Disturbo ossessivo compulsivo

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Disturbo ossessivo compulsivo

Il disturbo ossessivo compulsivo
Cenni storici
I termini ossessione e compulsione hanno la loro derivazione etimologica dai sostantivi latini obsessio.onis e compulsio.onis, a loro volta derivanti dai verbi obsido,-ere e compulso,-are i quali definiscono rispettivamente l'assediare, l'occupare, il bloccare il primo, e lo spingere e la spinta a compiere un'azione il secondo, connotando in tale modo etimologicamente gli aspetti essenziali e caratteristici del disturbo ossessivo compulsivo, così come viene classificato dalla psicologia odierna.
Nel corso della storia dell'Umanità il primo caso di ossessione risale probabilmente all'Uomo che per primo tentò di allontanare dalla propria mente, senza riuscirvi, un pensiero o un'immagine assillante, in qualche modo "sgradevole" o che creasse del "malessere". Mentre il primo caso di compulsione risale a colui che "credette" e si "sentì spinto", mediante un altro pensiero o un'azione, di "vincere" o controllare la sensazione di disagio o di malessere che si era prodotta a seguito di quel primo pensiero assillante, notando però anche che, nonostante gli sforzi ciò non sortisse l'effetto sperato poiché lo stato di malessere perdurava.
Quindi solo in una seconda fase, quasi coincidente alla "sensazione di controllo" del disagio percepita in un primo istante, si è inserita la "spinta automatica" e non facile da reprimere, di "ripetizione", che non ha comunque condotto al risultato creduto e sperato.
Vi sono alcuni riferimenti e descrizioni del passato, come ad esempio quella contenuta nel "Malleus Maleficarum" (Sprenger & Kraemer, 1486) che hanno consentito di riconoscere le caratteristiche del disturbo, senza tuttavia che ad esso fosse attribuita una minima connotazione clinica - psicologica, per la quale invece è necessario ricondursi alla scuola francese dell'Ottocento, la quale in misura veramente considerevole, unitamente anche alle scuole tedesca, inglese e italiana, ha contribuito allo studio e all'approfondimento del disturbo ossessivo compulsivo (DOC).
La prima descrizione viene attribuita ad Esquirol, che nel 1838 definì il disturbo come una forma di monomania, un delirio parziale "delire partiel", nel quale un'attività involontaria, irresistibile e istintiva spingeva il paziente a compiere azioni che la coscienza respingeva ma che la volontà non riusciva a sopprimere; l'autore giunse alla conclusione che a determinare il disturbo fosse un deficit della volontà e solo secondariamente un disturbo intellettivo.
Esquirol affermava che la monomania era:
"...essenzialmente la malattia della sensibilità; essa poggia interamente sui nostri affetti, il suo studio è inseparabile dalla conoscenza delle passioni; è nel cuore degli uomini ch'essa ha il suo luogo, è là che bisogna frugare per afferrarne tutte le sfumature..."
Già Pinel nel 1801 nel suo "Traité médico-philosophique sur l'alienation mentale" aveva descritto forme di pazzia non accompagnate da allucinazioni - "manie sans délire", "folie raisonnante" -, tuttavia a quello stadio di evoluzione del pensiero medico-scientifico esisteva la difficoltà di concepire e spiegare la presenza di pensieri persistenti e disturbanti che non fossero definiti deliri, poiché nelle manifestazioni del disturbo si manteneva una sorta di coscienza; ciò quindi complicò la categorizzazione e l'inquadramento del fenomeno ossessivo, fino al 1850, quando si parlò di "folie avec coscience" (Georget, Marc, Baillarger).
In seguito furono coniate altre definizioni per identificare il disturbo (tab. 5), come: "folie lucide" (Trelat); "pseudo-monomanie" (Delasiauve); "folie du doute" (Falret); "folie du doute avec délire du toucher" (Legrand du Saulle); "lésion de la volonté" (Billot); "délire émotif" (Morel); "vertige mental" (Lasegue); "impulsions intellectuelles" (Ball); "obsessions" (Luys, Falret); "stigmates psychiques des dégenérés" (Magnan); "peurs morbides" (Béard); "zwangsvorstellungen" (Krafft-Ebing, Westphal); "paranoia rudimentaria" (Morselli, Arnt); "idee fisse" (Buccola); "idea incoercibile" (Tamburini); "diatesi d'incoercibilità" (Tanzi); "imperatives ideas" (Hake-Tuke); "mental basetments or obsessions" (Mickle); "anancasmus" (Donath); "psychasthénie" (Janet); "Zwangsneurose" (Freud).
Vale la pena osservare come ogni autore nella sua definizione del disturbo evidenziasse quell'elemento per lui caratteristico che costituiva l'espressione prevalente del disturbo.
All'epoca non era ancora stata stabilita, in ambito medico, una distinzione precisa fra ricerca scientifica, ricerca psicologica e filosofica, anche se le conoscenze acquisite permettevano già di definire le funzioni delle aree cerebrali interessate.
Erano tre le teorie che spiegavano la genesi del disturbo ossessivo-compulsivo: quella emotiva, quella volitiva e quella intellettiva, che chiamavano in causa rispettivamente "debolezze" o dell'emotività, o della volontà e del carattere, o del pensiero.
Tra la seconda metà dell'Ottocento ed i primi del Novecento si assistette dapprima ad un progressivo e netto distacco concettuale del disturbo ossessivo dalle forme deliranti, per giungere ai primi del Novecento alla composizione del quadro delle nevrosi, suddivisa nelle forme di nevrastenia, isteria, psicastenia.
Tuttavia non si pervenne ancora ad una separazione precisa da altre forme cliniche come l'agorafobia, le fobie, il disturbo di panico, i fenomeni vasomotori, i sintomi somatici e le impulsioni, che una serie di studiosi accomunava ancora alla sintomatologia ossessiva.

Tale distinzione avvenne in seguito, ed all'inizio venne effettuata più sul piano teorico che su quello clinico, anche se già appariva evidente come vi fossero nella genesi del disturbo ossessivo evidenti fattori precipitanti, quali una relazione ereditaria, un'insorgenza anteriore ai 30 anni, un andamento episodico, nessuna menomazione cognitiva ed una elevata associazione sintomatologica somatica e ansioso-depressiva.
Furono comunque posti in evidenza gli aspetti salienti e le caratteristiche del disturbo come: il disagio e/o malessere, la coscienza di malattia, l'insorgenza improvvisa, l'andamento fluttuante e parossistico, una sintomatologia ad espressione variabile, l'incapacità di opporsi e vincere l'idea o l'impulso di compiere un'azione, la ripetizione d'idee o gesti non voluti, la riduzione momentanea della tensione a seguito della compulsione e la difficoltà di trattamento.
Tali aspetti caratteristici, nonostante le diatribe teoriche succedutesi nel tempo, sono rimasti invariati fino ai nostri giorni, e sono stati questi gli elementi che hanno consentito di superare un primo ostacolo posto dai pregiudizi concettuali, permettendo di trovare un comune terreno di lavoro basato sull'osservazione clinica e su validi criteri identificativi condivisi uniformemente.
Attualmente, nonostante l'appartenenza a differenti scuole, le caratteristiche salienti del DOC sono rimaste le stesse, rientrando nei criteri classificatori internazionali come l'International Classification Disease, 10th Edition (I.C.D. 10) ed il Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders (D.S.M. IV), o all'interno di altri costrutti concettuali (es.: psicodinamici), oppure quali riferimenti di interviste strutturate o semistrutturate (SCID, SADS, etc.), o criteri per la ricerca (RDC), tutti strumenti che comunque definiscono in modo analogo gli elementi del disturbo.
Al di là della disputa in corso sulla collocazione del disturbo nella sfera ansiosa o affettiva, vi sono alcuni aspetti che definiscono strutturalmente il DOC, sorta di linee di forza, fisse nel corso del tempo (o modificabili solamente seguendo modalità adeguate), che possono determinare un'espressione clinica sintomatologica differente ma che delimitano sempre una medesima struttura portante, analogamente a quanto avviene, p. es. con il concetto di casa, che rimane invariato indipendentemente dalla forma, dalla struttura, dall'epoca, dal luogo e dalla cultura di appartenenza dell'individuo.
Definizione
Il DSM-IV definisce le ossessioni come idee, pensieri, impulsi o immagini ricorrenti e/o persistenti che insorgono improvvisamente nella mente del soggetto (temere di danneggiare qualcuno, o contaminarsi, porsi degli interrogativi, scene mentali); questi, vengono percepiti come intrusivi, fastidiosi e privi di senso; provocano disagio, ansia o malessere, ed il paziente tenta in ogni modo di ignorarli, sopprimerli o neutralizzarli (mediante un pensiero o un'azione) riconoscendoli egli stesso come prodotto della propria mente e non imposti dall'esterno.
Le compulsioni rappresentano invece atti mentali (es.: contare, pregare, ripetere parole o frasi, etc.) o comportamentali (es. controllare, pulire, ordinare, etc.) ripetitivi, finalizzati e intenzionali (effettuati in modo eccessivo e irragionevole), messi in atto in risposta ad un'ossessione, seguendo regole precise e stereotipate, allo scopo di neutralizzare e/o prevenire un disagio o malessere e un evento e/o una situazione temuta.
Sia le ossessioni che le compulsioni sono riconosciute come eccessive e irragionevoli, entrambe sono causa di disagio e sofferenza, determinano notevoli perdite di tempo nell'arco della giornata e interferiscono con le normali attività sociali e lavorative.
Nell'ICD-10 non viene riconosciuta la presenza di compulsioni mentali ma solamente dei rituali comportamentali.
Manifestazioni cliniche
Alcune tra le ossessioni più frequenti riguardano:
a) la contaminazione da batteri, sporcizia, detersivi, secrezioni, radiazioni, rifiuti, malattie, etc;
b) l'aggressività con la paura di procurare danno a se stessi e/o ad altri sia direttamente sia indirettamente (possibilità di strozzare, colpire, uccidere o essere un veicolo di contagio);
c) il dubbio di aver compreso o letto bene una parola o una frase, di aver investito o danneggiato qualcuno, eseguito correttamente un gesto, di aver dimenticato il gas o la luce accesa, di aver scelto un indumento da indossare;
d) la colpa intesa come senso di responsabilità che possa accadere qualcosa a qualcuno in qualsiasi parte del mondo o ad un familiare, per non aver fatto oppure per avere fatto qualche cosa;
e) l'ordine e/o la simmetria nel porre gli oggetti (scarpe, abiti, asciugamani, etc.), nell'assumere una precisa posizione spaziale del corpo o degli arti;
f) la sfera sessuale con il timore di compiere un incesto, di essere omosessuale, di avere pensieri perversi, etc.;
g) temi religiosi, come il dire o pensare parole blasfeme, il commettere sacrilegi, l'essere posseduti, l'esistenza di Dio, etc.;
h) ossessioni varie, come l'esistenza di numeri magici o infausti, paura di dire cose sbagliate, il dubbio che alcuni oggetti siano perfettamente sovrapponibili o perfettamente identici; ed altri ancora.
Alcune delle compulsioni più frequenti riguardano:
a) il pulire e il lavare con acqua, saponi, disinfettanti, detergenti, la propria persona od oggetti (mobili, casa, auto, giubbotto, etc.);
b) il controllare la chiusura di porte, serrature, finestre, gas, cassetti;
c) il ripetere frasi, preghiere, gesti, movimenti, etc.;
d) l'ordinare, posizionando gli oggetti lungo bordi paralleli o perpendicolari, eliminando pieghe da vestiti, cuscini, etc.;
e) il raccogliere oggetti, come pezzettini di carta, tutte le pietre che si incontrano per strada, cartoni di latte, etc.;
f) varie: come non calpestare alcune righe o figure sul pavimento, attraversare una soglia un certo numero di volte, compiere gli atti respiratori in un certo modo, contare e compiere calcoli matematici, etc.
Non vi sono limiti nell'espressione della sintomatologia ossessiva e compulsiva potendo questa assumere le forme più disparate; inoltre, nello stesso soggetto, possono coesistere simultaneamente vari tipi di ossessioni e di compulsioni.
