Codice paterno

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Codice paterno

CODICE PATERNO

 

Abbiamo già accennato al concetto di democrazia affettiva, punto assiologico di ogni processo di crescita, che si raggiunge attraverso la compresenza e l’integrazione armonica dei diversi codici affettivi, tutti legittimi e funzionali, e il cui apporto cooperativo è indispensabile. È senza dubbio centrale e importante per un armonioso sviluppo psicologico ed emotivo dei bambini un equilibrio tra i due codici, quello materno e quello paterno.
Quando parliamo di codice materno facciamo riferimento a tutti quegli elementi di accudimento, protezione, cura, fiducia tipici della relazione primaria con chi si prende cura del bambino, il caregiver. La madre è, nella maggioranza dei casi, la prima persona che si occupa del bambino e instaura con esso una relazione sensoriale, affettiva ed emotiva inscindibile, una diade, in quanto è la sorgente a cui il bambino attinge in tutto il primo anno di vita. Il legame simbiotico che caratterizza la relazione con la madre tutela l’attaccamento e la sicurezza affettiva, condizioni indispensabili per uno sviluppo armonico e per i processi di autostima. Ma verso il terzo anno il bambino è spinto naturalmente alla ricerca della sua autonomia, di una indipendenza e differenziazione dalla madre. E’ il periodo in cui i bambini vogliono fare da soli e determinarsi attraverso quei continui “NO, non lo faccio” che testimoniano la volontà di affermarsi come soggetti pensanti. In questo passaggio di crescita il bambino va sostenuto ed orientato, altrimenti non potrà imparare a riconoscere i limiti e le regole condivise del nostro vivere comune. È proprio il padre che aiuta questo distacco ed avvia il bambino verso la vita sociale, fuori dalla famiglia.
Il codice paterno rappresenta la mappa regolativa del vivere, necessaria per potersi orientare nel mondo e affrontare la vita esplorandola nei suoi vari aspetti a partire da riferimenti chiari e sufficienti a non perdere la bussola. Una caratteristica fondamentale del codice paterno è quella della chiarezza delle regole. Questo codice ha la funzione di consegnare le regole della vita sociale, i limiti entro i quali potersi muovere, e in questo senso anche gli spazi di libertà consentiti.
Quando parliamo di codice paterno facciamo, quindi, riferimento agli elementi normativi, ai divieti, alle regole, caratteristiche della fase di esplorazione del mondo, dell'avventura, di ciò che si può o non si può fare. Privilegia il principio di realtà, la valorizzazione delle capacità e la separazione.

 

