Emozioni

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Emozioni

Le Emozioni
Nella filosofia razionalista del XVII secolo l’emozione viene considerata, fondamentalmente, come fonte di disturbo del comportamento razionale. Infatti, i primi studi davano un'accezione negativa delle emozioni, intese come disturbo al normale funzionamento dell'organismo ed erano soprattutto considerate come connesse alla parte animale e irrazionale dell'uomo, contrapposte quindi alla razionalità, considerata alla base del comportamento intelligente
Darwin, in un ottica evoluzionistica, riconosce alle emozioni un elevato valore adattivo, nella misura in cui, lungi dall’essere fenomeni meramente disturbanti, la loro funzione è di centrale importanza nella determinazione del comportamento e delle sue espressioni.
Successivamente un grande contributo alla rivalutazione delle emozioni fu fornito da Freud che descriveva le emozioni come non contrapposte alla razionalità, ma anzi come componente inscindibile del funzionamento della mente, in quanto fondanti la personalità dell'individuo. Secondo Freud lo studio delle emozioni forniva la chiave per  aprire la porta del profondo.
In un ottica comportamentista l’attenzione è focalizzata sul comportamento emotivo. Tale approccio, da un lato ha avuto il pregio di fornire informazioni dettagliate e un gran numero di osservazioni sull’azione emotiva. Dall’altro, lascia in ombra la componente soggettiva delle manifestazioni emotive.
Le interpretazioni teoriche di come si articolano e producono le emozioni sono state numerose, ciascuna dando un peso differente alle diverse componenti neurofisiologiche, comportamentali e soggettive.
Teorie sulle emozioni
Teoria periferica di James-Lange
Nel 1884 James e Lange fornirono due teorie molto simili tra loro, definibili come teorie viscerali o periferiche delle emozioni. La prima teoria chiara e coerente sull’emozione è quella elaborata da James; nella visione di James l’emozione è vista come il risultato di una pregressa modificazione di parametri fisiologici. Gli elementi valutativi-cognitivi non precedono le risposte espressivo-motorie ma, al contrario, queste ultime determinano i primi. In altri termini, l’esperienza emotiva sarebbe elicitata dalla lettura soggettiva di modificazioni somatiche. Il punto di partenza dell'esperienza emotiva quindi è periferico, corrisponde alla componente espressivo-motoria, che esprime risposte riflesse a stimoli esterni mediate dal SNA. Un dato relativamente più recente ottenuto da Hohmann nel 1966 a supporto di questa teoria, è il fatto che i pazienti con estese aree del corpo paralizzate mostrano una diminuita capacità di provare emozioni intense.
Teoria centrale di Cannon-Bard
Una teoria contrapposta a quella di James-Lange è la teoria centrale proposta da Cannon (1927) ed elaborata poi da Bard (1934) che sostiene una contemporanea e simultanea attivazione tanto delle risposte espressivo-motorie quanto quelle relative a rappresentazioni mentali, dal momento che entrambe dipendono dalla stimolazione dei nuclei ipotalamici. Questa teoria era nata per spiegare delle particolari situazioni sperimentali osservate sui gatti. Era stato infatti notato che se privati di corteccia cerebrale, i gatti reagivano a degli stimoli dolorosi non con la fuga o l'evitamento (come succede normalmente) ma con un comportamento di rabbia, definita pseudorabbia, che si distingue dalla rabbia normale perché l'animale attacca qualsiasi cosa gli capiti sotto tiro e si estingue immediatamente con il cessare dello stimolo.
Altre argomentazioni a favore di questa teoria riguardano il fatto che i cambiamenti nelle risposte fisiologiche sono troppo lenti per essere considerati come causa di vissuti emozionali. Secondo gli autori, inoltre, stesse risposte fisiologiche e stessi cambiamenti nell'arousal possono occorrere in stati emotivi diversi e in stati non emotivi e l'induzione artificiale, mediante sostanze chimiche, di risposte fisiologiche tipiche di emozioni estreme, non produce l'esperienza di quelle stesse emozioni.
Da quest'ultimo punto partì anche lo studio di Shachter e Singer (1962) che, in un famoso esperimento, indussero mediante iniezioni di adrenalina specifici mutamenti nelle risposte fisiologiche di un certo numero di soggetti. Le variabili furono manipolate in modo da ottenere diverse condizioni sperimentali:
- soggetti informati che avrebbero sperimentato dei cambiamenti corporei (palpitazione, tremori, rossore…)
- soggetti non informati
- soggetti informati in modo sbagliato
I risultati indicarono che i soggetti nelle ultime due condizioni si lasciarono più facilmente coinvolgere, da un collaboratore degli sperimentatori, in attività emotive e ad attribuire a tali attività la causa delle modificazioni nell'arousal.