Ad esempio:
1. Una ragazza di 18 anni temeva che, se avesse calpestato le righe o le figure del pavimento di casa, sarebbe accaduto un incidente od un malanno ad un familiare (il colore azzurro riguardava il padre, quello rosa la madre); tutta la sua attenzione era quindi rivolta ad evitare che ciò avvenisse, ma il pavimento ne era pieno ed era impossibile non farlo, per cui quando avveniva ella doveva inspirare successivamente per tre volte in un modo preciso senza poter espirare. Se la respirazione non avveniva con modalità corrette ella doveva inspirare nuovamente altre tre volte senza espirare, e così via fino a compiere gli atti perfettamente, oppure a non poterne più dallo sforzo di trattenere l'espirazione.
Per un certo periodo della sua vita la paziente fu costretta ad entrare in casa passando per la finestra della camera (abitava al piano terra) e ciò pur di non dover affrontare lo sforzo ed il malessere causato dalle sue ossessioni del pavimento.
Se si recava nel bagno di casa, dove lo scarico dell'acqua era attivato da un grande pulsante, utilizzandolo doveva esercitare una analoga pressione con tutte le dita della mano, in caso contrario sarebbe accaduto un incidente ai genitori; la verifica avveniva controllando il rossore dei polpastrelli delle dita. Se la pressione non era stata uniforme doveva compiere nuovamente l'azione, e ciò avveniva ripetutamente fino a che la manovra era compiuta in modo corretto o a completo esaurimento delle forze perché esausta e angosciata. Inoltre se uscendo dal bagno l'asciugamano non era posizionato in modo ritenuto corretto, ella doveva sistemarlo nuovamente sino a che fosse al posto giusto (tali ripetizioni duravano 30-40 minuti in media con punte di alcune ore). In aggiunta, la sera prima di coricarsi, controllava attentamente le ciabatte, che dovevano essere poste in modo preciso e simmetrico, altrimenti il giorno dopo sarebbe potuto accadere qualcosa ai familiari; dopo ripetuti controlli e spenta la luce risorgeva in lei il dubbio che ciò fosse stato fatto bene e doveva ripetere il controllo.
Era poi contemporaneamente ossessionata dall'idea di poter danneggiare qualcuno pensandolo, per cui temeva continuamente di poter pensare alle persone (es.: un incidente al padre immaginando la scena, o che morisse qualcuno cui aveva rivolto il pensiero ed al quale voleva bene) mantenendo la mente occupata da questo timore e quindi pregare per annullare questa possibilità.
2. Un altro caso riguardava uno studente universitario di 33 anni che fu costretto ad interrompere gli studi perché non era sicuro di leggere e comprendere correttamente sillabe, parole o frasi intere; era perciò costretto a rileggere ripetutamente, spesso ad alta voce, per verificarne il significato e la comprensione. Gli altri atti riguardavano il continuo controllo della propria camicia, che non avesse nessuna piega e che fosse stirata perfettamente, della federa del proprio cuscino che presentasse nessuna piega, al momento di uscire di casa. Oppure camminando ripeteva mentalmente la frase: "La biscia che striscia sull'asfalto che sbriscia", o si chiedeva se le foglie degli alberi fossero perfettamente sovrapponibili, o se tutte le cellule del corpo anche quelle cancerogene fossero sovrapponibili, o le formiche di tutto il mondo fossero perfettamente sovrapponibili. Una volta grattatosi in un punto del corpo nel quale avvertiva prurito, proseguiva a grattarsi fino a prodursi delle escoriazioni, nel dubbio di averlo eseguito correttamente; inoltre, poteva arrivare ad impiegare 45 minuti per tracciare bene la riga della scriminatura dei capelli.
Nei momenti in cui il disturbo raggiunse il culmine delle manifestazioni, la lungaggine delle operazioni era tale da costringerlo a letto per tutto il giorno, e ciò al fine di evitare di entrare a contatto con i vari aspetti che lo infastidivano e lo spingevano ad innescare i meccanismi di verifica; oppure, quando si recava ad un appuntamento doveva iniziare i preparativi diverse ore prima per non giungere in ritardo, che tuttavia si verificava.
3. Una signora di 36 anni temeva di contrarre l'AIDS, per cui evitava accuratamente le potenziali esposizioni a situazioni pericolose, avendo poi comunque il dubbio di essersi contaminata; se vedeva una siringa anche a distanza di metri si sentiva contaminata, o se leggendo il giornale apprendeva di essere passata in un luogo nel quale era stato arrestato un soggetto che spacciava droga oppure era un tossicodipendente, si sentiva contaminata perché era stata in quel luogo; se passava accanto ad alcune piante come il tronchetto della felicità o alla vasca da bagno si sentiva contaminata. Queste situazioni la ponevano in angoscia continua e la costringevano a ridurre il rischio della contaminazione lavandosi centinaia di volte le mani, facendo ripetutamente la doccia, oppure togliendosi i vestiti e ponendoli nella zona dell'armadio dove erano sistemati gli abiti contaminati e mai più rimessi, nonostante fossero stati lavati. Il rischio o la contaminazione la spingevano a costringere i familiari a lavarsi perché a loro volta contaminati. Aveva paura di essere omosessuale per cui non poteva guardare una donna neppure alla televisione perché la sua immagine faceva scattare altre immagini mentali attinenti la sessualità; temeva che potesse accadere qualcosa a persone in altre parti della terra e per evitare ciò doveva passare un certo numero di volte attraverso la soglia; lavava accuratamente con detergenti le posate nonostante fossero già state lavate, oppure le mani con disinfettanti al punto di averle arrossate e screpolate. Una volta assistette ad un incidente aereo, e nel timore di essere rimasta contaminata dalla radioattività distrusse i suoi abiti ed ogni volta che passava anche a chilometri di distanza dal luogo nel quale era avvenuto l'incidente, si sentiva contaminata evitando in seguito di indossare gli stessi indumenti; analogamente se passava in prossimità di una miniera o fabbrica che produceva materiale cancerogeno.
4. Una donna di 30 anni era angosciata dal dubbio di investire o ledere qualcuno quando era in bicicletta o alla guida della propria vettura e quando era presa da questi pensieri doveva ripercorrere il tragitto appena fatto per verificare che non avesse urtato e ferito qualcuno. Una volta dovette tornare nella città dove si era recata qualche ora prima (percorrendo più di cento chilometri) per verificare se lì avesse investito qualcuno. I rituali di lavaggio (piatti, cucina, propria persona) erano continui, la impegnavano per ore e la costringevano a continui ritardi; gli abiti contaminati non venivano più indossati oppure riindossati dopo molto tempo con grande sforzo. Quando si sentiva contaminata qualsiasi cosa venisse a contatto con la sua persona diventava essa pure contaminata, fosse il figlio che doveva essere lavato oppure le boccette di profumo che utilizzate una volta non potevano essere più riutilizzate perché contaminate, causando suo malgrado un notevole dispendio economico.
5. Un ragazzo di 17 anni passava ore ed ore a studiare, iniziando sul primo pomeriggio e proseguendo sino a notte fonda, e questo perché non era mai sicuro di sapere l'argomento oggetto di studio; inoltre tutte le notti faceva tardi nel tentativo di rimanere sveglio per non morire senza essere in grazia di Dio, poiché ciò non gli avrebbe permesso di andare in Paradiso, dal momento che nel corso della giornata non era stato bravo o si era comportato male non avendo fatto ciò che avrebbe dovuto fare; per cui ogni istante di vita poteva essere l'ultimo ed era quindi necessario essere coscienti di Sé per chiedere perdono. Consumava rotoli e rotoli di carta igienica per ricoprire le varie parti del bagno con il quale veniva a contatto; prima di mangiare nonostante le posate venissero lavate dalla madre, egli le doveva rilavare un numero preciso di volte con un rituale altrettanto preciso, e se nel corso dell'operazione sbagliava, doveva ricominciare d'accapo. Alcune volte, al ristorante, per non usare le posate utilizzava il tovagliolo di stoffa per afferrare la bistecca o altro cibo; oppure a casa, mangiava direttamente con la bocca sul piatto.
I casi sopra riportati illustrano solo alcuni esempi dell'eterogeneità delle manifestazioni del disturbo, va comunque ricordato che vi sono ossessioni specifiche che coinvolgono un unico problema o argomento.
Ad esempio il soggetto può avere il dubbio di non aver lavato bene i piatti, per questo motivo egli impiega ore intere per risciacquare le stoviglie, avendo sempre il dubbio che possa rimanere qualche particella di detersivo, senza però presentare altre ossessioni o compulsioni.
Oppure può presentare il dubbio e quindi il terrore di cadere in possessione demoniaca ogni qualvolta incontra una successione di tre sei, o quando la somma di una serie di numeri sia pari a sei, semplicemente osservando i numeri di targa delle autovetture che passano o sostano per strada, leggendo i numeri civici delle abitazioni, controllando gli scontrini fiscali, i numeri telefonici, gli estratti conti bancari. La persona essere costretta a verificare continuamente i conteggi o a pregare continuamente per scongiurare il pericolo oppure a bestemmiare mentalmente e ripetere delle preghiere per espiare la colpa o evitare il castigo di Dio.
Taluni soggetti sono poi ossessionati da insetti morti (zanzare, mosche, farfalline, formiche, ragni, etc.), per cui appena ne vedono uno debbono fare la doccia ripetutamente e debbono farla fare ai familiari, che tra l'altro non sono sempre d'accordo.
Altri ancora devono pulire a fondo e ripetutamente la casa sino a sentirsi esausti, perché infastiditi dalla polvere, oppure debbono toccare un certo numero di volte un oggetto.
Vi sono poi soggetti che a seguito delle ossessioni eseguono rituali solamente mentali (covert), ad es.: bestemmie che inducono preghiere; numeri magici o conteggi ripetuti, etc., alcune volte immagini che annullano o verificano altre immagini o sensazioni (es. paura di strozzare la figlia che induce ad immaginare la scena per vedere se essa produce malessere; il timore dell'omosessualità che spinge a verificare se sia cambiato qualcosa a livello sessuale con il proprio partner, oppure verificare le proprie risposte fisiologiche per vederne le differenze di fronte a persone dello stesso sesso).
Tratto comune in tutti i casi di ossessione è comunque il rendersi conto dell'assurdità delle proprie paure e delle ripetizioni, coscienza associata anche alla consapevolezza di non poterne fare a meno; inoltre, dal momento che, in alcuni casi, non si verificano comportamenti ossessivi evidenti, la loro individuazione comporta l'impiego di domande specifiche sia in merito agli eventi che li scatenano sia allo stato d'animo a loro associato.
In letteratura vengono riportate nel 20-30% dei casi sole ossessioni e raramente solo compulsioni (Welner et al., 1976), mentre circa il 50% dei pazienti presenta più ossessioni contemporaneamente ed il 9% più compulsioni (Akhtar et al., 1975); sono stati anche riportati casi di lentezza ossessiva (Rachmann e Hodgson, 1980) con mancanza della componente ansiosa, che apparterrebbero ad un sottotipo clinico, ma tale categorizzazione non viene accettata da tutti. Personalmente, gli unici casi di lentezza ossessiva osservati riguardavano soggetti con dubbio ma senza verifica, per cui la lentezza evitava la possibilità di errore; comunque ciò è stato riscontrato in soggetti con tratti di personalità ossessiva o con una durata del disturbo di molti anni.
L'elenco delle varie ossessioni e compulsioni sarebbe lunghissimo e non servirebbe ad aggiungere nulla alla comprensione del disturbo se non l'osservazione della variabilità sintomatologica, che da sola non permetterebbe di comprendere a fondo la patologia, se non vengono aggiunte una notevole esperienza e le informazioni che il soggetto è in grado di dare direttamente ed indirettamente.
Alcuni autori hanno tentato di classificare le ossessioni e le compulsioni in base alla frequenza di presentazione o contenuto (Akhtar et al, 1975; Dowson, 1977; Stern & Cobb, 1978; Goodman et al, 1989) tuttavia l'appartenenza ad una classe o ad un'altra non modifica o privilegia una modalità di intervento clinico rispetto ad un'altra e comunque non permette di comprendere l'origine del disturbo.
Foa e Tillmann (1980) hanno posto le ossessioni in relazione a stimoli ambientali esterni o interni (pensieri, immagini), includendo anche danni potenziali inducenti ansia, rispetto al comportamento di evitamento (passivo) di situazioni e stimoli o di produzione di comportamenti sia overt (azioni concrete) che covert (pensieri o rituali mentali), per ripristinare la sicurezza o prevenire il danno (Rachmann, 1976b).