La divisione dei ruoli: il padre
Poche notizie scuotono un uomo maggiormente di quella che sta per diventare padre: perfino se ha fortemente desiderato e pianificato un figlio può sentirsi preda di un totale disorientamento. Non sorprende che l’uomo si senta tanto smarrito: nessun altro ruolo sociale è tanto confuso come quello del padre, nonostante sia così importante.
Alcuni dicono che il padre favorisce lo sviluppo di sé nei figli, altri che dà energia alla famiglia, spinge i figli alla conquista del mondo esterno, mentre la madre si concentra sull’interno, sul cuore, sui sentimenti.
Ciò di cui possiamo essere certi è che il padre non è un duplicato della madre. Anche se alcuni padri svolgono in effetti compiti materni (cullare il neonato, ascoltarne le preoccupazioni…) la funzione paterna è diversa, parallela a quella materna.
Un padre non è una madre. Ha con il figlio una relazione diversa: lo vede meno come una sua estensione e si pone di più come un protettore benevolo. Fa con il figlio cose diverse rispetto alla madre, per esempio giochi più scalmanati, ed è meno pronto a identificarsi con lui e solidarizzare con ogni bernoccolo e ogni preoccupazione; qualche volta lo prende anche un po’ in giro. Rappresenta una sorta di anticipazione della rude e aspra realtà esterna, con cui il bambino dovrà un giorno fare i conti: un luogo a metà strada tra il caldo e accogliente asilo nido e il mondo popolato di estranei che sta al di fuori.
Le madri empatizzano, i padri solidarizzano. I padri sono diversi nelle loro risposte emotive.
La natura ha avuto le sue buone ragioni per organizzare le cose in questo modo: la paternità, distinta dalla maternità, è un mestiere necessario. Per quanto ci si scambi di posto, ci saranno sempre due ruoli distinti da giocare nella vita di un bambino: uno rassicurante, l’altro sfidante, impavido e allegro.
Una caratteristica fondamentale del codice paterno è la chiarezza delle regole, che devono essere poche ma ben definite. Funzione del codice paterno è la consegna, la trasmissione delle regole di vita sociale, di limiti e confini. Regola non significa, infatti, limitazione di libertà, anzi, è tutto il contrario: significa dare la possibilità al bambino di muoversi e sperimentare, in un contesto protetto e custodito.
La figura paterna ricopre importanti funzioni fin dai primi mesi di vita dei figli, ma il suo ruolo va osservato all’interno della triade: la qualità della relazione dei genitori è fondamentale per consentire alla madre e al bambino di svolgere adeguatamente il proprio compito evolutivo.
Con la prima infanzia e con l’adolescenza le relazioni dirette madre-figlio e padre-figlio assumono la stessa importanza. Come sottolinea Bollea nei primi anni di vita il bambino porta avanti il suo continuo lavoro di adattamento al mondo esterno prevalentemente attraverso il padre, sia nell’imitarlo, sia nell’accettare o meno le sue imposizioni. L’instaurarsi di una relazione significativa, sicura e costante con il padre permette un adeguato sviluppo sociale ed emotivo dei figli.
Caratteristica fondamentale della funzione paterna è proprio quella di favorire il processo di separazione dalla madre e introdurre il figlio, attraverso il linguaggio logico, al pensiero razionale e al rispetto delle regole nell’universo delle relazioni sociali. Al padre è simbolicamente affidato il compito di traghettare gradualmente il figlio dal territorio materno a quello della società, favorendo l’emancipazione dall’infanzia e il suo ingresso nel mondo adulto. In altre parole, è il padre che contiene e progressivamente delimita quel rapporto stretto e totalizzante esistente tra madre e figlio. Ogni genitore ha un proprio ruolo e solo insieme essi si integrano e si completano.
Il padre, in quanto portatore di un modello responsabile e capace di assumere decisioni, costituisce una figura determinante nella prevenzione di eventuali comportamenti antisociali; la madre, in quanto figura portatrice di affetto e fiducia, è fondamentale per favorire il dialogo e la stima di sé. Il padre, inoltre, favorisce l’evoluzione dell’affettività adulta, in quanto è proprio l’amore paterno, non scontato ma condizionato, che va conquistato e, quindi, richiede uno sforzo che si avvicina all’amore maturo. Il rapporto padre-figlio, che si delinea sin dai primissimi anni di vita, modellerà l’immagine che il figlio avrà di sé stesso e degli altri, alimentando la dimensione profonda dei suoi sentimenti. In età scolare la mancanza di un solido rapporto con il padre, determina forti vissuti di ansia nel bambino, soprattutto di fronte ad una situazione nuova come quella scolastica, dove deve rapportarsi con figure nuove e con nuove autorità.
La valenza della figura patera sembra assumere un ruolo decisivo anche tra i fattori del comportamento delinquenziale degli adolescenti, soprattutto in relazione al fatto che, nella nostra società, il padre costituisce l’istanza morale fondamentale per la formazione di una coscienza etico-sociale. L’opinione comune è che oggi il padre stia cercando di trovare altre dimensioni nei vari ambiti concernenti l’educazione dei figli e queste avvalorano una sua più rilevante partecipazione. Alcuni padri dimostrano notevoli capacità di provvedere anche a figli molto piccoli. Negli ultimi anni si è assistito, quindi, alla nascita del cosiddetto “padre partecipante”, cioè colui che si allontana dalla figura di padre padrone per creare con i figli una relazione fondata sull’affettività e sulla condivisione. Ne consegue una figura paterna che mantiene le sue prerogative maschili ma che si dimostra anche disponibile a prendersi cura dei propri figli in modo autonomo e responsabile.