Al di là delle differenze tra arousal spontaneo e indotto e della metodologia intrusiva utilizzata, il valore del tentativo degli autori è stato di capire quanto, nell'emozione, entrambi gli aspetti, quelli cognitivi e quelli comportamentali-motori siano rilevanti, e come l'arousal possa essere fonte di feedback cognitivo, confermando sostanzialmente quanto sia Darwin, sia James avevano sostenuto contro il senso comune. 
Teoria di Common e Bard
I due autori propongono una teoria antiteetica a quella di James-lange, in cui le emozioni non sono viste più come effetto ma come causa di modificazioni somatiche. In altri termini, la percezione di una determinata situazione-stimolo determinerebbe, sulla scorta di una mediazione ipotalamica, l’insorgere di un vissuto emotivo che precede, e causa, le successive modificazioni somatiche. È chiaro che una tale interpretazione mette in primo piano il ruolo dell’esperienza e dell’apprendimento. Infatti, se si ipotizza che l’emozione dipende dall’analisi di determinate situazioni-stimolo mediata dall’ipotalamo, nel corso di tale analisi accanto a stimoli emotigeni filogeneticamente ereditati, è plausibile ipotizzare, vista la grande varietà di situazioni che suscitano in noi emozioni, che una buona parte di queste siano ontogeneticamente apprese.
Teoria comportamentista
La scuola comportamentista ha spostato l’attenzione dall’emozione intesa come vissuto soggettivo al versante fenomenologico della stessa: il comportamento emotivo (da considerarsi ereditario). Watson propone una teoria comportamentale nella quale lo studio  dell'emozione parte dall'osservazione e dall'isolamento di soli tre comportamenti emotivi neonatali: paura (reazione di fuga), ira (attacco) e amore (riproduzione). Queste tre risposte si diversificano con lo sviluppo a seguito di apprendimento condizionato. Esse comparivano a seguito di specifiche situazioni-stimolo, rispettivamente: rumore improvviso, immobilizzazione e carezze sulle zone erogene. Il “vizio dell’esperimento di Watson stava nel fatto che lo sperimentatore, conoscendo lo stimolo applicato, poteva interpretare il comportamento da esso suscitato sulla base delle proprie aspettative.
La Teoria di mastro Lindsley
Lindsley propone una teoria dell’attivazione aspecifica. Perchè lo fa? Muovendo dall’osservazione della difficoltà di discriminare tra diversi stati emotivi, sia  a livello comportamentale che neurofisiologico e dal ruolo di variabili contestuali nella lettura di una modificazione somatica “Shachter e Singer”. L’autore ritiene plausibile ipotizzare che a fronte di una intensa stimolazione si produrrebbe, con la mediazione della Formazione Reticolare Attivante, una attivazione corticale aspecifica, consistente in una scomparsa del ritmo alfa e da un attività di fondo di alta frequenza e basso voltaggio. Attivazione che assumerebbe una determinata connotazione emotiva piuttosto che un'altra in relazione al contesto in cui è stata provocata.
La teoria di Lazarus
Lazarus ci propone una teoria che, da un ottica cognitivo fenomenologica, cerca di cogliere i diversi aspetti dell’emozione.
Dopo aver definito le emozioni come “Stati organizzati complessi”, ci dice che tali stati constano di tre componenti: una valutazione cognitiva, un impulso all’azione e una reazione somatica concomitante. La schematizzazione, si sa, ha solo valore illustrativo, che poi i tre aspetti verrebbero esperiti unitariamente. È importante sottolineare che nella teoria di Lazzaro il ruolo di causa, nella genesi di un emozione, è attribuito alla valutazione cognitiva di una determinata situazione stimolo.
L’emozione, questa è bella!, nasce dal modo in cui l’individuo costruisce l’esito di una transazione con il suo ambiente. Da come, in altri termini, sulla scorta di apprendimento, memoria e pensiero, l’individuo interpreta e risponde attivamente agli stimoli che lo sollecitano.
Quando parla di impulso all’azione Lazarus non si riferisce necessariamente al comportamento manifesto, nella misura in cui, l’azione messa in moto internamente, non necessariamente deve tradursi in un atto concreto. Inoltre quando parla di impulso all’azione Lazarus si riferisce anche   agli aspetti espressivi dell’emozione ( Mimica, postura, tono di voce etc), sottolineando come questi consistano in un ampio repertorio in cui trovano posto pattern filogeneticamente ereditati ed ontogeneticamente appresi. Infine, contrariamente alle teorie dell’attivazione aspecifica, ad esempio quella di Lindsley. Ritiene che le diverse emozioni siano caratterizzate anche sul piano neurofisiologico, da pattern altamente specifici e qualitativamente diversi tra di loro.
La teoria di Plutchik
Io la lascerei perdere, tu che dici!!!
Ontogenesi delle emozioni
Parlare di ontogenesi delle emozioni implica rispondere ad alcune domande fondamentali:
esistono stati emotivi primari già differenziati, o si ha a che fare, ab inizio, con uno stato emotivo generalizzato non differenziato? In entrambi i casi, sia che si parta da stati primari differenziati che da uno stato indifferenziato, quali sono i fattori che determinano, nel corso dello svilippo, la complessa e raffinata articolazione dei vissuti emotivi che ritroviamo nell’adulto.
Sherman, ripetendo l’esperimento in ceco! Osservo che la mancata conoscenza degli stimoli a monte del comportamento osservato si traduceva, nei  soggetti giudicanti, in una bassa concordanza e in una sostanziale incapacità di differenziare significativamente tra stati emotivi differenti. Tali dati deponevano quindi a favore di uno stato di eccitazione generalizzato e non differenziato.
La Bridges è stata la prima autrice ad occuparsi della differenziazione delle emozioni a partire da questo stato. Secondo l’autrice i fattori che incidono sullo sviluppo emotivo sono da un lato la maturazione delle strutture nervose  e dall’altro l’apprendimento.
Secondo L’autrice all’età di due anni sono ravvisabili, nel bambino, tutti gli schemi emotivi che è dato di trovare nell’adulto. La successiva differenziazione consiste in un aumento del numero e del tipo di situazioni in grado di suscitare emozioni, e in tale differenziazione un ruolo centrale sarebbe giocato dall’apprendimento.
Altro contributo fondamentale dell’autrice sta nell’aver rilevato come, in un ambiente adeguatamente stimolante, il procedere dello sviluppo emotivo segue tappe ben precise e che , la chiave di tale sviluppo sta nell’incontro tra potenzialità messe a disposizione dal processo maturativo ed un ambiente adeguatamente stimolante.
Gli esperimenti di Melzack su cuccioli di cane, inerenti l’effetto di ambienti scarsamente stimolanti sulla possibilità di sviluppare adeguate reazioni di anticipazione a stimoli dolorosi, sembrano andare nella direzione ipotizzata dalla Bridges, confermando l’esistenza di una stretta relazione tra potenzialità e fattori ambientali.
Canestrari, in un’elegante analisi, illustra come lo sviluppo emotivo sia legato a livelli di complessità crescente della consapevolezza di sé e della rappresentazione del mondo esterno.
Ad un primo livello, le interazioni tra il neonato e l’ambiente esterno, si fondano in larga misura sulle modificazioni interocettive che l’ambiente esterno suscita nel neonato. A questo livello, che l’autore definisce sensoriale-affettivo, le emozioni avrebbero da un lato  una funzione di sopravvivenza, consentendo al neonato di comunicare uno stato di disagio inducendo un intervento regolatore; dall’altro, proporio in quanto mobiliterebbero una risposta, contribuirebbero  a far emergere una prima, embrionale, consapevolezza di sé come agente causale e alla differenziazione tra il sé  e ciò che è altro da sé.
Ad un secondo livello, che Canestrari definisce percettivo-affettivo, le mutate condizioni maturative, inerenti la capacità di percepire aspetti distinti della realtà, consentirebbero il sorgere di esperienze emotive in risposta ad aspetti differenziati della realtà. Intorno al terzo mese di vita il neonato sorride a qualsiasi sagoma presentata frontalmente che riproduce le caratteristiche del volto umano, tendendo ad orientarsi e a spingersi verso di essa. Evidentemente abbiamo a che fare con un emozione che non è più legata alla sensazione interocettiva di uno stato ma ad un oggetto che possiede una sua realtà fenomenica. 
Questa esperienza contribuisce a rafforzare la percezione di sé come agente causale, nella misura in cui l’espressione emotiva induce non più e non solo, come nello stato precedente, un intervento regolatore su di uno stato di disagio, ma evoca una risposta emotiva percepibile “sorriso dell’adulto”.
Ad un ulteriore livello di integrazione, che Canestrari definisce cognitivo, l’emozione si libera dal fondamento esclusivo dei dati percettivi esterni e dei dati sensoriali interni, e, le risposte emotive possono persistere o sorgere indipendentemente dalla presenza di dati percettivi e sensoriali.
Comunicazione ed espressione delle Emozioni
Iniziamo con alcune domande:
Cosa è una espressione emotiva? Le epressioni emotive sono universali e innate o culturalmente determinate?
Riguardo la natura delle espressioni emotive è possibile notare, sulla scorta di un gra numero di studi etologici, che l’espressione emotiva sia da considerarsi come un comportamento ritualizzato, dove, quelle che erano le caratteristiche modificazioni della fase preparatoria di un comportamento “ad esempio l’attacco”, vengono amplificate ed utilizzate come segnale. In altri termini quello che era un comportamento che preludeva alla fase consumatoria acquista valore di segnale. Lungo la scala tassonomica è possibile rilevare, parallelamente ad una complessità crescente della muscolatura facciale, una gamma sempre più ampia di espressioni emotive.

