Riassunto storia contemporanea

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Riassunto storia contemporanea

LE RIVOLUZIONI DEL 1848

UNA RIVOLUZIONE EUROPEA

Nel 1848 gran parte dell'Europa orientale (Francia, Italia, Impero asburgico, Confederazione germanica) fu invasa da una crisi rivoluzionaria. Ad eccezione della Russia (a causa dell'arrettratezza della società civile e della repressione che impediva la ricolta) e della Gran Bretagna (nonostante il sistema politico non lo impedisse). I paesi in cui vi fu la crisi erano accomunati dalla situazione economica (in Europa nel 1846-47 vi fu una crisi economica che causò miseria, carestie e disoccupazione), dalla attesa di un nuovo grande sommovimento rivoluzionario, richiesta di libertà politiche e di democrazia (in Italia, in Germania e nell'Impero asburgico) e dalla emancipazione nazionale. Tutte queste giornate rivoluzionarie iniziarono con  dimostrazioni popolari nelle diverse capitali e sfociarono in scontri armati. La novità delle rivoluzioni del 1848 consiste nella partecipazione delle massi popolari e nella presenza di obiettivi sia sociali che politici. Il testo base della rivoluzione proletaria era il Manifesto ei comunisti di Marx ed Engels

LA RIVOLUZIONE DI FEBBRAIO IN FRANCIA

il centro principale del moto rivoluzionario fu la Francia in cui vi era la monarchia liberale di Luigi Filippo d'Orleans, la quale aveva imposto dei limiti sempre meno tollerabili e conduceva una politica ultramoderata. Per tale motivo si formò un opposizione in cui erano presenti i lberali progressisti, i democratici, i bonapartisti, i socialisti e parte dell'opinione pubblica cattolica e legittimista. Obiettivo dei democratici era il SUFFRAGGIO UNIVERSAE (secondo cui tutti i cittadini maschi potevano votare) in modo da poter rislvere i problemi sociali del Paese. I democratici si riunivano in “BANCHETTI” ovvero delle riunioni private che eludevano i divieti governativi. La scintilla che fece innescare la crisi rivoluzionaria fu il divieto di un banchetto previsto per il 22 febbraio a Parigi. Da ciò ne conseguì una ribellione da parte di lavoratori e studenti parigini. La Guardia Nazionale anziché difendere la monarchia liberale di Luigi Filippo d'Orleans, si alleò con la protesta, in quanto essa salvaguardava gli interessi  della borghesia cittadina. Tale ribellione non fu placata e dopo 2 giorni il 1° ministro venne destualizzato e Luigi Filippo abbandonò Parigi. Si formò subito un governo provvisorio a prevalenza democratica in cui per la prima volta vi erano anche 2 socialisti: il politico Louis Blanc e l'operaio Alexandre Martin. Il governo della Seconda Repubblica: abrogò ogni limitazione alla libertà di riunione e stampa; abolì la pena di morte per reati politici; si impegnava a rispettare l'equilibrio dell'europa rinunciando  a portare la rivoluzione oltre i confini francesi; venne stabilito che in una giornata si poteva lavorare 11 ore; venne affermato il principio di diritto al lavoro e per tale motivo vennero create delle officine nazionali che impiegavano i disoccupati in imprese di pubblica utiità alle dipendenze del Ministero dei Lavori pubblici. Questo intervento dello Stato non venne considerato positivamente dai moderati perché incompatibile con i principi del liberalismo economico. Il 23 Aprile 1848 ci furono le elezioni a suffraggio universale per l'Assemblea Costituente e vinsero i REPUBBLICANI MODERATI e i socialisti venneor esclusi. Il 15 maggio il popolo parigino manifestò per appoggiare i democratici, ma tale manifestazione venne repressa dalla Guardia Nazionale e molti capi della sinistra furono arrestati. Un mese dopo il governo chiuse le officine nazionali e obbligò i disoccupati ad arruolarsi, il popolo si ribellò ma venne sedato con la violenza. La repessione della rivolta segnò la fine dell'ondata rivoluzionaria europea e all'interno della Francia. Nel mese di Novembre l'Assemblea costtuente approvò una costituzione democratica (ispirata al modello statunitense) che prevedeva un presidente della Repubblica eletto dal popolo ogni 4 anni e un'unica Assemblea legislativa eletta sempre dal popolo. Il 10 dicembre del 1848 ci furono le elezioni presidenziali i cui candidati erano: CAVIGNAC per i repubblicani moderati; LEDRU-ROLLIN per i repubblicani progressisti; LUIGI NAPOLEONE BONAPARTE per la desta conservatrice. Vinse quest'ultimo anche per la forza del suo nome.

LA FRANCIA DELLA SECONDA REPUBBLICA AL SECONDO IMPERO

Con le elezioni del 13 maggio 1849 per la nuova Assemblea legislativa, si affermò alla Camera una maggioranza clerico- conservatrice. Tra le prime decisioni del governo ci fu quella di correre in difesa del papato contro la Repubblica romana. Nel 1850 venne varata sia una legge che consentiva alla Chiesa di controllare l'istruzione scolastica e universitaria sia una legge  che privava del voto elettorale ai nullatenenti. Nel luglio 1851 la Camera si rifiutò di modificare un articolo della Costituzione che impediva la rielezione di un presidente alla scadenza del mandato. Ciò avvenne perché la maggioranza moderata riteneva che Bonaparte stesse rafforzando il potere personale. Il 2 dicembre del 1851 ci fu un colpo di Stato in quanto Bonaparte con l'aiuto dell'esercito sciolse la Camera. Nello stesso mese, un plebiscito a suffragio universale approvò l'operato di Bonaparte e gli attribuì il compito di redigere una nuova costituzione. Questa venne varata il mese successivo e stabiliva una durata decennale del mandato presidenziale. Nel dicembre del 1852 ci fu un altro plebiscito che abolì la Repubblica e sancì la Restaurazione dell'Impero. Luigi Napoleone assunse il nome di Napoleone III con il diritto di trasmettere il suo titolo ai suoi eredi.

LA RIVOLUZIONE DELL'EUROPA CENTRALE

Nel mese di marzo il moto rivoluzionario si propagò all'impero asburgico, agli Stati Italiani e alla Confederazione germanica. Diversamente da quanto era accaduto in Francia, lo scontro era fra la borghesia liberale (appoggiata da una buona parte delle classi popolari) e le strutture politiche dell'assolutismo. Il 1° episodio insurrezionale avvenne a Vienna il 13 marzo ma venne represso dall'esercito. Ma il regno di Ferdinando I fu costretto ad allontanare il cancelliere Metternich il quale rappresentava l'età della Restaurazione e aveva avuto il potere per 40 anni. A maggio l'imperatore Ferdinando I fu costretto ad abbandonare Vienna e dovette convocare un Parlamento dell'Impero a suffragio universale. A PRAGA, dove si era formato un governo prvvisorio fu convocato un congrasso di tutte le popolazioni slave dell'Impero che chiedevano maggiore autonomia; a pochi giorni dall'apertura del congresso, scoppiarono degli incidenti fra la popolazione e l'esercito dando in tal modo, alle truppe imperiali il pretesto per intervenire. La capitale boema venne bombardata e il governo ceco venne sciolto. In UNGHERIA sotto la guida di Lajoj Kossuth venne creato un governo nazionale per agire in modo autonomo da Vienna ( si approfittarono del momento di crisi). A suffragio universale venne eletto un nuovo parlamento, venne abolita la servitù della gleba in tutte le regioni dell'impero. L'Impero Asburgico per venire a capo della secessione si approffitò della rivalità che c'era tra gli Slavi del Sud (Croati) e i Magiari. I MAGIARI volevano riunire in unico regno tutti quei territori slavi chein passato avevano fatto parte del regno magiaro. Gli SLAVI DEL SUD si schierarono con l'Impero Asburgico in quanto gli permetteva di conservare un'identità nazionale. Josip Jelaia fu nominato governatore della Croazia e con il suo esercito enro in Ungheria unendosi alle truppe imperiali. L'impero austriaco però momentaneamente dovette abbandonare l'Ungheria perché a Vienna scoppiò una rivolta ed era necessario richiamare l'esercito presente in Ungheria. La rivolta che scoppiò a Vienna consisteva nell'impedire la partenza di nuove truppe per il fronte. Tale rivolta venne sedata. Poco dopo Ferdinando I abdicò in favore di suo nipote Francesco Giuseppe che nel marzo dell'anno successivo sciolse il Reichstag e concesse una costituzione moderata che prevedeva un Parlamento eletto a suffraggio limitato e riaffermava la struttura centralistica dell'Impero. L'assemblea di Francoforte si bloccò sulla questione nazionale, in quanto era divisa tra sostenitori della “GRANDE GERMANIA” (secondo cui tutti gli Stati germanici si dovevano unificare intorno all'Austria imperiaele) e sostenitori della “PICCOLA GERMANIA” (secondo cui lo Stato nazionale dovea costruirsi sul nucleo principale del Regno di Prussia. Vinse l'ipotesi della “PICCOLA GERMANIA” ma quando al re di Prussia gli venne offerta la corona imperiale, questi la rifiutò perché offerta da un'assembea nata da un moto rivoluzionario. Questo rifiuto segnò la fine dell'Assemblea di Francoforte.


