Mestiere del genitore

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Mestiere del genitore

Il mestiere del genitore è il mestiere più difficile del mondo o il genitore perfetto deve ancora nascere sono due affermazioni che possono dire tutto o niente a riguardo dei genitori.


Alcuni sostengono che si predica bene e poi si razzola male, per cui ci limiteremo a dare alcuni flash per sottolineare alcuni punti che alcuni psicologi hanno teorizzato, ma che i genitori pratici, attenti e veramente genitori hanno intravisto nell’esperienza quotidiana.
Quello che si vuole sottolineare è la necessità che il mestiere del genitore non è un’attività di serie B, ma da Coppa dei Campioni, per cui non è importante il tempo dedicato ai figli, ma la qualità che gli si dedica, ricordandoci che l’evoluzione dei bambini ha dei tempi, degli scogli più o meno prestabiliti per superare fasi di crisi: e chi più di uno o tutti e due i genitori può aiutare meglio il proprio figlio?
Quello che segue è un condensato di alcune teorie che influenzano uno dei fattori determinante per l’evoluzione del bambino: lo stile genitoriale.
Cercate di capire dove collocarvi e quali caratteristiche avete, cercando di interpretare i pro e i contro.
Quello che segue è pura teoria che troverete in tantissimi libri di psicologia, ma non lasciatevi impressionare e non preoccupatevi se non capirete tutto: la colpa è sempre di chi insegna, mai di chi deve imparare.
CLASSIFICAZIONE DEI GENITORI
I genitori possono essere classificati come autoritari: con molto controllo e poca affettività; permissivi: con poco controllo e molta affettività; non coinvolti: con scarso controllo e scarsa affettività; autorevoli: con molto controllo e molta affettività. I migliori risultati si hanno dai genitori autorevoli. Bassi risultati si ottengono da genitori autoritari, permissivi e non coinvolti, per motivi di trascuratezza, anaffettività, talvolta per depressione (comportamento trasmissibile). Cercate di individuare in quale classe genitoriale porvi e ragionate se (per il bene evolutivo, caratteriale e psicologico di vostro figlio) siete i genitori ideali per lui/lei.
Vi faccio un esempio di un compagno di calcio che ho avuto parecchi anni fa nella squadra dei giovanissimi dove militavo e che con noi socializzava, ma che era traumatizzato da suo padre. Siamo alla fine degli anni 60 e l’inizio degli anni 70. Era un figlio del ministro del Lavoro e alle manifestazioni studentesche/operaie girava con un cartello su cui c’era scritto: “Abbasso mio padre!”. Quel ragazzo si chiamava Marco Donnat Catin e tutti conosciamo la sua storia di brigatista e di come sia morto. Ma non è questo importante sottolineare, ma il fatto che se nostro figlio pensa una cosa simile di noi, come genitori abbiamo fallito.
QUANDO SI EVOLVE LO STILE DI VITA
Adler sosteneva che lo stile di vita si forma tra i quattro e cinque anni; l’interesse sociale esprime l’adeguamento all’ambiente (tutto quello che ci circonda sia diretto come casa, scuola, famiglia, ma anche come televisione, società, valori).
Questo è un periodo della vita che deve impegnare i genitori in uno sforzo maggiore che in altri: deve dare quelle radici (regole, esempi, argomentazioni) necessarie alla formazione, al carattere di nostro figlio. Vorremmo ribadire l’importanza di questo periodo: il bambino capisce su chi può contare o su chi gli è indifferente e lo sarà per tutta la vita restante. Si crea una scala di valori, che non modificherà quasi più. Il tempo perso a rincorrere i nostri figli, non lo si recupera più: questa è una triste realtà, che deve farci meditare.
I genitori hanno una priorità di obiettivi nella loro vita: lavoro, carriera, arricchirsi, diventare qualcuno, ma non deve mai dimenticare che essere genitori è un impegno gravoso, che nessuno ci ha imposto ma che abbiamo scelto liberamente. Una cosa che il figlio può rinfacciare ai genitori è che non ha chiesto lui/lei di venire al mondo. Crediamo che questa frase sia tranciante per evidenziare il nostro completo fallimento.
Questi punti non devono essere interpretati come se tutti siano così, ma è la realtà; basti pensare a chi nostro figlio/a si rivolge quando ha un problema, un dubbio, una criticità di vita; pensiamoci e cerchiamo di reagire.
LO SVILUPPO E’ GENETICAMENTE PREDETERMINATO
Erikson enuncia il principio epigenetico: lo sviluppo è geneticamente predeterminato e si realizza seguendo fasi specifiche che si susseguono secondo un ordine costante e invariabile per ciascun individuo. La teoria di Erikson prevede otto fasi; ogni fase viene superata da una crisi evolutiva.
Riportiamo questa tabella riepilogativa che vuole evidenziare che l’evoluzione dell’individuo dura tutta la vita. Cerchiamo ora di dare una chiave di lettura il più semplice possibile, che faccia comprendere una cosa molto importante: il non superamento della crisi psicosociale dell’individuo crea un disagio o una patologia e una stagnazione del periodo successivo, mentre il superamento, aggiunge esperienza all’IO, la personalità o il carattere.