Attualmente pare esservi un generale accordo circa la categorizzazione dei differenti tipi di comportamenti compulsivi come il lavare, il controllare, il ripetere e l'ordinare, mentre i tentativi di riordino delle ossessioni hanno prodotto minori consensi; Foa e Steketee (1979) hanno suggerito quattro categorie: paura di causare danno a sé stessi o ad altri; paura di perdere il controllo; dubbi invadenti; paure sessuali o religiose.
E' indubbio che la scelta dell'ossessione o compulsione rispecchia le linee o i percorsi intellettuali del soggetto, infatti, le tipologie espresse, in genere, riconducono agli aspetti culturali e alle conoscenze medico-scientifiche dell'epoca (sifilide, lebbra, AIDS, batteri, piombo, mercurio, amianto, pesticidi, radioattività); è infatti inverosimile che un'idea possa creare un problema se non è in conflitto con un'altra.
Le acquisizioni degli ultimi decenni sono responsabili almeno in parte del crescente interesse per il disturbo, poiché hanno stimolato intense ricerche sull'epidemiologia, la storia familiare, la fenomenologia, le associazioni sindromiche, il decorso, la prognosi, i correlati biochimici e trattamenti specifici.
Sebbene vi sia ancora qualche incertezza sulla collocazione del DOC tra i disturbi ansiosi o i disturbi affettivi, gli aspetti caratteristici comunemente accettati sono rappresentati dalla presenza di esperienze o sensazioni di intrusività, di invasività, coscienza e consapevolezza, persistenza, ripetitività ed ego-distonia, associate frequentemente ad ansia e depressione, senso di derealizzazione e depersonalizzazione.
Indubbiamente accurate ricerche comparative con altri disturbi e la risposta a trattamenti specifici potrebbero permettere non solo una collocazione diagnostica più precisa ma illuminare le cause ed i meccanismi di insorgenza.
Esordio
In genere all'esordio del disturbo il soggetto si accorge occasionalmente di provare un senso di fastidio - disagio quando si imbatte ad esempio in alcune situazioni reali (oggetti, persone, etc.) o immaginate (possibilità che accada qualcosa a qualcuno, scene viste, pensieri osceni mai avuti) o sentite (senso di colpa, aggressività, invidia, etc.) e tenta in qualche modo di controllare tale disagio, evitando la situazione (contatto con detersivi, batteri, polvere, luoghi) o il pensiero (di un danno arrecato, immagini di violenza, nudità) con varie strategie (lavorando, distraendosi, sforzandosi di non pensare a ciò che teme), senza tuttavia riuscirvi perché in un modo o nell'altro le circostanze della vita pongono continuamente il soggetto in situazioni analoghe, anche di pensiero.
Frequentemente, al primo apparire dei sintomi si assiste al tentativo da parte del soggetto di integrare la sintomatologia nei normali atti della vita quotidiana oppure di ignorarli, ciò nonostante, il disagio - malessere aumenta, ed egli trova un sollievo solo temporaneo nell'esecuzione di atti o rituali preventivi, tuttavia senza risolvere il problema definitivamente.
A questi tentativi di gestire la sintomatologia, consegue la maggiore consapevolezza del soggetto in merito la difficoltà di controllare il disagio, attuando manifestazioni comportamentali (ritardi, lentezze, pulizie, etc.) che possono diventare evidenti anche ad altre persone (familiari, amici, partner, etc.), le quali spesso da un lato incitano il paziente a trovare un rimedio, ma dall'altro non comprendono la realtà del problema.
Giunto a questo punto, spinto sia dalla propria angoscia e prostrazione (comprendendo di non essere matto) che dalle continue insistenze dei familiari a loro volta coinvolti e sui quali si ripercuote il problema, il soggetto può chiedere aiuto rivolgendosi ad uno specialista, spesso dopo anni di sofferenza ed alcune volte senza che si possa fare molto data la solidificazione del problema.
In letteratura comunque, sono riportati casi nei quali si assiste ad una remissione completa e spontanea del disturbo, senza che siano stati identificati i fattori che determinano tale modificazione.
Utilizzando una trasposizione, al fine di comprendere l'intensità e la sistematicità con la quale un ossessivo vive la propria esperienza psicologica, a titolo esclusivamente esemplificativo, si pensi all'innamorata/o che tradita/o o abbandonata/o "pensa" all'innamorato/a, "sente" di amarlo/a ma "vuole" dimenticarlo/a e tuttavia non vi riesce perché il ricordo della relazione, stimolato da varie occasioni (esterne ed interne), come frasi, parole, oggetti, situazioni, emozioni, torna continuamente alla mente nonostante gli sforzi per dimenticarlo/a, provocando così una intensa sofferenza. Ovviamente il problema non esiste per colei/lui il cui amore è condiviso in quanto l'esperienza risulta gradevole ed integrata con le aspettative; mentre, per la/il delusa/o la violazione dell'aspettativa rende la situazione intollerabile.
L'innamorata/o delusa/o tenta inutilmente, e in vari modi (leggendo, evitando di pensare o di recarsi in luoghi che stimolino il ricordo, allontanandosi da oggetti o persone, etc.), provando persino rabbia e/o colpa e deprimendosi, di distogliere l'attenzione dall'amato/a e dai sentimenti provati, senza tuttavia riuscirvi, oppure riuscendovi, ma con notevoli difficoltà; e riesce nel proprio intento solamente quando è in grado di "tollerare" la mancanza o vi trova una "giustificazione adeguata e plausibile", comprendendo anche che può riuscire a tollerare la sofferenza.
Da questo istante il compito risulta più semplice, dal momento che per "dimenticare" deve solamente applicare ripetutamente un'idea o un comportamento, fino a che il processo ridiviene automatico, ma con un significato differente.
Nell'ossessivo accade esattamente la stessa cosa, basta sostituire la parola ansia e disagio o malessere alle sensazioni (sconforto, rabbia, insicurezza, etc.) provocate dall'abbandono ed i vari tentativi alle compulsioni; l'unica differenza risulta dalla collocazione affettiva precisa che si ha in campo sentimentale mentre ciò non avviene nell'ossessivo perché non ha ancora trovato la soluzione "corretta" del "dubbio" nel settore/i corrispondente/i, permanendo in questo modo "l'insicurezza".
Epidemiologia
Il disturbo ossessivo ha un insorgenza precoce; nel 60-70% dei casi si manifesta prima dei 25 anni, nel 15% compare in una età inferiore i 10 anni e nel rimanente 15% dopo i 35 anni (Rasmussen & Tsuang, 1984, 1986; Thyer, 1985).
Sebbene i primi studi in proposito stimassero una prevalenza nella popolazione generale dello 0,05%, dati epidemiologici recenti indicano valori del 2,5% nel corso della vita, con una prevalenza a 6 mesi dell'1,6%, rappresentando il quarto disturbo più comune negli Stati Uniti (Karno et al., 1988). Il rapporto fra sessi è circa uguale, con minime differenze secondo il campione, non presentando nella distribuzione alcuna differenza razziale.
Fra i bambini i sintomi più comuni riguardano il timore dello sporco, dei germi, preoccupazioni in merito ad un evento terribile, lavaggi, pulizia delle mani, ripetizioni e controlli; mentre negli adulti i sintomi più comuni riguardano: contaminazione, dubbi, preoccupazioni per il proprio corpo, lavaggi, conteggi, porsi delle domande sul perché di qualcosa (Rasmussen & Eisen, 1989).
In soggetti di sesso maschile il disturbo insorgerebbe più precocemente che in soggetti di sesso femminile e più frequentemente nell'adolescenza, interferendo così notevolmente nello sviluppo di possibili relazioni sociali e coniugali, anche se nei coniugati il legame non sembrerebbe risentire della patologia più di quanto avviene nella popolazione generale (Steketee, 1987, 1993).
Secondo quanto riportato da Berg et al. (1989), dopo 2 anni, circa i due terzi dei bambini diagnosticati come ossessivi non presentavano più il disturbo, senza che fosse stato attuato nessun trattamento; anche Goodwin et al. (1969) riportarono nel 40% dei casi miglioramenti e guarigioni senza che fosse stato attuato alcun trattamento. Negli adulti invece il decorso della malattia sarebbe tendenzialmente cronico intercalato a periodi di remissione incompleta, oppure assumerebbe un andamento intermittente (Rasmussen & Tsuang, 1984; Steketee, 1993). Tuttavia la comparazione dei dati è resa difficoltosa dalla mancata applicazione, nei diversi studi, degli stessi criteri di valutazione della gravità del disturbo.
In uno studio di Black condotto nel 1974 egli ha riportato come solo il 31-38% dei soggetti ricercasse il trattamento durante il primo anno di malattia, e la maggior parte lo chiedesse verso i 20 anni, mentre l'età media dei ricoverati fosse di 33-36 anni.
Infatti, la media della durata del disturbo prima di ricercare un trattamento risulta piuttosto elevata (7,5 anni), e nonostante, come appare ovvio, venga ipotizzata una influenza di tipo genetico, non vi sono studi che dimostrino inequivocabilmente una trasmissione lineare genitore figlio.
Utilizzando i criteri diagnostici del DSM-III, l'incidenza del DOC nei familiari è stata riscontrata inferiore al 10% (Black et al., 1992), mentre per quanto concerne gli studi genetici su gemelli e familiari, questi vengono considerati ancora insufficienti.
Sebbene il disturbo non sia diagnosticato frequentemente in familiari di pazienti con DOC, tratti ossessivi di personalità sono stati riscontrati in oltre il 40% dei casi in genitori di soggetti che presentavano il disturbo (Steketee, 1995).
Fattori precipitanti
Sono indicati come fattori precipitanti difficoltà sessuali e matrimoniali, gravidanza e parto, malattie o morte di familiari e persone amiche, frustrazioni ed eccessivo lavoro. Sebbene nessuno dei fattori sopra elencati spieghi completamente l'insorgenza del disturbo alcuni autori hanno osservato che in soggetti con disturbi di personalità sono sufficienti minori eventi stressanti per innescare il disturbo. Vanno distinti i fattori esacerbanti il disturbo da quelli che ne causano l'insorgenza; infatti, nel corso di interviste è frequente riscontrare, anche molti anni prima dell'espressione eclatante del disturbo, la presenza di una sintomatologia ossessiva più sfumata o circoscritta in un unico settore di comportamento, d'altronde è altresì frequente l'associazione del disturbo con una sintomatologia ansiosa e depressiva che da alcuni viene interpretata quale conseguenza e da altri quale causa del disturbo.
Diagnosi differenziale, spettro psicopatologico e comorbilità
La diagnosi differenziale si pone con tutti i disturbi che, in grado variabile, manifestano una sintomatologia simil ossessivo-compulsiva (tab. 6), e che, comunque, possono non esprimere le caratteristiche complessive del disturbo DOC, o se queste sono presenti, le cause risultano rintracciabili e specifiche (organiche, intossicazioni, traumi, demenza, etc.) e ne escludono l'appartenenza al DOC puro; oppure nelle loro manifestazioni mostrano solo alcune caratteristiche del disturbo come ripetitività o difficoltà di controllo (dismorfofobia, tricotillomania, cleptomania, parafilia, etc.).

Vi sono casi di DOC che manifestano contemporaneamente un altro disturbo ben distinto, insorto in precedenza, contemporaneamente o successivamente al DOC (es.: panico, agorafobia, fobia sociale, etc.).
Gli unici due disturbi che ritengo possano in qualche modo appartenere allo spettro DOC sono: il disturbo di Tourette ed il disturbo ossessivo compulsivo di personalità, il primo ponendolo all'estremo dell'automatismo ed il secondo all'estremo caratteriale, potendo essi presentare globalmente una espressione sintomatologica del tutto sovrapponibile al DOC, nonostante gli elementi che li contraddistinguono siano specifici.
Il disturbo di Gilles de la Tourette (DT), prende nome dal clinico che nel 1885, per primo, raccolse 9 casi di cui 6 seguiti personalmente, anche se già prima di lui Itard nel 1825 aveva descritto le caratteristiche del disturbo.