Altra questione fondamentale è quella inerente l’universalità delle espressioni emotive e il ruolo giocato da fattori culturali nelle modulazione delle stesse.
Darwin, riteneva che le epressioni emotive fossero universali e innate. In effetti, numerosi rilievi sperimentale sembrano confermare, almeno parzialmente l’ipotesi Darwiniana. La maggior parte di codesti esperimenti a mirato a verificare la concordanza di giudizio di diversi soggetti rispetto a riproduzioni “foto, videotapes etc.” di espressioni emotive. Alcuni di questi esperimenti, superando alcuni “vizi di forma” in cui era caduto lo stesso Darwin “conoscenza delle ipotesi sperimentali, contesto culturale condiviso” sembrano confermare con ragionevole certezzail carattere universale dell’espressione delle emozioni di base. Un esperimento particolarmente significativo fu condotto da Ekman. Ai sui soggetti ( Indigeni Fore della Nuova Guinea”, mai venuti a contatto con popolazioni caucasiche, chiese di “recitare” con il viso emozioni relative ad alcune situazioni da lui proposte: gioia per l’arrivo di un amico lontano, dolre per la morte di un figlio etc.

In un secondo tempo le foto vennero mostrate a soggetti Europei e Nord Americani; il risultato fu un elevato riconoscimento pertinente delle diverse emozioni espresse e una elevata concordanza di giudizio tra diversi soggetti, specie sulle emozioni di base.
La “forza” dell’esperimento sta nel fatto che chi “recita” un’emozione senza provarla presumibilmente ricorre ad una immagine stereotipa della stessa. Ora, se tale immagine stereotipa fosse culturalmente determinata, risulterebbe difficile spiegare l’elevata concordanza emersa.
Con questo non si vuole dire che cultura e apprendimento non abbiano alcuna importanza. Come osserva Canestrari, a fronte di una dotazione universale, inerente l’espressione delle emozioni di base. I fattori propri di un contesto culturale agirebbero sulle regole che governano la modulazione degli stati emotivi e la loro connotazione.
Per cui, a fronte dell’universalità dell’espressione di una data emozione, ad esempio la rabbia,  la manifestazione della stessa potrebbe essere consentita in circostanze diverse in diversi contesti culturali e , parimenti, essere connotata più o meno negativamente.
Molti anni più tardi Shachter e Singer introducevano il concetto di etichettamento “labelling”, per cercare di rendere conto di come, l’emozione, si possa considerare come risultato di un processo di attribuzione causale, in cui, le cause di una determinata modificazione somatica  vengono fondamentalmente rintracciate nel contesto in cui la stessa ha avuto luogo.Secondo la teoria di Shachter il vissuto emotivo è strettamente legato a uno stato di attivazione generalizzata del sistema nervoso ed è necessaria l'interpretazione sulla base della ricerca di stimoli esterni associati. Si verifica così un etichettamento cognitivo dello stato. Ne deriva che la valutazione cognitiva determina la qualità dell'emozione, mentre l'attivazione determina l'intensità dell'emozione. Gli ultimi due gruppi dell'esperimento prima citato ricercavano quindi nell'ambiente degli indizi per comprendere il loro stato di attivazione.
Altri studi in ambito psicofisiologico condotti da Reisenzein, con l'utilizzo dei betabloccanti, hanno mostrato come la riduzione di sensazioni cardiache non attutisce l'esperienza emotiva, come si dovrebbe prevedere in base alle teorie periferiche.
Sarebbe quindi sopravvalutato il ruolo delle sensazioni fisiologiche, in quanto non esistono prove certe che l'attivazione fisiologica sia indispensabile per l'emergere di un'emozione. Un'applicazione in questo senso in ambito terapeutico si ha nelle terapie cognitivo-razionaliste.
Si delinea così una contrapposizione tra coloro che sostengono il primato cognitivo, secondo i quali è la valutazione di una situazione come rischiosa che induce la paura, mentre per i sostenitori del primato delle emozioni è la paura che permette di vedere e valutare il pericolo.
Oggi il ruolo di queste contrapposizioni appare ridimensionato, non si può parlare in termini assoluti di un primato, cognitivo o espressivo-motorio, vi è un diverso rapporto a seconda delle caratteristiche dello stimolo che ha determinato una risposta emotiva. Esistono delle emozioni più complesse, come la vergogna, o il senso di colpa, che richiedono una maggiore attività cognitiva rispetto a risposte emotive più semplici, come la paura, il disgusto, la rabbia, ecc., che fanno riferimento a una valutazione "automatica", appresa nel corso dell'evoluzione della specie, degli eventi esterni e delle risorse interne. È opportuno quindi considerare le emozioni come degli insiemi dinamici, costituiti da molteplici componenti organizzati in una struttura gerarchica, ed esaminare dettagliatamente tali componenti seguendo la traccia indicata dal modello di Scherer. Inoltre è importante ricordare che non sempre gli aspetti emotivi espressi dalle diverse componenti devono essere tra loro concordanti; l'espressione facciale può non corrispondere al vissuto emotivo cosciente, o ancora, l'espressione facciale può essere inibita, mascherata e non in linea con l'arousal espresso dagli indicatori fisiologici (battito cardiaco, pressione sanguigna, conduttanza cutanea…). Si tratta quindi di una relativa autonomia delle singole componenti.
Il saper percepire le proprie emozioni, saperle controllare e regolare, il saperle leggere negli altri, il sapersi motivare e relazionare con gli altri, sono componenti che determinano il concetto di intelligenza emotiva, riproposto nel libro di Goleman (1995) a partire dalla teoria delle intelligenze multiple di Gardner (1993), pur con la critica di quest'ultimo sul valore morale attribuito da Goleman all'intelligenza emotiva.
Goleman infatti vede diversi ambiti applicativi dell' i.e., cita diversi programmi di prevenzione per lo sviluppo dell'apprendimento emozionale che mirano ad una riduzione dell'aggressività e della violenza nelle scuole, che possono poi, in forma diversa, essere applicati anche in ambito clinico e lavorativo.
Anche al fine di valutare la competenza emotiva, è importante distinguere le diverse componenti delle emozioni: cognitiva, fisiologica, motivazionale, motoria e soggettiva.