 

LA RIVOLUZIONE IN ITALIA E LA PRIMA GUERRA DI INDIPENDENZA

Le correnti politiche, nella rivoluzione del 1848 in Italia, avevano come obiettivo la concessione di costituenti (o statuti) ondata sul sistema rappresentativo. In seguit alla sollevazione di Palermo nel gennaio del 1848, Ferdinando II di Borbone annunciò la concessione di una costituzione nel Regno delle 2 Sicilia. In seguito dovettero fare lo stesso Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo II di Toscana e Pio IX. Tali costituzioni avevano carattere moderato ed erano ispirate al modello francese. Quella più importante è quella di Carlo Alberto e prevedeva: una CAMERA DEI DEPUTATI (che potevano essere votati da una ristretta minoranza di cittadini di censo elevato); un SENATO (composto da elementi scelti dal re); un GOVERNO (che doveva dipendere dalle decisioni del sovrano). Successivamente a Venezia insorse una manifestazione popolare che impose al governatore austrac di liberare alcuni detenuti politici, tra cui il capo dei democratici: DANIEL MANIN. Dopo pochi giorni, in seguito a una rivolta degli operai dell'Arsenale militare, i reparti austriaci dovettero arrendersi. Venne fatto un governo provvisorio presieduto da Manin e venne proclama lata la costituzione della Repubblica Veneta. Dopo 5 giorni d'insurrezione gli austriaci vennero cacciati anche da Milano, in cui la operazione fu guidata da Carlo cattaneo. Diverse regioni chiesero a Carlo Alberto di capeggiare il movimento antiustriaco. Così il Piemonte dichiarò guerra all'Austria. Vi era un'agitazione patrittica e per non destabilizzare il loro trono Ferdinando II di Napoli, Leopoldo II di Toscana e Pio IX decisero di unirsi alla guerra antiaustriaca inviando le loro truppe che partirono assieme a molti volontari. La guerra austro-piemontese assumeva l'aspetto di una guerra d'indipendenza nazionale. Questa fonte nazionale però si sgretolò. Infatti di fronte all'evidente mira espansionistica di Carlo Alberto, il papa Pio IX ritirò le sue truppe perché era preoccupato di vedersi coinvolto in uno scontro con una potenza cattolica. Successivamente stessa cosa fecero il Granduca di Toscana e Ferdinando di Borbone. Il regno sabaudo alla fine si ritrovò solo ad affrontare l'esercito austriaco anche se alcuni vennero in soccorso dal Sud America: GIUSEPE GARIBALDI. Le truppe sabaude vennero sconfitte alla fine del mese di luglio a CUSTOZA (Verona) e si ritirarono oltre il Ticino. Il 9 agosto fu firmato l'armistizio con gli austriaci.

CRITICA A CARLO ALBERTO

A Carlo Alberto venne molto criticata la sua incertezza a scendere in campo contro l'Austria: egli infatti varcò i confini lomabardi solo dopo un esito positivo dell'insurrezione milanese e gli austriaci erano stati costretti ad abbandonare la città. Dichierò guerra il 23 marzo non nascondendo di voler ampliare i suoi domini.

LOTTE DEMOCRATICHE E RESTAURAZIONE CONSERVATRICE

Dopo la sconfitta del Piemonte rimasero a combattere contro l'Impero Asburgico solo i democratici italiani e gli ungheresi. La maggioranza della popolazione italiana rimase estranea e ostile alle loro battaglie. Nell'autunno del 1848 la situazione in Italia era: SICILIA (sotto il controllo dei separatisti con un proprio governo e una propria costituzione democratica); VENEZIA (era in mano agli insorti); TOSCANA (il granduca dovette accettare un governo di stampo democratic); ROMA (in seguito all'uccisione del 1° ministro del Pontefice il papa fuggì a Gaeta sotto la protezione di Ferdinando di Borbone. I democratici si approffitarono di ciò per conquistare Roma).

Nel gennaio del 1849, in tutti i territori dell'ex Stato pontificio, venne eletta a suffraggio universale una Assemblea costituente. Fra i molti eletti democratici c'erano anche Mazzini e Garibaldi. Nel mese successivo l'Assemblea annunciò la decadenza del potere temporale e proclamò la Repubblica romana. Il governo democratico toscano rovesciò Leopoldo II che fuggì e il potere passò nelle mani del triumvrato composto da Montanelli, Guerrazzi e Mazzoni. Carlo Alberto, stretto tra le pressioni dei democratici piemontesi e le pesantissime condizioni del pace impostagli dall'Austria, dichierò nuovamente guerra. Questa volta la reazione austriaca fu immediata ed' Carlo Alberto, per non mettere in pericolo la continuità dinastica abdicò a favore del figlio Vittorio Emanuele II. Quest'ultimo il giorno dopo firmò un nuovo armistizio con gli austriaci. Gli austriaci  successivamente presero d'assedio Venezia; i territori emiliano-romagnoli e marchigiani dello Stato pontificio furono occupati; la Repubblica toscana venne abbattuta. Invece Ferdinando re di Borbone riuscì a conquisatre la Sicilia. Dopo questa disfatta Pio IX si appellò  a tutte le forze cattoliche perché abbattessero la Repubblica romana. Alla sua chiamata aderì la Spagna, l'Austria, il Regno di Naoli, la Repubblica francese. In giugno un corpo di spedizione francese attaccò Roma ma poco prima della resa l'assemblea costituente procamò la Costituzione della Repubblica Romana in cui venia sottolineata la laicità dello Stato ma nonostante il Papa era libero di esercitare la sua missione religiosa. Dopo la fine della Reppublica romana l'unico focolaio acceso era l'Ungheria anche grazie all'aiuto dello zar di Russia Nicola I il quale era preoccupato di questo focolaio rivoluzionario vicino al suo impero. Infine capitolò anche Venezia.

 

    1. Il capitalismo a una svolta: concentrazioni, protezionismo, imperialismo. L’ultimo trentennio dell’Ottocento vide delle enormi trasformazioni dell’economia capitalistica, che diedero vita alla seconda rivoluzione industriale. Nel 1873 scoppiò una improvvisa crisi di sovrapproduzione (non recessione, solo rallentamento), risultato delle mutazioni organizzative e delle innovazioni tecnologiche, che permisero di abbassare i costi di produzione. Vi fu un rallentamento globale dei ritmi produttivi,  che assunse forme e durate diverse. Il commercio continuò regolare e il livello di vita in media crebbe, essendo aumentato il potere di acquisto. Gli imprenditori, di fronte alle nuove dinamiche presentate dal mercato e alla concorrenza sempre più accanita, cercarono soluzioni al di fuori dei canoni liberisti - grandi consociazioni (holdings), consorzi (cartelli o pools), concentrazioni tra imprese indipendenti (trusts): queste ultime potevano essere orizzontali (se associavano aziende operanti nel medesimo settore) o verticali (diverse fasi di lavorazione del prodotto), e spesso sfociavano in regimi di monopolio (la Standard Oil di John Rockefeller). Naturalmente le banche giocarono un ruolo fondamentale, essendo le uniche in grado di garantire costanti flussi di capitale di investimento - compenetrazione tra banche e imprese (capitalismo finanziario secondo i marxisti) fu il motore del sistema economico. Vi fu una maggiore ingerenza statale nell’economia, che sfociò in misure protezionistiche molto severe (dazi doganali), che dovevano favorire la produzione interna limitando IMP. Unica eccezione: GB, che fu doppiamente danneggiata, vedendo da un lato ridursi gli sbocchi di mercato per le sue merci, dall’altro la crescita delle imprese straniere - industrie tedesche e statunitensi (specializzate nelle nuove branche dell’industria) superarono quelle inglesi. Londra reagì intensificando scambi con colonie: la corsa ai nuovi mercati di sbocco e alle materie prime non fu prerogativa inglese - età dell’imperialismo.
    2. La crisi agraria e le sue conseguenze. Il settore più colpito dalla crisi di fine Ottocento fu quello agricolo; l’agricoltura europea restava frenata da squilibri impressionanti: se infatti in gran parte dell’Europa occidentale le innovazioni agricole

(fertilizzanti chimici, rotazione, nuove colture, meccanizzazione) davano già i loro frutti, nella fascia mediterranea del continente il latifondo e l’arretratezza delle attrezzature inchiodavano la produzione su livelli bassissimi. Quando i prodotti della nuova agricoltura americana (ogni contadino del Midwest poteva arrischiarsi ad investire) raggiunsero i mercati europei, i prezzi crollarono bruscamente, mandando in rovina numerose aziende agricole - disoccupazione, fame, miseria - tensioni sociali e movimenti migratori, soprattutto verso gli Stati Uniti (con il passare degli anni emigravano per lo più latini e slavi, non più tedeschi, inglesi e irlandesi). La crisi agraria spinse i governi ad imboccare la via del protezionismo, che pur tamponando parzialmente gli effetti del tracollo ebbe costi sociali altissimi: danneggiò i consumatori e procrastinò ulteriormente l’ammodernamento delle tecniche - il generale declino del settore agricolo era ormai inarrestabile.