Fase di vita

Crisi psicosociale

Qualità adattiva dell’Io

Principale patologia a carico dell’Io

Prima infanzia (0-2 anni)

Fiducia vs Sfiducia

Speranza

Ritiro sociale

Seconda infan-zia (2-3 anni)

Autonomia vs Dubbio o Vergogna

Volontà

Compulsione

Età scolastica (4-5 anni)

Iniziativa vs Senso di colpa

Proposito

Inibizione

Età scolastica (6-12 anni)

Industriosità vs Inferiorità

Competenza

Inerzia

Adolescenza

Identità vs Di-spersione dell’identità

Fedeltà

Ripudio

Giovinezza

Intimità vs Isolamento

Amore

Esclusività

Età adulta

Generatività vs Stagnazione

Prendersi cura

Rifiuto

Vecchiaia

Integrità vs Disperazione

Saggezza

Disprezzo

Vi siete spaventati? E’ normale per i non addetti ai lavori, ma un esempio pratico, anzi due vi chiarirà di cosa parliamo e dell’importanza del superamento di queste fasi di vita.
Ribadiamo che la vita dell’individuo si divide in otto fasi, in base all’età e al periodo evolutivo. La crisi psicosociale è lo scoglio da superare o non che ci procura un agio o un disagio evolutivo. La qualità adattiva dell’IO rappresenta la conquista di un’evoluzione personale, di una caratteristica personale. Mentre la patologia a carico dell’IO è il problema psicologico che sorge a causa del non superamento della fase e qui dovrebbero intervenire gli addetti ai lavori per riportare in carreggiata l’individuo.
Prendiamo in considerazione l’età scolastica, nelle sue due componenti. Se il bambino, all’inizio della sua esperienza scolastica o di asilo, percepisce di fare bene o di fare male la sua socializzazione con gli altri, con il corpo insegnante conseguirà una maggiore iniziativa o un senso di colpa, che lo porteranno o al proposito di vedere premiata la sua iniziativa, o il suo senso di colpa lo porterà all’inibizione dei suoi propositi, della propria iniziativa. Nella fase successiva sarà premiante la sua industriosità o la sua inferiorità nei confronti degli altri, per cui acquisirà o competenza (buoni risultati) o inerzia (lo stare a guardarsi intorno).
L’ATTACCAMENTO DEL BAMBINO
L’attaccamento si riferisce a un legame duraturo e di tipo emozionale fra il bambino e la persona che si prende cura di lui (genitore, nonno, baby-sitter, estraneo, educatrice dell’asilo). E’ stato studiato da Bowlby; L’attaccamento inizia fra i quattro e i dodici mesi: è ricerca di protezione da parte del bambino all’adulto. L’attaccamento può essere sicuro (tranquillo distacco dalla persona che si prende cura di lui e ritorno a lui/lei) o ansioso (teme il distacco con la persona che si prende cura di lui/lei) che può essere di tre tipi: evitante, resistente, disorientato. Il controllo del genitore deve essere affettuoso. Effetti dell’attaccamento: rapporti sociali, autostima, empatia. Modelli operativi interni, i geni mentali acquisiti dopo la nascita per percepire, interpretare le esperienze, prevedere e progettare il futuro.
Se riflettiamo su questa cosa non possiamo che essere concordi. Facendo un esempio quotidiano, quando portiamo nostro figlio all’asilo e se siamo noi a cui si è attaccato, il lasciarlo lì può essere tranquillo oppure, vedendoci andare via, si mette a piangere, proprio per l’attaccamento sicuro o o ansioso.