La manifestazione essenziale della sindrome è data dalla presenza, anche non contemporanea, di tic multipli vocali e motori, i quali possono presentarsi in maniera discontinua per un periodo superiore ad un anno; l'esordio del disturbo in genere precede i 21 anni e la localizzazione anatomica, il numero, la frequenza, la complessità e la gravità dei sintomi variano nel corso del tempo. Per una diagnosi corretta vanno inoltre escluse malattie del sistema nervoso e l'utilizzo di sostanze psicoattive.
Nel DT possono essere presenti altri aspetti mentali e comportamentali, come una sensazione di tensione interna, ossessioni e compulsioni (anche in modo massiccio), labilità dell'umore, irritabilità, iperattività, problemi d'apprendimento, esibizionismo ed ecofenomeni come l'ecolalia, la coprolalia, la palilalia, la copropraxia e l'ecopraxia; questi ultimi sono tratti addizionali ma non costituiscono il pre requisito diagnostico, dal momento che gli ecofenomeni sono presenti solamente nel 30-35% dei casi (Savron, 1991, 1994).
Attualmente si considera esservi una forte associazione fra il DOC e il DT in quanto sono riportate percentuali di DOC in Tourette che variano da 11% al 60-70%, mentre le percentuali di DT negli ossessivi sarebbero del 25%.
Cumming & Frankel (1985), valutando le somiglianze fra la sindrome di Tourette e il DOC, trovarono che queste includevano l'età di insorgenza, il decorso tendenzialmente cronico, le oscillazioni sintomatologiche, l'involontarietà, l'intrusività, comportamenti ed esperienze ego-distoniche, il peggioramento causato dall'ansia e depressione e una certa familiarità.
Questi dati hanno fatto ipotizzare che il DOC possa essere una parte integrante del DT e ne rappresenti una diversa espressione.
In realtà potremmo definirli come due facce della stessa medaglia: in taluni casi, la sintomatologia clinica ossessiva e quella ticcosa possono essere talmente sovrapposte e gravi che solamente domande specifiche ed una acuta osservazione permettono di dirimere il dubbio.
Infatti il soggetto affetto da Tourette può controllare la propria sintomatologia anche delle ore risultando quindi non identificabile, e ciò è possibile soprattutto se la componente verbale è tale da apparire inconsistente (piccoli sniffamenti o inspirazioni o succhiamenti). La sintomatologia può inoltre costringere la persona a ripetere intere frasi ad alta voce o in silenzio pensandovi, mentre quella impulsiva essere tale da fare ripetere un gesto un numero considerevole di volte.
Una precisa differenziazione diagnostica tra le due patologie rappresenta un aspetto fondamentale per il trattamento del disturbo, viste le differenti implicazioni terapeutiche.
Ad esempio la presenza di idee prevalenti (convinzione o idea irragionevole e/o persistente non riconosciuta come assurda e sostenuta con intensità minore del delirio), potrebbe orientare la diagnosi verso un disturbo psicotico implicando così un trattamento differenziato; tuttavia la consapevolezza del disturbo, l'involontarietà e la coscienza di sè, la presenza dei tic, la necessità di compiere il movimento per alleviare una tensione interna, diversa dal senso di malessere descritto dal DOC, permette di dirimere ogni dubbio.
Nel disturbo ossessivo-compulsivo di personalità (DOCP), l'interrogativo e la curiosità sulla possibile relazione tra i sintomi ed i tratti ossessivi-compulsivi hanno dato luogo ad una lunga controversia non ancora sopita.
Fu Janet nel 1903 che a seguito dello studio di numerosi casi, descrisse alcuni tratti di personalità tutt'oggi accettati ed inclusi nel DSM-IV, come il perfezionismo, indecisione e autoritarismo, e definì le fasi di sviluppo del DOC in tre stadi (stato psicastenico, agitazione forzata, ossessioni-compulsioni propriamente dette) spiegando inoltre come l'insorgenza del disturbo non fosse altro che una conseguenza della perdita di alcune funzioni della mente.
Il DSM-IV definisce il DOCP come una modalità pervasiva di perfezionismo e di inflessibilità aventi le caratteristiche di un'eccessiva preoccupazione per i dettagli, insistenza alla sottomissione degli altri al proprio punto di vista, eccessiva devozione al lavoro, indecisione, eccessiva coscienziosità e moralità, scarsa generosità, rigidità.
Alcuni di questi tratti (indecisione, perfezionismo, scrupolosità) sono anche caratteristici del DOC, mentre altri come la difficoltà a rinunciare ad oggetti e la tendenza ad accumularne differiscono in specificità dal momento che nell'ossessivo questi comportamenti vengono strutturati per evitare un danno o perché spinto da un impulso a raccogliere oggetti, mentre al contrario nel soggetto affetto da DOCP questi comportamenti sono una tendenza a livello caratteriale a "tenere per sé", o difficoltà a liberarsi dagli oggetti.
Insel (1984) ha sottolineato l'ego-sintonia sintomatologica del DOCP, differentemente dell'ego-distonia dei DOC (non in sintonia con se stessi, con il proprio carattere, e la propria volontà).
In passato si pensava che il DOC ed il DOCP condividessero alcuni tratti premorbosi comuni di personalità, attualmente invece vi è la tendenza a considerare le due entità come distinte, nonostante la possibile copresenza. Si riconosce nei DOC una percentuale oscillante dal 4,4% al 10% di DOCP ed una elevata associazione (40%) con altri tratti e disturbi di personalità (dipendente, evitante, istrionica, schizotipica, passiva-aggressiva) (Black, 1974; Jaffee et al., 1988; Mavissakalian et al., 1990; Steketee, 1990) con conseguenti implicazioni terapeutiche.
La diagnosi differenziale fra DOC e DOCP risulta abbastanza agevole se l'attenzione è posta sulla propensione del paziente ad assoggettare l'opinione altrui, seguendo passaggi logici ma sbagliati diversi da quelli utilizzati dai DOC, unitamente alla rigidità concettuale e comportamentale.
Un'ulteriore differenziazione va posta fra DOC e disturbi psicotici, nei quali la sintomatologia ossessiva presente in alcuni casi, consegue alla "convinzione assoluta" del paziente di ripetere o compiere gesti al fine di eseguire degli ordini, oppure al fine di evitare un danno ad altri, e ciò sempre rispondendo al comando impartito da una voce al di fuori di sé.
Sebbene in questo secolo il DOC sia stato quasi invariabilmente considerato una nevrosi, una piccola ma significativa percentuale di soggetti schizofrenici presenta sintomi ossessivo - compulsivi; infatti, una rassegna di Insel & Akiskal (1986) riporta la presenza di schizofrenia fino a valori del 12,5% dei casi, mentre altri studi indicano una incidenza che varia dall'1% al 6% (Regier, 1988). Tuttavia è stato fatto osservare come in molti di questi studi i criteri diagnostici fossero piuttosto ampi, inglobando quindi disturbi che secondo le attuali classificazioni rientrerebbero nella dimensione affettiva e paranoide.
Dal momento che sia il DOC che le psicosi presentano caratteristiche di intrusività, incontrollabilità e pensieri bizzarri, la discriminazione può creare qualche difficoltà; infatti, in passato i pazienti sofferenti di DOC sono stati spesso diagnosticati come schizofrenici.
Clinicamente la distinzione fra ossessioni non psicotiche e psicotiche si rintraccia nella presenza di angoscia soggettiva, consapevolezza dell'assurdità dei propri pensieri, identificazione soggettiva interna e presenza di resistenza alle ossessioni nei pazienti con DOC, mentre nello schizofrenico si associano ai sintomi tradizionalmente presenti (allucinazioni, deliri, appiattimento affettivo, deterioramento delle funzioni sociali) i rituali indotti da una forza estranea.
Rachman (1985) evidenzia una scarsa relazione fra il disturbo schizofrenico ed il DOC vista la percentuale ridotta di ossessivi che sviluppano una schizofrenia, la quale, infatti, non differisce dalle percentuali riportate in altri disturbi nevrotici.
Una piccola percentuale di soggetti DOC non psicotici può manifestare la presenza di idee prevalenti, tuttavia queste, non vanno confuse con le manifestazioni espresse da pazienti che, stressati e ansiosi, riportano una certa confusione sulla coordinazione dei dati di realtà, conseguente le loro paure o di fronte alle situazioni temute.
La presenza di una sintomatologia depressiva in pazienti DOC risulta essere piuttosto comune ed a seconda degli studi considerati, si manifesta prima dell'insorgenza del DOC nel 11% dei casi, contemporaneamente nel 13%, o posteriormente nel 38%(Welner et al., 1976; Karno et al., 1988; Fava et al., 1996); mentre, sebbene non sia stata ancora studiata la prevalenza dei vari tipi di depressione ( distimia, depressione intermittente, cronica, etc), vengono riportate percentuali di sintomatologia ansiosa che variano dal 17% al 70%.
La presenza di depressione maggiore con i classici sintomi di perdita di interessi, variazioni di sonno, peso ed appetito, astenia e rallentamento psicomotorio, difficoltà di concentrazione congiunte a senso di inutilità e pensieri di morte, viene riportata in percentuali oscillanti dal 28% al 38% (Barlow et al, 1986; Rasmussen & Tsuang, 1986), e nonostante il grado di associazione elevato, i tentativi di suicidio risultano rari.
Sintomi ossessivi possono essere presenti anche nella psicosi maniaco - depressiva, in particolare nella fasi depressiva, scomparendo comunque con il miglioramento dell'umore. Infatti, il soggetto può riferire come, alla vista di un oggetto contundente o in una certa situazione, gli venga alla mente il pensiero di poter ferire o uccidere se stesso o qualcun altro, ed avere un forte impulso o desiderio, senza tuttavia comprenderne il perché, ma a differenza di quanto si verifica nel DOC, nella psicosi maniaco depressiva il soggetto ha come fine di liberare se stesso e gli altri dalla sofferenza.
Lo studio della sintomatologia DOC in fase prodromica (prima dell'insorgere della fase conclamata di malattia) rappresenta un'area di studio estremamente interessante, poiché, potrebbe analogamente alla fase pre - epilettica in soggetti epilettici, fungere da fase di controllo e permettere di intervenire preventivamente sullo sviluppo del disturbo.
Già Ballet nel 1903 riferendosi ai sintomi "interparossistici" scrisse: "...E' importante osservare che essi esistono allo stato di accenno prima della nascita della malattia; essi caratterizzano il terreno che ne permette lo sviluppo, costituiscono le stimmate della predisposizione ereditaria o acquisita... Da una parte, in effetti, i malati presentano un indebolimento notevole della volontà, una indecisione perpetua, un indebolimento marcato dell'attenzione con l'impossibilità di compiere uno sforzo intellettuale un po' sostenuto, l'umore è variabile il carattere è irritabile con disposizione melanconica, preoccupazioni ipocondriache... In breve, lo stato mentale dei futuri ossessivi si caratterizza essenzialmente per tre termini: abulia, emotività eccessiva, scrupoli, che sono altrettanto delle manifestazioni del disequilibrio mentale....".
La presenza di sintomi ansiosi nel DOC è altrettanto considerevole, tanto da poter essere considerato il prevalente stato dell'umore, poiché risulta presente in più del 75% dei soggetti (Farid, 1986); parimenti una sintomatologia ossessiva - compulsiva risulta essere presente abbastanza comunemente nei disturbi ansiosi.
La comorbidità con altri disturbi ansiosi, nell'infanzia e adolescenza, risulta più comune (38-60%) dei disturbi affettivi (0-35%), ed il disturbo più frequente risulta la fobia semplice (17%).
Rasmussen e Tsuang (1986) riportano una incidenza di fobia semplice nel 27% dei casi, di fobia sociale nel 18%, di disturbo di panico nel 14% (altri studi dal 11% al 27%), di agorafobia nel 9%, e ciò in accordo con altri studi (tab. 7).
Mavissakalian et al. (1985) hanno enfatizzato le somiglianze fra i DOC, gli agorafobici e i pazienti con panico nella "paura di perdere il controllo" e le successive conseguenze, mentre Marks (1987) identifica il DOC come un tipo di fobia, date le somiglianze tra l'evitamento fobico dello stimolo temuto che appare nei fobici e l'evitamento degli stimoli scatenanti le ossessioni e le compulsioni tipico dei DOC. In entrambi i casi lo scopo dell'evitamento sarebbe di ridurre l'ansia.