  • Componente cognitiva
    La componente cognitiva è quella che media lo scambio di dati tra l'organismo e l'ambiente. Scherer propone un modello nel quale vengono indicati i diversi stadi di valutazione cognitiva delle emozioni; Scherer li chiama controlli valutativi dello stimolo (Stimulus Evaluation Checks, SECs) e li ordina dal più semplice al più complesso:
      • Grado di novità (stimolo atteso vs. inatteso)
      • Piacevolezza/spiacevolezza (es.: disgusto per cibi dannosi). Questi sono controlli piuttosto primitivi legati alla sopravvivenza
      • Conduttività dei fini o degli scopi presente in un determinato stimolo (favorisce vs. impedisce)
      • Possibilità di far fronte alle conseguenze di un determinato stimolo. Questo stadio prevede la valutazione della possibilità di controllare o meno un evento, della possibilità di fornire una risposta idonea (lotta o fuga), e della necessità di una ricostruzione o ristrutturazione interna degli scopi e del concetto di sé. Questo punto si riferisce alla potenzialità della'organismo di fronte agli stimoli emotigeni ed è un tipo di controllo che nella scala filogenetica compare piuttosto tardi.
      • Compatibilità dello stimolo con le norme sociali e con il concetto di sé.
  • Componente fisiologica
    Le modificazioni fisiologiche riguardano il Sistema Nervoso Centrale, il Sistema Nervoso Autonomo e la sezione neuroendocrina.

    Modificazioni a carico de SNC:
      • cambiamenti muscoli volontari facciali
      • blocco ritmo alfa
        Modificazioni a carico del SNA
      • sudorazione
      • rossore
      • tremore
      • (cambiamenti evidenti)
      • tachicardia
      • aumento pressione
      • inibizione motoria intestinale
      • (cambiamenti non evidenti)


Modificazioni a carico del sistema neuroendocrino

      • adrenalina
      • noradrenalina
        (azione di potenziamento)
      • ormoni tiroidei
      • ormoni ipofisari
        (soprattutto in condizioni di patologia)


Le Doux individua una via diretta senza mediazione corticale tra talamo e amigdala che viene utilizzata quando è necessaria una trasmissione rapida, immediata e non precisa in riferimento alla qualità dell'emozione.
Studi di neuroimmagine dimostrerebbero un ruolo della regione prefrontale destra nella generazione di emozioni negative, mentre il lobo sinistro avrebbe un ruolo di modulazione.

