Proverbi significato e tipi di proverbi

Proverbi significato e tipi di proverbi

 

 

 

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Proverbi significato e tipi di proverbi

 Il termine proverbio e altre denominazioni

Il termine paremiologia (dal greco paroimia, cioè «proverbio») indica lo studio dei proverbi dal punto di vista della loro parte formale o del contenuto, e il termine paremiografia significa il raccogliere e catalogare dei proverbi. In realtà i due termini, e soprattutto le caratteristiche di quello che esprimono, spesso coincidono. Ciò viene provato da alcuni paremiologhi che si sono occupati del raccogliere dei proverbi.

La denominazione del proverbio è per la prima volta attestata in Grecia nel V secolo a. C. negli autori sia comici che tragici e nei dialoghi di Platone. Prima presso gli autori arcaici appaiono varie designazioni del proverbio, ancora non unitarie. A volte i proverbi si definiscono come «parola», a volte come «discorso», «racconto» ecc. Ad essi si riportano i termini latini verbum e praeceptum. C’è una grande equivalenza designativa che è verificata dal fatto che uno stesso detto che viene usato per esempio da Plauto come verbum, viene poi introdotto da autori successivi come proverbium .

Il termine proverbium è attestato inizialmente (insieme con una serie di neologismi) in testi letterari originalmente non linguistici (poemi ecc.), e rappresenta già una terminologia tecnica di ambito grammaticale e letterario. Accanto al proverbium coesistono anche altre espressioni, come adverbium, praeverbium o diverbium condividendo il secondo elemento del composto. Sono quasi tutte registrate da Varrone come tecnicismi che per lo più indicano elementi grammaticali, tranne diverbium che denomina le parti recitative della commedia e della tragedia.

L’apparizione del termine proverbium è collegata con l’esigenza di disporre di un tecnicismo latino per indicare una realtà linguistica complessa, della cui specificità si è stato reso conto come parte del discorso e della sua indispensabilità nella comunicazione letteraria. L’apparizione di questa denominazione corrisponde a tali esigenze. La tradizione orale ha da sempre trovato nei proverbi una risorsa di loci communes e uno strumento essenziale per la persuasione . Tale funzione è stata teorizzata già da Aristotele che nel suo primo libro della Rhetorica ha classificato i proverbi tra le «testimonianze che costituiscono le prove extratecniche indispensabili alla dimostrazione nel discorso giudiziario ed epidittico» .

In Cicerone proverbium ricorre sia nelle orazioni che nella prosa filosofica e nelle epistole, mentre presso Varrone si allude al linguaggio popolare. Entrambi usano il termine per introdurre citazioni di proverbi e non come oggetto di considerazioni teoretiche e linguistiche.

Interessante è che le denominazioni del proverbio nascono nelle lingue classiche proprio nel momento in cui si fa sempre più grande la differenza tra lo scritto e l’orale e si costituisce un modello di lingua letteraria, sempre più distinta dalla lingua d’uso. Quanto la letterarietà si fa valere per mezzo di scrittura, tanto nasce l’esigenza di regolamentare mediante una normativa tutto ciò che appartiene all’oralità e alle tradizioni popolari .

 

2.2. Il proverbio secondo linguisti antichi

Gli interessi per la disciplina dell’uso retorico-letterario del proverbio sono più tardi. Un’attività su questo campo è documentata solo da Aristotele che nella sua Rhetorica si occupò del proverbio dal punto di vista filosofico e retorico, e realizzò la prima classificazione dei proverbi. Aristotele (come del resto tutti i filosofi greci) sosteneva che nei proverbi fosse nascosta tutta la filosofia antica.

Per Aristotele il proverbio è strumento della logica e della dialettica offrendosi alla retorica per i fini del miglioramento stilistico. Aristotele associa al metodo della logica nella retorica l’esempio e a quello induttivo l’entimema. Tanto egli assegna come parte dell’entimema la massima e come parte dell’esempio la similitudine. Secondo il filosofo alcuni dei proverbi sono massime e alcuni sono similitudini.

Per quanto riguarda le caratteristiche del proverbio, Aristotele sostiene nella sua Rhetorica che siano la brevità e la manegevolezza a essere componenti essenziali del proverbio. Il terzo libro della Rhetorica è quasi interamente dedicato alla metafora la quale, secondo lui, è l’elemento costitutivo sia della prosa sia della poesia, con attributi della chiarezza e della preziosità, ma anche uno strumento didattico-conoscitivo. In questo contesto il proverbio viene identificato con la metafora poiché condivide con essa tutti i tratti fondamentali, cioè quelli formali come la brevità, la chiarezza, la ricercatezza, e quelli riguardanti il contenuto, cioè il risalto di omologie non evidenti, ma intelligenti e spiritose

Come abbiamo già accennato, proprio dallo stesso Aristotele inizia la pratica di collezionare i proverbi la quale viene continuata da Aristofane di Bisanzio, un filologo di Alessandria. Aristofane non si limita solo a raccogliere i proverbi ma ne analizza la formulazione e il preciso significato basandosi sulle prove letterarie in particolar modo nei poeti comici.

Il genere comico è del resto una fonte preferita per i repertori di proverbi, rappresentando «il massimo sforzo della teoretizzazione linguistico-gram­maticale ellenica per attingere la dimensione popolare del proverbio nella consapevolezza che il linguaggio dei comici rispecchia più da vicino le varietà del ‹parlato›» .

Nella tradizione latina la disciplina dell’uso retorico del proverbio è per la prima volta registrata da Cicerone e negli insegnamenti di Quintiliano. Quintiliano spiega sì il concetto aristotelico della natura metaforica del proverbio, ma ne domanda una precisa funzione stilistica nell’ambito del latino letterario come mezzo.

Bisogna però far nota che i metodi di raccolte sia di Aristotele sia degli altri clasici divergono da quelli praticati di recente per esempio da Franceschi . I raccoglitori classici si concentrano soprattutto sulla stabilità della forma proverbiale e, cercando di trovare una formulazione univoca, omettono eventuali varianti. La retorica romana, per esempio, sebbene sostenga che i proverbi hanno le loro radici nella narrazione popolare, non ne proscrive l’uso. In questo senso si orientano anche le raccomandazioni di Quintiliano.

Nei paragrafi precedenti abbiamo spiegato come infatti è nato il proverbio, ma dovremmo renderci conto che anche se i proverbi non sono esplicitamente indicati nei testi arcaici come «proverbi», gli autori li adoperano abbondantemente: da ciò risulta che la tradizione del proverbio è molto anteriore delle suddette opere. Bisogna infatti tener presente che il proverbio è da sempre un patrimonio di tutte le tradizioni orali. In altre parole: i proverbi ci sono stati fin dalla fase più arcaica di tutte le letterature. Il fatto che non ci esisteva nessun termine per il proverbio prima dell’età classica è forse causato dal non-stabilire di un uso letterario di queste forme.

 

2.3. La classificazione morfosintattica dei proverbi

La classificazione dei proverbi può essere eseguita secondo vari criteri. Ci sono sempre stati discussioni su come classificare i proverbi nelle raccolte. Alcuni li categorizzano secondo l’ordine alfabetico , altri secondo la parola di chiave in loro compresa. Poi però potremmo farci la domanda quale è la parola di chiave? Nel proverbio La carne del cavallo, c’è chi la mangia, c’è chi non la mangia sembra ovvio che la parola chiave è il «cavallo» ma il caso di A caval donato non si guarda in bocca è più oscuro.

Un criterio più tradizionale, utilizzato per esempio da Temistocle Franceschi o da Adriana Zeppini Bolelli , è quello di raggruppare i proverbi secondo temi come la vita e la morte, la donna e l’uomo, l’amore ecc. I temi rappresentati da una parola di base uniscono tutti le voci nelle quali questa parola appare fondamentale. Un altro criterio di classificazione può essere il punto di vista geografico o la presenza di alcune parole.

Franceschi inoltre divide i proverbi in quelli espliciti e impliciti. Il proverbio implicito (mediato o figurato) è il tipo più frequente; il suo valore proverbiale consiste nella figura. Il proverbio esplicito oppure immediato (meglio un uovo oggi che una gallina domani)viene anche chiamato il detto didattico. La valutazione paremiologica del proverbio esplicito viene espressa dalla sua sentenziosità e genericità. Assomiglia al detto paremiologico grazie alla presenza di dell’autorevolezza (si tratta di un adagio – raccomandazione, consiglio). Il suo contenuto risulta però più banale e di lunghezza superiore a quella del detto proverbiale; si riferisce a qualche lavoro (soprattutto agricolo) o a nozioni pratiche (calendariali, meteorologiche); descrive per esempio i vari mesi, il periodo dell’anno in cui conviene fare o non fare una certa attività; e prevede il tempo : Sant’Agata: la merenda nella sacchetta. Gennaio e febbraio, tieni al pollaio; marzo e aprile, capretto gentile; maggio e giugno, erbette col prugno; luglio e agosto, piccioni arrosto; settembre e ottobre, buone lepri col savore; novembre e dicembre, buon vitel sempre.

Il proverbio si può classificare anche secondo il suo contenuto. Presentiamo a questo proposito brevemente la classificazione dalla rivista Focus di maggio 2004 che divide i proverbi in tre classi: quelli consolatori che ci suggeriscono di vedere gli aspetti positivi di ogni cosa (Gallina vecchia fa buon brodo), quelli incoraggianti (Chi ben comincia, è a metà dell´opera), e quelli istruttivi (Il troppo vino ammazza l’uomo) .

Un‘altra classificazione è quella dal punto di vista morfosintattico che «ricerca i tipi di costruzioni e i modelli stilistici più frequenti e più caratterizzati dei proverbi» . Si tratta di un metodo abbastanza raro. Il primo tentativo in questo senso è quello di Archer Taylor e dei linguisti della rivista Proverbium . Taylor è considerato il padre della paremiologia moderna . Nella sua opera egli si occupa per la prima volta della parte formale del proverbio . La conoscenza di molte lingue gli ha consentito di attraversare la barriera nazionale e svolgere l’indagine di un carattere internazionale «tracciando» i proverbi individuali fino alla loro forma antica.

Taylor ha accennato all’interesse dei proverbi usati nelle opere classiche. Ha inoltre accentuato la necessità di esaminare la letteratura allo scopo dello sviluppo della paremiologia. Ha provato con successo che il proverbio ha davvero una validità internazionale: ha trovato parallele in molte altre lingue (germaniche, slave, indiane, latine ecc.). Taylor ha acquistato un successo enorme nel campo paremiologico ed è ritenuto di diritto il paremiologo più influente del secolo scorso.

Un altro paremiologo collegato con la Proverbium è Alan Dundes. Il suo articolo On the structure of the proverb rappresenta una delle prime analisi morfosintattiche dei proverbi . Egli distingue i proverbi che presentano un solo elemento descrittivo (un solo tema e un solo rema: La tavola invita) dai proverbi multidescrittivi. Questi sono divisi in:

1. proverbi equazionali che si possono manifestare  nelle seguenti forme:
A = A (Gli affari sono affari)
A = B (Il tempo è denaro)
Chi è A è B (Chi entra è perduto)
Dove è A è B (Non c’è fumo senza arrosto)

2. proverbi oppositivi che derivano dalla forma
A ≠ B (Vino proprio e pane altrui)

Un grande numero di linguisti, in riferimento alla classificazione del Centro Interuniversitario di Geoparemiologia, distinguono quattro principali tipi sintattici del proverbio:

1. monofrastici (formati da una sola proposizione)
2. ipotattici
3. paratattici
4. ellittici

Agli studiosi recenti che si sono dedicati alla classificazione morfosintattica appartiene anche Zuzana Wotkeová. Ella classifica il materiale paremiologico in quattro gruppi:

1. paratassi (considerata come la forma spontanea della lingua parlata)

2. ipotassi (proverbi con la soggettiva, oggettiva, aggettivale e avverbiale)

3. sintagmi monofrastici (raffigurano la maggior parte della raccolta)

4. sintagmi ellittici (espressi spesso tramite coppie di sostantivi – Quale padre, tale figlio, o di aggettivi – Grosso il sacco, grossa la tappa) .

In tutte le strutture esaminate, Wotkeová si accorge di una forma della struttura binaria che è espressa mediante un’opposizione o una contrapposizione delle figure semantiche che presentano un parallelo sintattico a coppie simmetriche: verità – bugia, a cavallo – a piedi, saggio – stupido .

Non vengono trascurati neanche i tempi verbali. Secondo la Wotkeová, il tempo più usato dai proverbi è quello presente; che permette di enunciare verità eterne. Come una forma sintattica ricorrente e fissa è considerato il gruppo composto da meglio ... che: Meglio acqua di vinaccia che acqua di fonte.

Interessante è la sua osservazione sulla differenza nell’espressione dell’imperativo tra i proverbi cechi e quelli italiani: nei proverbi cechi si usa l’imperativo che in italiano viene maggiormente sostituito dal congiuntivo. Il passato è meno utilizzato, ugualmente come il futuro e il condizionale.

Le opinioni sulla necessità della ricerca sintattica in fraseologia e paremiologia non sono unitari, anzi divergono diammetralmente. Alcuni studiosi rifiutano assolutamente l’esistenza di rapporti sintattici tra i componenti fraseologici . Altri linguisti ritengono che quella sintattica è la caratteristica più generale delle unità fraseologiche, per motivo della sua concordanza con il sistema grammaticale della lingua. Le ricerche moderne hanno superato delle opinioni estreme, ma l’affermazione che il lato sintattico sia irrelevante per i frasemi appare anche nelle opere più recenti dedicate alla problematica , .

Noi siamo d’accordo con quelle opinioni che sostengono la preferenza della parte semantica nei frasemi . Riteniamo, tuttavia, che tramite lo studio della struttura formale e il rapporto di essa con la struttura semantica otteniamo una nuova prospettiva sulla paremiologia.

Un altro autore che si è dedicato allo studio delle relazioni morfosintattiche nella fraseologia è l’autore slovacco Józef Mlacek. Soprattutto la sua monografia Zo syntaxe frazeologických jednotiek presenta un’analisi completa non solo dei rapporti dentro le unità fraseologiche, ma anche quella delle relazioni esterne dal contesto nel quale esse funzionano. Dal punto di vista formale, Mlacek divide le unità fraseologiche in frázy (cioè unità con una struttura frasale e periodica), frazeologické obraty (unità con una struttura sintagmatica verbale), frazeologické výrazy (unità con una struttura nominale), e le cosiddette «unità» .

In base alla classificazione funzionale si individuano le unità con la funzione nominativa, con quella comunicativa, e quelle che non dimostrano nessuna delle funzioni. La funzione nominativa viene svolta primariamente dalle unità del sintagma nominale.

Le unità fraseologiche (rispettivamente quelle paremiologiche) possono avere secondo Mlacek anche la funzione modale. Generalmente viene verificato che le unità possono essere dichiarative, interrogative, imperative o desiderative. Un’attenzione più profonda non è invece dedicata alla problematica.

Per quanto riguarda l’importanza della sintassi in fraseologia, Mlacek ritiene che la funzione sintattica non risulta esclusivamente dalla struttura formale. Il criterio decisivo per la validità sintattica delle unità fraseologiche è la loro struttura semantica che condiziona l’unione del frasema con il contesto, eventualmente con vari contesti. Il modo di integrare i frasemi con il contesto determina poi anche la loro funzione sintattica e la validità comunicativa.


3. LA DEFINIZIONE DEL PROVERBIO E LE SUE CARATTERISTICHE

Come abbiamo già accennato, il proverbio riflette maggiormente le usanze e le regole della vita nella società descrivendo le esperienze dei nostri nonni. Il proverbio è una codificazione di atteggiamenti derivanti da eventi vari e portati dal tempo e dalla vita. Ci parla della meteorologia, della caccia, della pesca, dell’agricoltura, insomma, dei ritmi che scandivano le vite dei nostri antenati. È saggezza popolare, non rappresenta una scala di valori e atteggiamenti universali provati da un’opinione filosofica. Sono piuttosto degli atteggiamenti nei confronti di vari eventi portati dal tempo e dalla vita. Ognuno si può accorgere che Chi mangia aglio e cipolla forte, non ha paura assolutamente della morte.