 

Codice paterno cercasi
Il codice infantileha, quindi, un versante, dove traspare un interlocutore materno, onnipotente, magico, creativo ma anche distruttivo e appropriativo, e un altro, riferibile a valori paterni, legato al piacere dell’autonomia, della crescita, all’esplorazione e alla scoperta del mondo. I bambini per crescere bene, sani, felici e fiduciosi di sè, hanno bisogno sia di manifestazioni affettive (lo spazio affettivo della cura, della protezione, dell’empatia, il legame…), ma anche di conoscere e confrontarsi con una distanza educativa dal genitore in cui prende corpo e forma la regola sociale condivisa, il senso del limite e della responsabilità e quindi l’autonomia.
Nella famiglia attuale assistiamo ad una prevalenza di accudimento, protezione, controllo sui bambini, accentuando i caratteri di dipendenza piuttosto che autonomia.
Secondo il pensiero di Daniele Novara, stimato pedagogista contemporaneo, la competenza educativa dei genitori è diventata un’emergenza sociale. I genitori di oggi sono in difficoltà, spesso confusi, ansiosi, intenzionati a rinnegare lo stile educativo del passato, ma ancora in cerca di un nuovo modello di comportamento a cui riferirsi. Per questo il loro bisogno di un sostegno competente e concreto è in continuo aumento, soprattutto là dove è necessario comprendere che le conflittualità con i figli sono naturali ed inevitabili, ma possono trasformarsi in una risorsa della relazione ed in un’arricchente esperienza di conoscenza reciproca. Una delle condizioni più determinati l’inquietudine dei genitori e dei loro compiti educativi è che sono più concentrati a stabilire con il figlio relazioni alla pari, affettuose e coinvolgenti, basate su di un bisogno reciproco di grande vicinanza confidenziale, più che orientati a definire il loro ruolo di adulti che educano, creando quella giusta distanzaaffettiva, garante di una crescita autonoma e responsabile.
Il Novecento, con i suoi cambiamenti sociali e culturali, ha creato una frattura con il vecchio modo di occuparsi dei bambini, autoritario e punitivo, per andare verso un totale abbandono di ogni forma di regole e divieti, aprendo le porte ad una visione di bambino persona, degno di rispetto e considerazione, da crescere in un mondo agiato sotto tutti i punti di vista, sia materiale che affettivo.
La famiglia normativadel secolo scorso, incentrata su di una severa suddivisione di ruoli tra il padre e la madre, in cui il bambino assolveva al compito di assicurare la discendenza o la sicurezza economica, sparisce dal panorama sociale, sostituita dalla famiglia affettiva, dove la scelta di un figlio è ben pensata e voluta, se non a volte programmata, come condizione di benessere e di realizzazione familiare e il nuovo nato assume un ruolo centrale nel panorama degli affetti e delle aspettative familiari.
Di pari passo si è modificata la presenza del padre nella famiglia e nelle relazioni affettive. Sempre di più i papà si occupano dei bambini, li accompagnano a scuola, vanno alle riunioni con le insegnanti, si prestano ad assorbire anche le semplici cure quotidiane dei figli: li cambiano, li addormentano, danno il biberon, ecc. Tendono a vivere con i figli una dimensione emotiva più intima e di complicità, alla ricerca di modi di stare insieme quasi esclusivamente felici e positivi. Questo bisogno è più una necessità del padre, e di ambedue i genitori, desiderosi di fare di tutto per la felicità del proprio bambino, spesso l’unico “tesoro” di casa, pensierosi della conciliazione lavoro/famiglia che mangia molto del tempo a disposizione per stare con lui, preoccupati di non essere bravi genitori e disposti a compensare con pronte risposte le richieste del piccolo. In realtà, il bisogno dei bambini è quello di crescere e di poter approdare alla riva dell’autonomia, piuttosto che star bene con i propri genitorie non è detto che per accompagnarli in questo cammino sia così giusto essere a completa loro disposizione.
Di pari passo all’ingresso del padre sulla scena familiare in veste quasi totalmente affettiva, si assiste ad una trasformazione del ruolo del padre ed alla fine del principio di autorità. Il padre, perdendo la sua tradizionale figura di uomo autoritario che detta legge e che non si discute, diventa piano piano così morbido,presente, disponibile, attento giocoso, da farsi mammo, o padre mammizzato. Insomma, il padre fa suo l’atteggiamento materno, empatico, affettivo ed accogliente tipico della madre, a discapito di una maggior chiarificazione dei ruoli genitoriali e di un accordo educativo nella coppia. Non c’è sicuramente un richiamo ad una nostalgia del tempo passato, ma la constatazione che la trasformazione della famiglia e dei ruoli genitoriali stia contribuendo ad una forte confusione e mancanza di chiarezza nella relazione educativa.
Il padre che a tutti i costi vuole sentirsi amico del figlio instaurando con lui un rapporto di simpatia, assomiglia più ad una sorta di baby-sitter o di tutor amicaleche ad un adulto sicuro del suo ruolo e consapevole delle sue responsabilità. A volte sembra quasi che i genitori si aspettino di essere aiutati dai propri figli a decidere sul da farsi, creando un ribaltamento di ruoli: i bambini diventano adultizzati e gli adulti infantilizzati.
I bambini spesso sperimentando poco il limite e la regola, crescono con una visione distorta della realtà, diventando spesso molto richiedenti e poco collaborativi, ed i genitori hanno molta difficoltà a gestire anche le questioni più semplici come prepararsi la mattina per uscire di casa, o mettersi a tavola per mangiare. Troppe cose sono motivo di contrattazione, con grande fatica e spreco di energia da parte di tutti.
Se in ambito educativo assistiamo a una preponderanza di codice materno, che si è strutturata nel tempo nel modello della famiglia affettiva e che con la sua caratteristica simbiotico-fusionale è all’origine delle malattie dell’educazione, tuttavia il codice paterno non ha ancora trovato una sua corretta strutturazione e collocazione. L’apoteosi odierna di figure genitoriali, maschili e femminili, che assumono esclusivamente o quasi atteggiamenti materni superprotettivi lascia ben poco spazio all’area dello sviluppo dell’autonomia, dell’esplorazione e della responsabilità personale.