  • Componente motivazionale
    Le emozioni rappresentano una forma di risposta orientata all'azione e sono spesso alla base delle motivazioni.
    Ci sono alcune emozioni per le quali si parla di "precedenza del controllo" (Frijda), nel senso che hanno la precedenza, attraverso la via talamo-amigdala, sulle attività cognitive e sui comportamenti in corso, questo tipo di emozione sono immediate e durano per brevissimo tempo.
    Vi sono poi forme più complesse di emozione, come la colpa o la vergogna, ma è bene ricordare che la definizione di emozione si riferisce ad uno stato transitorio, temporaneo, che si esaurisce.
    I sentimenti sono delle emozioni trasformate al punto di diventare interessi, valori, e dare così origine a nuove risposte emotive.
  • Componente espressivo-motoria
      • Espressione facciale
        A questo proposito vi sono alcune questioni sulle quali è ancora in parte acceso il dibattito e che si riferiscono essenzialmente all'universalità delle espressioni facciali, al loro essere innate o apprese e al loro essere controllabili oppure no.
        Darwin aveva sostenuto l'universalità delle espressioni facciali, affermando che anche nei primati superiori era rinvenibile un tipo di mimica facciale molto simile a quella umana.
        Studi più recenti (Ekman e Friesen) hanno ripreso la tradizione darwiniana fornendo nuovi impulsi e maggior sostegno sperimentale.
        I loro studi descrivono mimiche analoghe e capacità di comprensioni onnipresenti, e riconducono la possibile variabilità non tanto all'espressione facciale vera e propria quanto piuttosto all'influenza culturale sulle modalità e opportunità di espressione delle stesse. Le regole di esibizione sono culturalmente determinate e sono il frutto di determinati modelli comportamentali.
        Per quanto riguarda la dimensione evolutiva dell'espressione facciale delle emozioni si è concordi nel ritenere che le emozioni primarie sono innate, essendo rinvenute anche in bambini cieco-sordi dalla nascita. In riferimento poi alla controllabilità o meno delle espressioni facciali si può dire che la capacità di simulare una emozione richiede una capacità cognitiva complessa, un tipo di pensiero astratto, simbolico, che permette di pensare ad un vissuto emotivo che non è attuale. Studi condotti a questo proposito (Eckman) hanno descritto differenze qualitative tra le emozioni simulate e quelle reali. Le prime sono asimmetriche e regolate prevalentemente dall'emisfero sinistro. A tale proposito bisogna ricordare l'utilità che riveste un sistema completo ed articolato di classificazione delle emozioni. Un procedimento molto utilizzato è il FACS (Facial Action Coding System), messo a punto da Ekman e Friesen, che permette di individuare le "unità di azione" del volto, distinguendo tra parte superiore, centrale e inferiore del volto.  Lo studio delle emozioni simulate o mascherate riveste una grande importanza in campo clinico, e può essere un indicatore di come si evolve la terapia e di come il paziente riesca ad esprimersi in maniera meno stereotipata.
      • Tono di voce
      • Gesti e movimenti corporei
      • Postura
        · 
  • Componente soggettiva
    Il concetto di controllo e modulazione dell'espressività emozionale non necessariamente si riferisce alla capacità di dare un significato, un nomee, en etichetta alle nostre emozioni e alla capacità di esprimerle. L'inibizione espressiva delle emozioni, soprattutto in condizioni luttuose o traumatiche, coincide con l'impossibilità di condividere ed elaborare l'esperienza emotiva comunicando attraverso il linguaggio (o altri strumenti non verbali simbolici). L'incapacità di verbalizzare le proprie emozioni caratterizza il disturbo alessitimico, che è collegabile in buona parte all'origine dei disturbi psicosomatici. Si tratta quindi più di una vera e propria impossibilità di elaborazione emotiva e di costruzione di un mondo interno, piuttosto che di una incapacità di tipo espressivo.

