 

  • Iafrate R., Rosnati R. Riconoscersi genitori. I percorsi di Promozione e Arricchimento del Legame Genitoriale, Centro Studi Erickson
  •  Missildine W. H. Il bambino che sei stato. Un metodo per la conoscenza di sé, Centro Studi Erickson

 

  • Novara D. Dalla parte dei genitori. Strumenti per vivere bene il proprio ruolo educativo,Franco Angeli
  • Sacks O. L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello

 

  • Siegel D.J., Hartzell M. Errori da non ripetere. Come la conoscenza della propria storia aiuta a essere genitori, Cortina Raffaello

 

Fonte: http://www.folignano1.org/wp-content/Progetti/www.pereducareunbambino.it/wp-content/uploads/2012/05/La-mia-storia-il-bambino-che-sono-stato.doc

Sito web da visitare: http://www.folignano1.org

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