LE FASI FREUDIANE DELLO SVILUPPO


Per completezza dobbiamo anche accennare a quelle fasi del maestro della psicologia o meglio della psicanalisi, ma che sono assolutamente più ostiche ad un pubblico carente di basi in tal senso. Noi le presentiamo, ma non preoccupatevi della loro ostilità (di solito chi si laurea in psicologia o ama o odia Freud e le sue teorie, non esistono vie di mezzo).
Per questioni di onestà va precisato che Freud aveva basato tutte le sue teorie sullo sviluppo psicosessuali e le patologie erano, per lui, direttamente collegate ad un trauma legato al sesso.
Le fasi freudiane dello sviluppo psicosessuale sono: orale, anale, fallica, latenza e genitale. L’identificazione avviene nella fase fallica e può essere anaclitica (dipendenza dai genitori) e difensiva (paura dei genitori). La non identificazione con il genitore dello stesso sesso può causare nevrosi, omosessualità e un Super-Io incompleto.
IL CONCETTO DI IMITAZIONE
Per ultimo accenniamo al concetto che il bambino tende a imitare chi lo circonda (pensate nel calcio come il bambino/bambina tenda ad imitare il proprio idolo anche nei minimi particolari). Bandura e il concetto di imitazione sono i processi psicologici che sottendono la propensione a imitare: l’attenzione, la ritenzione, la riproduzione motoria e la motivazione.
L’identità di genere si sviluppa a circa due anni e mezzo/tre; se confusa crea problemi di omosessualità in quanto l’identificazione di genere è fondamentale.
Il sé passato: le differenze individuali hanno basi genetiche che si riflettono nel comportamento (emotività, attività, socievolezza). Sullo sviluppo incidono gli stili genitoriali, l’attaccamento e l’identificazione sessuale. La correlazione tra genotipo e ambiente famigliare può essere: passiva (condizionante), evocativa (richiesta di risposte dall’ambiente in base al genere e all’aspetto fisico), attiva (autonomia).
UN PICCOLO TEST
Adesso per smorzare l’attenzione e concludere con una cosa concreta, vi invitiamo a darvi una risposta sulla comunicazione esistente tra voi e i vostri figli in maniera unidirezionale genitori→figli. Se condividete il test guardate il risultato, se non lo condividete lasciate stare: non è nostra intenzione creare disagio a chi dovrebbe combatterlo.
SAI COMUNICARE CON I TUOI FIGLI?
1. Ascolto sempre con attenzione quando mio figlio/a parla.
2. Ci piace parlare guardarci negli occhi, vicini fisicamente, ci sorridiamo, facciamo battute.
3. Quando lo/a ascolto riesco a non giudicare, a non comunicare, a non consigliare.
4. Lo/a aiuto ad esprimere senza farlo al suo posto.
5. Discorriamo spesso insieme anche di piccole cose.
6. Mio figlio/a si permette di esprimere giudizi e critiche su di me senza provocarmi reazioni di rabbia, fastidio, ecc.
7. Gli parlo di me di cosa provo, cerco di fargli/le capire perché mi comporto in un dato modo.
8. Tento di non farmi prendere dalla rabbia quando parlo con lui/lei, di non alzare la voce, di non aggredirlo/a.
9. Cerco di capire cosa vuole dire e cosa sta provando.
10. Rientra nel mio modo di rivolgermi a lui/lei dire “se ho capito bene, quello che volevi dire è…”, “dal mio punto di vista invece…”
11. Gli/le dico o faccio capire che gli/le vogliamo bene anche se sbaglia, fallisce, disubbidisce.
12. Esprimo spesso commenti positivi che lo/a riguardano, cerco di sostenerlo/a, rinforzarlo/a.
13. Cerco di evitare di riprenderlo/a e di dirgli/le che le cose non stanno come pensa lui/lei.
14. Cerco di rispettare e di non giudicare le sue opinioni.
- > 5 punta alla qualità, da rivedere il modo in cui si pone
- 5-10 cerca di facilitare il dialogo, ascolta cosa ha da dire
- 10 e oltre scambi frequenti e di qualità, un buon rapporto.


 

 

Fonte: http://www.usponteaelsa2005.net/file/perigenitori.doc

Sito web da visitare: http://www.usponteaelsa2005.net/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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