 

3.1. La figuratività – l’uso della metafora

Il fascino dei proverbi consiste non solo in queste constatazioni ma anche nella loro figuratività. L’aspetto figurativo serve a distinguere il proverbio (figurato) dal detto (non figurato) . Non mangiar vitello in corpo di vacca è un proverbio in quanto il senso, piuttosto che sul piano letterale, va cercato su quello delle considerazioni riguardanti la pazienza. Ogni promessa è debito è invece un detto, perché la sua interpretazione non richiede operazioni di spostamento del significato.

Affinché i proverbi siano più efficaci, hanno spesso bisogno di parole che si colorino di connotazioni di altri referenti: si fa intendere una cosa attraverso le particolarità di un’altra: un esempio del tipico processo metaforico del parlare figurato. Berruto definisce la metafora come «una parola usata al posto di un’altra per rendere un referente con un significato diverso» , e Weinrich come «un processo di controdeterminazione in cui la determinazione effettiva del contesto avviene in direzione contraria all´attesa di determinazione della parola» . Questo punto di vista è generalmente accettato dagli altri linguisti spiegandoci come un enunciato con espressioni metaforiche acquisti un significato non letterale (implicito) determinato dal contesto della situazione.

Secondo Jakobson, la metafora rappresenta l’espressione più sintetica dei rapporti paradigmatici (come rapporti paradigmatici si intendono i rapporti tra gli elementi morfosintattici, semantici e pragmatici) di una lingua. Tali rapporti attribuiscono alle metafore il particolare effetto perlocutorio . Da questo punto di vista si può spiegare il carattere di stereotipicità che si rileva nei proverbi.

Cirese colloca l’uso della metafora con la cosiddetta «proverbialità» o il «valore proverbiale». Si tratta della capacità, tipica, di rappresentare situazioni generali . Cirese sostiene che alcuni proverbi non sono immediatamente riconosciuti come proverbi. Si tratta di solito dei detti tipo Il beccaio non ama il pescatore. Al primo sguardo la frase sembra essere una frase qualsiasi. Soltanto se viene usata in una situazione particolare, assume il valore proverbiale; vuol dire che le espressioni «il beccaio» e «il pescatore» non si riferiscono più solo ai mestieri concreti ma acquistano un valore generale e allegorico, diventando simboli di tutte le situazioni o cose concorrenziali. Il significato effettivo della frase sarà poi qualcosa come «è ovvio che due persone in concorrenza non si possono amare». Ciò significa che il valore del proverbio dipende in gran parte dalla collocazione del testo nella situazione extra-testuale o socioculturale.

Invece i proverbi del tipo molto frequente Chi mangia pane asciutto, non vuole tovagliolo sono sentiti da Cirese come quelli che sono percepiti subito come «detti», «motti» o «proverbi».

Qual è la differenza tra i due tipi? Il primo esempio si riferisce a qualcosa di specifico (beccaio e pescatore), invece «Chi mangia» contiene in sè un carattere generale «chiunque mangi». Il valore della prima frase può essere capito come proverbiale solo in certe situazioni. Al contrario quell’altro esempio appare ogni volta come «proverbiale».

Cirese in questo contesto distingue tre tipi di «proverbialità»:

1. le espressioni che assumono il valore proverbiale con estrema difficoltà

2. le espressioni che accettano tale caratteristica, e quindi sono capaci di rappresentare cose generali, ma solo in contesti di discorso specifici e concreti

3. le espressioni che già di per sé presentano il carattere proverbiale per certe loro qualità, quale che sia il contesto del discorso

 

3.2. La brevità

Molte definizioni spiegano la brevità, una caratteristica tipica del proverbio, dai motivi estetici o mnemonici. La modalità di essere breve è invece essenziale per l’esistenza del proverbio. Il proverbio deve essere breve non solo perché «quando un motto è lungo non può agevolmente riprendersi né lungamente ritenersi» ma soprattutto perché può funzionare nel discorso solo se è voluminoso il meno possibile. Secondo Del Ninno il fatto è dato dalla presenza di una sospensione che interviene nella comprensione del testo e deve essere contenuta in termini ridotti .

Presentiamo in seguito definizioni del proverbio di due paremiologhi per dimostrare Cirese in riferimento al Dizionario Tommaseo-Bellini definisce il proverbiocome un «detto breve arguto, e ricevuto comunemente, che per lo più sotto parlar figurato comprende avvertimenti attenenti al vivere umano» o come «motto breve, di larga diffusione e antica tradizione, che esprime in forma stringata e incisiva, un pensiero o, più spesso, una norma desunti dall’esperienza».

Per il già menzionato Franceschi il «proverbio è un motto breve e incisivo che costituisce un’affermazione di carattere generale o un consiglio, e che sia la sua origine, è un certo momento ‹passato in proverbio›, è stato cioè assunto in una tradizione orale communitaria» .

La struttura dei proverbi è caratterizata dalla rigidità. I proverbi sono infatti «manifestazioni linguistiche che godono la proprietà di essere brevi, argute, di buon senso e popolari» .

Presentiamo in seguito alcune definizioni del proverbio da parte di due studiosi. Vallini porta le seguenti spiegazioni:

Il proverbio è:

1. «uno strumento essenziale per la trasmissione della cultura popolare – tende a superare i limiti delle singole communità»

2. «un’unità linguistica con valore semantico concluso»

3. «il proverbio è anonimo»

Secondo Sinesio i proverbi sono «relitti di antica filosofia sopravvissuti alle catastrofi umane in virtù della loro ‹brevità› e ‹manegevolezza›».

Le caratteristiche formali sono la paronomasia, l’alliterazione, il parallelismo sintattico e la rima. Secondo Cirese le prime tre proprietà sono interne al testo, la quarta è esterna, delle prime tre la brevità e l’arguzia riguar­dano la forma, e il buon senso – l’espressione di un’idea generale – ri­guarda il contenuto.

Vallini distingue alcuni tratti costitutivi nel proverbio, cioè la ripetizione continua dello stesso registro di generazione in generazione; la relativa universalità del contenuto e dell´espressione; e la valenza estetica con significative coincidenze raffigurate da un contenuto metaforico e da un’espressione «euritmica».

Riportiamo dunque che il proverbio ha un carattere ripetitivo, possiede un contenuto «metaforico», si fa valere per l’universalità del contenuto e dell’espressione, e per la brevità. Avvicinarsi al proverbio significa innanzi tutto limitarsi al luogo comune – i proverbi non dicono mai niente di nuovo (o niente che non sia stato già detto).

 

3.3. L’approccio extratestuale

Abbiamo detto che la presenza della metafora allude alla necessità di capire la situazione extratestuale del proverbio: come ogni fenomeno linguistico, anche il proverbio fa sempre parte della realtà linguistica ed extralinguistica. Di solito si presenta (e si è sempre presentato) come una parte di formazioni letterarie, soprattutto favole o aneddoti riassumendo la morale che ne risulta. Questo collegamento si è sentito tanto fisso che il proverbio stesso poteva sostituire tutta la storia. Ogni proverbio si riferisce sempre ad un contesto culturale fatto di modelli di comportamento, di norme e di valori in cui i parlanti si riconoscono.

Citiamo a questo proposito Del Ninno: «il proverbio si distingue all’interno della sequenza verbale per il mutamento di intonazione con cui è proferito: il mutamento dell’intonazione può essere percepito solo per contrasto, in rapporto agli altri segmenti del testo» ; «come la fiaba e i miti, anche il proverbi fanno un uso ‹iperstrutturale› del linguaggio» . Questa affermazione è importante perché implica la necessità di tener conto dell’«ambiente» in cui il proverbio si trova. Esso, come una voce lessicale, vive solo mediante un atto di comunicazione.

Similmente si esprime Grimaldi: «Bisogna tenere conto che il proverbio, nella realtà, viene sempre citato all’interno di una interazione discorsiva e in funzione di un determinato contesto del discorso. Il repertorio paremiologico dei parlanti di una comunità non potrà mai essere raccolto in situazioni, per usare un termine medico, ‹asettiche›» .

 

3.4. La stratificazione storica

In coerenza con la tradizione dei proverbi si deve menzionare la cosiddetta stratificazione storica dei proverbi. La stratificazione è causata dalla sedimentazione temporale: i motti dei pensatori antici e medievali e citazioni dalle opere di autori famosi Tutto questo avveniva però a condizione che le suddette sentenze esprimessero esperienze popolari o codici morali identici con l’atteggiamento del popolo, quello del mondo e della vita. Se hanno corrisposto a tali esigenze, la società se li ha appropriati, trasmessi ed eventualmente li ha modificati.

Proprio sui proverbi che sono diventati popolari, si può bene dimostrare la stratificazione storica. Siamo capaci di individuare il tempo della loro formazione. Al contrario dei proverbi d’origine puramente popolare possiamo di solito stabilire la loro età solo approssimativamente.

Qualunque sia la loro origine, i proverbi esprimono validità in tutte le condizioni. «Il proverbio, avendo a livello di enunciato validità generale ed atemporale, aspira a proporsi come ‹verità eterna› che esiste da sempre e per sempre» . Il valore eterno dei proverbi viene limitato dai valori fondamentali e codici morali i quali sono finora apprezzati.

 

3.5. La gerarchia delle caratteristiche

Si afferma che il proverbio è un «motto» o un «detto». Semplicemente detto, in ambedue i casi si tratta di un’espressione che per la sua forma fissa o addirittura stereotipica differisce dal parlare comune diventando ricordevole. Alcune delle qualità del proverbio sono implicite in quelle di motto o detto, cioè per esempio la brevità. La brevità di un messaggio non significa invece ancora che si tratti di un proverbio. Perché si parli di esso, occorre che la brevità sia strettamente legata al carattere ricordevole e fisso dell’espressione.

Altre caratteristiche più specifiche sono l’arguzia, la forma incisiva e il parlare figurato o la derivazione dall’esperienza. Non è invece necessario che i proverbi dimostrino tutte le caratteristiche presentate (ciò si efettua infatti solo raramente), ma dovrebbero contenerne almeno una. In base a vari studi la proprietà di base che dovrebbe essere presente in tutti i proverbi sembra essere quella di buon senso (o, in altre parole, quella di un’«idea generale») .

G.Toury si è occupato della problematica dell’importanza degli aspetti del proverbio stabilizzando una gerarchia degli aspetti importanti. Infatti, egli afferma che le caratteristiche che sono importanti per il testo di partenza non possono essere tali per quello di arrivo e viceversa. Ciò porta ad un criterio di equivalenza funzionale. Su questa base possiamo fare la seguente ipotesi: la rilevanza di una certa proprietà dipende dal tipo di testo nel contesto di cui viene usata. Per esempio, se il proverbio fa parte di un testo poetico, è la caratteristica dell’espressività quella rilevante.

In base alle definizioni presentate possiamo individuare nel testo proverbiale le seguenti caratteristiche:

1. di appartenere alla categoria di «detti» o «motti»
2. di essere breve
3. di essere arguto oppure incisivo
4. di essere largamente diffuso
5. di avere contenuto educativo

La definizione del Dizionario Tommaseo-Bellini aggiunge le seguenti modalità:

1. di avere relazione al vivere umano
2. di fare uso della metafora
3. di avere lunga tradizione nel tempo
4. di contenere un pensiero o riflessione
5. di essere derivato dall’esperienza

Come il risultato della ricerca proverbiale Wotkeová presenta le seguenti caratteristiche dei proverbi italiani (e cechi) :

1. il principio di economicità: l’economia linguistica nei proverbi richiede un minore sforzo articolatorio e mnemonico, gli elementi linguistici che non sono importantanti vengono omessi a vantaggio dell’espressività

2. in italiano viene spesso omesso l’articolo nei sintagmi ellittici (Buon cantore, buon ghiottone)

3. la rima rappresenta uno dei mezzi mnemonici più semplici e largamente usati

4. la ripetizione di parole determinate serve a dare maggior importanza alla formulazione che al significato del proverbio (Lontano dagli occhi, lontano dal cuore)

5. la binarietà, espressa dall’opposizione o contrapposizione (Prima il dovere, poi il piacere)

6. l’uso molto simile dei temi e dei modi verbali (viene preferito il presente indicativo come il tempo astorico)

 

3.6. Gli effetti fonici e ritmici – la simmetria

La simmetria viene definita come un «rapporto sistematico tra la posizione soggetto o la posizione oggetto diretto e un complemento preposizionale» . Essa, come dimostra Del Ninno, si incontra in proverbi a tutti i livelli: sul piano metrico come corrispondenza di accenti, sul piano fonetico come ripetizione di suoni, sul piano sintattico come equivalenza di strutture di proposizioni . I proverbi assumono spesso un aspetto metrico o almeno ritmico. Si utilizzano vari giochi di parole come assonanza (sott’acqua fame e sotto neve pane), eufonia (carne cruda pare brutta) e chiasmi (mangio per vivere, non vivo per mangiare). Altre figure retoriche usate sono allitterazioni (carne fa carne, pesce fa vesce), ripetizioni (pane cogli occhi, e cacio senz’occhi, e vin che cavi gli occhi) e opposizioni di forme (caffè caldo e anguria fresca). Tra tutti i giochi di parole che si trovano nel linguaggio dei proverbi culinari, la più rappresentata è la rima: Dell’oca mangiane poca.

«I proverbi sono creati a base di un’architettura simmetrica , nella quale la struttura tema/rema si effettua a modello iper-prevedibile dell’enunciazione della banalità» . Questa teoria sulla costituzione del testo proverbiale viene confermata da Jakobson che parla della struttura sui generis del testo poetico nel quale significante e significato, sintagma e paradigma, perdono i loro valori regolari lasciando spazio alla rappresentatività. Ripetizione e ritorno di elementi del significante sono necessari per capire il proverbio, insieme con il riflettere del contenuto letterale e di quello metaforico, della situazione presente e di quella evocata.

Il ritmo e la simmetria, secondo Maurizio del Ninno , è una delle modalità che differiscono il proverbio dai modi di dire, detti, massime ecc. La simmetria contribuisce a comporre l’effetto complesso dell’espressione proverbiale. I proverbi sono unità create a base di un modello equilibrato. Se la frase perde una sua quantità metrica, diventa instabile. Per esempio se nel proverbio La bandiera vecchia, onor di capitano il complemento «capitano» viene sostituito diciamo con «cappellano», la frase perde il suo senso originale, ma questa perdita è sempre minore di quella del sostituire il «capitano» con «tenente colonello». L’ultimo elemento è semanticamente più vicino al «capitano», ma ha qualche sillaba in più, e quindi distrugge il ritmo. Da ciò risulta che il ritmo ha una sua autonomia dando alla frase la fissità memorizzabile.

Nelle espressioni con la più marcata fissità e stereotipia è il più frequente l’andamento simmetrico a quattro elementi:

Ospite

caro,

ospite

raro

Asino

che ha fame

mangia

ogni strame

La fame

è brutta

e la sete

è maledetta

Corpo

pieno

anima

consolata

Anche se i quattro esempi sono diversi dal punto di vista formale (nel primo ci sono solo tre termini, tra cui uno è ripetuto, nel secondo tutti gli elementi sono differenti tra loro…), tutti dimostrano un grado di simmetria che esiste indipendemente dalla struttura logica e semantica. La ripetizione nel primo esempio funziona proprio per ragioni di simmetria; potremmo cancellarla e non cambia neanche la struttura logica neanche quella semantica. Ce lo mostra il primo esempio in cui la ripetizione di «ospite» può essere eliminata.