 

Da uomo a padre
Un uomo che decide di avere un figlio va incontro ad una fase del proprio ciclo di vita che ha un enorme potenziale di trasformazione. Diventare genitori comporta, infatti, una definitiva trasformazione dell’identità: insieme al proprio bambino un uomo vede nascere un “nuovo se stesso”.
La fatica mentale ed emotiva che un uomo deve affrontare nel momento in cui si confronta con la possibilità di una paternità è davvero smisurata: nessun’altra sfida della vita comporta le stesse implicazioni psicologiche. In fin dei conti nulla è così definitivo e fa entrare un uomo nella dimensione del “per sempre” e “dell’eternità” come un figlio. L’essere padre è un concetto, un’idea, un’esperienza, un viaggio, un’avventura che non ha mappe direzionali, percorsi tracciati. Ognuno deve intraprendere il suo viaggio personale dove tutto è imprevedibile, sconosciuto, misterioso.
Diventare padre spaventa perché da alcuni uomini questo evento viene interpretato come un’interruzione del proprio ciclo di vita, un ostacolo nei confronti di tutto ciò che è stato conquistato fino a quel momento della propria esistenza: la posizione e la stabilità professionale, la libertà di usare il tempo libero a proprio vantaggio e piacimento.
È importante prendere in considerazione e non sottovalutare il mondo emotivo dei padri proprio per le funzioni protettive che essi svolgono sin dai primi momenti di vita del proprio bambino.