    1. Scienza e tecnologia. La seconda rivoluzione industriale fu diversa dalla prima, in quanto fece sentire i suoi effetti su un’area più vasta ed ebbe una diffusione più capillare, facendo un uso continuo della scienza e dei suoi grandi personaggi (Hertz, Marconi, Edison…..), le cui scoperte mutarono le abitudini e i comportamenti futuri di milioni di persone (ascensore, telefono, lampadina, grammofono, pneumatici, bicicletta, tram elettrico, automobile, macchina da scrivere…). Era il trionfo della scienza, e un legame inscindibile nasceva tra essa e la tecnologia e tra la tecnologia e la produzione - quindi tra scienza e economia.
    2. Le nuove industrie. I rinnovamenti tecnologici più interessanti si concentrarono in industrie “giovani”, come la chimica e la produzione dell’acciaio, insieme al settore elettrico. L’acciaio iniziò ad essere utilizzato su larghissima scala, quando grazie a nuove tecniche fu possibile produrne in grandi quantità a prezzi inferiori - fu utilizzato nei campi più disparati, dalle rotaie dei treni alle corazze delle navi da guerra; se ne servì molto l’ingegneria civile (1889: Tower Building di NYC e la Tour Eiffel  parigina). Anche la chimica fece passi da gigante, legandosi agli altri settori con un rapporto causa-effetto - alluminio, coloranti artificiali, fibre tessili nuove, pneumatici, dinamite di Nobel. Grande utilità ebbe nella produzione dei prodotti “ intermedi” (acido solforico, soda) e nello sviluppo dei settori farmaceutico e alimentare: per la prima volta nella storia fu possibile conservare cibi deperibili e trasportarli a grande distanza dai luoghi di produzione.
    3. Motori a scoppio ed elettricità. Macchina a vapore e carbone stanno alla prima rivoluzione industriale come motore a scoppio ed elettricità stanno alla seconda. Il motore a scoppio fu studiato dagli anni ’50 in avanti, e le prime automobili  arrivarono nel 1885, ma fu solo nel periodo della IGM che la produzione in serie prese piede - estrazione del petrolio, molto costoso, anche se utile - il carbone restava combustibile più usato. Altra grande protagonista del periodo fu l’elettricità: dalla pila di Volta alle dinamo ai motori elettrici, questa forma di distribuzione della energia si fece largo nel mondo, culminando nel 1879 con l’invenzione della lampadina da parte di Edison. Nacquero così centrali termiche, che permisero per la prima volta l’illuminazione pubblica elettrica, e non a gas. Presto si cominciò a fare ricorso alla potenza dell’acqua e vennero costruite numerose centrali idroelettriche. Il settore elettrico svolse un ruolo di primo piano nella modernizzazione ed ebbe effetti incredibili sull’interà società (illuminazione e trasporti, ad esempio, ma anche telefono, grammofono e cinematografo).
    4. Le nuove frontiere della medicina. Rimasta immobile per secoli, in questo periodo anche la medicina subì delle evoluzioni profonde, poggianti su quattro cardini fondamentali: 1) la diffusione delle pratiche igieniste - strategie di prevenzione e contenimento delle malattie epidemiche attraverso un azione sull’ambiente, non l’individuo; 2) lo sviluppo della microscopia ottica (Koch e Pasteur) e la successiva scoperta dei microrganismi responsabili di alcune malattie infettive; 3) i progressi della chimica e della farmacologia - nuovi farmaci (pratica della anestesia chirurgica, scoperta dell’aspirina e del Ddt); 4) nuova ingegneria sanitaria - osservazione sistematica del malato, seguito ora in grandi policlinici organizzati.
    5. Il boom demografico. La rivoluzione tecnologica non migliorò solo la qualità della vita, ne aumentò anche la durata media: i progressi di medicina e igiene, gli sviluppi dell’industria alimentare, la quasi totale eliminazione delle epidemie e delle carestie portò la vita dell’uomo europeo a durare in media circa 50 anni, dai 40 della metà dell’Ottocento. La popolazione europea  crebbe del 60% in cinquant’anni, quella americana quadruplicò. Ma alla caduta della mortalità si accompagnava anche una diminuzione della natalità, tendenza spesso riscontrata nei paesi più sviluppati economicante, sintomo di un atteggiamento nuovo che mira a programmare razionalmente la famiglia e il suo futuro. Europa: 425 milioni di abitanti. Nord America: 80 milioni di abitanti.

 

 

  1. - Imperialismo e colonialismo.

 

    1. La febbre coloniale. Le potenze europee sul finire dell’Ottocento e in un brevissimo lasso di tempo costituirono degli immensi imperi coloniali, ampliando i loro possedimenti d’oltremare: ma non era la colonizzazione tradizionale, erano invece a sfruttamento economico e ad assoggettamento politico che le colonie e i protettorati erano esposti. Non solo GB e Francia, ma furono colti dalla febbre coloniale anche Germania, Belgio, Italia, e poi Giappone e USA. Ben presto gran parte dell’opinione pubblica e della classe dirigente si faceva fautrice del colonialismo, che divenne preoccupazione primaria dei governi, mentre nei decenni precedenti era stata prerogativa privata. Motivazioni economiche: materie prime a basso costo, sbocchi commerciali, investimenti ad alto profitto; ma accanto a queste (comunque relative, visto che in realtà pochissimo si investiva nelle colonie e la maggioranza dei commerci avveniva tra paesi industrializzati) vi erano motivazioni politico-ideologiche, che avevano le loro radici nella cultura positivista, nel nazionalismo, nel razzismo, persino nello spirito missionario. In particolare la GB aveva l’idea del “fardello dell’uomo bianco”, che in quanto superiore deve redimere i popoli selvaggi. Era un paternalismo non privo di una componente positivista e umanitaria, ispirato e stimolato dalle avventure dei grandi esploratori, da Livingstone a Burton e Speke che scoprirono le sorgenti del Nilo. Alla fine del processo di espansione, il mondo era totalmente spartito in imperi e zone di influenza.
    2. Colonizzatori e colonizzati. L’Europa esportò spesso nelle colonie la sua parte peggiore: la violenza era sistematica contro i locali, vittime di crudeltà inaudite e massacri indicibili; dal punto di vista economico vi furono molte migliorie apportate dai colonizzatori (come nuovi appezzamenti coltivati, nuove tecniche agricole, nuove attività produttive), ma questo processo di sviluppo era in funzione dell’interesse degli europei, che in pratica non facevano che mettere in opera uno sfruttamento coloniale, che modificò i sistemi economici locali basati su autoconsumo e commerci interni e fece passare le popolazioni ingidene dalla povertà al sottosviluppo. La cultura, per quanto i modelli coloniali fossero molto diversi gli uni dagli altri (gli inglesi erano rispettosi dei locali, i francesi per niente), fu brutalmente alterata o distrutta dall’arrivo dei colonizzatori, soprattutto dove vi erano sistemi sociali meno organizzati (Africa nera, mentre Asia e Africa settentrionale si difesero meglio). Per contro, sul piano politico gli europei portarono al risveglio dei nazionalismi locali.