 

3.7. Il carattere normativo

Alcune fonti distinguono due tipi fondamentali di proverbi: quelli normativi e quelli constatativi. I proverbi normativi indicano delle norme dei comportamenti da seguire (Dell’oca, mangiane poca, Vino vecchio e olio nuovo), mentre i proverbi constatativi esprimono un atteggiamento di rassegnazione nei confronti delle disgrazie della vita (Tutta la settimana polenta e chiodi e la domenica tabacco a bere) .

Il carattere normativo del proverbio deriva dalla modalità di rappresentare la «saggezza delle nazioni», di presentare consigli derivati dall’esperienza del popolo. I proverbi costituiscono non solo il manuale del saper essere, ma anche del saper fare.

Del Ninno distingue tre livelli di proverbi secondo il grado dell’intensità della norma :

1. norma imperativa (ordina un comportamento o esprime un obbligo): Si deve mangiar per vivere, non vivere per mangiare

2. norma direttiva (suggerisce, qui cadono i proverbi di preferenza): Meglio porco che pesce

3. norma indicativa (il valore normativo è implicito, il significato è figurato): Non si campa d’aria

A livello morfosintattico, il valore normativo viene indicato dalla presenza dell’imperativo (Bevi del vino, non del giudizio) o del predicato «del dovere» tipo bisogna, si deve ecc.

Non si dovrebbe trascurare l’effetto dell´intonazione le cui variazioni possono rendere direttiva un’espressione indicativa e viceversa.

 

3.8. Il carattere popolare

La concretezza presente nei proverbi, il loro costante riferimento alle cose della vita quotidiana e ai valori tradizionali sono gli elementi che inducono molti autori a caratterizzare il proverbio come un prodotto popolare. Dagli autori dell’Enciclopedia di Scienze, Lettere ed Arti «Treccani» la popolarità è considerata come costitutiva e posta come la distinzione di base tra vari tipi di proverbi: «Sotto questo nome si comprendono comunemente detti di varia forma ed origine, come massime, sentenze, modi di dire; ma il proverbio è appropriamente una locuzione popolare che formula un pensiero o un avvertimento come risultato dell’esperienza» .

La stessa opinione viene espressa anche da Maurizio Del Ninno. Egli si esprime sul modo di proverbi di presentarsi in epoche e contesti culturali diversi: «la progressiva scomparsa dei valori tradizionali della cultura contadina, o più generalmente pre-industriale, cosí come la trasformazione della organizzazione sociale ad esse connesse, sarebbero, ad esempio, alla base dello spiccato decadimento della produzione e dell’uso del proverbio, nella società contemporanea, che in quella cultura e in quella organizzazione sociale aveva origine ed esprimeva la sua massima funzionalità» . Tale concezione del proverbio emerge in area orientale, etnografica, nel mondo antico greco e romano, in epoca medioevale e moderna.

L’origine contadina del proverbio viene confermata anche da Aristotele nella Rhetorica: «L’uso delle massime è adatto all’età dei più vecchi e gli argomenti sono quelli di cui chi parla ha esperienza; infatti adoperare le massime quando non si è di questa età è sconveniente, come pure raccontare favole; e farlo su argomenti di cui non si ha esperienza è cosa sciocca e da ignorante. Un segno di ciò è il fatto che i contadini sono soprattutto amanti delle massime e si esprimono facilmente con massime» .

Passiamo ora ai vari aspetti che gli autori hanno espresso intorno alla caratteristica del proverbio. Uno degli aspetti a cui la popolarità viene legata è il rapporto con l’ambiente socioculturale. Importante invece non è, in questo contesto, l’origine sociale e culturale del proverbio ma il suo uso socioculturale. Il carattere popolare è inoltre rappresentato dal contenuto che viene espresso dal proverbio.

Carla Cristilli distingue due tipi di contenuto: il tipo di universo materiale e culturale e il fondamentale appello all’esperienza concreta . In entrambi i casi si riconosce nel proverbio un prodotto culturale del mondo contadino o, generalmente, delle classi sociali più basse: «comunissimi paragoni, che rispondono ad un bisogno della mentalità inferiore, la quale nel ragionamento si appoggia a fatti concreti, per meglio rendere, con immagini sensibili, la verità di un fatto e di un’idea» .

Un altro aspetto, che è già stato menzionato, è l’uso del linguaggio figurato, la tradizione orale e la varietà della lingua adoperata. La tradizione orale è (insieme con il procedimento metaforico) quello che differisce il proverbio dalla massima e dalla sentenza l’origine delle quali è invece la tradizione scritta.

La varietà della lingua consente ad attribuire il proverbio ad una comunità determinata geografica o sociale. Citiamo qui Franceschi tramite Cristilli: «l’identificazione del carattere popolare d’un proverbio è facilitata dal fatto che i detti di carattere popolare son sempre tramandati nella locale tradizione linguistica, cioè nel dialetto locale. Pertanto, tutti i proverbi che, fuor di Toscana, si raccolgan da noi, a livello popolare, formulati in lingua, dovran considerarsi a parte, come testimonianza d’una diffusione a carattere recente e dotto d’una tradizione spesso già d’origine dotta» .

 

3.9. Il carattere antico – l’influenza dell’antichità sulla struttura morfosintattica

Nel capitolo precedente abbiamo spiegato il carattere popolare del proverbio come una delle caratteristiche più spiccate di esso. Riteniamo che questa caratteristica non influenzi solo il contenuto dell’informazione da esso comunicata, ma anche la parte formale del contenuto. Fra il significato letterale e la situazione a cui il proverbio si riferisce non esiste un rapporto immediato, ma fondato sul rapporto tra gli elementi del contenuto .

Secondo Del Ninno l’autorità del proverbio è data non dalla sua sostanza, ma dalla forma del contenuto: i caratteri formali alludono alla profondità storica del proverbio, configurandolo come una diffusione della sapienza popolare. Questo fatto viene provato dalla presenza delle forme grammaticali arcaiche, come l’assenza dell´articolo, ordine non abituale delle parole (Chi del vino è amico, di sé stesso è nemico, Della vita è codice: empire la trippa e scaricare il podice ).

L’italiano antico presenta molte frasi con un ordine diverso da quello «normale». Questo fatto è stato notato in molti autori che si dedicano alla sintassi dell’italiano antico. Menzioniamo qui solo Laura Vanelli . Ella sostiene che la suddetta osservazione è comune a tutte le lingue romanze nelle loro fasi medievali. Si tratta di frasi in cui il primo posto non è occupato dal soggetto, ma da un elemento con diverso valore funzionale (per es. da un oggetto diretto da quel indiretto: Ad ogni sete ogni acqua è buona, da un complemento circostanziale o avverbiale: Dal vino buono si fa un buon aceto).

L’effetto è rafforzato dall’uso dei tempi e dei modi verbali: il presente indicativo, tempo astorico per eccellenza, che permette di enunciare come attuali le «verità eterne», e l’imperativo che garantisce l’intervento di un «ordine morale» costante.

La teoria viene confermata anche da Renzi: «È infatti frequente che nelle espressioni idiomatiche si trovino parole desuete, come pure costrutti sintattici arcaici» .

L’antichità linguistica nei proverbi è presente per varie ragioni, ma soprattuto perché spesso i proverbi si tramandano con un ritmo e una rima e assonanza che contribuiscono a fermare un’antica condizione (L´uomo di vino, cento e carlino).

Tuttavia la lingua dei proverbi è soggetto anche essa di evoluzione. Il conflitto tra innovazione a conservazione sembra però di inclinare piuttosto alla seconda.

 

3.10. L’organizzazione di tema/rema – topic/comment - la struttura bi- e quadripartita del proverbio

 
Cristilli sostiene che a livello testuale la costruzione del proverbio è individuabile in una struttura sintagmatica in cui la disposizione dei segmenti del testo tende a riflettere quegli avvenimenti dell’esperienza concreta o il loro grado di rilevanza sul piano psicologico .

Un esempio di questo rapporto, definito dalla Cristilli come iconico è riconoscibile nella struttura tema/rema.

Viene sottolineato il ruolo decisivo del secondo segmento del tema. Si sostiene che che sia il secondo segmento del tema di svolgere la funzione principale nel cambiamento di senso: «[…] la struttura sintattica stessa dell’italiano mostra la tendenza a porre ciò che determina dopo ciò che è determinato» . Il secondo elemento è di solito determinante e stabilisce il valore del rapporto tra tema e rema, cioè il senso del proverbio: Il diavolo li fa e poi li accoppia.

A ulteriore differenza della struttura soggetto-predicato che risulta in una sintassi legata, quella tema-rema si manifesta in una sintassi segmentata . Di questo tipo di struttura si è interessato Bally caratterizzando un tale testo come caratteristico della lingua colloquiale.


Cfr. Pocetti Paolo: Aspetti della teoria e della prassi del proverbio nel mondo classico in: Vallini Cristina: La pratica e la grammatica. Viaggio nella linguistica del proverbio, Istituto Universitario Orientale, Napoli 1989, p. 63.

Di questa problematica si occupa Di Capua Francesco: Sentenze e proverbi nella tecnica oratoria e nell’arte del periodare, Napoli 1946.

Poccetti Paolo, op. cit., p. 70. L’allusione a questo valore testimoniale dei proverbi è solito nelle argomentazioni ciceroniane.

Cfr. ibid., p. 64.

A questo proposito viene menzionata la molteplicità e complessità degli aspetti del proverbio trattata già da Aristotele.

La sentenza, motto, proverbio.

Il proverbio diventa così una componente essenziale dell’atto linguistico rientrando perfettamente nella tradizione retorica greca e poi in quella romana. Si tratta di un oggetto di tradizione orale e di diffusione popolare piena di locuzioni colloquiali e dialettali. Per questo è abbondantemente utilizzato dai retori come dai filologi o poeti.

Pocetti Paolo, op.cit., p. 64.

Cfr. Franceschi Temistocle: Il proverbio e l’API, AGI 63, 1978, p. 115 ss. Cfr. inoltre del medesimo, l’introduzione all´Atlante Paremiologico Italiano, Urbino 1982.

Annarosa Selene: Dizionario di proverbi, Armenia editore, Milano 1990.

Franceschi Temistocle, Mancini A. M., Miniati M. V. o Bucciarelli L. B.: Questionario dell’Atlante paremiologico italiano (1981-1984). Si tratta di un grande dizionario di proverbi degno di essere menzionato. È stato compilato con l’assistenza dell’Università di Urbino e dell’Istituto di paremiologia presso l’Università di Firenze. Tutta l’opera contiene 8000 proverbi. L’obiettivo degli autori era documentare i proverbi che si usano correntemente. Il materiale é diviso secondo temi individuali in 12 capitoli: l’essere umano dal punto di vista fisico, l’idea e l’azione, la morale e l’uomo, l’amore e la famiglia, la casa – il cibo – l’abbigliamento, gli animali – l’allevamento, il calendario, il tempo e lo spazio, la natura con i suoi fenomeni, la soprannaturale.

Bolelli Adriana Zeppini: Proverbi italiani, Salani editore, Firenze 1989.

Cfr. Franceschi Temistocle: L’Atlante Paremiologico Italiano e la Geoparemiologia in: Trovato C. Salvatore, 1999, p. 11.

Cfr. http://www.acatportogruarese.it/novembre04/proverbi.htm)

Cfr. Wotkeová Zuzana: Osservazioni sulle strutture morfosintattiche dei proverbi cechi e italiani in: Sborník prací Filozofické Fakulty Brněnské Univerzity L13, 1992 (ERB XXII), p. 60.

Stampata dal 1965 al 1975 dagli scienziati finlandesi i quali si sono occupati dello studio dei proverbi, sotto il patroncinio della Società della letteratura finlandese. Nonostante la sua influenza sulla paremiologia  é stato abollito dopo aver pubblicato 25 numeri. Nel 1984 il gruppo dei linguisti dell’Università di Vermont, USA, ha ripreso queste attività dando vita a una nuova Proverbium), la quale Taylor ha fondato nel 1965 insieme con il suo amico Matti Kuusi. Molte ricerche di Taylor sono state pubblicate nella rivista, vale dire che per la prima edizione Taylor ha scritto l’introduzione intitolata The Study of Proverbs.

La sua «carriera» di paremiologo comincia con il pubblicare di O du armer Judas e In the Evening Praise the Day. Nel 1931 è stampato il suo libro The proverb il quale appartiene finora tra le opere paremiologiche più importanti. Durante tutta la sua vita Taylor raccoglie informazioni bibliografiche, legge cataloghi di libri a condivide le sue esperienze con gli studenti e colleghi. Nel 1941 aiuta a fondare la California Folklore Society e nel 1942 partecipa alla pubblicazione della rivista California Folklore Quarterly (oggi Western Folklore). È membro di numerose organizzazioni nazionali e internazionali, possessore di vari onorificenze e apprezzamenti. Nel 1936-37 è nominato presidente della American Folklore Society e nel 1951 presidente della enorme Modern Languages Association of America.

Anche se è a volte criticato di averla studiato troppo superficialmente.

Cfr. Dundes Alan: On the structure of the proverb, in: Proverbium, n. 25,1975, pp. 961-973.

Cfr. Cervini Claudia, Guarino Amato Manuela, Melis Luisa: Le varianti di Ogni figlio pare bello alla mamma in: Trovato C. Salvatore: Proverbi Locuzioni Modi di dire Nel Dominio Linguistico Italiano, Atti del I Convegno di Studi dell´Atlante Paremiologico Italiano (API), Modica, 26–28 ottobre 1995, Il Calamo, Roma 1999, p. 190.

Cfr. Wotkeová Zuzana: Osservazioni sulle strutture morfosintattiche dei proverbi cechi e italiani in: Sborník prací Filozofické Fakulty Brněnské Univerzity L13, 1992 (ERB XXII), p. 60.

Ibid., pp. 60-61.

Cfr. per esempio Bally Ch.: Francuzskaja stilistika, Moskva 1961, o Vinogradov V.V.: Osnovnyje ponatija russkoj frazeologii kak lingvističeskoj discipliny. In: Trudy jubilejnoj sessii LGU, Leningrad 1946, pp. 45-69.

A questo proposito consideriamo i proverbi di essere un sottosistema della fraseologia.

Per esempio Nosek J.: Anglické idiomy (Poznámky k jejich mluvnické výstavbě). ČMF 38, 1956, n. 2-3, pp. 65-76.

Cfr. Filipec J. – Čermák F.: Česká lexikologie. Studie a práce lingvistické 20, Academia, nakladatelství ČSAV, Praha 1985.

Cfr. Mlacek Józef: Zo syntaxe frazeologických jednotiek in: Frazeológia vo vzdělávaní, vede a kultúre. Phraseology in Education, Science and Culture, 1993, p. 54.

Anche se, viceversa, Greimas giunge alla conclusione che la periodicità di coppie oppositive sul piano sintagmatico permette di stabilire nuove coppie di opposizioni lessicali. (Cfr. Greimas A.-J.: Idiotismes, proverbes et dictions, in: Cahiers de Lexicologie, n. 2, pp. 41-61 (trad. it. parziale in Del senso, Bompiani, Milano 1974, pp. 323‑329).

Originalmente «minimálne jednotky», traduzione dell’autore della tesi.

Cfr. Mlacek Józef 1993, op.cit., p. 54.

Fra le due unità paremiologiche non esiste però un confine netto e, nella pratica, si osservano molti casi ambigui.

Berruto Gaetano: La semantica, Bologna 1975, p. 117.

Weinrich Harald: Metafora e menzogna: la serenità dell´arte, Bologna 1976, p. 89.

Jakobson Roman: Saggi di linguistica generale, Milano 1966, p. 39.

Cfr. Prime annotazioni per una analisi strutturale dei proverbi, Appunti del corso tenuto dal prof. Alberto M. Cirese, università di Cagliari, anno academico 1968-69, p. 30.

Nell’analisi grammaticale ci occuperemo proprio di queste espressioni. Cfr. Cirese Alberto Mario 1968-69, p. 34.

Del Ninno Maurizio: Proverbi in: Enciclopedia Einaudi, vol. 11, Einaudi, Torino 1980, p. 396.