Emozioni primarie e secondarie
Le emozioni primarie sono quelle in cui, più che in altre, è possibile rintracciare l'originario, carattere di risposte emotive. Gli studiosi sono concordi nell'individuarne almeno cinque: rabbia, felicità, tristezza, paura, disgusto. È ancora controverso il dibattito sull'inclusione della sorpresa tra le emozioni primarie, i dubbi riguardano anzi proprio il carattere emozionale della sorpresa.
Ekman descrive le caratteristiche che definiscono le emozioni primarie rispetto a quelle secondarie (più complesse):

  • Universalità dell'espressione facciale
  • Continuità tra il comportamento espressivo umano e quello animale
  • Pattern di attivazione fisiologica specifici
  • Presenti fin dalla nascita
  • Rapido instaurarsi
  • Durata relativamente breve
  • Sensazione di incontrollabilità
  • Coerenza tra i vari elementi del sistema emozioni
  • Meccanismo automatico di valutazione dello stimolo (non intenzionali)

Riferendosi alla formazione del "Sé referenziale" nel bambini tra i 15 e i 18 mesi di vita, Lewis (1990) ha suggerito di individuare un gruppo di emozioni di tipo più complesso che non hanno le caratteristiche di universalità dell'espressione facciale, né hanno pattern di attivazione fisiologica specifici e distintivi. In particolare distingue tra "self conscious emotions" (emozioni dell'autoconsapevolezza, quali imbarazzo, empatia, invidia) e "self conscious evaluative emotions" (emozioni valutative dell'autoconsapevolezza, quali vergogna, colpa, soddisfazione, orgoglio). Queste emozioni risultano da un'introspezione e da un processo valutativo e possono essere considerate emozioni tipicamente umane.
Metodi di studio

  • Metodi di auto-valutazione
    Fanno riferimento all'esperienza soggettiva, usando varie tecniche di indagine, tipo questionari, che si basano sull'introspezione e usano il linguaggio. I limiti sono dati principalmente dal fatto che si possono utilizzare con soggetti collaborativi, con lucidità mentale e non vi è possibilità di controllo intersoggettivo della validità dei risultati. Si tratta comunque di metodi insostituibili in quanto non vi è nessun altra misura che può sostituire il vissuto soggettivo. Uno dei metodi utilizzati consiste nel presentare liste di termini (aggettivi o forme verbali) che vengono comunemente riferiti all'umore o alle emozioni e i soggetti devono indicare quali termini definiscono meglio il loro stato emotivo, o indicarne l'intensità, la frequenza e il grado di certezza della propria valutazione. La scala di autovalutazione formata da liste di aggettivi più diffusa è la Adjective Check List (Gough 1960), inizialmente nata come test di personalità ma successivamente usata come autovalutazione di stati emotivi. A partire da 300 item i soggetti devono indicare quali ritengono adatti a descrivere sé stessi e si calcolano dei punteggi di valutazione su 16 scale che si riferiscono per lo più a tratti costanti della personalità. Un altro test dello stesso tipo ma più breve è il Multiple Affect Adjective Check List di Zuckerman e Lubin (1965), ha le stesse caratteristiche di somministrazione del precedente ma è costituito da 132 aggettivi. In queste scale però ad ogni item viene dato lo stesso punteggio ed è arduo valutare la sua validità effettiva. Un test che ha cercato di superare questi problemi è la Subjective Stress Scale di Kerle e Bialek (1958) nella quale ad ogni termine viene attribuito un punteggio che ne indica la distanza psicologica dagli altri termini e rispetto a due punti estremi.
    Il test Emotion Profile Index è stato costruito per verificare la teoria psico-evolutiva di Plutchik (1962) e vengono considerate le dimensioni più importanti per discriminare gli stati positivi da quelli negativi.
    Una variante alle scale di aggettivi, sono le liste di proposizioni a cui si deve dare un giudizio su una scala Likert. Una scala di questo tipo molto diffusa è la STAI (Statet-Trait Anxiety Inventory) formata da 40 frasi suddivise, sia nella somministrazione che nella valutazione, tra frasi che si riferiscono a tratti e frasi che si riferiscono a stati; soprattutto quest'ultima parte viene utilizzata negli studi emozionali.
  • Misure comportamentali
    Sicuramente vi è un corrispondente comportamentale degli stati emotivi anche all'insaputa o contro il volere di chi li prova. La valutazione degli aspetti comportamentali delle emozioni è però difficoltosa in quanto richiede decisioni di metodo che non possono prescindere da una teoria, anche se questa resta poco definita.
    Fra queste misure la voce offre molto materiale utile: Eldred e Price (1957) osservarono una caratterizzazione del tono della voce in corrispondenza di particolari vissuti emotivi registrando per un anno le sedute psicoterapiche di un paziente.
    Il metodo principe per identificare dall'esterno gli stati emotivi si basa sull'espressione del viso. Lo strumento più conosciuto (vedi sopra) è il FACS di Ekman e Friesen (1969).
  • Metodi di indagine neuropsicologica
    Questi metodi forniscono misure indirette , hanno un rapporto mediato con il fenomeno che si intende studiare e riguardano soprattutto la specializzazione emisferica del comportamento emotivo. Gli studi si sono concentrati si soggetti con lesioni cerebrali e su tecniche di stimolazione elettrica.
  • Metodi di induzione dell'umore
    Per studiare le emozioni in laboratorio è necessario indurre nei soggetti diversi stati emotivi, anche se lievi e temporanei, in quanto non è certo corretto suscitare emozioni forti, soprattutto se negative. Tra le tecniche utilizzate vi sono: l'induzione ipnotica, evocazione di stati affettivi, ascolto di brani musicali analoghi per tono emotivo, tecniche cognitive di identificazione e imitazione di stati d'animo manifestati da persone vicine.