    1. L’espansione in Asia. La presenza europea in Asia era già consolidata da tempo, ma nel 1869, con l’apertura del canale di Suez (controllato da Parigi e Londra), questa corsa all’Oriente divenne ancora più febbrile; le direttrici rimasero le stesse: UK consolida il dominio sull’ India (la sua perla, anche se possiede anche Ceylon, Hong Kong, Singapore…), la Francia prosegue la sua penetrazione in Indocina, l’Impero russo spinge su Estremo Oriente e Asia centrale. Intanto ai portoghesi Macao e Goa. Agli spagnoli le Filippine. Agli olandesi l’Indonesia. India: risorsa incommensurabile per Londra, grande mercato di sbocco; era una enorme nazione gestita dalla Compagnia delle Indie orientali. Nonostante già un secolo di presenza inglese la società indiana non era cambiata molto: agricoltura poverissima reggeva l’economia, sistema di caste, industria cotoniera locale distrutta da concorrenza brit, potere centrale Moghul ridicolmente debole. I brits tentarono occidentalizzazione e modernizzazione appoggiandosi al sistema sociale già esistente - però ci sono reazioni: dopo la rivolta del Sepoys, la Compagnia delle Indie è abolita e la colonia è amministrata dal viceré. Ristrutturazione del sistema, basata sulla collaborazione tra inglesi ed elementi indigeni fedeli alla corona (indirect rule), le ferrovie permisero controllo militare più capillare. Vittoria proclamata imperatrice d’India nel 1876. Come per emulare i brits, i francesi iniziano la penetrazione in Indocina, di religione buddista e divisa in regni orbitanti attorno alla Cina: Annam, Siam e Cambogia. Inizialmente era solo una presenza commerciale in alcune basi, poi col pretesto di difendere i missionari arriva l’intervento militare - prima fase: 1862, occupazione Cocincina; 1863, protettorato sulla Cambogia. Seconda fase, anni ’80: dopo tre anni di guerra con Cina annettono tutto Annam. La rispettiva paura spinse Francia  e GB ad occupare rispettivamente Laos e Birmania e a stabilire come stato-cuscinetto il Siam. A nord, invece, gli inglesi erano minacciati dalla Russia, che si spingeva da un lato verso EO e il Pacifico attraverso la Siberia (che in 50 anni vide raddoppiata popolazione e una crescita produttiva considerevole, ad opera dello stato): alcune regioni furono cedute dalla Cina, 1860, anno di nascita di Vladivostok, sul Mar del Giappone. 1867: Alaska ceduta a USA. 1891: avvio costruzione Transiberiana Mosca- Vladivostok. Entro l’’85, in Asia Centrale, lo zar conquistò il Turchestan, zona fondamentale - guerra per procura con GB attraverso le tribù locali. 1885: accordo = Afghanistan indipendente, ma sotto influenza brit. Nel Pacifico si espandevano GB e Germania, ma si affacciavano anche USA e Giappone. Quest’ultimo mosse guerra alla Cina nel 1894, la sconfisse di brutto e si fece cedere Corea e Formosa. Indebolimento della Cina giovò agli europei. Il rischio di disfatta imperiale spinse in Cina alla nascita di un movimento conservatore, nazionalista e xenofobo, i boxers, che volevano ripristinare l’antico ordine cercando di scacciare gli stranieri, oggetto di continue violenze - 1900: USA e Giappone intervennero e Pechino fu occupata. Ma la Cina non si poteva spartire, a causa del nazionalismo fortissimo, la cui sconfittà aprì la strada ad un movimento democratico e occidentalizzante.
    2. Le origini dell’imperialismo americano. USA non potevano attuare il colonialismo di stampo europeo senza tradire i loro principi di nazione nata da una rivolta coloniale - colonialismo informale, ovvero controllo economico attraverso EXP. Alcuni volevano l’esportazione dei principi americani. Dure direttrici: Pacifico, continuazione della “corsa all’Ovest”, e America Latina,  su cui secondo una aggiornata dottrina Monroe si esercita un controllo economico e una tutela politica. 1895: intervento a Cuba, a supporto dei locali contro la presenza spagnola. Una corazzata affondata è il casus belli - Spagna sconfitta deve cedere Porto Rico e le Filippine. Nel Pacifico furono annesse le Hawaii, fondamentale punto di appoggio per le rotte ocenaniche - in pochi mesi USA si erano affacciati sul mondo con forza.
    3. La spartizione dell’Africa. Le antiche civiltà africane erano un ricordo all’arrivo degli europei, debellate da guerre, decadenza commerciale e schiavitù, prima islamica poi europea: antichi regni del Ghana e del Mali erano scomparsi, c’erano solo potentati locali e diverse tribù; elemento coesivo: Islam. Etiopia: impero compattamente cristiano. Alcuna coesione invece nell’Africa centrale e meridionale: società tribali disaggregate e funestaste da guerre intestine sanguinosissime (zulu). I primi atti dell’espansione sono nel 1881 l’occupazione francese della Tunisia e nel 1882 quella inglese dell’Egitto, entrambe formalmente ottomani. Paesi in cui modernizzazione era fallita: per evitare la bancarotta UK e Fr li occupano. Parigi entra dall’Algeria e impone protettorato a Tunisi - reazione in Egitto, dove Arabi Pascià nazionalista inizia una rivolta antieuropea, sedata poi dagli inglesi che occupano il Paese. Dall’Egitto si lanciano contro il Mahdi del Sudan, integralista islamico fautore di una teocrazia - guerra santa, sedata da Londra solo nel 1898. Azione unilaterale brit - Francia se la prende - rivalità ventennale e corsa alla conquista dell’Africa nera. Contrasti nel bacino del Congo, dove Leopoldo II con scuse umanitarie crea una colonia personale in pratica (minerali del Katanga). Lite con Portogallo per la foce del Congo - Conferenza di Berlino, 1884-85, stabilì i principi della spartizione dell’Africa: effettiva occupazione, ma questa peggiorò le cose e accelerò la corsa. Spartizione totale: Congo a Leopoldo, Togo e Camerun a Germania, Niger basso a GB mentre la Francia dopo dieci anni di guerra con islamici riuscì a controllare immensi territori, per lo più desertici, che andavano dall’Atlantico al Sudan e dal Congo al Mediterraneo. Londra si concentra sull’Africa orientale, importante per l’Oceano Indiano; tra 1885 e 1895 partendo dal Capo risalgono fino allo Zambesi  e al lago Nassa, prendono Kenya e Uganda - volevano un collegamento nord-sud lungo l’asse nilotico dal Capo al Cairo, impossibile per il Tanganika tedesco; in cambio hanno Zanzibar. Incidente di Fashoda, Sudan, tra GB e Fr: niente guerra perché Parigi desiste. Inizio Novecento: Africa tutta spartita, con confini arbitrari e sballati, che saranno gli stessi delle indipendenze. Allora restavano liberi e autonomi Liberia, Etiopia, Marocco e Libia.
    4. Il Sud Africa e la guerra angle-boera. Caso particolare di conflitto tra una potenza coloniale europea e un nazionalismo locale europeo. Boeri, discendenti dei contadini olandesi del Seicento stanziatisi al Capo di Buona Speranza, era caduti sotto il dominio inglese quando Londra ottenne la colonia del Capo. Inizialmente fuggirono verso l’Orange e il Transvaal, finchè non vi furono scoperti i diamanti. GB di nuovo interessata: politica aggressiva di Cecil Rhodes, fautore del grande ordine inglese in Africa e dell’asse Capo-Cairo, che finì per circondare le due repubbliche boere piazzandosi anche nello Zambesi (poi Rhodesia). Attorno al 1885 molti inglesi si trasferiscono dai boeri quando sono scoperti giacimenti di oro - nuove tensioni, anche perché tra inglesi e boeri c’erano visioni opposte della società, specie indigene. 1899: Kruger, presidente del Transvaal, dichiarò guerra alla GB - conflitto lungo e violento. Vittoria inglese dopo parecchi anni, ma i boeri ottengono statuti autonomi e di fatto collaborarono con Londra nella gestione e lo sfruttamento delle enormi risorse metallifere e minerarie dell’Unione Sudafricana.

 

 

  1. - Stato e società nell’Italia unita.

 

    1. L’Italia nel 1861. Dei 22 milioni di italiani pochissimi parlavano la lingua italiana, invece usavano il dialetto; del resto il 78% di loro era analfabeta. L’Italia era uno dei paesi più urbanizzati d’Europa: il 20% della popolazione viveva nelle città, dove però mancavano strutture produttive: il 70% della popolazione attiva era impegnato nell’agricoltura, settore che occupava il 58% del PIL. Agricoltura povera tra l’altro, per le condizioni naturali - produttività bassa. Nell’area padana esistevano alcune aziende

      capitalistiche moderne che impiegavano manodopera salariata, mentre nel centro della penisola dominava ancora la mezzadria, un tipo di contratto che se da un lato caricava di immensi oneri il contadino impedendo uno sviluppo dell’agricoltura, dall’altro manteneva una certa pace sociale. Nel Mezzogiorno e nelle isole c’era invece il latifondo (immensi terreni, pochi borghi), ancora segnato dal sistema feudale da poco abolito (contratti agrari arcaici). I contadini italiani erano poverissimi, avevano un bassissimo livello di vita, erano malnutriti (pellagra), vivevano in condizioni disumane. La realtà agricola non era affatto conosciuta da borghesia e opinione pubblica, perché mancavano dati e comunicazioni interne alla penisola; i politici si disinteressarono sempre del Sud, considerandolo come un pezzo di Africa. Era un realtà mal conosciuta e mal compresa.

 