Cfr. ibid.

Cfr. Cirese Alberto Mario 1968-69, op. cit., p. 1.

Tommaseo Niccolò, Bellini Bernardo: Dizionario di lingua italiana, Zanichelli, Bologna, 2004.

Temistocle Franceschi: Il proverbio e l’API., p. 111.

Cfr.Vallini Cristina 1989, op. cit., p. 132.

Cfr. ibid., p. 143.

Cfr. ibid., p. 122.

Quintiliano ha definito i proverbi come «sententiae quae incertum auctorem habent». Quint., Inst. V 11, 41. Cfr. Vallini Cristina 1989, op.cit., p. 122.

Ruprecht K.: Paroimiographoi, RE XVIII c. 1736.

Cfr. Cirese Alberto Mario 1968-69, op.cit., p. 20.

Cfr. Vallini Cristina 1989, op.cit., p. 6.

Cfr. Del Ninno Maurizio 1980, op. cit., p. 395.

Ibid., p. 389.

Grimaldi Mirko: API, Questionario e metodi di ricerca sul campo in: C. Trovato 1999, op. cit., p. 34.

Poccetti Paolo in: Vallini Cristina 1989, op. cit., p. 62.

Cirese o Vallini usano la denominazione «buon senso» per indicare «un’idea generale». Secondo Vallini (Cfr. ibid. p. 135) il valore del buon senso sembra di essere di base – le altre caratteristiche (brevità, popolarità) non sembrano essere rilevanti – anche se rappresentano la base di comparazione.

Cfr. Toury G.: Search of a theory of translation, Tel Aviv University, 1980.

Cfr. Wotkeová Zuzana: Osservazioni sulle strutture morfosintattiche dei proverbi cechi e italiani in: Sborník prací Filozofické Fakulty Brněnské Univerzity L13, 1992 (ERB XXII).

L’importanza del rima per il proverbio è stata studiata da Cirese 1968-69, pp. 52-58. Egli si accorge che le unità paremiologiche dimostrano una proporzionale indiretta tra l’aspetto della ritmica e il senso della frase. Le frasi che creano il rima perfetto – Olio, pepe e sale, sarebbe buono uno stivale – non devono necessariamente avere il senso. Questa frase, secondo Cirese, dimostra il livello maggiore della proverbialità – rappresenta cosiddetta «proverbialità attuale».
Invece la frase Esperimento, padre di scienza, la quale ha senso, ma è senza il rima, si limita solo alla proverbialità «potenziale». Vediamo dunque che il rima rappresenta un criterio del carattere proverbiale.

Ora vorremmo dimostrare come il rima è rilevante per la struttura proverbiale, anche se la seguente analisi appartenerebbe piuttosto al campo semantico.

Piva Bruno Cristina: Sulle costruzioni simmetriche in italiano in: Linguistica e antropologia, Atti del XIV Congresso Internazionale di Studi, Lecce 23-25 maggio 1980, Bulzoni, Roma 1983, p. 345.

La simmetria influenza la struttura morfosintattica dimostrandosi come corrispondenza di strutture di proposizioni.

È un «tipo di rima imperfetta, per cui due parole, che dovrebbero rimanere tra loro, hanno identità solo nelle vocali ma non nelle consonanti».
http://www.splash.it/cultura/letteratura/retorica_e_metrica/assonanza.htm.

Il significato del proverbio è che «tutto tornerà utile».
Eufonia è un effetto gradevole, armonioso, prodotto dall‘incontro di suoni diversi in una parola o fra più parole seguenti. Cfr. www.demauroparavia.it/41412.

Chiasma è una«figura retorica che consiste nella disposizione in modo incrociato dei membri corrispondenti di una o più frasi». Ibid., p. 358.

Si tratta di ripetizione dello stesso suono all’inizio o all’interno di più parole vicine. Cfr. ibid., p. 73.

Vedi il capitolo precedente.

Cfr. Vallini Cristina 1989, op. cit., p. 122.

Cfr. ibid.

Vedi Jakobson Roman: Aspetti linguistici della traduzione in: Saggi di Linguistica Generale, Feltrinelli 1966, pp. 56-64.

Del Ninno Maurizio 1980, op.cit., p. 388.

Cfr. www.proverbiescrittori.it.

Questo proverbio ci dice di rassegnarsi con la vita dei poveri il cui menú consiste dei cibi di cattivo gusto e quando finalmente hanno un piacere, il destino glielo toglie.

Cfr. Del Ninno Maurizio 1980, op.cit., p. 396.

Op. cit., p. 405.

Del Ninno Maurizio 1980, op.cit., pp. 385‑400.

Citato da Aritotele: Rhetorica  tramite Malerba Luigi: Proverbi Italiani, Istituto Poligrafico e zecca dello stato, Roma 1999, p. IX.

Cristilli Carla in: Vallini Cristina 1989, op.cit., p. 180.

Ibid., p. 182.

Ibid.

Sui vari piani del contenuto proverbiale si veda Berruto Gaetano: Significato e struttura del significato in testi paremiografici, 1972, pp. 181-211.

Del Ninno Maurizio: Proverbi in: Enciclopedia di Einaudi, vol. 11, Einaudi 1980, p. 397.

La regola della vita è mangiare e defecare.

Cfr. Vanelli Laura: Strutture tematiche in italiano antico in: Stammerjohann: Tema – rema in italiano, p. 220.

Dislocazione a sinistra e topicalizzazione nelle espressioni idiomatiche in: Grande grammatica italiana di consultazione: Renzi Lorenzo, vol. 1: I. La frase, Il sintagma nominale e preposizionale, Bologna, Il Mulino, 1988, p. 148.

Cfr. Cristilli Carla in: Vallini Cristina 1989, op.cit., p.190.

Valesi Vinceneo in: ibid., p. 156.

La denominazione presa da ibid., p. 188.

Cfr. Bally C.: Linguistique générale et linguistique francaise, Paris 1932.

Sornicola ha interpretato il fatto piuttosto come una «manifestazione della pianificazione a breve raggio» che caratterizza la lingua parlata. Sornicola si concentra sul carattere segmentato che risulta dalla giustapposizione di due blocchi informativi. «Ciò sarebbe dimostrato dall’accentuarsi della ‹slegatura› sintattica nel parlato di persone con basso livello di istruzione, meno capaci di una progettazione ad ampio raggio della struttura sintattica» .

Un caso esemplare dell’utilizzazione della struttura tema/rema è rappresentato proprio dai proverbi. La struttura testuale del proverbio - in due elementi formalmente e concettualmente distinti - è considerata da molti autori uno dei caratteri fondamentali della sua struttura formale.

Tale principio è stato studiato per esempio da Del Ninno o dalla Cristilli che notano un alto numero di strutture ritmiche binarie che si manifestano come proposizioni o come proposizioni senza verbo, o all’interno di una proposizione. Sono in più rafforzate a livello semantico: dimostrano ripetizione dello stesso termine o presenza di coppie oppostive .

Anche la soprammenzionata classificazione di Dundes si basa sul riconoscimento della struttura oppositiva del proverbio: «the proverb appears to be a traditional statement consisting of at least one descriptive element, a descriptive element consisting of a topic and comment» . Similarmente Kuusi ha definito le relazioni di opposizione doppia come «il principio più coerente individuabile nella struttura del proverbio» . Anche se gli altri autori non parlano esplicitamente di tema e rema, o topic e comment, la struttura doppia alla base del testo proverbiale è riconosciuta anche da loro. Si veda, ad esempio, Berruto: «Il procedimento sintagmatico binario, a giustapposizioni successive di elementi e di coppie di elementi, quasi un mettere insieme di pezzi prefabbricati, rivela una precisa struttura sintattico-semantica: si tratta sempre di un’enunciazione plurimembre di fatti o di considerazioni, seguita da una conclusione unitaria, o viceversa, di un’enunciazione di dato di fatto che dà luogo a più conseguenze» . Viene spiegato qui non solo il contrasto di tema e rema, ma anche il carattere segmentato della struttura.

Del Ninno si accorge poi che nella struttura del proverbio si tipicamente riconoscono non due, ma quattro elementi, che si possono raggruppare in due metà: «testa» e «coda» .

Il mese                      d’agosto                    TESTA
la capra                     arrosto                                   CODA

La struttura quadripartita del proverbio è generalmente riconosciuta anche da Luisa Melis o da M.V. Miniati e L.B. Bucciarelli .

Le caratteristiche formali attraverso cui si dimostra la struttura bi- a quadripartita sono seguenti: la pausa, l’intonazione, alcuni fenomeni prosodici come il ritmo, l’allitterazione, l’assonanza e la rima. Tutte queste indicano la presenza di una forma poetica nei proverbi esaminata per esempio da Berruto che definisce il proverbio come «una significativa espressione della poetica popolare». Per quanto riguarda la pausa e l’intonazione, Bally li considera come essenziali della struttura della frase segmentata, Sornicola invece sostiene che è solo il gruppo tonale che rappresenta il criterio fondamentale della struttura di un proverbio.


4. ALTRE FORME COLLEGATE AI PROVERBI

In relazione con i proverbi appaiono spesso termini come locuzioni, modi di dire, sentenze ecc. Di questi termini si occupa la FRASEOLOGIA, cioè una parte della linguistica che si occupa di collegamenti fissi di parole in una certa lingua studiando i loro rapporti nella frase e i tipi di leggi che governano la loro formazione. Questi collegamenti vengono chiamati unità fraseologiche o frasemi . La fraseologia viene a volte identificata con l’IDIOMATOLOGIA .

I frasemi nascono nelle situazioni in cui la scelta «libera, dissoluta» delle parole nel rapporto diretto con la realtà denominata e con il contesto che serve all’autore è difficilmente realizzabile. Le difficoltà si sentono soprattutto quando la denominazione della situazione è una cosa comune e non bisogna creare un nome attuale. In questi casi si offre la possibilità di risolvere i problemi legati con la denominazione usando un collegamento di parole già «preparato». Questo collegamento poi diventa stabile e fa nascere un frasema .

Esistono collegamenti di varie dimensioni, da collegamenti di due parole a microtesti. Tali collegamenti fanno parte del lessico contemporaneo; spesso comprendono componenti lessicali l’apparizione dei quali è limitata all’ambito chiuso di un linguaggio.

I collegamenti delle parole rappresentano perciò una fonte importante di arricchimento del lessico. Le unità fraseologiche possono essere sia verbali sia nominali, vuol dire che già il solo predicato o il soggetto rappresenta un’unità fraseologica.

Nel contesto con la figuratività, come un aspetto importante delle unità fraseologiche e paremiologiche, si offre la definizione di tali unità come «testi folclorici» da parte di alcuni linguisti . Questa definizione è collocata con un’altra caratteristica relativa, cioè l’espressività. L’espressività, se è testualmente organizzata, è stessa la portatrice del senso . Per espressività o funzione espressiva si intende la capacità di indicare atteggiamenti emotivi presso il parlante e/o l´interlocutore . Per esempio fare salsicce di qualcuno vuol dire «picchiare violentemente». Per quanto riguarda l’espressività contenuta nei vari frasemi, le più espressive sono le unità a frase intera (proverbi).

Un altro aspetto caratteristico per le unità fraseologiche è lo spostamento del significato lessicale. Lo spostamento del significato vuol dire che il significato dell’unità fraseologica non è proprio ma figurato, spostato. Per esempio l’espressione dar cuore sposta il significato di parole individuali dar e cuore verso il significato nuovo, cioè incoraggiare. Si tratta molto spesso di uno spostamento metaforico.

Alcune unità fraseologiche hanno ancora delle caratteristiche specifiche come la presenza della rima, di una morale, di un ammonimento, di un’evidente istruzione e di una riprensione. Queste caratteristiche sono tipiche per i proverbi di cui parleremo in seguito.

Esistono molti tipi di unità fraseologiche; di solito si distinguono secondo il successivo criterio di classificazione :

1. unità a struttura sintagmatica, locuzioni e detti (varie sentenze e gruppi di parole come ha del fegato, aver ragione): Queste unità possono essere create o da un sintagma o da due elementi coordinati. Gli elementi coordinati sono fissi e commutabili . Le locuzioni si possono formare con tutte le parti del discorso. Le locuzioni verbali consistono di un verbo di contenuto generale (avere, dare) e di un elemento nominale invariabile. Le locuzioni sostantivali offrono più possibilità di variare il sintagma. Locuzioni avverbiali sono molto complesse (di volta in volta). Le locuzioni costituite da un sintagma non sono molto significative per quanto riguarda l’espressività. Quelle formate da due elementi coordinati invece hanno una grande importanza espressiva che le fa avvicinare alle frasi idiomatiche che saranno trattate nei capitoli successivi. Gli elementi coordinati possono essere spesso aggettivi (chiaro e tondo). La coordinazione qui ha la funzione di intensificare il contenuto. Specifici sono i casi di ripetizione: pian piano.

2. frasi idiomatiche con elementi variabili e invariabili (per es. comparazioni che comparano due o più elementi, bello come la rosa): Sono unità fraseologiche in cui la fissazione riguarda più elementi, ma ancora non tutti. Alcune, quelle che hanno un carattere proverbiale, si chiamano modi di dire. Gli elementi fissi possono essere soggetti, verbi (vivere alle spalle di) o una comparazione: essere sano come un pesce. Si tratta di un’area della lingua in cui si manifesta un’importante tendenza a creare nuove espressioni a causa della funzione espressiva. Soprattutto nei vari linguaggi detti settoriali si formano neologismi capiti solo da certi gruppi di parlanti.

3. frase intera, a verbo finito o nominale (vari adagi e proverbi, per es. meglio tardi che mai): L’unità fraseologica a frase intera si divide secondo la sua struttura in quella a verbo finito o in frase nominale. Di solito si distinguono proverbi (donne e buoi dei paesi tuoi) e altre formule comunicative o frasi idiomatiche (come va?). I proverbi saranno discussi in capitoli successivi. Le formule comunicative sono espressioni stabilite che si usano in varie situazioni di communicazione: per salutare (buon giorno), rispondere, commentare, esclamare (Madonna mia) ecc. Le numerose variazioni differiscono poi secondo il livello di educazione dell’interlocutore e secondo il carattere del dialogo.

Come abbiamo già detto, i frasemi si comportano come un’unità fissa con un significato che non cambia. Da ciò deriva il pericolo che il frasema «sopravvive» anche se il suo significato non è più chiaro. La stabilizazzione del significato porta poi con sé anche la stabilizazzione formale: il frasema non può essere variato con un sinonimo.

Ci sono però situazioni in cui le unità fraseologiche possono essere sostituite con un singolo lessema. Questo fenomeno si chiama commutabilità . Si tratta della capacità di poter sostituire il frasema con un singolo sintagma, per esempio: invece di aver paura si può dire temere. I frasemi non sono però commutabili con la stessa frequenza: al fenomeno di commutabilità partecipano, nella maggior parte, le locuzioni; altre unità fraseologiche sono minimamente attive in questo processo.

Le unità fraseologiche si fanno valere in tutte le aree della realtà; tra le più significative appartengono quelle attinenti alla natura, all’artigianato o alla cucina: saper quel che bolle in pentola, essere come il prezzemolo ecc.

L’uso delle unità fraseologiche dipende dalla varietà della lingua usata, dunque dalla situazione communicativa e dal linguaggio usato in un certo settore. Alcune locuzioni sono tipiche per il linguaggio scientifico, altre si usano solo nel parlato. Per esempio i modi di dire appartengono alla lingua parlata, e soprattutto all’italiano popolare. Si fanno anche valere le differenze tra varietà regionali e dialettali. Varie formule communicative, a volte chiamate unità fraseologiche pragmatiche, appartengono soprattutto alla lingua del dialogo . Un caso speciale poi è rappresentato da frasi idiomatiche che sostituiscono altre espressioni tramite metafore eufemistiche. Si tratta delle cosiddette parole tabù: invece di morire si dice volare in cielo, lasciare questo mondo ecc.