Sviluppo delle emozioni
Esistono due ipotesi teoriche fondamentali sullo sviluppo delle emozioni: quella della differenziazione e quella differenziale. La prima sostiene che le specifiche emozioni si differenziano nel corso dell'età evolutiva da un iniziale stato emotivo indifferenziato di eccitazione (sia accorda alla teoria dell'attivazione di Lindsley e al suo complemento cognitivo di Scachter e Mandler), mentre la seconda ammette la presenza di alcune emozioni primarie differenziate già all'età neonatale (teoria della innatezza, universalità e specificità, es.: Ekman).
I primi dati in linea con la teoria della differenziazione sono quelli della Bridges (1932) che con il metodo dell'osservazione arrivò a sostenere che le diverse emozioni si sviluppano da uno stato emotivo indifferenziato di eccitazione e che le reazioni comportamentali ed espressive si modificano attraverso l'apprendimento.
Dallo stato iniziale si osserverebbe dapprima una distinzione tra stato positivo e negativo e successivamente prenderebbero forma le altre diverse espressioni emotive. Elaborazioni più recenti come quella di Strofe descrivono le emozioni negative come il risultato di una eccitazione troppo intensa e perdurante, mentre le emozioni positive dipendono dalla fluttuazione moderata del livello di eccitazione.
Lo sviluppo emotivo è in stretto legame con lo sviluppo cognitivo e sociale e riflette nuovi livelli di organizzazione, in particolare:

  • capacità di distinguere tra mondo interno e mondo esterno (1° org.: sorriso sociale)
  • sviluppo mnestico che condurrà alla permanenza dell'oggetto (2°org.: angoscia per l'estraneo)
  • sviluppo della coscienza di sé come essere separato (3°org.: negativismo)
  • pensiero rappresentativo (giochi di fantasia)


L'ipotesi differenziale è stata principalmente sostenuta da Izard ed afferma che:

  • vi sono programmi neurali innati e universali distinti per ciascuna emozione primaria
  • le emozioni sono specifiche sin dall'inizio
  • il processo emotivo è funzione del sistema nervoso centrale
  • le emozioni compaiono, secondo un programma maturativo innato, quando hanno un valore adattivo
  • le emozioni si combinano in configurazioni complesse.


Secondo Izard le emozioni sensibilizzano il bambino ad un nuovo aspetto dell'ambiente e lo induce ad apprendere nuove lezioni cognitive; lo sviluppo emotivo quindi precederebbe quello cognitivo, aprendogli la via. Secondo Piaget invece emozioni e processi cognitivi si sviluppano contemporaneamente e non c'è emozione senza pensiero e viceversa.
Disturbi emotivi
La sensibilità emotiva è la capacità di reagire con partecipazione emotiva agli eventi ed alle sensazioni. La percezione emotiva può trasformare gli eventi e può condurre a disturbi psichici.
Uno squilibrio emozionale può presentarsi principalmente sotto due forme: una sensibilità esacerbata o un'indifferenza emotiva o affettiva (atimia).
Nella prima forma i soggetti presentano una soglia bassa e raggiungono stati elevati di eccitazione anche per sollecitazioni modeste (tratto ansioso). Può essere il punto di partenza per un'evoluzione psicotica (paranoia di persecuzione).
Nella seconda forma si osserva uno stato di indifferenza o inerzia di fronte a stimolazioni emotive e ambientali (tratti depressivi).
Un altro tipo di disturbo emotivo è legato invece all'incapacità di interpretare ed comunicare le emozioni, questo disturbo è definito alessitimia ed è alla base di molte forme di disturbo psicosomatico.

 

Fonte: http://www.formazioneesicurezza.it/AA_UNIVERSITA/Dispense/Periodo%2004/Psicologia/Le%20Emozioni.doc

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