Tuttavia Foa et al. (1985) hanno evidenziato che mentre gli stimoli fobici sono effettivamente evitabili, ciò non è vero per i pensieri ossessivi, la cui peculiarità è di essere incontrollabili ed imprevedibili.
La diagnosi differenziale deve essere effettuata anche con patologie organiche quali l'epilessia del lobo temporale, nella quale il soggetto ripete i gesti anche per vari minuti (es.: lavarsi le mani, pettinarsi, grattarsi); tuttavia se interrogato egli dirà che mentre compiva l'azione era assente o che sentiva delle voci o vedeva delle immagini; il suo resoconto però non riporta la medesima angoscia dell'ossessivo, o tuttal'più viene descritto un senso di smarrimento legato all'interrogativo di cosa possa essere accaduto o alla sensazione di derealizzazione o depersonalizzazione che può verificarsi in tali frangenti.

Anche traumi cerebrali e intossicazioni possono indurre una sintomatologia ossessiva compulsiva con sensazioni di depersonalizzazione e derealizzazione, tuttavia in questi casi è sempre rintracciabile l'episodio d'esordio e manca lego-distonia tipica dei DOC, anche se è presente l'obbligatorietà della ripetizione dei gesti, comunque senza la percezione di opposizione e resistenza.
Ugualmente in disturbi come l'encefalite letargica, la malattia di Hantington e la corea di Sydenham possono essere presenti sintomi ossessivi compulsivi, sebbene essi siano facilmente differenziabili dai DOC sia per il deterioramento delle funzioni cerebrali che queste patologie presentano che per l'assenza delle ruminazioni quale movente delle compulsioni. In tali disturbi possono essere inoltre presenti segni neurologici lievi come l'incoordinazione motoria fine, l'ipervigilanza e l'alta reattività agli stimoli.
Vi è poi una serie di disturbi che, poiché presentano alcuni aspetti simili ai DOC, hanno spinto ad ipotizzare l'esistenza di uno spettro di appartenenza analogo, oppure essere considerati varianti del disturbo (tab. 8).
Tra questi abbiamo:
a) la dismorfofobia, nella quale il soggetto pur essendo normale è convinto di avere un difetto fisico in una parte del corpo, (generalmente naso) per cui ricontrolla ripetutamente l'entità del difetto allo specchio, al fine di verificare e ricercare le modalità ottimali per occultarlo o eliminarlo, senza però riuscirvi.
In alcuni casi la persona può persino sottoporsi ad interventi di chirurgia plastica, che spesso non sortiscono l'effetto desiderato, poiché secondo il soggetto il difetto permane a causa di una non corretta esecuzione dell'intervento.
In altri casi la convinzione è tale da coincidere con un'idea prevalente, nel qual caso si riesce, anche se faticosamente a ricondurre il disagio provato dal soggetto nella dimensione appropriata di appartenenza.

b) L'ipocondria, nella quale la preoccupazione o convinzione di avere una malattia persiste nonostante gli accertamenti medici e le rassicurazioni, e ciò porta il soggetto a ricercare continuamente, e spesso consultando vari medici e specialisti, la dimostrazione della "presenza del disturbo", dal momento che tutti gli esiti negativi non sono sufficienti a tranquillizzarlo e a rassicurarlo definitivamente.
L'ansia determinata dall'idea e/o dalla presenza di sintomi somatici, concomitante a pensieri intrusivi in merito al proprio stato di salute e malattia, spinge alla ricerca di continue rassicurazioni mediche.
Salkovskis & Warwick (1986) hanno tracciato un parallelismo tra ossessivi e ipocondriaci, per quanto concerne l'ansia legata al timore di malattia e la conseguente continua ricerca di rassicurazione.
Tale parallelismo tuttavia è inappropriato dal momento che l'ossessivo manifesta il timore di danneggiare o essere danneggiato, contaminare o essere contaminato, il dubbio di "avere" causato o causare un danno; mentre nell'ipocondriaco, concettualmente, il dubbio è solo apparente dal momento che egli ricerca la "verifica" della presenza di un disturbo, poiché l'ipocondriaco ricerca la disconferma della malattia senza ottenerla, infatti la preoccupazione è egosintonica (Savron et al., 1997).
Ovviamente ciò non esclude la concomitante presenza di sintomi ipocondriaci nell'ossessivo e viceversa, comunque ben distinguibili dalla malattia. Ad una analisi di stato risulta abbastanza semplice cogliere la contiguità del disturbo dismorfofobico ed ipocondriaco con quello ossessivo, appartenendo comunque i primi due ad uno stesso dominio, distinto dal DOC, il quale viene a porsi, volendo rappresentarlo su di una retta, precedentemente alla dismorfofobia e ipocondria, ed immediatamente dopo i disturbi ansiosi a loro volta successivi a quelli depressivi. A seguito dell'ipocondria verso sinistra, per intensità vengono a porsi i disturbi che manifestano idee prevalenti, ed infine i disturbi con deliri.
c) La tricotillomania, il cui aspetto essenziale è rappresentato dall'incapacità di resistere all'impulso di strapparsi i capelli o i peli del corpo (ciglia, sopracciglia, peli delle ascelle o del pube) a seguito del crescente senso di tensione che il soggetto sperimenta prima di compiere tali gesti, sentendosi di seguito gratificato. Nei casi più gravi il soggetto può essere quasi privo di capelli, o essere senza ciglia o sopracciglia, oppure senza peli; nel disturbo manca comunque la dimensione ossessiva che spinge al gesto, pur essendo presente un'intensa angoscia.
d) La cleptomania, la cui caratteristica è rappresentata dall'incapacità di resistere all'impulso di appropriarsi di oggetti altrui che non hanno alcuna utilità personale o valore commerciale; il soggetto immediatamente prima di compiere l'atto prova un senso di tensione e un'intensa gratificazione e sollievo nel compierlo. Analogamente alla tricotillomania manca l'aspetto ossessivo.
Possono essere considerati disturbi del controllo degli impulsi anche il gioco d'azzardo patologico, la piromania, l'esibizionismo, il frotteutismo, il feticismo, il voyeurismo, etc., per i quali la caratteristica principale è la presenza di un impulso che spinge a ridurre la tensione provocata dal desiderio suscitato dall'idea o dalla situazione stimolante (un tavolo o un invito al gioco, una finestra sulla quale si affaccia la vicina di casa, le forme di una donna in autobus, un indumento femminile, una donna svestita intravista dietro una tenda), provando un sollievo o appagamento solo una volta compiuto il gesto e un intenso fastidio o tensione se invece viene impedito il soddisfacimento del desiderio.
A seguito della scarica di impulsi il soggetto soffre di sensi di colpa, si auto denigra ed auto svaluta, mostrandosi nella maggior parte dei casi consapevolmente dispiaciuto dei propri atti.
e) I disturbi alimentari come l'anoressia e la bulimia, nei quali rispettivamente il soggetto è convinto nel primo caso di essere grasso o in sovrappeso, pur non essendolo, e perciò mette in atto comportamenti finalizzati ad ottenere un calo ponderale (diete, ginnastica, etc.), provando tuttavia un intenso malessere se non vi riesce; nel secondo, invece, si manifesta una mancanza di controllo del proprio comportamento alimentare, che porta all'ingestione di enormi quantità di cibo al fine di ridurre la tensione e disagio che il soggetto prova prima di abbuffarsi e dopo aver compiuto l'ingestione un senso di malessere che lo induce a vomitare o ad attuare delle rigide procedure di digiuno e di controllo (lassativi, diuretici, etc).
Per Rosen & Leitemberg (1982), il timore dell'aumento di peso rappresenterebbe l'aspetto ossessivo, spingendo in un caso allatto compulsivo del digiuno, mentre nell'altro indurrebbe all'atto compulsivo di vomitare.
L'associazione fra il DOC e la bulimia è supportata da vari studi che riportano una prevalenza di DOC in bulimici del 33% (Hudson et al., 1988) ed una incidenza del 13% in pazienti bulimici-anoressici (Laessle et al., 1989).
Come è stato indicato, vari disturbi distinti ed indipendenti possono essere associati ed identificati in pazienti DOC (comorbilità), e in sede diagnostica assume una particolare importanza identificare se questi abbiano avuto una insorgenza anteriore, simultanea o posteriore, poiché ciò rende possibile l'attuazione di un intervento terapeutico differenziato che può risultare utile nel trattamento del DOC.
Teorie eziopatogenetiche
Come in ogni branca della scienza anche nell'ambito della psicologia clinica si sviluppano teorie che tentano di esplicare i modelli sottesi all'insorgenza di un disturbo, e così come in altri campi, le teorie debbono soddisfare alcuni principi.
Secondo Albert Einstein una teoria non deve contraddire i fatti empirici, deve rispondere ad una semplicità logica per favorire quella che definisce più distintamente le "qualità dei sistemi in astratto", ed avere: a) una semplicità di premesse; b) la massima varietà delle cose che collega; c) la maggiore estensione del campo di applicazione.
Tali principi, pur appartenendo al campo della fisica possono essere utilizzati nella psicologia?
Certamente si! Il modello epistemologico riconosce la verificabilità o la falsificabilità di una teoria quali percorsi della conoscenza, tuttavia la verificabilità e la falsificabilità di una teoria dipendono solamente dai limiti e dalle applicazioni delle conoscenze del sistema che si vuole studiare o che si sta studiando, per cui come confermare una teoria se non dai risultati della sua applicazione indipendentemente dall'area di appartenenza? Quali delle teorie disponibili rispondono efficacemente ed estesamente ai principi elencati in precedenza e conducono ai maggiori risultati a seguito alla loro applicazione?
E innegabile che vi sia un substrato biologico all'espressione di un disturbo, perché siamo composti di materia, ed essendo il cervello, come già affermato da Ippocrate, "l'origine dei dolori e delle gioie", esso rappresenta il ricettacolo delle sensazioni e lo strumento che ne permette l'estrinsecazione; infatti, appare sempre più evidente come la risposta biologica dell'organismo venga influenzata dal pensiero, che rappresenta l'attività che dirige e orienta l'attivazione biofisica dei sistemi intercorrelati di funzionamento cerebrale.
Perché l'atteggiamento mentale influisce sugli esiti di una malattia e di un disturbo? L'effetto placebo cosa rappresenta? Tali interrogativi rappresentano aree di notevole interesse, che non hanno ancora ottenuto risposte adeguate.
Comunque, tralasciando tali interrogativi e ritornando alle teorie eziopatogenetiche, ve ne sono molteplici, da quella psicogenetica che postula nelle varie teorizzazioni l'esistenza di un conflitto e la sua espressione attraverso i sintomi ossessivi, a quella biologica che chiama in causa alterazioni neurorecettoriali e/o trasmettitoriali, includendo quella genetica che postula una trasmissibilità del disturbo. Quella neuroanatomica e neurofisiologica che considerano l'azione di lesioni neuroanatomiche, quella neuropsicologica che considera l'azione associata delle funzioni e delle disfunzioni cerebrali, quella etologica che chiama in causa sottomodelli comportamentali prefissati biologicamente di tipo animale attivati in condizioni particolari. E ancora, quella comportamentale che spiega l'esistenza del disturbo mediante modelli di comportamento appresi e più o meno rinforzati, quella cognitiva che considera il comportamento la conseguenza dell'applicazione di schemi generali appresi nel corso dello sviluppo, quella cognitivo-comportamentale che associa i principi di entrambe (tralasciando in questa sede le varie considerazioni sulla priorità o meno dell'una rispetto all'altra), quella cibernetica che occupandosi dei sistemi di controllo analizza l'azione dei segnali nell'organismo vivente.
Riconducendoci a quanto affermato in precedenza, quale tra queste teorie può ragionevolmente essere accolta, per semplicità, coerenza, estensione, spiegazione e risultati?
Come superare il limite posto dall'area concettuale all'interno della quale ci si pone?
Potrebbe essere utile a tal fine pensare di considerare ogni osservatore teorizzatore, come un turista che osserva un paesino di montagna posto in una vallata da un monte circostante.