Tra i proverbi e modi di dire ci sono alcune differenze fondamentali: alla base di un proverbio c’è sempre un fondamento morale e didattico, una certa osservazione, un consiglio o un insegnamento risultanti dalla realtà. Il proverbio viene denominato la sapienza dei popoli, una sentenza è solo una comparazione corta. Il modo di dire viene realizzato in tal modo che il lettore non si accorge nemmeno di usare un tipo di metafora. In più i proverbi sono le frasi complete e non cambiano né la struttura, né il tempo verbale .

Il proverbio viene differito dalle altre entità idiomatiche anche dai tratti formali, come l’ordine delle parole. Spesso notiamo nel proverbio un processo di anticipazione sintattica, il che produce un effetto retorico. Cosí per esempio la frase col tempo e colla paglia maturano le sorbe s’identifica subito come un detto proverbiale; se l’ordine delle parole fosse neutrale, la frase risulterebbe in un detto non retorico .

Carlo Lapucci caratterizza il modo di dire come «l’unione di più parole che definiscono, riferendosi a un evento o una situazione presa come modello, un fatto o una situazione che tornano a ripetersi comunemente e presentano analogie e caratteri comuni, fino a identificarsi col primo elemento» .

Accanto al proverbio si presentano altre entità che si spesso confudono con il proverbio o il detto proverbiale, respettivamente paremiaco perchè sono usate in una funzione analoga e appartengono altrettanto al codice paremiologico. Si tratta soprattutto di massima, della sentenza, del motto o detto e di tutte le paremie che esprimono un giudizio tramite un’opposizione indicabile secondo lo schema A ~ B (premessa ~ conseguenza) . «Si tratta sempre di formule richiamate da un medesimo settore della memoria comunitaria mediante un medesimo processo inconscio, col medesimo fine di una comunicazione sintetica per via analogica» .

La paremia viene definita come «un vero ragionamento condensato, costituito di norma da una figura analogica alludente al reale contenuto della comunicazione» .

A criterio distintivo tra il proverbio e altre formule proverbiali si pone il ritmo, la metafora e la norma. La presenza o l’assenza di questi aspetti dà alla locuzione il suo carattere specifico. Quanto il proverbio si fa valere per la presenza di tutti e tre gli aspetti, tanto il modo di dire dimostra solo la presenza di metafora, e la massima o detto utilizzano obbligatoriamente il carattere normativo e possibilmente il ritmo .

Abbiamo detto che un aspetto che differisce il proverbio da tali entità è la specifica presenza del procedimento metaforico, il che significa la trasmissione di un significato dipendente dall’analogia. Bisogna dire che molte parole comunemente usate sono infatti metafore. Un grande numero di esse ha dato vita ai modi di dire o ai proverbi. Ad esempio nella struttura di Annegare in un bicchier d’acqua troviamo tre elementi, cosiddetti portatori del significato:

1. il verbo annegare
2. il sostantivo bicchiere
3. il complemento oggetto d’acqua

Il significato di questa frase non è identico a quello delle parole individuali: solo in caso che si parli «degli insetti che annegano in un bicchier d’acqua» il valore è uguale alla somma degli elementi 1+2+3. In italiano però questa frase vuol dire piuttosto «perdersi in un nonnulla», e dunque non corrisponde al risultato dei tre elementi presenti. La combinazione di più voci il cui significato non coincide con quello dei componenti particolari si chiama modo di dire oppure locuzione.

L’elemento di base dei proverbi e delle locuzioni è l’immagine le cui radici provengono spesso dalla poesia, dalla storia, dalla mitologia, dagli scritti sacri, dalle favole, dallo sport, dalla politica o dal linguaggio medico o scientifico.

Un altro termine soprammenzionato è la sentenza. Il proverbio esprime un’opinione collettiva e resta dunque anonimo. La sentenza, al contrario, è individuale e unica perché l’autore di essa è un personaggio storico, un filosofo, politico ecc. La maggior parte delle sentenze si riferisce alle questioni di filosofia pratica e di etica. L’eterogeneità delle sentenze e la concezione differente dei valori in esse compresi sono causate dalle personalità degli autori. Agli inventori più noti appartengono Cicerone, Virgilio, Horatio e altri.

Per quanto riguarda la massima, la sua efficacia è minore rispetto a quella del proverbio perchè nel secondo l’azione del parlante è diretta, è simile a quella delle parabole, degli apologhi . Un’altra differenza tra il proverbio e la massima, come ha sottolineato Carla Cristilli , sta nel fatto che mentre la massima definisce un rapporto fra un contenuto espresso generalmente ed una combinazione di situazioni (va dal generale al particolare), il proverbio stabilisce una relazione tra un contenuto espresso concretamente ed un insieme di situazioni concrete. Il modo diverso di delineare il rapporto tra significato e denominazione tra i proverbi e massime italiane viene illustrato dalla Cristilli:

MASSIMA                                                                                                                PROVERBIO

 

Situazione 1                2                              3 ecc.             Situazione1                      situazione. 2

È meglio essere amato, che temuto.                              Chi dorme, non piglia pesci.


5. LE STRUTTURE MORFOSINTATTICHE OSSERVATE NEI PROVERBI (PREVALENTEMENTE) DI CAMPO CULINARIO

L’analisi dei proverbi esaminati ci ha consentito di identificare una serie di caratteristiche linguistiche e testuali tipiche del linguaggio proverbiale come quello al livello popolare e colloquiale. Uno dei fenomeni di base di questo linguaggio è la tendenza verso un rapporto motivato fra forma linguistica e realtà indicata. Questa tendenza si manifesta al livello testuale della struttura linguistica, a quello sintattico e morfologico.

La seguente analisi delle strutture paremiologiche si basa sulla ricerca dei proverbi prevalentemente del campo culinario del Dizionario dei proverbi, UTET, Torino 2004. Non si fanno distinzioni tra proverbi o detti o massime, tra i proverbi di tipo esplicito (Chi beve vermiglio, avanza il colore) o i proverbi impliciti, con il significato figurativo (Quando si mangia gli zucchini, ci si può mettere anche il pastrano). Facciamo nota che nelle strutture di tutti i tipi si evidenziano l’assonanza ed euritmia, elementi spesso ricorrenti per dare una maggior memorizzazione ai detti. Diamo in questa sede esempi delle formule più significative e frequenti, che non esauriscono però tutti i casi esistenti.

Gran parte dei detti tradizionali presentano strutture con elementi non fissi, che coincidono con la struttura normale della lingua, di cui si servono di parole e regole grammaticali esprimendosi in diversi contesti, mediati, nel nostro caso, dal mondo di cucina. Chi lecca i piatti, deve leccare in terra.

 

5.1. La struttura tema/rema

In relazione con la costruzione tema/rema si identificano due tipi di strutture proverbiali:

1. proverbi costruiti da un’unica proposizione, in cui il tema coincide con un sostantivo e il rema con un predicato verbale: Il vino parla

2. proverbi costituiti da un periodo complesso, analizzabile in due segmenti: il primo rappresenta una o più proposizioni dipendenti svolgendo la funzione di tema; il secondo è formato da una o più proposizioni principali e si identifica con il rema. Il primo elemento di questo tipo di testi è di solito espresso da una o più proposizioni relative con una funzione nominale:

TEMA                                                                                                                                   REMA

Chi mangia la ricotta,                                                                     va lento
Chi va a dormire senza cena,                               perde legna
Chi non beve in compagnia,                                             muore da solo

Come si può vedere, anche in questi casi la costruzione tema-rema emerge con molta evidenza grazie a quei procedimenti formali di cui abbiamo parlato, che ne sottolineano la composizione doppia.

Un’altra categoria di proverbi è quella in cui la struttura sintattica sembra legata e in cui il tema, tuttavia, non coincide con il soggetto grammaticale, ma corrisponde ad unità con più funzioni sintattiche (nel seguente caso si tratta di un complemento avverbiale):

Dopo errore ogni asino è dottore
Con un boccone sali uno scalino

 

5.2. Struttura minima di base – la frase nominale

Le strutture nominali sono quelle di base offrendo un modello di struttura minima, non fissa, composta da due elementi nominali (non esiste proverbio costituito da una sola parola), accompagnati da aggettivi o participi passati. Possono essere o in equilibrio o in opposizione . La maggior parte dei sintagmi nominali è rappresentata dai nomi che funzionano dalla testa, preceduti da un articolo o da un quantificatore; minormente si tratta di sintagmi preposizionali.

1. N1 + A1 ~ N2 + A2
Vino vecchio e olio nuovo

2. N1 + V1 ~ N2 + V2
Fave pizzicate e peti serrati

3. N1 + C1 ~ N2 + C2 ~ N3 + C3
Burro di vacca, cacio di pecora, ricotta di capra

Notiamo inoltre la presenza della struttura binaria , composta da un nome e complemento.

A creare l’effetto speciale contribuisce la rima (Grassi e fritture, coliche sicure)o la ripetizione. Viene ripetuto o il medesimo sostantivo nella protasi e nell’apodosi (Uomo di vino, uomo meschino), o il medesimo aggettivo nei due membri (Buon cantore, buon ghiottone), o del complemento (Pane cogli occhi, e cacio senz’occhi). Notiamo a questo proposito anche l’aspetto dello chiasma (Noci e pane, pasto da villano; pane e noci, pasto da spose).

Dai tratti particolari di questa struttura appartiene la frequente omissione dell’articolo, la quale rafforza la scarsa coesione sintattica; nei proverbi in cui viene espressa la copula spesso presente l’articolo determinativo per una maggiore coerenza con la struttura normale della lingua .

 

5.2.1. La questione della completezza grammaticale

Luisa Melis denomina le frasi in cui manca il verbo o altri elementi connettivi come «proverbi ellittici – quelli in cui manca il verbo e altri elementi connettivi». «Questi proverbi più di altri rispondono all’esigenza di creare un messaggio solitamente figurato che raggiunga il più alto grado di sinteticità e brevità; vi ritroviamo, infatti, l’efficacia espressiva che si unisce a un alto grado di economicità linguistica, propria della frase proverbiale e che notoriamente la contraddistin­gue» , .

La frase nominale ha maggiore valore persuasivo: l’assenza del verbo (e quindi della funzione vera) causa il procedere della frase come una sentenza. Tale approccio alla frase nominale è accettato anche da altri linguisti che la riconoscono come «aspetto di un uso linguistico istituzionalizzato, in talune sue manifestazioni, al punto di poter essere considerato normale» .

La completezza grammaticale della frase nominale è sostenuta anche da De Mauro: «uno stesso sintagma può funzionare sia come predicativo sia come non predicativo solo in dipendenza dell’intonazione con cui viene pronunciato; il fatto dimostra che la predicazione non è portata solo dalle strutture morfosintattiche» .

Cirese si accorge che anche se i vari tipi di proverbi si dimostrano apparentemente simili dal punto di vista formale, presentano differenti gradi della completezza grammaticale. Confrontiamo due esempi proverbiali:

1. Buon vino, fiaba lunga
Si tratta di una proposizione universale affermativa perché vale che «‹ogni tipo di› vino (è) fiaba lunga». Dal punto di vista sintattico è una frase composta dal soggetto vino con l’attributo buon i quali sono rappresentati da sostantivi. La frase è ellittica della copula (la copula è sottintesa). La funzione grammaticale resta, anche se non è esplicitata o verbalizzata; la frase è composta dagli stessi elementi – due sostantivi con attributi giustapposti.

2. Latte e vino, festa di rigatino
Nel secondo caso notiamo altrettanto l’ellissi della copula e la mancanza del predicato verbale. La frase presenta però anche il complemento di rigatino. La presenza dei complementi o attributi nella frase non è normalmente richiesta per la sua esistenza grammaticale, al contrario di quella del soggetto e del predicato. Gli ultimi possono massimalmente essere sottintesi come nel caso della copula.

Il termine di commutabilità è già stato spiegato prima. La commutazione provoca o la scomparsa reale della funzione o solo una semplice ellissi – l’elemento può essere sottinteso .

Le frasi nominali appaiono particolarmente significative in un testo proverbiale. Il loro adoperare in testi prodotti da parlanti di livello socioculturale basso, all’interno di strutture segmentate o insieme con anacoluti, induce Sornicola o Voghera a riconoscerle come un altro fenomeno spiccato dei proverbi. Cortelazzo che sottolinea la marcata presenza di questa costruzione nell’italiano popolare, la connette ad «una esposizione concitata degli eventi che richiede una maggiore frequenza – di carattere impressionistico – di sostantivi e di costrutti nominali» .

 

5.2.2. La frase nominale in rapporto con tema/rema

La struttura della frase nominale influenza anche la funzione del tema e rema. Presentiamo in seguito alcuni esempi di frasi nominali con differenti strutture sintattiche, secondo la scala di consistenza sintattica, dimostrando in tale modo l’esempio di utilizzazione della costruzione tema/rema, trattata più avanti:

Il primo caso è il tipo di testi proverbiali dove l’assenza di elementi connettivi non rovina l’unione sintattica dell’elemento tematico e il tema esprime il suo significato relazionale apparendo in posizione assoluta .

A questo proposito si identificano due tipi di costrutti:

1. quello in cui il rema si presenta sotto forma di frase verbale:
Coscienza e quattrini – non si può mai sapere
Mangiare e grattare, basta incominciare

2. sotto quella di frase nominale:
Quaresima: pizza e sarde

Possiamo notare che, anche se l’assenza di elementi relazionali al tema rende di per sé entrambi i tipi di costrutti sintatticamente slegati, la presenza del predicato verbale nell’elemento rematico attribuisce al primo un maggior grado di coesione rispetto al secondo .

I proverbi precedenti hanno rappresentato alcune di quelle strutture nominali in cui il valore sintattico, insieme con quello semantico dell´elemento verbale assente si può facilmente individuare. Passiamo ora invece ai proverbi la cui coesione sintattica si presenta sempre più debole per l’assenza di elementi connettivi . Dagli esempi seguenti possiamo osservare l’ambiguità della relazione semantica e sintattica fra tema e rema a causa dell’assenza del predicato.

Maggio asciutto, pane per tutti
Burro di vacca, cacio di pecora, ricotta di capra

Presentiamo qui gli esempi di quel tipo di costruzione caratterizzata dall’assenza del predicato verbale che renderebbe esplicita la relazione fra tema e rema:

Pane e noci – mangiare da sposi
Uovo d’un ora, pane d’un giorno, vino d’un anno, pesce di dieci, donna di quindici, e amico di trenta
Tutto fumo e niente arrosto

Siamo qui di fronte a strutture nominali in cui, tuttavia, non solo il valore sintattico, ma anche quello semantico dell’elemento verbale assente appaiono chiaramente individuabili.

Si osservino, invece, i seguenti proverbi in cui il rapporto semantico e sintattico tra tema e rema resta, in assenza del predicato, ambiguo:

Se vuoi gustare il vino: al tiro della cantina
Vizio vecchio – camicia di ferro

Come si può osservare, l’effetto di maggiore slegatura è dato non tanto dall’assenza del verbo nell’elemento rematico, quanto da quella di elementi circostanziali che definirebbero il valore sintattico del tema (l’articolo e la congiunzione comparativa).

Procediamo ora la nostra analisi con il tipo di testi in cui la mancanza, praticamente totale, della stabilità sintattica è determinata dalla giustapposizione, cioè un risultato dell’anticipare di due segmenti con soggetti grammaticali diversi, i quali si trovano in posizione assoluta . I seguenti giustapposti danno molto spesso luogo a veri e propri anacoluti . Il primo segmento (corrispondente alla proposizione dipendente) svolge la funzione di tema, l’altro (corrispondente alla proposizione principale) quella di rema.

Chi mangia lumache e beve acqua, sonategli il mortorio perchè è morto

Come possiamo osservare dagli esempi, la giustapposizione dei blocchi si presenta come la struttura portante della forma testuale del proverbio. Ciò fa notare anche Franceschi «l’articolo bimembre sul piano formale non è che il riflesso di quella individuabile sul piano concettuale» .