    1. La classe dirigente: Destra e Sinistra. I successori di Cavour continuarono la sua politica accentratrice, laica e liberista, ma senza il suo genio politico. Nel primo quindicennio di unità il Paese fu governato da un gruppo dirigente costituito soprattutto da lombardi, piemontesi, emiliani e toscani. Meno rappresentati erano i meridionali. Tuttavia era un gruppo piuttosto omogeneo, di origine aristocratica e politicamente moderata: era la cosiddetta “Destra storica”. La vera destra (clericali e nostalgici dei vecchi regimi) si era autoesclusa, di fatto come la sinistra mazziniana più radicale e i repubblicani più intransigenti, lasciando sedere ai banchi dell’opposizione in Parlamento la vecchia sinistra piemontese e i patrioti mazziniani e garibaldini che si inserivano nelle istituzioni monarchiche (per cambiarle). La Sinistra aveva una base sociale più ampia (piccolo e medio-borghesi urbani e operai e artigiani) - nei primi anni si concentrò sulle rivendicazioni risorgimentali: suffragio universale, decentramento amministrativo, completamento dell’unità. Destra e Sinistra erano espressione di un “paese legale”, poco rappresentativo del “paese reale”. Il sistema piemontese era stato allargato a tutto il Regno, di fatto la vita politica aveva un carattere oligarchico e personalistico. Mancavano partiti, la lotta politica era incentrata su singole personalità, dominata da pochi notabili e condizionata dall’esecutivo. Incapacità politica di capire i fermenti della società italiana - isolamento della classe dirigente.
    2. Lo Stato accentrato, il Mezzogiorno, il brigantaggio. Sebbene in teoria i leaders della Destra fossero favorevoli al decentramento, le necessità incombenti del primo periodo unitario li spinsero a prediligere un modello più napoleonico, gerarchico e accentrato. Tra il 1859 e il 1860 il ministro La Marmora, sfruttando il potere straordinario derivatogli dalla stato di guerra, emanò una serie di leggi sui settori-chiave del paese: a volte estendeva a tutto il territorio le leggi piemontesi, altre volte ne creava di nuove, come quelle Casati sull’istruzione o quella Rattazzi sui comuni. Leggi unificatrici, prima provvisoriamente,  poi definitivamente col secondo governo Ricasoli. Altro motivo per cui fu preferito l’accentramento era la situazione precaria del Sud: il malessere del meridione si univa alla diffidenza verso un governo lontano geograficamente, socialmente ed emotivamente - disordini, rivolte (sovvenzionati dalla corte borbonica in esilio a Roma), brigantaggio: queste bande mettevano a ferro e fuoco i piccoli comuni - nel 1863 la metà dell’esercito italiano era stanziato al Sud per reprimere il fenomeno. Nelle province interessate vigeva una sorta di regime di guerra. Nel giro di pochi anni il grande brigantaggio fu sconfitto. Ma i motivi che lo avevano scatenato restarono tutti, in primo luogo il problema della terra: i contadini volevano la proprietà della terra, la divisione dei terreni demaniali proseguiva invece lentissima; nemmeno la vendita dei beni ecclesiastici sortì gli effetti desiderati, perché gli appezzamenti furono acquistati dai grandi proprietari terrieri. La questione meridionale nasce qui, quando l’inadempienza politica della Destra accrebbe il divario tra Nord e Mezzogiorno.
    3. La politica economica: i costi dell’unificazione. Restava il problema dell’unificazione economica, cioè da un lato uniformare sistemi monetari e fiscali diversi e di abbattere le barriere doganali, dall’altro costruire una efficiente rete di comunicazioni stradali e ferroviarie. I principi liberisti del Regno sardo vennero estesi a tutta l’Italia, mentre le vie di comunicazione crescevano a ritmi vertiginosi: in dieci anni triplicarono i chilometri di binari, furono collegate le principali città - esportazioni possibili - agricoltura si sviluppa. Castigato invece dalla concorrenza internazionale fu il settore industriale, in particolare nel Mezzogiorno. La classe dirigente non seppe dare impulso ai settori più importanti ai fini della crescita, non vedendo altro schema se non quello liberista, che di fatto ebbe alcuni effetti positivi, come la rapida integrazione dell’Italia nel contesto economico europeo e la crescita del settore agricolo, con conseguente accumulo di capitali destinati alla costruzione delle infrastrutture. Restava un Paese poco sviluppato, nonostante grandi progressi, che raramente andavano a beneficio del popolo tutto. Tenore di vita rimane basso, schiacciato da una durissima politica fiscale, necessaria a coprire i costi dell’unificazione. Essa inizialmente era equilibrata, e divisa in imposte dirette e indirette. Con la guerra contro l’Austria l’onere fiscale crebbe sulle spalle degli italiani, furono introdotti il corso forzoso e la famosa tassa sul macinato, in pratica sul pane - prime agitazioni sociali nel 1869, le più preoccupanti nella pianura Padana, represse duramente. Se non altro nel 1875 fu raggiunto l’obiettivo del pareggio del bilancio, ma il malcontento era diffuso a tutti i livelli, e avrebbe contribuito alla caduta della Destra.
    4. Il completamento dell’unità. Mancavano ancora il Veneto, il Trentino, Roma e il Lazio, tutti erano d’accordo su questo. Roma sarebbe stata capitale, già a detta di Cavour. La divergenza era sulla strategia da seguire: la Destra preferiva la via diplomatica, la Sinistra la guerra popolare di liberazione. La presenza del Papa a Roma era il vero problema, in quanto egli era protetto da Parigi, e la Francia era il primo partner commerciale dell’Italia. Il clero e il cattolicesimo erano radicatissimi sul territorio italiano - questione spinosa. “Libera Chiesa in libero Stato”, diceva Cavour, che tentò la via diplomatica con Pio IX ma senza successo, come Ricasoli. L’iniziativa democratica si rifece largo dunque, con il progetto di conquista di Roma, per poi mettere le grandi potenze di fronte al fatto compiuto, ma l’intransigenza di Napoleone III spinse Vittorio Emanuele II a sconfessare l’impresa garibaldina - stato d’assedio in Sicilia e nel Mezzogiorno - scontro dell’Aspromonte. Dopo vi fu la Convenzione di settembre con la Francia: capitale da Torino a Firenze, e ritiro francese dal Lazio in cambio del rispetto dei confini pontifici da parte dell’Italia. Intanto giunse la possibilità di liberare il Veneto: l’alleanza dell’Italia con la Prussia permise a Bismarck di sconfiggere gli austriaci a Sadowa, nonostante le disfatte del nostro esercito incapace a Custoza e Lissa; dalla pace di Vienna del 1866 l’Italia ottenne il Veneto. Le sconfitte però gettarono il Regno nello sconforto e gli strascichi furono pesanti sul piano finanziario - un’altra volte i democratici approfittano della situazione di crisi e sconforto: Mazzini intensificò la propaganda e Garibaldi progettò un nuovo attacco a Roma, cercando stavolta di sfruttare l’appoggio dei patrioti romani che avrebbero  dovuto insorgere per permettere ai corpi volontari di entrare nell’Urbe - fu un altro fallimento, a cui si aggiunse la sconfitta di Mentana ad opera dei francesi, il che chiuse l’epoca delle imprese risorgimentali. Infatti, nel 1870 fu la caduta del Secondo Impero in conseguenza alla disfatta di Sedan a permettere all’Italia di avviare trattative col Papa, e una volta fallite queste di conquistare Roma (breccia di Porta Pia) - annessione di Roma e del Lazio. La successiva legge delle guarentigie assicurò al Papa la possibilità di svolgere il suo magistero spirituale e prerogative simili ad un capo di Stato: la Chiesa era libera in uno Stato libero, Pio IX rifiutò la dotazione annua per il mantenimento della corte papale offerta dal governo. Sciolta dal potere temporale la Chiesa divenne più snella ed influente, ma non per questo meno intransigente con il governo italiano - il non expedit divenne una sorta di regola per i cittadini, un divieto di partecipare alla vita pubblica - ulteriore frattura nella società.

    1. La Sinistra al potere. Con la Destra ormai frammentata, e gli avvenimenti della Comune parigina, la Sinistra parlamentare si fece più moderata, e accanto alla Sinistra piemontese di Depretis e a quella storica di Crispi e Cairoli, se ne fece avanti una giovane attenta ai propri interessi. Sulla questione della statalizzazione delle ferrovie la Destra si trovò in difficoltà e cadde con  le dimissioni del governo Minghetti - Depretis formò un nuovo governo, e alla elezioni del 1876 la Sinistra stravinse - al potere giunge una classe dirigente nuova e inesperta, un’età finiva con le morti di Mazzini e Garibaldi. I tentativi si spinsero verso una democratizzazione della vita politica e verso un allargamento delle basi dello Stato: la Sinistra rispose bene alle necessità della borghesia, che la Destra non aveva mai considerato. Il protagonista era il grande Agostino Depretis, esperto parlamentare piemontese che seppe mediare abilmente tra spinte progressiste e tendenze conservatrici, governando per un decennio. Il programma della Sinistra: allargamento suffragio universale, istruzione obbligatoria e gratuita, sgravi fiscali, decentramento (proposito presto abbandonato). Legge Coppino sull’istruzione elementare - problema economico. Riforma elettorale del 1882: corpo elettorale triplicato, anche se in realtà era appena il 7% della popolazione a causa dell’ancora alto analfabetismo. Più che altro era un corpo elettorale più vario, maggiormente rappresentativo del Paese intero. Tant’è vero che alle elezioni di quell’anno divenne deputato il socialista Andrea Costa. Le preoccupazioni per il rafforzamento dell’estrema sinistra spinsero Depretis a stipulare un accordo elettorale con Minghetti - trasformismo - ad un modello bipartitico di stampo brit subentrò un sistema in cui un grande centro ingloba le opposizioni moderate ed esclude le ali estreme. La maggioranza non era definita inbase ad   un programma, ma si creava giorno dopo giorno trasformiste erano i radicali.

 