Il paesaggio osservato è lo stesso ma ciascun turista descriverà le case, le strade, le persone e tutti i particolari secondo l'angolazione prospettica in cui si trova, qualcuno degli osservatori inoltre, entrerà nel paesino e riuscirà anche a descrivere le cose osservate più da vicino, ma sempre in base al percorso scelto ed alle cose che lo colpiscono e lo affascinano maggiormente.
Per esempio chi si trova all'esterno del paese potrà parlare e scrivere della stessa chiesa, dello stesso campanile, e notare case con facciate e finestre differenti, stili architetturali diversi, poiché gli abitanti o chi ha fatto costruire il paese aveva gusti personali, ma tutti vedono le stesse cose perché notano una chiesa, un municipio, una piazza, le strade, etc.
Anche chi è entrato nel paesino ha osservato e osserva le stesse cose ma egli trovandosi più vicino ne nota meglio i particolari, le sfumature, i materiali utilizzati; infatti prima ha osservato il paesino dall'esterno ed ora dall'interno, avendone così una doppia percezione.
Qualche fortunato è riuscito ad entrare negli edifici perché invitato dagli abitanti del luogo, tuttavia non si trova o può non trovarsi d'accordo con gli altri osservatori e turisti perché descrive aspetti più interni.
Riusciranno a comprendersi tutti solamente quando prenderanno visione ed accetteranno che ciò che affermano di vedere rappresenta una visione parziale e relativa alla posizione nella quale si trova l'osservatore, dipendente anche dalla realtà del paesino (esterno, interno); sia quelli che cercano la verificabilità delle teorie che quelli che ne ricercano la falsificabilità, notando inoltre come sia necessaria la ricongiunzione delle varie teorie e osservazioni, pur appartenendo a dominii differenti.
Assieme potranno affermare la "verità" di ciò che vedono e sentono, e non ciò che "dicono" di vedere, sentire o intuire "ascoltando" (dato che i cellulari trasmettendo su onde elettromagnetiche sono udibili da tutti mediante un apparecchio di ricezione) le comunicazioni altrui; mentre sarebbe più semplice illustrare agli altri villeggianti le cose comprese e conosciute, rendendo così più agevole e gradevole la visita ed il cammino di tutti.
Tanto più che la Realtà rimane tale, indipendentemente dalla descrizione che viene fatta, che lo si voglia riconoscere oppure no.
Indubbiamente qualcuno potrà essere stato più fortunato perché casualmente ha imboccato il sentiero più semplice, quello più giusto, mentre qualcun' altro sarà stato indirizzato da uno più esperto o avrà fatto tesoro di quanto riferito o scritto da altri che precedentemente avevano percorso la stessa strada; vi sarà anche chi avrà sbagliato percorso, certamente tutti hanno accettato e quindi scelto chi per una ragione chi per un'altra, consapevolmente.
Consolerà comunque tutti sapere che, essi, in base alle capacità e senza distinzioni, concorrono alla Conoscenza delle regole, dell'applicazione delle leggi e dei principii, che guidano la costruzione degli edifici e del loro restauro, contribuendo così al perpetuarsi delle norme che manterranno non solo intatto il paese ma permetteranno un progressivo e nuovo sviluppo.
Tornando alle teorie ed ai risultati, quali di queste, se applicate, conducono a risultati soddisfacenti?
Tutte, ma in parte.
Dato per scontato che il corpo rappresenta una macchina biologica finalizzata alla vita, ogni alterazione di un apparato o sistema si estrinsecherà nella alterazione della funzione corrispondente.
Nel disturbo ossessivo compulsivo sono stati dimostrati coinvolgimenti dei nuclei della base, dell'ippocampo, dell'amigdala, del cingolo, dei lobi prefrontali, con iperfunzione di queste strutture; analogamente a quanto accade quando si verifica una loro lesione, come in caso di corea di Sydenham, Hantington, encefalite di von Economo, intossicazioni e lesioni dei nuclei della base che conducono a sintomi ossessivi compulsivi
Ma perché alcuni interventi terapeutici sia farmacologici che psicoterapici determinano dei miglioramenti e delle guarigioni?
Cosa hanno in comune interventi così differenziati?
E risaputo che gli atteggiamenti mentali producono liberazione di neurotrasmettitori, ormoni, endorfine, ovviamente su un substrato ereditato geneticamente ed influenzabile sia da fattori ambientali che di apprendimento.
Ma, in quale modo un pensiero o uno schema appreso determinano una modificazione tale da estinguere un comportamento?
Certamente a loro volta essi modificano l'espressione della funzione sottostante.
Perché l'esposizione e la prevenzione della risposta in percentuali consistenti riescono a giungere a risultati superiori al trattamento farmacologico? In che modo l'apprendimento modifica le risposte recettoriali se il disturbo è biochimico?
Evidentemente l'esperienza vissuta, il rinforzo, etc., in qualche modo stimolano la secrezione differenziata di sostanze cerebrali.
Ma come può un sistema carente, autosecernere una sostanza in quantità tale da compensare il difetto biochimico che sarebbe alla base e l'espressione dello stesso disturbo, sia che appartenga ad un sistema che ad un altro?
Certamente ciò può avvenire perché un'altra area cerebrale mediante un altro neurotrasmettitore stimola il primo sistema carente. Ma cosa ha attivato questo secondo sistema? Un altro sistema ancora, e così via. Ma i sistemi operanti sono finiti, perciò chi ha dato il via all'azione deve essere stata una funzione non dipendente dai sistemi collegati fra loro, e posta al di fuori di essi la quale per funzionare ha bisogno dell'integrità di tutti gli apparati; oppure è l'insieme dei sistemi che si identifica nell'azione corretta (allora bisogna postulare l'esistenza di un sistema entro certi limiti autocorrettivo e ciò a maggior ragione contraddice l'ipotesi farmacologica), o si tratta di una funzione - pensiero (C. G .Jung 1921) che organizza l'insieme delle informazioni sia dall'esterno che dall'interno ed abbisogna dell'integrità dell'apparato per esprimersi e quindi agire in modo ottimale, ma che può attivare selettivamente delle aree cerebrali in relazione al significato stesso dei concetti e autocorreggersi nel momento in cui l'attivazione eccessiva di una funzione di un'area cerebrale viene ridotta dalla funzione equilibratrice di un'altra area e dalla relativa struttura neuroimmunoanatomica correlata ad un'altra espressione del pensiero.
In questo modo si spiegherebbero, in modo semplice e ragionevole, non solo le azioni farmacologiche ma anche quelle psicoterapiche, dal momento che le une e le altre agirebbero sulle stesse strutture anatomiche mediante gli stessi neurotrasmettitori/modulatori, spiegando inoltre, perché la terapia farmacologica e quella psicoterapica non riescano a giungere a risultati completi, dal momento che la prima, non può modificare il pensiero ma solo l'espressione dello stesso, e la seconda perché non può condurre a risultati se non quando la correzione tocca i concetti che determinano o mantengono il problema e quindi modificano la secrezione delle sostanze trasmesse.
Ciò postula anche l'esistenza di un limite oltre il quale, o per automatismo appreso, o per alterazione protratta e duratura, o per lesione, non sia possibile intervenire perché il danno causato è pressochè irreversibile, ma fortunatamente questi casi sono rari.
Ciò spiegherebbe come l'azione farmacologica, stimolando alcune aree, faciliti il riequilibrio emotivo, permettendo di comprendere anche perché alla sospensione del farmaco una parte considerevole di soggetti trattati esclusivamente con farmaci riprecipiti nello stato precedente; mentre se trattato contemporaneamente con psicoterapie di provata efficacia sia possibile ottimizzare i risultati raggiungendo traguardi ulteriori.
Rimarrebbe solamente il problema di indicare in che modo e perché il pensiero azioni le strutture e non viceversa.
Sebbene una valutazione accurata di questa ipotesi esuli dal presente lavoro, basti per ora considerare i fenomeni telepatici, ovviamente escludendo le semplici coincidenze, le frodi, le banalità, etc.
Di questo tipo di fenomeni si sono occupati in passato studiosi di fama mondiale, appartenenti ai più vari settori delle scienze, dalla filosofia (E. Kant; H. H. Price), alla fisica (W. Crookes), alla medicina (C. Richet; F. Cazzamalli; L L. Vasiliev) alla psichiatria e psicologa (W. James; G. Murphy; C. G. Jung; P. Janet; C. Burt), non dimenticando le citazioni religiose (Sant'Agostino; San Benedetto) ed i studiosi meno illustri ma non meno importanti che si sono dedicati in modo specifico all'argomento.
Va chiarito innanzi tutto che parlare di telepatia non significa parlare di fenomeni occulti o magici ma di fenomeni che accadono non di rado in psicoterapia, e rientrano nelle leggi di natura ma dei quali tuttavia ci sfuggono ancora alcune delle leggi che li governano.
Per quale motivo insistere su questo aspetto?
Perché l'accettazione di questo fenomeno spiegherebbe tutto, poiché implicherebbe la partenza di un pensiero, la trasduzione del messaggio e la comprensione dello stesso, quindi una struttura, una funzione, un apparato di ricezione e trasduzione collegato all'attività cerebrale del ricevente.
Tra le realtà fisiche esistenti e conosciute dall'uomo, quale possiede caratteristiche tali da poter essere ricondotta a questo fenomeno?
Certamente la radiazione elettromagnetica, la quale presenta caratteristiche peculiari come il dualismo materia/energia, velocità della luce, frequenze e ampiezze diverse, possibilità di ricezione e di registrazione.
In Fisica si postulano teorie, e mediante calcoli e formule matematiche si suppone l'esistenza di particelle o forze, non ancora scoperte ma che trovano un riscontro matematico, oppure lasciano una traccia fisica indiretta della loro presenza mediante gli effetti, i quali spiegherebbero l'esistenza del fenomeno. Ma queste particelle, cariche, onde, non permettono attraverso vari passaggi la trasformazione della materia in energia e dell'energia in materia?
Le leggi fisiche e le interazioni della materia sono identiche nello stesso sistema fisico, quindi anche nel corpo; ovviamente non sono reazioni ad alte temperature ma a basse (implicando reazioni sub - nucleari). Basti ricordare come alcuni fisici siano riusciti a dimostrare l'esistenza di reazioni di fusione nucleare (fusione fredda) con produzione di energia superiore a quella fornita, sfruttando i principi fisici di amplificazione e coerenza .
Tornando a noi, postulando l'esistenza di una nuova teoria o particella, non viene messa in discussione tutta la fisica conosciuta o si giudica a priori la nuova teoria ma una volta dimostrata, si integrano le informazioni, poiché il dovere dello studioso è "conoscere" e non giudicare. In psicologia accade la stessa cosa: si vedono gli effetti di un pensiero, di un'idea, di uno stato d'animo, di una stimolazione sensoriale e non.
In merito agli effetti della psicoterapia, sarebbe possibile così spiegare i risultati degli interventi cognitivo-comportamentali i quali agirebbero modificando gli atteggiamenti e quindi i comportamenti del paziente di fronte ad un problema; infatti l'esposizione allo stimolo fobico e la prevenzione della risposta, per apprendimento, non fanno altro che modificare l'atteggiamento ed il giudizio del soggetto relativamente il contesto e le aspettative, modificando quindi le cognizioni ed il pensiero.
Ad oggi, non è possibile indicare con certezza un modello eziopatogenetico unico del DOC anche se alcune informazioni messe in luce dalle tecniche di brain imaging (RMN, SPET, PET) appaiono incontrovertibili, soprattutto in merito al coinvolgimento di alcune aree cerebrali, come quella prefrontale nel mantenimento dell'attenzione e nella programmazione delle risposte cognitive comportamentali, il giro orbitale nel mantenimento dell'attenzione e nel controllo degli impulsi, il giro cingolato nella regolazione del comportamento attivo, il sistema limbico nella regolazione e controllo dei comportamenti affettivi, l'ippocampo e l'amigdala nel rinforzo e nell'evitamento attivo ed i nuclei della base nella regolazione di programmi comportamentali appresi sia automatici che volontari.
Dei sistemi neurotrasmettitoriali interessati (probabilmente tutti) quelli che attualmente godono di maggiori evidenze scientifiche sono i sistemi serotoninergico e dopaminergico, dal momento che né l'uno né l'altro presi singolarmente riescono a spiegare l'azione eziopatogenetica e la relativa trattabilità del disturbo.