Chi mangia more e latte, preparategli il cataletto perchè è morto
Chi ha moglie bella – tutti gli danno da bere

Ciascuno degli elementi giustapposti si riferisce ad un pezzo d’esperienza. La mancanza dei rapporti sintagmatici tra i membri della frase rappresenta un’altra tipica caratteristica di un testo popolare (raffigurato qui da un testo proverbiale). Come dice la Vallini citando Sornicola: «Nei parlanti non colti il testo ha una organizzazione globalizzante, i singoli termini non sono unità con precisi rapporti strutturali far di loro univocamente definibili. Il parlante sembra in questi casi di costruire il testo per blocchi giustapposti, le cui dipendenze sono rispetto al tutto senza passare attraverso la mediazione della singola parte» .

Della stessa opinione è la Melis: «la presenza delle strutture nominali nei proverbi possa essere una conferma del fatto che sia una particolarità più frequente nel parlato che al scritto; infatti lo stile nominale trova riscontro in un tipo di organizzazione sintattica più elementare, normalmente presente in parlanti con minor grado di istruzione» .

 

5.3. Struttura di base con verbo copulativo espresso

Questa struttura presenta vari sottogruppi caratterizzati dall’assenza o presenza dell’articolo , composti da un nome + verbo copulativo: Il pane è sovrano; o da un nome + copula + complemento + nome (oggetto): Il vino è una mezza colla.

Si tratta di una formula composta di un elemento nominale e un elemento verbale. In tutti i casi il sostantivo precede il verbo; si tratta di una struttura tipica della lingua parlata.

Enunciando un proverbio si possono voler fare molte cose: considerare, consigliare ecc. Ciò viene espresso dalle frasi dichiarative, affermative o imperative. Le frasi di base possono dimostrare sia la modalità dichiarativa positiva(Il vino parla), sia quella negativa (Il vino di casa non ubriaca) o imperativa (Mangia e dimentica, spesso con il tema sospeso: Osso buco: mangia l’osso, tieni il buco per il giorno dopo) .

 

5.4. Struttura con il verbo fare

In questa categoria sono stati notati principalmente le seguenti formule:

1. N1 + N2 + fare + C
Oca e tacchino fanno buon brodo

2. N1 + N2 + fare + C
Pane e cipolla fa contento il contadino

3. N + fare + fare nell´infinito + C
La fame fa far le male azioni
La fame fa venire il buio agli occhi

4. Combinazione del tema sospeso e della struttura ternaria
Il vino: un bicchiere ti fa allegro, un altro bicchiere ti fa porco, un altro ti fa agnello

5. Combinazione con la dipendente temporale
Il brodo, quando è buono, fa resuscitare un morto

Gli esempi nelle summenzionate categorie non presentano elementi fissi nella loro struttura; questa è tipica della lingua italiana. Ciò che è «proverbiale» è la struttura ritmica binaria e il costante uso della forma verbale all’indicativo presente (tempo astorico) che conferma autorevolezza e mantiene il carattere assoluto del messaggio .

 

5.5.Relativa con chi

chi…/…                     Chi beve al boccale, beve quanto gli pare
…/chi…                     Assai digiuna chi mal mangia

Nella maggior parte il pronome relativo compare nella protasi; sono frequenti però anche i casi in cui troviamo il chi nell’apodosi, come nel secondo esempio.

Sono state distinte le suddette costruzioni:

1. Chi + V1  +  (C) ~ V2 + (C)
La forma più semplice (bipartita) è quella in cui il chi introduce un enunciato formato da due soli verbi che si contrappongono (di solito collocati al presente indicativo):

Chi lecca, non mangia
Chi beve vermiglio, avanza il colore
Chi mangia il sale, beve l’acqua
Chi mangia l’uva per delizia, sta bene tutta la vita
Chi mangia la lepre ride sette giorni                  

2. Chi + V1 ~ V2 // chi + V3 ~ V4
Chi ha fame  / mangia // chi non ha fame / guarda

3. Chi + V1 + C1 ~  V1 + C2 // chi + V1 + C3 ~ C + V1 + C4
Chi mangia poco, mangia sempre; chi mangia assai, non mangia mai

La forma binaria si può raddoppiare in forme parallele formando una struttura quadripartita. Il pronome relativo si ritrova dopo la seconda e più determinante pausa. Il grado più semplice di questo tipo di struttura è dato da una sequenza di quattro frasi verbali con o senza complemento:

Molto frequente è la forma ripetitiva. L’elemento replicativo può essere:

1. un elemento nominale
Chi + V1 + C1 ~ V2 // chi + V1 + C1 ~ V3
Chi ha fame mangia, chi non ha fame guarda  

2. un verbo
Chi + V1 + C1 // V1 + C2
Chi suda a mangiare, non suda a lavorare
Chi è pigro a mangiare, è pigro a lavorare
Chi lecca i piatti, deve leccare in terra

3. un avverbio
Chi + V1 + C1 // V2 + C1
Chi mangia adagio, lavora adagio

Notiamo inoltre la combinazione della relativa con la frase nominale nella principale:

4. Chi + V1 + C // N1 + C + N2
Chi mangia ricotta, sonno di botto

5. la dislocazione della relativa:
Chi mangia formaggio, gli tira il pipi
Chi mangia lumache e beve acqua, sonategli il mortorio perchè è morto
Chi mangia more e latte, preparategli il cataletto perchè è morto

Chi racchiude in sè stesso il dimostrativo corrispondente a «colui che, colei che». È l’unico fra i pronomi relativi che si possa usare in forma assoluta per il suo carattere dimostrativo o indefinito più che relativo.

Chi nei proverbi ha valore indefinito e rappresenta una struttura morfosintattica tipica della paremiologia. Il plurale per cui si deve ricorrere alle forme composte come coloro che non esiste nei proverbi. Viene preferito l’uso di chi perché è più economico. «Le forme colui, colei, coloro con il pronome relativo che costituiscono una specie di locuzione piuttosto indefinita, a causa di un indebolimento del loro valore dimostrativo. Anche per quest’uso si osserva la concorrenza delle forme più comuni: sono spesso sostituiti dal pronome relativo-indefinito chi, più breve e sintatico» . Bisogna far nota che la maggior parte delle strutture con chi rappresenta la categoria dei proverbi espliciti.

Altri pronomi relativi sono presenti in minoranza.  Si tratta del pronome relativo che:

Il vino che fermenta non tira la gola

Notiamo anche qui il tema sospeso, combinato nel seguente esempio con la struttura dilemmatica :

Gallina che va per cà, o la becca o l’ha beccà

 

5.6. Il gruppo meglio ... che

Meglio acqua di vinaccia che acqua di fonte

Ricordiamo che il gruppo composto meglio … che è per Zuzana Wotkeová una struttura fissa e periodica nei proverbi. Nella struttura riscontriamo una forma binaria contrapposta:

Meglio fumo di cucina che vento di marina
Meglio porco che pesce
Meglio accecarsi un occhio che mangiare un verme di finocchio

La quantità o la qualità superiore (rappresentata da fumo, porco, accecarsi) si oppongono a quelle inferiori (vento, pesce, mangiare). Per quanto riguarda la composizione, nel caso della binarietà semplice, otteniamo lo schema meglio + che. Il sostantivo nel proverbio può essere completato dal complemento soggetto, o dall’attributo, e sempre ci troviamo la contrapposizione.

Si possono notare le seguenti strutture:

1. (È) meglio + V2 + C1 ~ che + N + C2
È meglio avere la botte vuota che la moglie piena
È meglio pascolare le capre che bere il brodo di rape

2. (È) meglio + N1 ~ che N2 (+ N3)
È meglio il pane nero che la fame nera
È meglio ubriaco che malato
Meglio fumo di cucina che vento di marina
Meglio il vino caldo che l’acqua fresca
Meglio il vino tristo che una buona acqua
Meglio buon desinare che una bella giubba
Meglio acqua di vinaccia che acqua di fonte

Meglio pancia piena e tovagliola di tela, che stomaco digiuno e cappellino di velluto

Sornicola Rosanna: Sul parlato, Bologna, Il Mulino, 1981, p. 89.

Ibid. p. 90.

Cfr. per esempio Franceschi Temistocle: Il proverbio e l´A.P.I., Berruto Gaetano: Significato e struttura del significato in testi paremiografici.

Sulla struttura binaria vedi anche più avanti.

Dundes Alan: On the structure of the proverb, Proverbium, 25, p. 970.
La denominazione topic/commment corrisponde a quella di tema/rema.

Kuusi Mati: Towards an international Type-System of Proverbs, Proverbium, 19, p. 710.

Berruto Gaetano 1975, op. cit., p. 201. (il grassetto è nostro).

Cfr. Del Ninno Maurizio 1980, p. 391.

Melis Luisa: Particolarità strutturali del proverbio sardo in: Proverbi Locuzioni Modi di dire nel Dominio Linguistico Italiano, Atti del I Convegno di Studi dell’Atlante Paremiologico Italiano (API), Modica, 26‑28 ottobre 1995, a cura di Trovato Salvatore C., Dipartimento di Filologia Moderna, Università di Catania, Roma 1999.

Miniati M.V., Bucciarelli L.B.: Osservazioni su alcune strutture paremiologiche in: Il dialetto dall’oralità alla scrittura. Atti del XIII Convegno per gli Studi Dialettali Italiani (Catania – Nicosia, 28 Settembre 1981), Centro Nazionale delle Ricerche, Centro di Studio per la Dialettologia Italiana, Pacini.

Cfr. Berruto Gaetano 1975, op. cit., pp. 127-128.

Sono collegamenti di parole obbligatori al livello formale che fanno nascere un contenuto figurato.

Una differenza tra la fraseologia e l’idiomatologia sta nel fatto che con il termine di fraseologia si indicano gli aspetti formali di un fenomeno, invece con idiomatologia si hanno in mente gli aspetti semantici. Cfr. Příruční mluvnice češtiny, p. 71.

Cfr. Bečka J.V.: Česká stylistika, p. 79.

Cfr. Segal D.: Approaches to the analysis of Ethopoetic Texts, in: Text Processing. Texverarbeitung, Ed. W. Burghardt and Klaus Holker, Berlin-New York 1979, pp. 216-220.

Il senso dei proverbi è costituito dalla relazione tra significante e significato.

Cfr. Skytte G. in Holtus G., Metzeltin M. und Schmidt Ch.: Lexikon der Romanistischen Linguistik. Band IV. Italienisch, Korsisch, Sardisch. Tübingen, Niemeyer, 1988, p. 78.

Cfr. ibid. p. 80.

Fisse denominazioni create da due o più parole, hanno invece il significato di una parola sola.

La definizione di commutabilità è trattata sotto.

Cfr. Skytte G. in: Lexikon der Romanistischen Linguistik. Band IV. Italienisch, Korsisch, Sardisch. Tübingen, Niemeyer, 1988, p. 78.

Cfr. ibid., p. 81.

Cfr. http://www.acatportogruarese.it/novembre04/proverbi.htm

Cfr. Franceschi Temistocle: L’Atlante Paremiologico Italiano e la Geoparemiologia in: Trovato C. Salvatore 1999, op.cit., p. 13.

Wotkeová Zuzana: Osservazioni sulle strutture morfosintattiche dei proverbi cechi e italiani in: Sborník prací FF brnĕnské univerzity, L 13, 1992, p. 84.

In questo modo viene denominato il proverbio dalla parte di Franceschi. Cfr. Franceschi: L´Atlante Paremiologico Italiano e la Geoparemiologia in:  Trovato C. Salvatore 1999, op.cit.

Per denominare le unità del tipo proverbiale con un nome unitario si usa comunemente la designazione paremie.

Cfr. Franceschi Temistocle: La formula proverbiale in: Dizionario dei proverbi, 2004, p. XVI.

Ibid., p. XVI.

Franceschi in: Trovato Salvatore C.1999, op. cit., p. 11.

Cfr. la classificazione di Maurizio Del Ninno 1980, op.cit., p. 388.

Bastolla Maria Musto: Lingua e cultura in Campania in: Linguistica e antropologia. Atti del XIV Congresso Internazionale di Studi. Lecce 23-25 maggio 1980, Bulzoni, Roma 1983, p. 520.

Cfr. Cristilli Carla: Il proverbio come esempio di testualità popolare in: Vallini Cristina 1989, op.cit., p. 185.

Cfr. ibid.

Sulla tematica vedi il capitolo 3.

Molti esempi presentano contrapposizione di due sostantivi: Tutto fumo e niente arrosto, o di aggettivi: Vino vecchio e donne giovani, Caffè caldo e anguria fresca.

Realizzata soprattutto dalla giustapposizione degli elementi della frase.

Vedi più avanti.

Cfr. Melis Luisa 1995, op. cit., p. 380.

Viene messa in discussione la questione se le frasi nominali siano «vere» o siano solo il prodotto di un’ellissi. Benvéniste (cfr. Benvéniste E. 1966: La phrase nominale, in: Benvéniste E.: Problèmes de linguistique générale, Paris, Gallimard, trad. it. Problemi di linguistica generale, Milano, Il Saggiatore, 1971, pp. 179-199) sostiene che la frase nominale è una frase con una relazione normale tra il soggetto e il predicato. L’unica differenza contro la frase verbale è di tipo morfologico; la funzione verbale è svolta dal secondo elemento nominale. Secondo Benvéniste la frase nominale non è il risultato di un’ellissi, la frase nominale costituisce un enunciato con delle funzioni specifichecome domanda, ordine ecc.Il verbo nella frase nominale non è in realtà sottinteso, o almeno non sempre; in alcuni casi è proprio una costruzione differente e cioè una frase messa al posto di un nome.

De Mauro T., Thornton A. M.: La predicazione: Teoria e applicazione all’italiano, in: Linguistica e antropologia. Atti del XIV Congresso Internazionale di Studi. Lecce 23-225 maggio 1980, Bulzoni, Roma, 1980, pp. 414-415.

Ibid.

Cfr. Cirese Alberto Mario: I proverbi: struttura delle definizioni, Centro Internazionale di Semiotica e di Linguistica, Università di Urbino, 1972, p. 71.

Cfr. Sornicola Rosanna: Sul parlato, Bologna, il Mulino, 1981.

Cfr. Voghera Miriam: Sintassi e intonazione nell’italiano parlato, Bologna, Il Mulino, 1992, p. 182.

Cfr. ibid., p. 197.

Cfr. la questione del «tema sospeso».

Le strutture nominali nell’ambito di un testo completo fungono per lo più da rema: la Sornicola le ritiene come «picchi informativi all´interno di una porzione di testo» - hanno valore informativo maggiore di un altro elemento.

Cfr. ibid. p. 199.

A questo contesto si parla di ellissi nell’italiano popolare. Sornicola (Sornicola 1981, pp. 74-127) distingue le ellissi in senso proprio, dalle brachilogie, da quelle strutture, le quali definisce «a nodo centrale non verbale».

Cortelazzo esamina i casi di «mutamenti» di soggetto legati alle «deviazioni di pensiero» dentro la sua analisi delle costruzioni anacolutiche. Cfr. Cristilli Carla,  op.cit., p.195.

Cortelazzo Michele ha parlato di un modo di esprimere la preminenza del soggetto logico, ponendolo in «primo piano e subordinandovi, poi, senza nessun segno, se si esclude la pausa nel parlato e, eventualmente, la virgola, che la rappresenta nello scritto, il discorso, che intorno al soggetto centrale si muove» Cfr. Cristilli Carla, op.cit., p. 196.

Franceschi Temistocle 1978, op.cit., p. 134.

Vallini Cristina 1989, op.cit., p.225.

Melis Luisa 1995, op.cit., pp. 387-386.

Su questo fenomeno vedi più avanti.

Tipica per il proverbio è la modalità impositiva: Dove si manduca, Dio mi conduca; dove si lavora, Dio mi tenga fuora.