 

Essere padre, essere figlio
La cosa più difficile, forse, nel fare bene il mestiere di padre, sta proprio nell'accogliere e nel fare spazio alla figura paterna dentro di sé e nella propria vita. E quindi, innanzitutto, nell'accettarsi come figli, tranquillamente grati di ciò che dai nostri padri abbiamo ricevuto. Pronti a perdonare ciò che non hanno saputo o potuto darci.
La certezza di divenire genitori spinge inevitabilmente la coppia verso il futuro, ma allo stesso tempo, la riporta nei ricordi legati al passato. Per quanto riguarda l’uomo, in particolare, questo continuo avanzare e indietreggiare attraverso il tempo ha un suo risultato psicologico molto importante: rivisitare la propria infanzia, comprendere il proprio sviluppo e portare a termine cose lasciate in sospeso con la propria famiglia: un percorso necessario per preparare il padre verso il suo nuovo ruolo. C’è, infatti, il passaggio dalla condizione di figlio a quella di padre, che comporta l’affrontarsi/scontrarsi con i propri genitori sullo stesso campo, quello della genitorialità.
La difficoltà nelle relazioni dei padri della postmodernità con la precedente generazione di padri nasce dal repentino e importante cambiamento cui abbiamo assistito negli ultimi trenta anni. Sono molti, infatti, ad essere concordi sul fatto che in questi decenni si è assistito ad una rivoluzione così forte per la figura paterna come non era successo in secoli precedenti.
La difficoltà dell’uomo moderno nel suo essere padre, infatti, è data dall’assenza di un modello paterno valido. Questo perché i padri delle precedenti generazioni si sono comportati, ovviamente, secondo gli schemi e le abitudini del loro tempo. Gli uomini oggi sanno che non vogliono seguire quel modello o lo sentono poco attuabile.
Il problema che nasce, quindi, è dovuto ad un gap di modelli a cui attingere, cioè l’idea che non c’è più un modello di padre che si trasmette di generazione in generazione, un modello che, quindi, i nuovi padri assumono, ereditano, “indossano”, ma c’è qualcosa di diverso, qualcosa che si gioca, emerge e si costruisce solo relazioni.
Il rischio maggiore è che l’uomo possa ritenere di costruire una diade padre-figlio che si aggiunga, o addirittura si sostituisca, alla relazione madre-bambino. Invece deve restare chiaro che l’obiettivo della partecipazione è quello di favorire la costruzione della triade madre-padre-bambino, poiché solo questo triangolo costituisce il modello familiare in grado di accogliere i reali bisogni del bambino e consentirgli uno sviluppo armonico.
Da chi imparano, quindi, gli uomini ad essere padri oggi? Si può affermare che i papà di oggi imparano a fare i padri in maniera molto più esplicita che in passato, confrontandosi con tre tipi di relazione: la prima è una relazione che riguarda il rapporto tra generazioni di padri, cioè il rapporto del nuovo padre con il padre che ha avuto e con l’esperienza che ha avuto come figlio. La seconda è il rapporto con l’altro sesso, sia nella dimensione della relazione con il partner sia nella dimensione del rapporto con la madre. C’è un riconoscimento dell’autorevolezza femminile, dell’importanza e della competenza relazionale nella cura e nella capacità di ascolto e di empatia che molti padri riconoscono, e che in parte cercano di fra propri. La terza è il rapporto con i propri figli. Non c’è più una gerarchia rigida (la dimensione relazionale fra padre e figlio non è più verticale ma orizzontale, c’è un modello molto più complesso in cui anche i padri imparano qualcosa dai figli. In tutti e tre i casi, sono sfide relazionali. Il farsi padre è qualcosa che emerge in fieri, emerge nelle relazioni, e di questo molti padri iniziano ad essere consapevoli.
Il rapporto con il proprio genitore è, quindi, certamente soggetto ad una rilettura della grammatica delle relazioni: la fase di transizione dall’essere figlio al divenire padre potrebbe, ad esempio, essere motivo di timore, rappresentare una sorta di sfida o essere, invece, illuminante, soprattutto per un uomo che ha vissuto profonde divergenze fra sé stesso e il proprio padre. Ci sono molti neo papà che vanno incontro a un rinnovato desiderio di riscoprire il proprio padre, altri, invece, ancora rinchiusi in vecchi risentimenti, divengono critici nei confronti dei loro genitori, soprattutto per quanto riguarda problemi legati alla lontananza, alla scarsa sensibilità e all’apparente mancanza di affetto.
Ad affiorare non sono solo sentimenti negativi, ma giungono in superficie anche ricordi di momenti piacevoli che assieme ad una ristrutturazione generale dell’identità e delle relazioni, portano spesso il figlio ad un nuovo tipo di rapporto e contatto con il proprio genitore, diventando più disponibile a perdonarne gli errori.