  1. processo  politico  rallentato.  Principale  opposizione  alle   maggioranze

    1. Crisi agraria e sviluppo industriale. La Destra era caduta anche per la sua pessima politica economica, cui la Sinistra tentò di rimediare conciliando gli interessi della borghesia produttiva con quelli popolari. 1884: abolizione tassa sul macinato. Venne aumentata la spesa pubblica, che ebbe due risultati: se da un lato avviò l’industrializzazione, dall’altro fece ricomparire il deficit nel bilancio statale, senza risolvere le difficoltà economiche. Miglioramenti in agricoltura solo nelle zone più progredite, la pianura lombarda e il Mezzogiorno delle colture “specializzate”. Bonifiche nella Bassa Padana. 1877: Inchiesta agraria di Jacini mostrò che nulla era cambiato in venti anni al tenore di vita contadino  - quadro drammatico dell’agricoltura italiana.    Servivano investimenti sostanziosi, ma mancava capitale (bonifiche, irrigazioni, razionale avvicendamento delle colture)  -    crisi agraria a partire dal 1881. Per primi calarono i prezzi (a parte quelli che non subivano la concorrenza d’oltreoceano), poi la produzione - conflittualità nelle campagne, urbanizzazione, emigrazione (1881-1901: oltre due milioni di italiani emigrano). La crisi fece aprire gli occhi a quanti si aspettavano una crescita basata sulla sola agricoltura, e diede una bella spinta al decollo industriale, anche se dapprima lo ritardò. Dal 1878 c’è un primo cambio di rotta dal liberismo all’introduzione di alcuni dazi doganali a protezione del tessile. Con la fondazione poi delle Acciaierie di Terni fu chiaro che anche la siderurgica aveva bisogno di essere tutelata, come tutta l’industria e l’agricoltura italiane - 1887: grande svolta protezionistica con     l’introduzione di pesanti dazi d’entrata e nuove tariffe. Inizialmente ebbe effetti negativi: innanzitutto era sproporzionata la tutela data ai diversi settori (la meccanica e la seta erano del tutto snobbate ed entrarono in crisi), il prezzo dei cereali crebbe quando scese quello del grano, ma a pagare le conseguenze più pesanti fu ovviamente il Mezzogiorno, che basava la sua economia sull’export, che la rottura commerciale, poi la guerra doganale con la Francia, suo primo partner, debellò.
    2. La politica estera: la Triplice alleanza e l’espansione coloniale. Per uscire da un odioso isolamento diplomatico, che a Berlino aveva mostrato quanto poco l’Italia fosse considerata all’estero (immagine ancora più chiara con l’occupazione francese della Tunisia da tempo nelle mire italiane), anche in disaccordo con l’opinione pubblica, Depretis stipulò con Germania e Austria- Ungheria la Triplice alleanza (1882) - trattato difensivo, che spinse l’Italia nel sistema di sicurezza bismarckiano,  costringendola ad un  impegno  concreto  in  cambio  della  rinuncia  alla  rivendicazione  delle  terre  irredente  e  alla  protezione contro un improbabilissimo attacco francese. L’irredentismo era ancora fortissimo (impiccagione del triestino Oberdan). 1887: rinnovo della Triplice fu più propizio all’Italia, con due nuove clausole: la promessa di eventuali ed eque spartizioni balcaniche con Vienna; e l’impegno tedesco ad intervenire a fianco dell’Italia in caso di iniziativa francese in Marocco o Tripolitania (le aspirazioni coloniali si facevano largo). Contemporaneamente inizia l’avventura coloniale africana: 1882, acquisto baia di Assab, occupazione di Massaia. Si era al confine con l’Impero etiopico, l’unico Stato africano organizzato, fortissimo. Era un Paese povero, retto dal negus, che all’Italia non sarebbe servito a nulla economicamente: era tutto fatto         di prestigio. Dopo tentativi pacifici ci  fu  un tentativo militare, che sfociò con il massacro di 500 italiani a Dogali - proteste in Italia, ma il Governo manda rinforzi nel Corno d’Africa.
    3. Movimento operaio e organizzazioni cattoliche. La composizione della classe operaia in Italia era tale per cui la maggior parte fossero artigiani, lavoratori stagionali o a domicilio - tarda ad organizzarsi un movimento operaio. L’unico era la società  di mutuo soccorso, più uno strumento di educazione che un organismo di lotta, che iniziò a perdere terreno mano a mano che   lo scontro sociale si faceva più acceso, a favore del movimento internazionalista (socialista) che si rifaceva però più  all’anarchico Bakunin che a Marx. Il fallimento dei tentativi di insurrezione sociale spinsero Andrea Costa a cambiare rotta, sentendo la necessità di un programma più concreto, e a fondare il Partito socialista rivoluzionario di Romagna, che rimase  però sempre formazione regionale scollegata dal proletariato industriale in via di formazione. A rivendicare i lavoratori vi     erano molte leghe operaie che nell’’82  si  costituirono  nel  Partito  operaio  italiano,  che  però  era  classista  e  di  partito aveva poco. Tuttavia scoppiarono scioperi agricoli nella Bassa Padana; tra l’87 e il ’93 poi vi fu la nascita di federazioni di mestiere e Camere del lavoro - necessità di organizzarsi politicamente come una forza unitaria per coordinare gli sforzi a  livello nazionale. Era difficile, per scarsa conoscenza delle teorie socialiste (a parte Labriola) e per frammentazione     ideologica. Fu il milanese Turati il vero artefice della nascita del  Partito  socialista  (basato  su  principi  come  separazione  netta tra proletariato e borghesia, lotta economica unita a quella politica, rifiuto dell’anarchia, successiva socializzazione dei mezzi di produzione), a Genova nel 1892 (il nome è però nel 1895). Se i socialisti spaventavano il fronte cattolico non era da meno: fedele al papa, rifiutava lo Stato uscito dal Risorgimento. Erano più pericolosi perché più radicati nella società italiana. 1874: nasce a Venezia l’Opera dei congressi, organo che  doveva collegare tra loro le associazioni cattoliche, coordinando i   loro sforzi nella lorra al  liberalismo  laico,  al socialismo e alla democrazia. 1878: con Leone XIII il clero si spostò su istanze sociali. Difficoltà di dialogo Stato-Chiesa.
    4. La democrazia autoritaria di Francesco Crispi. 1887: Crispi succede a Depretis: da ex-mazziniano e garibaldino era apprezzato dalla sinistra, ma anche la destra lo vedeva bene per la sua promessa di governo autoritario ed efficiente di impronta bismarckiana  -  larghissima maggioranza su cui si appoggiò per riorganizzare e razionalizzare lo Stato, nonostante le      spinte repressive. Attuò una riforma amministrativa (comuni e sindaci) ed  è  del  suo  governo  un  nuovo  codice  penale,  il codice Zanardelli, che aboliva la pena di morte e implicitamente legittimava la sciopero. Paradossalmente però fu varata la nuova legge di  pubblica  sicurezza  che  attribuiva  ampia  discrezionalità  alla  polizia  -  politica  repressiva  nei  confronti delle associazioni

operaie, cattoliche e irredentiste repubblicane (questo allontanò Crispi dall’estrema sinistra). In politica estera era molto ambizioso: voleva fare dell’Italia una grande potenza anche coloniale  -  rafforzò la Triplice alleanza (insprimento rapporti     con Parigi  -  guerra  doganale).  Penetrazione  coloniale  nel  Corno  d’Africa  (Colonia  Eritrea).  Politica  coloniale  ostacolata -  una votazione alla Camera persa spinge Crispi alle dimissioni - governo di Rudinì, conservatore anti-colonialista, poi  Giolitti, sempre nel 1892.

    1. Giolitti, i Fasci siciliani e la Banca romana. Giolitti non aveva partecipato al Risorgimento, era giovane, si era fatto oppositore della politica economica della Sinistra. Il programma giolittiano: più equa ripartizione del carico fiscale a favore delle classi meno agiate, astensione da misure preventive-repressive nei confronti del movimento operaio. Non abbandona questa linea nemmeno quando in Sicilia tra il ’92 e il ’93 si forma l’organizzazione dei Fasci dei lavoratori, portavoce del malessere contadino e urbano rispetto alle tasse troppo alte e alla distribuzione delle terre. Ma non era un movimento rivoluzionario, né socialista. La non risposta di Giolitti fu largamente criticata dai conservatori, e accelerò la caduta del suo governo, che tuttavia fu dovuta soprattutto allo scandalo finanziario della Banca romana, che in risposta alla febbre speculativa edilizia della capitale aveva investito tantissimo, ma che si era mancata di gravissime irregolarità per rientrare del denaro perduto dalle imprese debitrici  in  seguito alla crisi economica. Intreccio tra politica e finanza, e corruzione soprattutto,  crearono questo scandalo     - 1893,  caduta  di  Giolitti,  certo  colpevole  ma  usato  come  capro  espiatorio.  Si  voleva  il  ritorno  dell’uomo  forte  che fermasse il movimento operaio: Crispi tornò al governo, nonostante avesse responsabilità più pesanti di Giolitti nello scandalo.

8.12 Il ritorno di Crispi e la sconfitta di Adua. Crispi rispose alla crisi economica latente inasprendo le tasse; alla  crisi bancaria riformando il sistema e fondando la Banca d’Italia; alle agitazioni in Sicilia con la proclamazione dello stato d’assedio, misura eccezionale che si estese alla Lunigiana - repressione militare, che presto si trasformò     in una operazione di polizia contro enti facenti capo al Partito socialista di tutta Italia. Furono varate poi delle      leggi dette “antianarchiche”  che  però  erano  in  realtà  rivolte  contro  il  Partito  socialista  e  andavano  a  limitare libertà di stampa,  riunione  e  associazione.  Tuttavia  queste  leggi  non  ottennero  l’effetto  sperato:  anzi,  spinsero molti intellettuali (come Pascoli o De Amicis) verso il Partito socialista e questo a riallacciare a sua volta i rapporti con la borghesia radicale e repubblicana. L’alleanza con i democratici permise al partito di far eleggere     12 candidati alle elezioni del 1895. La “questione morale” intanto travolgeva Crispi, e le sue responsabilità nello scandalo  Banca romana  venivano  sempre  più  a  galla. A questo  si  aggiungevano  le  critiche  apportategli riguardo alle eccessive spese militari e alla sua politica coloniale. Già nel 1889 trattatto di Uccialli con il negus Menelik: ambiguità per la non corrispondenza tra le due lingue: l’Italia non aveva il protettorato sull’Etiopia come pensava. Quando l’equivoco si scoprì i rapporti peggiorarono di botto e si arrivò ben presto ad uno scontro,     presso l’Amba Alagi, che si risolse in uno sconfitta per l’Italia, nulla in confronto alla disfatta di Adua (1896) - caduta di Crispi dopo manifestazioni.