Sul verbo fare in connessione con mancanza/presenza dell’articolo vedi più avanti.

Solo una persona benestante può permettersi di mangiare la lepre.

Cfr. Battaglia, Pernicone 1968, op. cit., p. 259.

Su questo tipo di struttura vedi più avanti.

Un buon pranzo.

3. (È) meglio + V + C
Meglio accecarsi un occhio che mangiare un verme di finocchio
Meglio aspettare l’arrosto, che trovare il diavolo nel catino

 

5.7. Quando

1. quando …/ …
Quando Bacco trionfa, il pensier fugge

2. …/ quando
Il pesce va mangiato quando è fresco

3. …/ quando …/…
La ceragia, quando viene, bacia

La struttura di base fissa è data dall’avverbio temporale quando nella protasi, che introduce una proposizione verbale, a cui si oppone un verbo nell’apodosi. Nel primo membro il soggetto è specificato, ma nel secondo, lo stesso soggetto è sottinteso; la pausa isola il verbo collegato sul quale cade la forza espressiva del proverbio.

Notiamo che nei primi due esempi è presente la struttura binaria, invece in quel terzo il ritmo binario cambia in una struttura a tre membri; dove il soggetto occupa il primo membro. Da ciò ci risulta che la proposizione temporale nei proverbi esaminati non ha una posizione fissa all’interno di essi.

Le seguenti strutture sono costituite da due frasi (con soggetto e/o predicato diversi) e si presentano più simmetriche con l’organizazzione completa degli elementi della frase creando un maggior equilibrio tra protasi e apodosi. Tale struttura appare in molte variazioni:

Quando si ha fame, il pane sa di carne
Quando si slegano le campane, bisogna bagnarsi colla vite

Si noti a questo proposito l´anticipazione del soggetto:

Quando sentono il profumo della polenta, tutti vengono

4. … quando … // … quando …

La struttura binaria si può raddoppiare in quella quadripartita. Vengono presentati alcuni esempi riscontrati:

Quando canta il cucco è fame dappertutto, quando canta la cicala la fame se ne andava
Quando + V1 + N1 ~ V2 + N2 + C1 // Quando + V1 + N3 ~ N4 + V3

Le frutte son buone due volte all’anno, quando le vengono e quando si partono.
Con uguale soggetto: N + V1 + C1 // Quando + C1 + V2 ~ Quando + V3

L’uomocanta quando è pieno e la botte quando è vuota
            N1 + V1 ~ Quando + V2 + C1 // N2 + Quando + V2 + C2

Quando è cruda la cacca, quando è cotta la pappa
Quando + V1 + C1 + N1 // Quando + V1+ C2 + N2    

 

5.8. Se

Se vuoi star bene, mangia aglio e cipolle

La dipendente relativa si presenta:

1. per prima:
Se vuoi vedere l’ubriaco vero, sull’aceto ti bevi il vino

2. in un ordine inverso:
L’insalata non è bella, se non v’è della novella
La patata ti dà forza, se la mangi con la scorza
Il cacio è sano, se vien di scarsa mano
Il formaggio è sano, se vien da avara mano
In questo mondo, se non si mangia, si muore
ll baccalà non è buono se non è battuto
L’insalata non è bella, se non c’è la pimpinella
L’insalata non è bella, se non è rivoltata da una fanciulla
L’insalata non è bella, se non v’è della novella

La condizione espressa nel periodo ipotetico del campo culinario è presentata per lo più come un fatto reale e sicuro, possibilmente realizzabile o irrealizzabile. Possiamo dunque trovare sia il periodo ipotetico della realtà sia dell’irrealtà (Se volasse, il castrone sarebbe miglior del cappone, Se si sapesse che i salami siano buoni, bisogna buttar via la pelle sulla neve.) .

Alcune strutture dimostrano un diverso modo nella prótasi da quello nell’apodosi. Se vuoi star bene, mangia aglio e cipolle. Se vuoi vedere il vero briacone, ubriacati il vino dopo il melone. Mangia e ubriacati sono cosiddette formulazioni pseudocoordinate che si possono inserire tra i costrutti ipotetici. Anche se sono generalmente delle strutture indipendenti, hanno altrettanto un valore ipotetico.

Nell’ambito del periodo ipotetico si presentano le seguenti strutture esemplari:

1. Se + V1 + C1 ~ V2 + C2
Se mangi salato, devi aver sete
Se mangi l’erba fai come i buoi

2. N1 + V1+ C1 ~ se + V2 + C2
Il cacio è sano, se vien di scarsa mano

3. Se + V1 + C1 ~ V2 + C1 // … se + V1 + C2 ~ V2 + C3
Struttura sdoppiata:
Se hai fame, vai dal cane, e se hai sete, vai dal prete
Se è un bel pollo, è per Carnevale, se è un bel piatto di verze, è per Quaresima

4. N // se + V1 + C1 ~ C2 + V2
Notiamo la presenza del tema sospeso:
Aprile: se non mangi quattro volte, nemmeno ridi

5. Se + V1 + C1 ~ N1 + N2
Interessante è l’unione dell’ipotasi con la frase nominale:
Se vuoi fare la buona cantina, luogo asciutto e aria levantina

 

5.9. Cambiamento dell’ordine sintattico - ordine marcato dei costituenti

Passiamo ad un’altra struttura estremamente periodica nei testi proverbiali, cioè il cambiamento dell´ordine sintattico. Per quanto riguarda i tipi di strutture marcate, ci interessano soprattutto:

1. Dislocazioni a sinistra: riguardano lo spostamento a sinistra del complemento oggetto diretto con relativa ripresa pronominale:

Pane bagnato nell’acqua, neanche il cane lo mangia
I tomini dal manico li mangiano solo gli avvocati

La struttura degli ultimi testi, pur rivelando una sintassi chiaramente segmentata, appare relativamente legata, grazie alla ripresa pronominale che lega il secondo segmento al primo. Secondo Sornicola la ripresa pronominale rappresenta un elemento tipico dell’italiano popolare. «In casi come questi la ridondanza si giustificherebbe in base all´anticipazione dell’oggetto connessa ad un fenomeno di topicalizzazione. Il pronome svolgerebbe qui la sua funzione coesiva ‹saldando› il topic al comment» .

Cose amare, tienile care
Acqua e vino, stagli vicino

La dislocazione dell’oggetto indiretto (ogni figlio a sua mamma le pare bello) rappresenta un’anticipazione da un pleonastico clitico al dativo, che attribuisce alla frase uno stile più colloquiale.

2. Temi sospesi: (alcuni linguisti usano il termine di topicalizzazione) in cui viene introdotto il tema lasciandolo «sospeso», «esterno» rispetto alla frase precedente: Acqua e vino, stagli vicino. Il tema rematizzato viene di solito limitato dalla virgola. Si tratta di un mezzo espressivo più forte, bisogna usarlo con cautela.

3. Le frasi scisse separano la struttura non marcata in due proposizioni con la seguente struttura: copula (verbo essere) + elemento focalizzato (il brodo) + che + il resto della frase: È il brodo della scodella che fa la guancia bella. La condizione essenziale per l’uso della frase scissa è che l’informazione contenuta nell’enunciato sia in parte prevista (che l’ascoltatore già sappia qualche cosa).

Rosanna Sornicola nel suo articolo Italienisch: Stilistik considera il tema sospeso e la frase scissa come gli effetti sintattici dell’enfasi . Come uno strumento dell’enfasi possiamo però considerare tutte le strutture con l’ordine di parole marcato menzionate in questo capitolo: sia le dislocazioni a sinistra sia i temi sospesi e le frasi scisse dimostrano un fenomeno di sottolineare un elemento della frase.

La costruzione sintattica della dislocazione coincide con il primo dei due membri della struttura bipartita. Nel caso dei proverbi monofrastici (costituiti da una sola proposizione) l’elemento dislocato può essere qualsiasi tipo di sintagma ovvero SN (s. nominale), SP (s. preposizionale), SA (s. avverbiale); abbiamo quindi casi di dislocazione in cui il SP è composto:

1. dalla preposizione a
Al contadino non gli far sapere quanto sia buono il cacio colle pere

2. dalla preposizione di
Dell’oca, mangiane poca

3. dalla preposizione in
In corpo c’è buio

4. dislocazione di complemento diretto senza preposizione
I fatti della pentola li sa il coperchio

La focalizazzione ovvero un tema sospeso è un fenomeno della lingua colloquiale. Nei proverbi si osserva come una struttura bipartita introdotta da locuzioni preposizionali o avverbiali. Generalmente si tratta di «complementi circostanziali che hanno la funzione prevalente di coordinatori spazio-temporali di un avvenimento, oppure di complemento avverbiali di modo» . Hanno la funzione di stabilire una cornice spaziale o temporale in riferimento alla quale si dice qualcosa.

A mangiare e a bestemmiare, tutto sta nel cominciare
Digiuno e latte, non fare parte
Il lume, non la cena, basta per tutti
Per cattivo pane non si muore di fame
Colle rape si nettan le budella
Olio, pepe e sale, sarebbe buono uno stivale
Pane di buon grano, dottore sta lontano
Pane e coltello, non ne basta un fornello
Pepe, olio e sale, è buono anche un cane
Per un buon arrostino, erba salvia e rosmarino
Per San Tomè, piglia il porco per lo piè
Riso bollito, in un salto è già smaltito

Gli esempi presentati confermano l’osservazione del Ninno sull’antichità del linguaggio proverbiale: la posizione postverbale del soggetto in coincidenza di un complemento tematizzato nella prima posizione è stato riscontrato anche nell’italiano antico come affermato dalla Melis: «in italiano antico la presenza di soggetti postverbali dati è dovuta alla presenza della regola sintattica che richiede che il S debba seguire il V se la prima posizione è occupata da un altro costituente» .

 

5.10. La presenza o l’assenza dell’articolo

Quando diciamo «pane, vino, olio», «sembra che ciascuna di queste parole non abbia un’espressione viva e che il suo significato rimanga inattivo; se invece, ci proviamo a dire il pane, il vino, l’olio, sembra che ognuna d’esse acquisti valore, come se di colpo si animasse per iniziare un pensiero, una frase. Nella prima condizione (pane, vino) le parole appaiono come immagini spente, nell’altra condizione (il pane, il vino) risultano nuovamente capaci di vita e pronte a muoversi» .

La qualità (quella di «animare» le cose) è comunicata dall´articolo. Ricordiamo in questo contesto solo alcune modalità dell´articolo:

1. l’articolo determinativo si utilizza con nomi che hanno il significato generale (dunque con quelli che sono caratteristici per i proverbi)

2. l’articolo determinativo stabilisce la categoria o il tipo del nome: se diciamo la pentola è la pace di casa, abbiamo in mente che «ogni pentola è la pace di casa»

3. serve anche ad esprimere una cosa astratta o il collettivo generico (La fame è una brutta bestia) e un nome a senso «unico» (Il sole è il nemico della cucina) .

4. l’articolo indeterminativo è considerato come più espressivo rispetto all’articolo determinativo. Il motivo è la sua funzione d’intensificare il significato di un oggetto, «cioè [di] uno tra tanti, ma dotato d’una particolare qualità» .

Del Ninno sottolinea che l’articolo, da un punto di vista testuale, ha un carattere deittico anaforico (l’articolo indeterminativo) o cataforico (l’articolo determinativo). L’uso dell’articolo adatto contribuisce alla comprensione del testo e all’orientamento del destinatario in tale testo. È quindi logico supporre che l’uso dell’articolo abbia un statuto particolare nel testo.

Presentiamo in seguito alcuni esempi proverbiali, in cui cercheremo di chiarire, in base allo studio dell’articolo da parte di Renzi, una distinzione tra l’articolo e l’articolo zero:

1. Il cacio è rovinacasa
2. Un uovo senza sale non fa né ben né male
3. Baccalà, fegato e uova, più bolle e più assoda

La differenza sta nel diverso grado di identificazione del referente dalla parte dell’ascoltatore: nel primo esempio il «cacio» è identificabile sia dal parlante sia dall’ascoltatore. Nel secondo un «uovo» è identificabile dalla parte del parlante, ma non più da quella dell’ascoltatore. Nei due casi si tratta di cosiddetta referenza trasparente. Nel terzo esempio non si vuole dare nessuna identificazione dalla parte dei due partecipanti dell’atto di comunicazione.

«Attraverso l’articolo determinativo il parlante suggerisce che l’ascoltatore è in grado di identificare l’oggetto della comunicazione. Attraverso l’articolo indeterminativo il parlante non vuole dare un’identificazione» .

L’uso degli articoli è uno degli elementi più notevoli della morfologia italiana nei proverbi . Generalmente vale che nel caso di proverbi l’articolo viene omesso: «La forma con il modificatore, e con l’articolo, è quella normale. Quella senza l’articolo va data per idiomatica» .

Il motivo è anche la tendenza ad esprimersi il più brevemente possibile, e la validità generale oppure l’impossibilità di una specificazione precisa.

Abbiamo già accennato che il credito del proverbio è creato da tratti formali (tra cui la mancanza dell´articolo) che esprimono la sapienza «storica». Questo fatto è provato anche da Del Ninno, dal quale l’assenza dell’articolo è considerata come una dimostrazione del carattere arcaico della costruzione grammaticale .

La realtà è presente anche in un’altra fonte grammaticale: «Uno dei più comuni fatti sintattici cristalizzati nelle espressioni idiomatiche riguarda l’uso dell’articolo, che manca in molti casi in cui la lingua moderna lo richiederebbe» .

Dopo aver analizzato il dato materiale paremiologico (soprattutto quello attinente al campo culinario), si deve ammettere che una formulazione stabile di qualsiasi regola sul (non) usare l’articolo risulta impossibile: la selezione morfologica dell’articolo è imprevedibile. Nella maggior parte è la sensibilità della lingua che decide se usare un articolo o no.

Cercheremo tuttavia di fare una conclusione generale, almeno per quanto riguarda i proverbi da noi esaminati:

1. Se in un proverbio si trovano più sostantivi che si riferiscono ad un verbo, questi sostantivi sono poi prevalentemente senza l’articolo: Colombo pasciutto, ciliegia amara .

2. Nel caso che ci sono due sostantivi e uno dei essi ha l’articolo, poi anche l’altro sostantivo lo contiene: Un uovo e un granchio è lo stesso.

La mancanza di articolo sembra inoltre un modo di dare a un sintagma il valore semantico di una collocazione fissa. Sono spesso casi delle frasi nominali in cui si verifica la tendenza a produrre entità stabili di parole.

Corpo pieno anima consolata
Corpo unto e panni strappati
Melanzane e zucchine, piatto da regine

Renzi distingue i seguenti motivi principali del fenomeno dell’omissione dell’articolo:

1. assenza della referenzialità

La mancanza dell’articolo è molto spesso identificata nelle frasi nominali. Prendiamo un esempio di tale frase:

Pane e noci, pasto da sposi

Il sintagma nominale pasto da sposi svolge in questo caso la funzione predicativa avendo lo stesso ruolo come invita nella frase La tavola invita .

Pane e noci (è) pasto da sposi

È generalmente riconosciutocheil verbo non può essere usato per l’atto di riferimento - non è quindi referenziale - e per tale motivo la frase evita l’articolo.

Un altro caso, in cui l’assenza dell’articolo è in rapporto con il fatto che il sintagma nominale non serve all’atto di riferimento, è quello dei sintagmi preposizionali introdotti da di.

Tinca di maggio e luccio di settembre
Tonno di maggio e porco di gennaio
Uovo d’un ora, pane d’un giorno, vino d’un anno, pesce di dieci, donna di quindici, e amico di trenta

Anche in questi casi i sintagmi preposizionali ipotizzano una proposizione «minima»: tinca (che è) di maggio, uovo (che è) d´un ora...; e svolgono il ruolo della copula.

2. assenza della quantificazione

In questa categoria cadono i nomi che indicano la «massa» o un numero più grande di «uno».