 

Il ruolo protettivo dei padri
La letteratura attuale parla di padri assenti e imputa alla loro latitanza educativa molti dei problemi di sviluppo manifestati dai soggetti in età evolutiva, soprattutto nell’ingresso in adolescenza. Ma non è solo in questa fase critica dell’età evolutiva che un padre svolge le proprie funzioni protettive. Moltissimi psicologi hanno, infatti, connotato alcuni aspetti che sono unici ed intrinseci nel e del ruolo paterno. Il ruolo dei padri è insostituibile nel percorso di crescita del proprio figlio fin dalla nascita.
In una prospettiva psicodinamica, più volte è stato affermato che al padre spetta il compito psicologico di “collocarsi” al centro della relazione madre-figlio durante le  fasi pre-edipiche dello sviluppo, divenendo un polo alternativo in grado di attenuare le funzioni specifiche assolte dalla madre nel suo ruolo essenziale di caregiver primario. Il padre, con il suo intervento educativo, priva il bambino dell’oggetto del suo investimento affettivo primario facendolo passare dalla logica del bisogno a quella del desiderio.
Non va trascurato, del resto, che se l’uomo prova a stare sulla scena sin dai momenti più precoci, a guadagnarne in qualità e intensità potrebbe essere anche il rapporto madre-figlio visto che, come afferma Bowlby, l’uomo, offrendo sostegno emotivo alla propria compagna, fungerà per lei da base sicura, divenendo in tale modo anch’egli figura di attaccamento.
Del resto la simbiosi tra madre e bambino è spesso così intensa e totale che un uomo può inserirsi al suo interno solo grazie alla disponibilità della propria compagna a farsi da parte per chiamarlo in causa, lasciando momenti diretti di interazione tra padre e figlio e fidandosi della sua capacità di essere presente e di prestare cure altrettanto premurose, sebbene dissimili da quelle che avrebbe adottato lei. Questo coinvolgimento del padre deve essere facilitato il più precocemente possibile. La mamma deve “attivare” questo dispositivo di accudimento che nell’uomo scatta in modo meno automatico, rispetto a quanto succede alla donna. Infatti, il sentirsi padre e la capacità di “costruire una propria immagine di sé assieme al bimbo”, così da soddisfare adeguatamente i suoi bisogni, sembrano essere, nel maschio, associati all’opportunità di interagire precocemente con il proprio figlio. E cruciale sembra essere un’interazione padre-neonato che passa attraverso il contatto fisico.
Se questo “meccanismo” riesce ad essere attivato, la coppia affettiva si trasforma in un amorevole triangolo familiare, in cui ogni membro gioca un ruolo che auto mantiene la relazione affettiva all’interno del ”nuovo sistema famiglia” e che permette al padre di abbracciare a tutto tondo la sua nuova dimensione genitoriale, connotata da una modalità emotiva sempre più personalizzata e amorevole, che ha fatto parlare di una paternità affettiva. È questa la rivoluzione dei nuovi papà, così diversi dai padri del passato, che erano “caricati” di una forte valenza normativa, ma assai scarsi nell’assolvimento di funzioni affettive, la cui mancanza ha spesso lasciato affamati di “amore di padre” i figli delle passate generazioni.
All’inizio del terzo millennio la società si sta dotando di una nuova generazione di padri desiderosi di cambiare gli schemi che per troppo tempo hanno impedito agli uomini di poter entrare in contatto con la propria esperienza emotiva, abbracciandone i passaggi complessi ma anche le mille sfaccettature e potenzialità.
Occorre imparare a considerare la paternità un vero e proprio capitale sociale al quale la società del terzo millennio non solo non può rinunciare, ma dal quale intende partire per garantire alle future generazioni un’esistenza resa forte dalla presenza armoniosa e cooperativa di due genitori consapevoli dei propri limiti e dei propri punti di forza, detentori di un competenza parentale in grado di regalare ad ogni figlio radici solide con cui “attaccarsi” alla vita e un paio d’ali con cui “esplorare” il mondo alla ricerca della realizzazione di sé.