 

  1. L’Italia giolittiana.

 

    1. La crisi di fine secolo. Come nella Francia del caso Dreyfus e nella GB dello scontro tra le camere, anche l’Italia fu attraversata da una crisi istituzionale, con in ballo l’evoluzione del regime liberale. Anche qui vinsero i progressisti -   evoluzione su modello dell’Europa occidentale, non degli Imperi centrali. Dopo Crispi e di Rudinì si creò un fronte     conservatore contro i nemici delle istituzioni, socialisti clericali e repubblicani. Era ispirato alla volontà di limitare il potere parlamentare, rileggendo lo Statuto in maniera più restrittiva, e ai metodi crespini  per mantenere  l’ordine  pubblico.  1898: aumento prezzi  del  pane  fece scattare dei moti in tutta la penisola - invece che abbassare il dazio sul grano, di Rudinì  rispose come ad una rivoluzione, con la polizia e lo stato d’assedio. Fu la repressione militare: a Milano Bava Beccaris usò l’artiglieria sulla folla. Capi socialisti, radicali e repubblicani vennero arrestati. Ristabilito l’ordine, lo scontrò si spostò in Parlamento - Rudinì si dimise nel 1898 per dissensi con il re e con i propri alleati, Pelloux propose dei provvedimenti che avrebbero gravemente limitato sciopero, libertà di stampa e associazione - l’estrema sinistra rispose con l’ostruzionismo, bloccando così l’operatività delle camere, che Pelloux sciolse indicendo nuove elezioni. 1900: batosta per la compagine governativa. Vittoria dell’opposizione quando Pelloux rinunciò nonostante  l’esigua  maggioranza  -  Umberto  I  nominò Saracco, prima di cadere vittima di un attentato il 29 luglio, ad opera dell’anarchico Gaetano Bresci.
    2. La svolta liberale. Con il governo Saracco iniziò una fase di distensione per la politica italiana, favorita anche dall’economia in crescita, dal calare delle tensioni sociali e dalla disponibilità del nuovo re Vittorio Emanuele III verso i progressisti. Alla dimissioni di Saracco, il re chiamò al governo Zanardelli, che fece ministro degli Interni Giovanni Giolitti, lo stesso che aveva detto di permettere gli scioperi perché era nell’interesse di tutti permettere ai lavoratori di organizzarsi ed esprimersi. Riforme Zanardelli: legislazione sociale più avanzata, nascita del Consiglio superiore del lavoro, municipalizzazione di alcuni servizi pubblici. La linea seguita dal governo era di neutralità nei conflitti di lavoro  -  crescita a macchia d’olio        delle organizzazioni sindacali e del lavoro, come la Federterra delle  leghe rosse padane -  impennata degli scioperi, oltre    mille nel solo 1902 - rialzo generalizzato dei salari, che nel primo quindicennio del secolo crebbero in media del 35%.
    3. Decollo industriale e progresso civile. A fine secolo ci fu il primo vero decollo industriale italiano, che come precondizioni ebbe i trent’anni di vita unitaria con tutti gli interventi utilissimi attuati dai vari governi: ferrovie, settore siderurgico sviluppato grazie alla svolta protezionistica del 1887 e riforma del sistema bancaria dopo scandalo Banca romana  -  1894: nacquero      la Banca  commerciale  e  il  Credito  italiano  -  afflusso  di  risparmio  privato  verso  gli  investimenti  industriali  -  nuovi impianti di lavorazione del ferro (Savona, Piombino, Bagnoli). Poche società siderurgiche, e commesse statali. Tessile: industria cotoniera. Sviluppi interessanti nei settori non favoriti o sfavoriti dalle tariffe dell’’87: chimico (gomma alla Pirelli milanese) e meccanico, specie il settore automobilistico. Fiat, fondata nel 1899 da Giovanni Agnelli. In vent’anni l’industria elettrica era cresciuta in modo incredibile. 1896-1907: crescita italiana superò del 7% quella di qualsiasi altro Paese europeo. Aumentò il reddito pro capite - gente può comprare altri beni oltre al cibo, come utensili domestici o anche biciclette, etc… Cambiava la qualità di vita. Metropoli italiane più piccole ma sempre più simili alle altre europee (servizi pubblici). Precarie condizioni abitative, ma acqua corrente per tutti e miglioramento delle reti fognarie - calo mortalità da malattie infettive (colera o tifo), come quella infantile. Ma il divario con le potenze europee restava larghissimo: analfabetismo alle stelle, eccesso di manodopera impiegata in agricoltura (55% in Italia, 8% in UK!!!) - emigrazioni: otto milioni tra 1900 e 1914, soprattutto  dal  Sud.  I meridionali andavano in  Nord  America permanentemente. Effetti positivi emigrazione: calo pressione demografica e arrivo  delle rimesse, ma era pur sempre    una perdita.
    4. La questione meridionale. Lo sviluppo si concentrò nel Nord del triangolo industriale (GE-TO-MI), accrescendo il  divario di questo con il Sud, dove le grandi imprese non erano presenti. Nemmeno l’agricoltura riuscì a crescere nel Meridione: per lo più lo sviluppo avvenne nella Pianura Padana. Da tutto questo scaturirono i mali storici del Sud: analfabetismo, disgregazione sociale, assenza classe dirigente moderna, subordinazione borghese ai proprietari terrieri, lotta politica clientelare e personalistica - meridionalizzazione della pubblica amministrazione italiana. Al Sud la società era molto molto arretrata.

 

    1. I governi Giolitti e le riforme. Giolitti salì al governo nel 1903 e subitò ampliò la base dell’esperimento liberal-progressista offrendo al socialista Turati un posto al governo, che però questi rifiutò. Governo di centro dunque, con influenze conservatrici - limiti  del  riformismo  giolittiano,  che  sacrificò  importanti  progetti  se  incompatibili  con  la  maggioranza.  Leggi  speciali per il Mezzogiorno, 1904: stanziamenti statali e agevolazioni fiscali per Napoli e Basilicata prima, per la Calabria e le isole poi. Esse non curarono le cause dei mali però, anche se effettivamente erano molto veloci da applicare e permisero ad esempio l’apertura degli stabilimenti siderurgici di Bagnoli. Volle statizzare le ferrovie, ma incontrò dura opposizione. Si dimise lasciando  il governo a Fortis. Lo faceva spesso nei momenti difficili, per poi tornare sicuro dell’appoggio della maggioranza     parlamentare. Dopo le brevissime parentesi Fortis (che fece statizzare  le ferrovie) e Sonnino, nel 1906  Giolitti tornò  al  governo. Il “lungo ministero Giolitti”  iniziò  con  la  conversione  della  rendita,  riduzione  del  tasso  di  interesse  ai  possessori di titoli di debito pubblico - riduzione oneri gravanti sul bilancio statale. Pochi chiesero il rimborso immediato: fiducia dei risparmiatori era evidente. La crisi del 1907 fu arginata dalla Banca d’Italia, la crescita riprese ma si inasprirono gli scontri   sociali - 1910: nasce la Confindustria. Altra “ritirata strategica” a fine 1909, parentesi Sonnino e Luzzatti, ritorno nel 1911: Giolitti era ora spostato a sinistra. Nel 1912 fece approvare le leggi sull’ampliamento  del  suffragio  e  sul  monopolio  statale delle assicurazioni: apogeo del   riformismo giolittiano. Ma la guerra in Libia iniziava già a mettere in crisi Giolitti.
    2. Il giolittismo e i suoi critici. Quella di Giolitti fu una sorta di “dittatura parlamentare”, caratterizzata però da punti forti, come: il sostegno alle forze più moderne dello stato, tentativo di coinvolgere nel gioco politico forze considerate nemiche delle istituzioni, tendenza ad allargare intervento pubblico per correggere gli squilibri sociali. La capacità di Giolitti di controllare il Parlamento gli permise di governare a lungo senza l’assillo di crisi ricorrenti, ma in cambio favoriva il trasformismo e le  ingerenze elettorali dell’esecutivo, specie nel Sud. Ciò finiva per contraddire le positivissime premesse del giolittismo. I critici di tale sistema erano i socialisti rivoluzionati e i cattolici democratici, liberal-conservatori come Sonnino ( il cui programma era buono, specie per il Sud, ma non frutto di un compromesso – era calato dall’alto) e Albertini (direttore Corriere), meridionalisti come Salvemini (che chiamò Giolitti il “ministro della malavita”), che accusarono il Governo di favorire economicamente il Nord. Tutte queste critiche, per quanto eccessive, mostrarono la crescente impopolarità di Giolitti, la debolezza interna del suo sistema e il suo distacco dalla massa.
    3. La politica estera, il nazionalismo, la guerra di Libia. Dopo Crispi la politica estera italiana subì un cambio di rotta -    fu attenuata la linea filotedesca, fu conclusa la guerra doganale con la Francia e con essa fu decisa la spartizione del Nord Africa. All’Italia la Libia, a Parigi il Marocco. Ciò non piacque alla Germania, mentre saliva la tensione con Vienna, quando essa occupò unilateralmente la Bosnia-Erzegovina nel 1908. Italia era alleato debole della  Triplice  -  riscossa  nazionale:  sentimenti irredentisti rispuntarono,  insieme  alla  volontà  coloniale.  L’Italia  non  voleva  essere  una  potenza  di  secondo rango.  Idee  di Corradini  sulla  “nazione  proletaria”  vs.  quella  capitalista  -  movimento  nazionalista  in  Italia,  che  nel   1910 si raccolse nell’Associazione nazionalista italiana. Un suo gruppo  iniziò  una  campagna  martellante  a  favore  della conquista della  Libia, appoggiato dai cattolico-moderati e dal Banco di Roma, parlando delle ricchezze libiche poi mai trovate, fino a spingere il Paese sull’orlo dell’intervento. Ma la spinta decisiva arrivò dopo la seconda crisi marocchina e quando fu chiaro il controllo francese sul Marocco - invio di un contingente in Libia nel 1911 - guerra contro la Turchia (guerriglia delle popolazioni arabe), per la quale l’Italia dovette occupare anche Rodi e il Dodecanneso. 1912: pace di Losanna, Turchia rinunciò alla sovranità politica sulla Libia. Resistenza però continuò ed economicamente la Libia fu un pessimo affare: scarsissime  risorse (non si sapeva del petrolio). Opposizione  e  consenso  alla  guerra:  la  prima  dai  repubblicani,  dai  radicali,  dai socialisti, il secondo dall’opinione pubblica borghese. Tale confronto radicalizzò il confronto politico e rafforzò le ali estreme: le correnti riformiste e collaborazionisti (quindi Giolitti) persero terreno.
    4. Riformisti e rivoluzionari. Il Psi si mostrò vicino alla politica riformista giolittiana, vedendo le riforme come l’unico modo di consolidare i risultati già ottenuti. Le correnti più di sinistra ed intransigenti, contrarie allo stato borghese e monarchico e a Giolitti, si opposero ben presto a Turati e alla sua idea di collaborare con il governo; particolarmente agguerriti erano i sindacalisti rivoluzionari. Al congresso di Bologna i rivoluzionari tolsero ai riformisti la guida del partito  - 1904, primo     sciopero generale nazionale della storia  italiana. Opinione pubblica e borghesia  scosse, ma Giolitti non intervenne     aspettando che lo sciopero di esaurisse da solo; esso mostrò al movimento operaio quanto disorganizzato fosse, rese chiara     la necessità di un migliore coordinamento nazionale - i riformisti riuscirono a creare la Confederazione generale del lavoro (Cgl) nel 1906, sotto la guida di Rigola - i sindacalisti rivoluzionari iniziarono ad essere emarginati fino ad essere allontanati dallo stesso Psi nel 1907. Ma tra i riformisti si creò una corrente revisionista (Bissolati e Bonomi), che voleva trasformare il Psi  in un partito del lavoro non ideologicamente schierato - situazione si scalda con la guerra libica, cui Bonomi e Bissolati non sono del tutto contrari. Essi furono espulsi nel 1912  insieme  agli  altri  riformisti  -  scissione  del  partito  ebbe  gravi conseguenze sul futuro del socialismo italiano. La guida del Psi tornava agli intransigenti, tra cui si iniziava a distinguere Benito Mussolini, che divenne presto direttore dell’”Avanti!”.
    1.  
    2. Democratici cristiani e clerico-moderati. In età giolittiana si sviluppò, in campo cattolico, il movimento democratico- cristiano di Murri, condannato dal nuovo papa Pio X. Ebbero un grande sviluppo, contemporaneamente, le organizzazione sindacali “bianche” (in Sicilia Luigi Sturzo guidò il movimento cattolico contadino). Sul piano politico le forze clerico-moderate stabilirono alleanze elettorali, in funzione conservatrice e anti-sinistra, con i liberali: questa linea politica avrebbe avuto piena consacrazione, nelle elezioni del 1913, col “patto Gentiloni”; con esso i cattolici si assicuravano una capacità di pressione notevole sulla classe dirigente, ma contemporaneamente allontanavano il momento in cui sarebbe nato un loro movimento autonome.
    3. La crisi del sistema giolittiano. Le prime elezioni a suffragio universale non cambiarono gli equilibri parlamentari: i liberali avevano confermate le loro poltrone, ma facevano ingresso nuovi gruppi, che rendevano la maggioranza più eterogenea e difficile da controllare da Giolitti, che si dimise nel 1914 indicando al re di nominare Salandra, con l’obiettivo di riprendere il suo posto entro poco. Ma la guerra di Libia e una nuova crisi economica nel 1913 avevano radicalizzate ed estremizzato lo scontro politico: destra conservatrice vs. correnti rivoluzionarie di sinistra. Giugno 1914: “ settimana rossa”, manifestazioni in realtà di carattere insurrezionale in Marche e Romagna contro l’uccisione di tre manifestanti antimilitaristi ad Ancona. Il tutto si esaurì in pochi giorni, rafforzando i conservatori nelle loro posizioni. La grande guerra avrebbe reso irreversibile la crisi del giolittismo, mettendo in discussione i modelli, non adatti alla società di massa.