Tra i buoni bocconi, fichi, pesche e meloni
Noci, fichi e uva: olio santo e sepoltura

Renzi sostiene che i sintagmi nominali non hanno quantificatore, benché abbiano un referente. «La mancanza di quantificazione è resa evidente dal fatto che il singolare nei nomi massa non è un vero singolare, perché non ha la possibilità di alternare col plurale, e che il plurale non è un vero plurale perché non è possibile l’uso del singolare» . In più è il lessema che permette di usare il singolare massa o un plurale nudo . Viene quindi a questo contesto provata l’opinione introdotta già precedentemente, e cioè che la struttura sintattica, qualsiasi importanza abbia, è sottoposta al sistema lessicale.

Si può dire che questi plurali e singolari contabili senza articolo sono visti come «massa»; per tale motivo usiamo la denominazione di Renzi.

3. risultato di un processo sintattico di cancellazione

Nei casi che seguono, l’assenza dell´articolo è ritenuta come il risultato di una cancellazione sintattica.

Durante lo studio degli esempi proverbiali è stata trovata solo la cancellazione dell’articolo a seconda del contesto.

Della sardella testa e budella

4. un’intolleranza

Ripetiamo dunque che la presenza di un articolo rimanda il sintagma ad un referente, di cui l’articolo precisa la maggiore o minore conoscenza dell´atto di comunicazione. L’assenza dell´articolo non deve però necessariamente significare che non si rimandi a un referente. Ci sono delle situazioni in cui troviamo l’articolo, anche se dal punto di vista grammaticale (non c’è un atto di riferimento) dovrebbe mancare, o viceversa. Osserviamo in tali casi un contrasto tra la categoria grammaticale e la semantica, dato dalla plasticità del linguaggio. Sono soprattutto le situazioni in cui appare la perifrasi (perché si ottenga l’effetto semantico).

Fondamenti di casa e botti, bisogna accomodarli bene

Nell’esempio notiamo la pronominalizzazione definita, anche se il sintagma non è usato (dal punto di vista grammaticale) per un atto di riferimento, e dai ragioni semantici la pronominalizzazione dovrebbe essere vietata.

«La funzione dell’assenza di articolo sembra quella di togliere al nome la sua referenzialità e di ridurlo a un portatore del significato da atribuire al verbo che funge da supporto...». Presentiamo alcuni esempi che provano quest’affermazione:

Oca e tacchino fanno buon brodo
Pasta molle fa bel pane

5. la presenza dei verbi supporto

Ci sono delle discordanze per quanto riguarda l’uso, rispettivamente l’omissione, dell’articolo in rapporto con la presenza dei verbi supporto (fare ed essere) . Secondo alcune osservazioni l´aspetto di tali verbi impedisce l’uso dell’articolo:

Il pane è sovrano
La fame è capo di rabbia
Il vino è padre delle risse
Pane e vino è vita degli uomini

Altri affermano che nei casi in cui è presente un verbo copulativo, l’articolo è quasi sempre espresso (per una maggiore coerenza con la struttura normale della lingua):

La fame è una brutta bestia
La pentola è la pace di casa

Partendo dall’osservazione dei proverbi studiati, incliniamo alla seconda opinione. Abbiamo trovato numerosi esempi con la presenza verbi supporto – articolo.

La fame è un cattivo compagno
L'aglio è la spezieria del contadino
L’olla di Natale è una gran bontà
Il sole è il nemico della cucina
La prima padellata è dei bambini
Pane e cipolla è la merenda del povero
Le salsicce e l’uovo sono i migliori legumi
Le lumache son la carne dei poveri
Il vino è una mezza colla
I fagioli son la carne dei poveri
Formaggio e ricotta fanno le leggi storte
Pane e cipolla fa contento il contadino

Un altro risultato della nostra analisi è la conclusione che se nella frase si trova il verbo fare, collocato con l’infinito di un verbo di pieno significato, la frase dimostra la presenza dell’articolo determinativo:

Il vino fa ballare i vecchi
Il vino fa ballare anche i cani
Il vino fa dimenticare i dispiaceri
L’acqua fa arrugginire le budella
L’acqua fa marcire il fondo del secchio
L’acqua fa venire i ranocchi in corpo
L’acqua troppo fredda fa cadere i denti
La fame fa mangiar le sorbe acerbe
La fame fa mangiare la cipolla al gatto
La fame fa rompere la legge
La fame fa uscire il sangue dai denti
La fame fa venire il buio agli occhi

6. la presenza della rima

Come un altro criterio dell’uso degli articoli può essere considerata la rima: abbiamo notato che in molti casi, se nella frase appare la rima, questa è spesso senza l’articolo:

Verdura non fa merdura
Mal netto fa grassetto
Carne tirante fa buon fante

7. Il rapporto tra articolo e tema/rema

In connessione con la soprammenzionata problematica di tema/rema viene dalla Signorini presentato l’uso dell´articolo. Ella sostiene che l’articolo determinativo accompagna meglio i nomi in topic-tema: il Topic è difficilmente riempibile da un elemento – persona o cosa – generico, privo di senso, di identità e sconosciuto. L’articolo determinativo in questo caso fornisce caratteristiche di specificazione e concretezza necessarie affinché tale unità di informazione svolga la sua funzione del rema .

Nell’italiano parlato notiamo numerosi casi di tema presentati lessicalmente da nomi non preceduti da nessun articolo o quantificatore. La Signorini ne descrive tre tipi:

1. Nomi che costituiscono il riferimento conoscitivo di un rema in cui si chiede la spiegazione di quanto introdotto nel tema stesso

2. Nomi seguiti da un rema nel quale si dà la spiegazione di ció che è stato introdotto nel tema – sono citati per il loro valore terminologico

3. Nomi «citati» che rappresentano qualcosa che è già stato introdotto precedentemente nello scambio linguistico o che comunque è presente nella «mente» dei parlanti; e quindi non hanno bisogno dell’articolo per essere meglio individuati

A concludere questo capitolo, ripetiamo brevemente che l’omissione dell’articolo si osserva con espressioni fisse, quando il sostantivo fa da complemento in un’unità fraseologica. È causato dall’esigenza dei proverbi di risparmiare lo spazio e tempo. In più l’espressione senza un articolo crea una frase unica e fissa. Dobbiamo altrettanto constatare che l’omissione dell’articolo nei proverbi attribuisce al nome un valore eterno, impersonale e «immobile».

 

5.11. Struttura dilemmatica

o.../ o ...
o ...o .../x

Questo tipo di struttura ricorre altrettanto frequentemente nel materiale studiato. La forma più semplice in cui si presenta è una formula nominale o verbale senza complementi:

1.  o  + N1 ~ o + N2
O miele in bocca o soldi in borsa

2. o + V1 ~ o + V2
O pagare o pregare

3. o + V1 + Compl.1 O + V2 + compl.2
La struttura minima si spesso allarga di un complemento formando un periodo:
O mangiare questo osso o saltare il fosso
O mangiare questa minestra o saltare in finestra

4.   x + o + x / x
Nuvoloso o sereno, la vacca vuole vare il suo fieno

5. o ...o .../ frase principale frase dipendente
O paglia o fieno, basta che il ventre sia pieno
O bianca o gialla, basta che i denti ballino

6.    o ...o ... / frase predicativa
O cotto o crudo, il fuoco l´ha veduto

La struttura dilemmatica è complicata da elementi aggiuntivi (x) che servono a spiegare il detto, a limitare l’ampiezza del dilemma, e a circoscrivere l’argomento a momenti e luoghi precisi. Formalmente possiamo osservare che x disturba il ritmo binario dando origine ad una formula di tre elementi (vedi esempi in 5.). Tale costruzione aggiuntiva può essere di tipo verbale o nominale, e può trovarsi sia nel primo sia nell’ultimo membro, come epilogo. La struttura può combinarsi con altre strutture fisse, come le relative: Chi sbadiglia, o vuole orzo, o vuole paglia.


6. CONCLUSIONE

L’obiettivo della presente tesi è stata un’analisi del linguaggio dei proverbi italiani del campo culinario. Il proverbio, l’unità paremiologica che ci parla della saggezza antica «chiusa» in una metafora, viene di solito analizzato dal punto di vista lessicale o semantico. Al contrario di numerosi pubblicazioni paremiologiche del genere abbiamo puntato invece la nostra attenzione sull’indagine morfosintattica. Siamo dell’opinione che anche se il lato semantico o lessicale è preferenziale, lo studio morfosintattico porta una nuova eventualità sulla paremiologia.

In primo luogo abbiamo spiegato il termine «proverbio» nel suo contesto storico e in connessione con il suo uso dai vari linguisti antichi. È stata registrata una stretta correlazione con la nascita del termine proverbio e la stratificazione tra il linguaggio scritto e parlato.

In base allo studio delle classificazioni morfosintattiche dei linguisti come ad esempio Dundes o Wotkeová sono stati individuati le seguenti caratteristiche principali: la brevità, la figuratività, gli effetti fonici (vari giochi di parole), il carattere normativo, popolare e antico. Come ha detto Toury, il proverbio non deve invece dimostrare tutte le caratteristiche: dipende sempre dal contesto, in cui esso si trova, quale attributo sarà più significativo.

La presenza delle suddette qualità si effettua nei costrutti morfosintattici corrispondenti: il carattere fonico e ritmico si incontra come corrispondenza di strutture di proposizioni. Il valore normativo si fa valere per la figura   dell’imperativo, il carattere sintattico segmentato (tema-rema) viene considerato come tipico del linguaggio contadino. Ciò che riesce davvero particolare è l’aspetto dell’antichità del linguaggio che risulta soprattutto nell’omissione dell’articolo o la posizione iniziale di un altro membro della frase che il soggetto.

Dall’analisi di un corpus di circa un centinaio di proverbi italiani risulta che la costruzione proverbiale si basa sulla struttura binaria – costituita da due (eventualmente tre o quattro) membri opposti, la quale si realizza in vari tipi di strutture linguistiche. Si tratta soprattutto delle costruzioni ipotattiche e paratattiche, monofrastiche, costituite da un’unica proposizione, e delle strutture giustapposte in cui la sintassi appare slegata per l’assenza di elementi connettivi.
Dopo aver notato una forte coincidenza tra la struttura binaria e le citate strutture sintattiche, risulta quindi evidente che le costruzioni più frequenti sono quelle che si meglio adattano a trasmettere un messaggio complesso, semplice, incisivo e facilmente ripetibile, come richiesto da proverbi.


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http://www.uni-duisburg.de/FB3/SILFI/SILFI2000/abstracts/papers/Milano_co089.html

http://www.locuta.com/Si.html

www.sitlec.unibo.it/dwnprogetti/La Forgia.pdf.


Meglio arrivare in anticipo al pranzo che trovarne solo gli avanzi.

Il verbo è come, al solito, in indicativo.

La condizione irreale si rifferisce però sempre al presente.

Cfr. Battaglia, Pernicone 1968, op.cit., p. 562.

Le parole sono strutturate in una frase «normale» quando per primo viene il soggetto, poi il verbo e i complementi secondo le loro esigenze sintattiche (prima l’oggetto, poi il complemento di specificazione o di termine ecc.). Il contenuto informativo si distribuisce su tutti gli elementi. Questa forma, non marcata, è più generale e neutra, tende a non presentare segni morfologici particolari e ha una maggiore capacità di adattarsi a più contesti. Inoltre viene sentita come più naturale e familiare. Nel caso però in cui questo ordine regolare degli elementi di una frase non viene rispettato, il tema coincide con l’oggetto diretto, e la segmentazione influenza anche il livello di consistenza linguistica, e possiamo registrare «un’inversione» nella sintassi. In italiano questo fenomeno si effettua con il cambiare dell’ordine sintattico, anticipare, focalizzare o tematizzare di quell’informazione che è sentita come principale (l´oggetto diventa il soggetto psicologico).
. Una tale inversione poi viene chiamata ordine marcato. Vuol dire che gli elementi di una frase sono messi in un ordine marcato ogni volta quando il parlante vuol dare maggiore importanza a un termine o vuole sottolineare il tema della comunicazione. L’elemento per così dire «fuori posto» acquista un fortissimo accento e richiama di conseguenza una particolare attenzione dell’interlocutore.

Sornicola Rosanna: Analisi della struttura informativa in: Sintassi e morfologia della lingua italiana d’uso. Teorie e applicazioni descrittive. Atti del XVII Congresso internazionale di Studi. Urbino, 11–13 settembre 1983, Bulzoni, Roma 1985, pp. 182-189.

Cristilli Carla, op. cit., p. 196.

Cfr. Salvi G.: Italienisch: Syntax in: Lexikon der Romanistischen Linguistik. Band IV. Italienisch, Korsisch, Sardisch. Tübingen, Niemeyer, 1988, p. 129.

Cfr. Sornicola Rosanna: Italienisch. Stilistik in: Lexikon der Romanistischen Linguistik. Band IV. Italienisch, Korsisch, Sardisch. Tübingen, Niemeyer 1988, p. 151.

Melis Luisa: Particolarità strutturali del proverbio sardo in: Proverbi Locuzioni Modi di dire Nel Dominio Linguistico Italiano, Atti del I Convegno di Studi dell´Atlante Paremiologico Italiano (API). Modica 26-28 ottobre 1995, a cura di Salvatore C.Trovato, Dipartimento di Filologia Moderna – Università di Catania, Roma 1999, p. 378.

Melis Luisa 1995, op. cit., p. 379.

Battaglia, Pernicone 1968, op. cit., p. 84.

Questa teoria è dichiarata per esempio da Renzi. Egli sostiene che «attraverso l’articolo determinativo il parlante suggerisce che l’ascoltatore è in grado di identificare l’oggetto della comunicazione, e che l’articolo determinativo dà al nome una certa unicità». Renzi, Lorenzo: L’articolo zero in: Sintassi e morfologia della lingua italiana d’uso. Teorie e applicazioni descrittive, Roma, Bulzoni 1985, p. 270.

Cfr. Battaglia S., Pernicone V.1968, op.cit., p. 92.

Del Ninno Maurizio 1980, op.cit., p. 396.

Cfr. ibid. p. 282.

Renzi Lorenzo 1985, op. cit., p. 281.

L’omissione degli elementi funzionali come l’articolo, le preposizione e la giustapposizione sono considerati come peculiarità generali del parlato. Cfr. Melis Luisa1995, p. 381.

Renzi Lorenzo 1985, op. cit., p. 285

Cfr. Del Ninno Maurizio 1980, op. cit., p. 396.

Dislocazione a sinistra e topicalizzazione nelle espressioni idiomatiche in: Renzi Lorenzo 1988, op. cit., p. 149.

Qui i due verbi hanno relazione con la copula sottintesa.

Renzi Lorenzo: Grande grammatica italiana di consultazione, vol. 1.: La frase. Il sintagma nominale e preposizionale, Bologna, Il Mulino 1988, pp. 271-288.

Riferiamo qui alla concezione di Benvéniste che dice che la frase nominale è infatti una frase completa con l’eccezione che la funzione del verbo è sostituita da quella del nome.

Renzi Lorenzo 1985, op.cit., pp. 271-288.

Ibid., p. 279.

Ibid., p. 150.

Le forme analitiche sono proprie dello stile parlato.

Renzi Lorenzo 1988, op.cit., p. 152.

Miniati M. V. – Bucciarelli L. B. In: Il dialetto dall’oralità alla scrittura, op.cit., p. 112.

Cfr. Signorini, Sabrina: Il Topic: criteri di identificazione e correlati morfosintattici in un corpus di italiano parlato in http://lablita.dit.unifi.it/preprint/preprint-03coll05.pdf, p. 14.

Cfr. ibid., p. 15.

Di riso.

 

Fonte: http://is.muni.cz/th/102589/ff_m_a2/DP_posledni_verze_20.11.doc

Sito web da visitare: http://is.muni.cz/

Autore del testo: J.Trochtová

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