 

I padri di fronte al mondo emotivo delle madri
La letteratura scientifica ha concentrato molta della propria attenzione sul mondo interiore della futura madre, la cui dimensione emotiva è stata scandagliata, esplorata e disvelata in ogni suo aspetto più recondito, anche grazie alla grande diffusione che la teoria dell’attaccamento elaborata da Bowlby ha avuto in tutto il mondo. Bowlby è riuscito a raccontare e descrivere l’esclusività che connota la relazione tra madre e neonato, scoprendo il meccanismo biologicamente e geneticamente determinato di cui l’evoluzione ha dotato il neonato, e dallo scienziato definito “attaccamento”, che consiste in una competenza sofisticata ed essenziale al tempo stesso. Ogni bambino, infatti, nasce “programmato” per sviluppare una relazione di forte attaccamento con la propria madre e, contemporaneamente, per stimolare in lei un concreto, vivido e vitale accudimento. Attaccamento e accudimento sono processi innati che si manifestano spontaneamente anche nel regno animale.
Nella specie umana, ciò che rende davvero stupefacenti i processi di attaccamento e accudimento deriva dalla reciprocità con cui entrambi tendono ad auto mantenersi all’interno della relazione tra neonato e adulto che se ne prende cura (caregiver).
Tutte le cose che succedono in ogni momento della vita del neonato gli servono a mantenere vicino a sé chi di deve occupare e preoccupare di lui, ma al contempo, questa attività, in condizioni di normalità e di naturalità, provoca così tanto piacere nell’adulto che lo accudisce da rendergli praticamente impossibile comportarsi diversamente da quanto la natura ha così magnificamente programmato per garantire la sopravvivenza della specie.
In effetti, basta osservare una mamma con il suo neonato, dopo poche settimane dalla nascita: sembra di assistere ad un’intensa storia d’amore. Lei guarda lui negli occhi, come a volersi perdere nella dolcezza della sua inerme tenerezza. Lui si affida all’innata sapienza con cui lei sa prendersi cura di ogni suo piccolo e grande bisogno. La mamma sa decodificare ogni accenno di pianto del suo neonato: comprende quando è dovuto alla fame, quando al sonno, quando alla necessità di essere cambiato. Il tutto avviene senza alcuna forma di comunicazione diretta. Ciò che rende possibile questo equilibrio, questa armonia, questa leggera corrispondenza silenziosa è una profonda sintonizzazione emotiva che fa sì che la relazione tra la mamma e il suo bambino sia unica. Moltissime ricerche hanno indagato questa competenza infinita e misteriosa che le madri hanno: si è visto che le mamme sanno riconoscere il pianto del loro bambino in mezzo a quello di moltissimi altri neonati. Sono tutti compiti complessi per chi non appartiene a questa “coppia magica” e, in effetti, il papà che è lo spettatore di questa danza amorosa, che tiene vicini in modo esclusivo suo figlio e la sua compagna, si domanda spesso: “Io cosa ci sto a fare in mezzo a questi due?”.
Molti neopapà descrivono questa situazione associandole una sensazione di “essere tagliato fuori” da qualcosa di molto importante, essere escluso da una relazione che, almeno sulla carta, dovrebbe, invece, appartenere di tutto diritto anche a loro.
Per alcuni uomini la vicinanza emotiva tra madre e neonato diventa, a tratti, perfino dolorosa, perché viene percepita come una modalità che inconsapevolmente li esclude.

Decalogo per il buon padre
Biller non sfugge alla tentazione di stilare un decalogo di “regolette” per il buon padre.
È evidente la difficoltà di dare un suggerimento al padre che non sia valido anche per la madre. Tra i consigli sotto elencati, in realtà, non ce n’è uno che non sia valido per entrambi i genitori.