Il DOC sarebbe dunque da porre in relazione ad una scarsa disponibilità di serotonina negli spazi intersinaptici che causerebbe un successivo incremento di sensibilità dei recettori post - sinaptici; tuttavia l'utilizzo di un agonista serotoninergico post-sinaptico come la m clorofenilpiperazina (m cpp) non migliora la sintomatologia ossessiva - compulsiva, come d'altronde non accade con l'utilizzo della sertralina, sostanza ad elevato potere di blocco della ricaptazione serotoninergica, mentre la clorimipramina agirebbe oltre che sui recettori serotoninergici anche su quelli dopaminergici (D2) mediante una azione inibitrice e su quelli noradrenergici mediante uno dei suoi metaboliti primari (Rauch & Jenike, 1993). La clorimipramina agirebbe quindi con modalità differenti rispetto ad altre sostanze ad azione serotoninergica le quali invece agirebbero esplicando effetti modulatori su altri sistemi (NA, DA).
La teoria di Cloninger (1986) postula l'esistenza di tre dimensioni della personalità (ricerca di novità, evitamento del danno, dipendenza dalla ricompensa) ciascuna delle quali rispecchia le funzioni dei tre sistemi principali di trasmissione: dopaminergico, serotoninegico, noradrenergico. L'interazione e la modulazione dei vari sistemi tra loro conduce ai diversi modelli di comportamento; secondo tale teoria è così possibile associare ad ogni disfunzione una alterazione neurotrasmettitoriale, tuttavia come far corrispondere la teoria alla pratica quando il soggetto guarisce spontaneamente o a seguito della terapia farmacologica o psicoterapica? Indubbiamente vengono attivati gli stessi sistemi.
Terapia
In merito alle conoscenze attuali sulla terapia, vale la pena di riportare i dati della letteratura (tab. 9), tenendo conto, come già indicato in precedenza, che spesso i soggetti DOC non ricorrono a cure specifiche e tentano in vari modi di controllare il disagio e mascherare la fonte del disturbo, per cui, se vi è il sospetto di trovarsi di fronte ad un soggetto DOC, è necessario formulare domande specifiche (Le capita spesso di pensare ripetutamente a qualcosa?, di controllare il gas, di pulire ripetutamente?, trascorre molto tempo nell'eseguire queste attività?, tali aspetti interferiscono, ed in quale modo, sulle sue attività quotidiane?).
Il primo obiettivo è infatti avere una diagnosi precisa, mentre il secondo è utilizzare un intervento terapeutico farmacologico e/o psicoterapeutico corretto, previa raccolta di una accurata storia clinica e se avvenuto, delle precedenti terapie, con specifiche notizie sia all'utilizzo di farmaci di dimostrata efficacia che all'adeguatezza dei dosaggi e della durata di trattamento.

Ugualmente è importante raccogliere informazioni sulla psicoterapia eventualmente eseguita: tipo di psicoterapia, efficacia raggiunta, applicazione corretta e durata di trattamento.
Tuttavia, se appare relativamente semplice eseguire (dal momento che servono comunque strumenti standardizzati di misurazione) una comparazione qualitativa e quantitativa dal punto di vista farmacologico data la numerosità degli studi controllati e la facilità di raffronto, ciò non è altrettanto facile dal punto di vista della psicoterapia, dove le variabili personali risultano ancor più implicate, poiché si deve prima dimostrare l'efficacia del trattamento, poi la corretta applicazione ed infine è necessario stabilirne la durata minima efficace; infatti solo di recente è stato affrontato il problema degli studi controllati con gruppi in trattamento psicoterapico diversificato.
In ambito clinico - psicologico un ulteriore problema metodologico viene posto dai criteri utilizzati per la misurazione dei cambiamenti psicologici a seguito della terapia, i quali debbono essere in qualche modo comparabili anche fra studi diversi; infatti, l'attendibilità, la validità, la sensibilità e specificità degli strumenti utilizzati, come interviste strutturate e semistrutturate, test di auto ed etero - valutazione, criteri diagnostici e criteri di inclusione ed esclusione utilizzati, rappresentano aspetti indispensabili ed inscindibili per una corretta metodologia di ricerca
Il test è infatti uno strumento atto alla misurazione di variabili psicologiche, per cui gli items che lo costituiscono debbono essere rappresentativi dell'area che si intende misurare.
Riferendoci dunque ai dati riportati in letteratura e relativi ai trattamenti farmacologici (tab. 10) emerge che, nonostante l'utilizzo di numerosi farmaci, quelli più efficaci nel trattamento del DOC risulterebbero essere gli inibitori serotoninergici, ed in particolare la clorimipramina. La superiorità di tale farmaco è stata dimostrata in numerosi studi controllati nei quali è emersa sia una sua maggiore efficacia rispetto agli antidepressivi non serotoninergici (nortriptilina, amitriptilina, imipramina) che una superiorità al placebo, la cui risposta è risultata del 5%, percentuale molto bassa se raffrontata allo stesso effetto riscontrato nel disturbo di panico e in altri disturbi ansiosi, in percentuali medie del 35%.

L'effetto terapeutico si ottiene a dosaggi che oscillano da un minimo di 100 mg. a 300 mg die, anche se le dosi consigliate risultano di 200-300 mg die. Considerando gli effetti collaterali possono essere ugualmente utili dosaggi inferiori personalizzati (non inferiori però ai 100 mg die) somministrabili in una singola dose, data la lunga emivita del farmaco.
La dose di inizio varia dai 25-50 mg die, prima di coricarsi, con incrementi di 25-50 mg ogni secondo, terzo giorno, mentre la durata minima considerata efficace per evidenziarne gli effetti terapeutici varia dalle 10 alle 12 settimane, suggerendo una durata terapeutica di almeno 18 mesi.
Altri farmaci serotoninergici, utilizzati in pazienti DOC e gruppi di controllo con placebo, che hanno ottenuto risultati efficaci sono la fluoxetina, la fluvoxamina, a dosaggi di 60-80 mg e 150-250 mg. rispettivamente, mentre i dati non paiono del tutto sufficienti (Pato & Zohar, 1992; Stanley & Turner, 1995) per la sertralina e la paroxetina; tuttavia, studi accurati con campioni sufficienti di soggetti trattati in doppio - cieco e cross - over con solo farmaci serotoninergici, includendo in essi la clorimipramina, non sono ancora stati effettuati.
L'azione farmacologica antiossessiva non sembrerebbe tuttavia dipendere dalle proprietà antidepressive.
Indubbiamente l'azione farmacologica dei vari farmaci risulta ben documentata, (riduzione sintomatologica nel 20-40% e 50-60% di responders), sebbene sia necessario differenziare una riduzione sintomatologica da una remissione, cosa nei vari lavori non sempre specificata; inoltre gli studi al follow-up risultano ancora scarsi.
E comunque risultato evidente nei vari studi il riscontro dell'efficacia farmacologica in rapporto alla durata del trattamento, dato che alla sospensione del farmaco la sintomatologia DOC in percentuali elevate di soggetti si ripresenta (Pato et al, 1988). Un ulteriore problema è rappresentato dagli effetti collaterali di tipo anticolinergico particolarmente spiccati con la clorimipramina, rispetto agli effetti collaterali prodotti dalla fluoxetina e fluvoxamina.
Per quanto concerne gli inibitori delle monoamine ossidasi (IMAO), mancano studi controllati, tuttavia ne è stata riportata l'efficacia in casi singoli. In merito all'utilizzo di benzodiazepine, pur essendo sostanze attive sull'ansia, non vengono considerate efficaci nel trattamento del DOC, anche se alcuni autori hanno riportato benefici consistenti con il clonazepam e l'alprazepam, mentre il buspirone avrebbe dimostrato una sua efficacia associato alla fluoxetina (Steketee, 1993); infine alcune associazioni farmacologiche fra neurolettici e litio, fluoxetina e fluvoxamina sono risultate di qualche utilità in casi particolari o refrattari ad altri farmaci.
E stato riportato anche un miglioramento dei sintomi ossessivi nel 75% circa di 19 pazienti trattati con imipramina a dosaggi medi di 200 mg die per almeno 8 settimane (Fogelson & Bystrisky, 1991), mentre in 4 casi (dati personali non pubblicati) l'associazione di imipramina (dosaggi medi 125 mg) e terapia cognitivo comportamentale ha condotto a tre risoluzioni complete ed una parziale.
In ambito teorico, tralasciando quanto scritto da altri autori non meno importanti, è necessario citare due clinici dei primi Novecento, che hanno contribuito, seppure in modo differente, a costruire le fondamenta di edifici teorici ancora utilizzati ai nostri giorni: P. Janet pioniere nella descrizione della personalità ossessiva, che con il trattamento di più di 200 casi di pazienti DOC, ha evidenziato alcuni aspetti della progressione ossessiva teorizzando la perdita delle funzioni del reale con liberazione di funzioni sottostanti (anche nelle attuali teorie si postula la liberazione di schemi sottostanti appresi) e S. Freud pioniere nella teorizzazione del concetto di inconscio ed edificatore della teoria psicoanalitica, concettualizzazione rielaborata ed approfondita in seguito da altri psicanalisti e considerata in termini di fissazione alla fase anale, quale fondamento dello sviluppo del DOC
Fino agli anni 1960/70, periodo in cui sono sorti nuovi modelli interpretativi e psicoterapeutici che hanno condotto alle attuali conoscenze del disturbo, il DOC veniva considerato scarsamente trattabile, infatti i dati riportati in letteratura indicavano valori di miglioramento del 20% al follow-up di tre anni. Comunque i dati che più di altri hanno condotto ad una spinta innovativa in ambito psicoterapico in questo ultimo trentennio, sono quelli relativi la terapia cognitiva-comportamentale. Anche se da un punto di vista teorico sovente si effettua una distinzione netta tra terapia comportamentale e terapia cognitiva, risulta tuttavia difficile dimostrare che l'azione si verifichi primariamente a livello di apprendimento o di elaborazione cognitiva, dati i rispettivi presupposti teorici, mentre è probabile che ciò avvenga simultaneamente; inoltre appaiono interessanti gli studi recenti che indicano una minore percentuale di ricadute con l'utilizzo associato di entrambi le metodiche (cognitive e comportamentali).
In breve sintesi, la terapia comportamentale rappresenta una forma direttiva di psicoterapia che utilizza i principi del condizionamento operante (stimolo - risposta - rinforzo), nella quale le situazioni terapeutiche vengono attivamente strutturate dal terapeuta; mentre la terapia cognitiva, basandosi sui processi cognitivi (pensieri, emozioni, sentimenti, sensazioni), considera il comportamento dell'organismo quale risposta alle rappresentazioni cognitive (significati) che esso stesso conferisce all'ambiente, ed il terapeuta aiuta il soggetto ad identificare e correggere i modelli cognitivi disfunzionali.
La prima agirebbe maggiormente sulla sfera compulsiva mentre la seconda sulla sfera ossessiva.
Al modello comportamentale appartengono varie metodiche come la desensibilizzazione sistematica , il modeling, il condizionamento operante, il flooding, l'esposizione immaginativa, il blocco del pensiero, il condizionamento avversivo, l'esposizione in vivo con prevenzione della risposta (EPR); nonostante tutte queste siano state utilizzate nel trattamento dei DOC la EPR più di ogni altra ha evidenziato la sua efficacia clinica.
L'esposizione con prevenzione della risposta (tab. 11) sia in vivo che in immaginazione, ha come obiettivo l'esposizione del paziente a situazioni che generano ansia inducendo e/o convincendo il soggetto a non attuare i rituali sia comportamentali che mentali. Il costrutto teorico sul quale si basa riconosce alle conseguenze di un comportamento la sua azione rinforzante, per cui il rituale dell'ossessivo rappresenterebbe l'atto preventivo, analogamente all'evitamento, riducente l'ansia prodotta da uno stimolo temuto o considerato minaccioso.

Il modello di intervento terapeutico consiste nel persuadere il paziente ad esporsi e rimanere nella situazione fobica nonostante l'ansia crescente, e sulla ripetizione dell'esposizione, procedendo in modo gerarchico dall'esercizio più semplice a quello più difficile, progressivamente ed in modo regolare e prolungato; il soggetto deve inoltre evitare, costringendosi, di eseguire i rituali, e ciò sino alla remissione dell'ansia.