  • Incoraggiate i vostri figli al successo, ma non mostratevi insofferenti per i loro fallimenti.
  • Quando siete insieme a loro, stateci “con tutti i sentimenti”.
  • Non minacciateli, non intimiditeli né umiliateli. Deve risultare ben chiaro che il maltrattamento non ha posto nella vostra vita familiare.
  • Fate rispettare i limiti e richiedete disciplina non come forma di punizione, ma come parte essenziale di un’educazione positiva e costruttiva.
  • I vostri interessi, le vostre abilità e capacità, le vostre esperienze costituiscono una risorsa importante da condividere con i figli.
  • Parlate con loro del vostro lavoro e, se possibile, fate loro vedere dove lavorate.
  • Coinvolgeteli, compatibilmente con la loro età e senza gravarli di ansie e sofferenze che non potrebbero sostenere, nella presa di decisioni e nella soluzione di problemi quotidiani che riguardano la vostra famiglia.
  • Cercate di comprendere voi stessi. Il modo in cui voi siete padre può essere sì collegato alle vostre esperienze dell’infanzia, ma non siete condannati a ripetere gli errori passati, vostri o altrui.
  • Esprimete il vostro affetto per i figli in forme positive.
  • Non cercate di passare per un padre perfetto agli occhi dei figli. Un po’ di autoironia non guasta e vi eviterà di essere messi su un piedistallo dal quale cadrete rovinosamente non appena i figli scopriranno che, come loro, siete di carne e ossa.

I figli traggono il massimo vantaggio dall’esposizione alle cure attente di padre e madre insieme. Ciascun genitore è per i propri figli una fonte speciale di sostegno affettivo e cognitivo, oltre che di stimolazione sociale. Sono, anzi, le differenze tra le caratteristiche fisiche di padre e madre, le diverse attività di gioco e di stile di comunicazione che forniscono importanti stimoli allo sviluppo cognitivo, affettivo e sociale di bambini e ragazzi. La collaborazione tra padre e madre e il reciproco rispetto sono, inoltre, ingredienti di base nello sviluppo di atteggiamenti positivi dei figli verso l’altro sesso. Entrambi i genitori hanno uguali responsabilità nello sviluppo dei figli.
C’è bisogno di genitori disponibili ma non intrusivi. Pronti a dare, consigliare, accogliere, trasmettere le proprie esperienze e i propri sogni, dare esempio, dire “no”, anche sostenere e incoraggiare quando occorre, ma, soprattutto nell’adolescenza, mai sostituirsi ai figli, mai incoraggiarne la dipendenza gettando così le basi per ulteriori dipendenze.
I figli non hanno bisogno di padri e madri qualsiasi, ma di esempi di coraggio, indipendenza, onestà e fantasia.

 

 

 

 

 

Bibliografia

  • Andolfi, M., (2001), Il padre ritrovato, Franco Angeli, Milano
  • Bollea, G. (1999), Le madri non sbagliano mai, Feltrinelli, Milano
  • Bowlby J. (1976), Attaccamento e perdita, Boringhieri, Torino
  • Bowlby J. (1989), Una base sicura, Mulino, Bologna
  • Claudio Risè (2009), Il mestiere di Padre, edizioni San Paolo
  • Daniele Novara (2009), Dalla parte dei genitori. Strumenti per vivere bene il proprio ruolo educativo, Le Comete/Franco Angeli
  • Ferraris A. O., Sarti P, Conti A. (2001), Sarò padre. Desiderare, accogliere, saper crescere un figlio, Giunti
  • Pellai A. (2009), Nella pancia del papà. Padre e figlio: una relazione emotiva, Franco Angeli, Milano
  • Scaparro F. (1998), Talis pater, Bur, Milano

 

 

Fonte: http://www.folignano1.org/wp-content/Progetti/www.pereducareunbambino.it/wp-content/uploads/2012/12/CODICE-PATERNO.doc

Sito web da visitare: http://www.folignano1.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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