Il tutto, utilizzando anche un diario strutturato, e pianificando, assieme al paziente, l'assegnazione dei compiti che egli dovrà eseguire a casa, oppure mediante l'auto-assegnazione di compiti da parte del paziente.
I dati relativi l'applicazione dell'EPR indicano percentuali di successo del 65-70%, con una maggiore efficacia nell'area dei rituali che sulle ossessioni. In media, l'85% dei soggetti, in una raccolta di 25 trials con 500 pazienti, sono stati giudicati migliorati, mentre il 55% sono risultati molto migliorati (Steketee, 1994).
Foa et al. in uno studio del 1985 hanno riportato come nel 51% dei casi i pazienti fossero molto migliorati dopo trattamento, mentre nel 39% vennero considerati moderatamente migliorati ed il 10% non riportò nessun beneficio.
La misurazione venne effettuata utilizzando strumenti di auto ed eterovalutazione, ed il grado di miglioramento venne valutato considerando una riduzione del 70% di sintomi nel gruppo giudicato molto migliorato, una riduzione dal 31% al 69% nel gruppo con miglioramento moderato ed una riduzione solo del 30% nei casi di fallimento del trattamento.
I dati nel complesso indicano un miglioramento sintomatologico nel 90% dei casi ed una durata media di trattamento di 20 sessioni per indurre una riduzione sintomatologica superiore al 30% (Stanley & Turner, 1994).
Nel complesso i drop-out e coloro che rifiutano la terapia rappresentano il 20-30% dei casi, mentre il 7% non ne trarrebbe beneficio ed il 63% risponderebbe favorevolmente alla EPR (Foa et al., 1992).
Il modello cognitivista nelle due espressioni più rappresentative della Terapia Razionale Emotiva (TRE) di Ellis (1987) e Terapia Cognitiva (TC) di Beck (1976), si basa, come già accennato, sul principio secondo il quale le emozioni ed i comportamenti conseguono alla valutazione cognitiva della realtà, e quindi l'applicazione di regole inadeguate determinerebbe i comportamenti disadattivi (tab. 12, 13).

 

Riassumendo sinteticamente le caratteristiche di entrambe, la TRE ha lo scopo di aiutare i soggetti a divenire consapevoli delle proprie convinzioni irrazionali autolesive, aiutandoli poi a sostituirle con asserzioni positive di accrescimento. Il tutto mediante l'applicazione del modello A B C D E: A= situazioni attivanti lo stress; B= convinzioni del soggetto in merito alla situazione; C= conseguenze derivanti da A; D= discussioni sulle convinzioni del soggetto; E= nuove risposte emotive.
Il paziente auto compila un diario quotidiano sul quale annota i pensieri, le situazioni, e le emozioni che ne derivano, imparando nell'insieme a riconoscere ed analizzare le proprie convinzioni illogiche, a confutarle e a sostituirle con altre più adeguate.
Mentre nella TC lo scopo è di correggere le distorsioni cognitive mediante l'identificazione dei "pensieri automatici" e degli "schemi disfunzionali", che determinano l'errata interpretazione delle situazioni e degli avvenimenti.
Il modello presupporrebbe oltre che il riconoscimento dei pensieri automatici, anche l'analisi della relazione esistente fra pensiero, comportamento ed emozioni, mediante l'utilizzo di un diario e l'assegnazione di compiti da svolgere a casa.
L'obiettivo da raggiungere è l'identificazione e la modificazione degli schemi disfunzionali sostituendoli con interpretazioni e asserzioni più realistiche.
Un ulteriore modello di terapia cognitiva è rappresentato dal training auto-educativo (TAE), nel quale il soggetto valuta il livello della propria ansia, ed osserva e registra i pensieri ossessivi per sostituirli in seguito con altre affermazioni più adeguate (Meichenbaum, 1975).
I primi studi sull'efficacia della terapia cognitiva con TAE e TRE non furono promettenti, mentre dati più recenti sulla terapia razionale emotiva (TRE) (Emmelkamp et al. 1988, 1991, 1993), hanno dimostrato una efficacia analoga alla tecnica di esposizione con prevenzione della risposta (EPR); la TRE comporterebbe una maggiore efficacia nel ridurre la depressione e le convinzioni irrazionali, mentre l'associazione fra TRE e EPR non comporterebbe effetti addizionali.
La terapia cognitiva è stata testata solo in casi singoli ed in uno studio preliminare (van Oppen & Arntz, 1994) con buoni risultati. In uno studio recente (Savron et al., 1997) in aperto, sono stati trattati 23 DOC con terapia cognitivo-comportamentale (TRE e esposizione con prevenzione) per 16 sessioni, osservando delle differenze significative nella quasi totalità degli strumenti di auto ed eterovalutazione. Il trattamento ha condotto oltre che alla riduzione significativa dell'ansia, depressione, ossessioni e compulsioni, anche alla riduzione dell'inibizione delle emozioni, della sensibilità all'ansia e della nosofobia (paura di una malattia specifica), confermando anche i risultati di uno studio precedente che evidenziava l'assenza di ipocondria nei DOC (Savron et al., 1996). Nel gruppo si è avuta anche una riduzione del punteggio nella scala del Tridimensional Personality Questionnaire (TPQ) relativa l'evitamento del danno, confermando da un lato l'efficacia dell'intervento e dall'altro il costrutto teorico del TPQ, anche se tale dimensione potrebbe essere condizionata sia da dimensioni di stato che di tratto . Indubbiamente quando si applicano due trattamenti differenti contemporaneamente (Es: TC e EPR) nello stesso gruppo non è possibile distinguere quale abbia dato maggior beneficio; tuttavia se, come riportato nei risultati di altri studi controllati, l'efficacia risulta simile, è altrettanto difficile separare gli elementi psicologici che hanno condotto agli stessi risultati.
Probabilmente come già affermato in precedenza si verificano pressochè simultaneamente l'elaborazione cognitiva di un evento e la risposta comportamentale, e viceversa l'azione comportamentale con la valutazione cognitiva dell'evento.
Attualmente non sono disponibili studi adeguati di follow-up con terapia cognitiva, mentre lo sono per l'EPR, dai quali si risulta come il 79% di pazienti mantenga il miglioramento, dopo l'interruzione del trattamento, al follow-up da 1 a 6 anni, con una media di riduzione dei sintomi del 60% (O'Sullivan et al. 1991), mentre percentuali dal 10% al 18 % necessitino di sedute aggiuntive di EPR.
La persistenza della sintomatologia DOC anche dopo il trattamento sposterebbe l'accento sulla presenza dei sintomi residui e sugli aspetti predittori di cronicità, tuttavia tali dati necessiterebbero di altre analisi che ci allontanerebbero dallo scopo del presente lavoro.
Per quanto concerne invece l'utilizzo combinato di terapia comportamentale (EPR) e terapia farmacologica l'effetto additivo sembrerebbe minimo; includendo i drop - out ed i soggetti che rifiutano l'intervento, la percentuale di risposta risulta essere rispettivamente del 63% e del 38%, con un maggiore grado di ricadute per la farmacoterapia; tuttavia in entrambi i gruppi la piena e completa emissione dei sintomi risulterebbe abbastanza rara (Steketee, 1994).
Un ulteriore ed estremo intervento terapeutico, quando nessun altro ha condotto a benefici, è rappresentato dalla psicochirurgia ( cingulotomia, capsulotomia anteriore), la quale porterebbe a benefici nel 30% e nel 75% dei soggetti (Chiocca & Martuza, 1990; Jenike et al., 1991).
Conclusioni
Si potrebbe considerare il DOC un disturbo, appartenente alla sfera ansiosa, attivato dall'azione del pensiero e dal suo significato, per il quale esistono possibilità di successo terapeutico a patto che vengano identificati i fattori scatenanti e sottostanti il disturbo, e che si ricorra prontamente ad un intervento adeguato. Ciò nonostante, vi sono soggetti che non rispondono ai vari trattamenti, generalmente a causa del ritardato ricorso alle cure mediche, alla presenza di comorbilità, alle insufficienti conoscenze del clinico e alla mancanza della reale disponibilità del soggetto a modificare il proprio stato di malattia, ovviamente escludendo da questa enumerazione quei soggetti che presentano ossessioni psicotiche per i quali i fattori determinanti il disturbo e le modalità terapeutiche sono in parte differenti.
La possibilità di trattamento del DOC è paradossalmente evidenziata dalla "eterogeneità" del disturbo, dalla sua "fluidità", dalla "necessità di trovare una soluzione" al problema (sporco, contaminazione, lavaggio, malattia, dubbio, etc.); dalla "ripetitività" delle ossessioni e compulsioni, dalla funzione "compensatoria" di una ossessione con un'altra o di una compulsione con un'altra, "dall'inutilità logica" di una giustificazione, dalla funzione che determina il miglioramento o la guarigione, sia essa farmacologica o psicoterapica od occasionale, ed infine dalla "certezza" che il soggetto raggiunge quando è sicuro di non avere più il disturbo.
Tali descrizioni in una analisi accurata sono rintracciabili in tutti i pazienti DOC ed anche nei soggetti con dubbio si assiste cognitivamente ad una conferma - disconferma di aspettative.
Per cui è l'interpretazione data dal soggetto in un dato contesto, condizionata da fattori interni o esterni, che induce un comportamento (compulsioni) considerato adeguato (protettivo), mentre in realtà non lo è. Indubbiamente l'esposizione a situazioni temute e la prevenzione della risposta comportano una modificazione del comportamento, dal momento che nello stesso istante si verifica una elaborazione automatica di conferma o disconferma delle aspettative, che debbono comunque tenere conto dei dati di realtà, i quali possono essere accettati o rifiutati, ma in ultima analisi sono le "opinioni" relative ad una situazione che inducono gli atteggiamenti mentali e comportamentali.
Questo spiegherebbe il motivo per cui alcuni soggetti traggono maggior beneficio da un intervento piuttosto che da un altro (rientrando o meno in uno schema mentale appropriato del soggetto, attivando e motivando in tal modo la disponibilità del paziente ad intervenire su se stesso), ovviamente prospettando soluzioni fattibili. Certamente, se non vi è motivazione risulta difficile intervenire nei pazienti DOC, ma qualora si riesca ad individuarla attivandola e/o a determinarla, l'intervento risulta fattibile. Ciò evidenzia come sia in buona parte la scelta del soggetto a determinare la realizzazione di un progetto, oltre che all'abilità del clinico; si tratta quindi di selezionare e applicare le tecniche adeguate e più efficaci. Questo spiegherebbe i diversi effetti sulle differenti sintomatologie cliniche dell'ossessivo, prediligendo di volta in volta un modello oppure un altro, con maggiori effetti sulle ossessioni o sulle compulsioni.
Se si trattasse di un disturbo incurabile, non sarebbe in nessun modo influenzabile, tanto meno in ambito cognitivo comportamentale, mentre l'evidenza clinica e scientifica dimostrano esattamente il contrario; infatti, numerose pubblicazioni internazionali indicano come il DOC sia un disturbo, salvo alcune eccezioni, del tutto trattabile.
Concluderei evidenziando come la complessità e le difficoltà che si incontrano nello studio e nel trattamento del DOC, possono essere superate con un paziente lavoro e la collaborazione del soggetto, senza l'aiuto del quale ogni sforzo risulterebbe vano.
Galeno nel secondo secolo dopo Cristo in merito alle "Passioni e gli errori dell'anima" scrisse: "...gli errori nascono da una falsa opinione, mentre la passione da una facoltà irrazionale che è dentro di noi e che recalcitra alla ragione ...Ognuno di noi infatti ha bisogno di esercitarsi quasi tutta la vita per diventare un uomo perfetto...E ciò succede, o per un'abitudine contratta da molto tempo, o grazie all'autodisciplina,...che deriva dal controllo e dalla vittoria sui propri desideri...prendi ora in considerazione l'anima e osserva la sua natura, ...soffermandoti su tutto ciò che è fonte di preoccupazioni a cominciare dalle cose che possiedi...E' giusto invece di possedere quelle cose che sono importanti per la salute del nostro corpo."

 

Fonte: http://www.psicheserena.it/Il%20disturbo%20ossessivo%20compulsivo2.doc

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