 

 

 

  1. La prima guerra mondiale.

 

    1. Dall’attentato di Sarajevo alla guerra europea. 28 giugno 1914: un irredentista serbo uccise con due colpi di pistola Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria. Vienna volle dare una lezione alla Serbia  -  era un caso internazionale, e       il casus belli. Il grande conflitto era già nell’aria da tempo. 23 luglio: Vienna inviò un durissimo ultimatum alla Serbia, che       però aveva il sostegno della Russia e lo accettò solo in parte - dichiarazione di guerra, il 28 luglio. Il giorno dopo il governo russo mobilitò  le  forze  armate  verso  ovest.  La  Germania  interpretò  come  preparativi  per  ostilità,  mandò  un  ultimatum, che non ricevette risposta, e il giorno dopo dichiarò guerra alla Russia zarista, in aiuto della quale intervenne naturalmente la Francia. Fu la Germania a far crollare la situazione, a causa del  complesso  di  accerchiamento  che  viveva  e  del  piano Schlieffen,  che prevedeva l’annientamento della Francia in poche settimane per poi concentrare l’attenzione sulle truppe  zariste, più lente a muoversi. Il 4 agosto, truppe tedesche invasero il Belgio neutrale, per attaccare la Francia dal punto più debole  - a GB non va bene affatto, e il 5 agosto dichiara guerra alla Germania (ecco il suo primo grave scacco). La guerra     fu sottovalutata un po’ da tutti, i governi pensavano che la guerra avrebbe rafforzato la loro posizione: in effetti successe questo almeno all’inizio. Ci fu una notevole mobilitazione patriottica a sostegno della guerra in  gran  parte  d’Europa. Contemporaneamente entravano in crisi il pacifismo e l’internazionalismo socialista: l’opposizione socialista alla guerra si conservò solo in Russia e Serbia.
    2. Dalla guerra di movimento alla guerra di usura. Lo spiegamento delle forze dimostrò quanto fossero cambiati gli eserciti, che erano imponenti rispetto a quelli ottocenteschi (Germania aveva un milione e mezzo di soldati al fronte, Francia un milioni, GB due milioni di volontari). C’erano nuovi armamenti, come i fucili a ripetizione e le potentissimi mitragliatrici automatiche, ma  le strategie erano vecchie, ancora quelle delle guerra di movimento, rapida e fatta di pochi scontri campali. L’attacco alla Francia vide una serie di clamorosi successi iniziali: nonostante resistenza belga e intervento inglese, i tedeschi in due settimane dilagarono in Francia fino ad attestarsi a poche decine di chilometri da Parigi, che venne abbandonata dal governo e dai civili. Intanto sul fronte orientale il generale Hindenburg bloccava i russi che tentavano di entrare in Prussica, durante le battaglie di Tannenberg e dei Laghi Masuri. Ma l’avanzata russa preoccupava molto austriaci e tedeschi, che concentrarono forze sul fronte orientale  -  controffensiva  francese:  con  la  battaglia  della  Marna  il  piano  tedesco  si  potè  dire  sostanzialmente  fallito. A fine novembre gli eserciti erano attestati in trincee improvvisate lungo una linea di 750 km, che andava dal Mare del Nord       alla Svizzera. 4 mesi di guerra: 400.000 morti sul solo fronte occidentale. Guerra di movimento era in realtà una situazione di stallo
  1. era una nuova guerra, detta di logoramento: eserciti immobili, scontri sterili e sanguinosissimi, stasi. Importante era invece il ruolo inglese, e quello russo, ma anche quello di quante potenze erano restate fino ad allora fuori dal conflitto  -     allargamento della guerra. Giappone intervenne a sostegno di Londra, lo stesso fecero Italia, Portogallo, Grecia e infine Stati Uniti, mentre con gli Imperi centrali si schierarono Bulgaria e Turchia. La guerra era mondiale.
    1. L’Italia dalla neutralità all’intervento. Appena scoppiata la guerra, Salandra annunciò la neutralità italiana, visto che la Triplice era un trattato difensivo e l’opinione pubblica detestava l’Austria  - presto però iniziò a diffondersi l’idea di una      guerra contro Vienna, per completare l’unificazione e dare un sostegno alla democrazia europea in pericolo. La sinistra democratica fu portavoce della linea interventista: repubblicani, radicali e socialriformiti di Bissolati e frange estremiste del movimento operaio; ad esso presto si aggiunsero i nazionaliti, ideologicamente lontanissimi dalla sinistra, ma altrettanto desiderosi di vedere l’Italia intervenire nel conflitto per affermare la sua vocazione imperialista. L’interventismo conservatore fu più prudente e cauto, invece; Salandra e Sonnino sapevano che una vittoria avrebbe rafforzato le istituzioni. Aderivano invece al neutralismo Giolitti e i liberali, il mondo cattolico guidato dal nuovo papa, Benedetto XV,  e i socialisti, in controtendenza    rispetto ai colleghi europei (l’unica defezione fu quella di Mussolini). Il fronte neutralista era in maggioranza numerica, ma male organizzato e incapace di unirsi per evitare  il  conflitto;  gli  interventisti  invece  avevano  come  volontà  comuna  la  guerra contro l’Austria e, tra l’altro, la fine del giolittismo e la nascita di una nuova poitica italiana. Naturalmente erano a favore dell’intervento soprattutto  i  giovani  e  gli intellettuali (vedi D’Annunzio), le parti cioè dinamiche della società. Chi contava erano il re, Salandra e Sonnino, che tennero il piede in due scarpe per mesi, ma si volsero all’Intesa non appena videro la sconfitta tedesca in Francia. 26 aprile 1915: Patto di Londra: in caso di vittoria l’Italia avrebbe avuto cessioni territoriali necessarie a completare l’unificazione. L’ultimo ostacolo era il neutralismo parlamentare: Salandra si dimise quando Giolitti gli oppose trecento deputati, ma il re rifiutò le dimissioni mostrando di approvare il suo operato. In più le “radiose giornate” del maggio  1915 dimostrarono chiaramente che l’opinione pubblica era per  l’intervento.  La  Camera  si  vide  costretta,  per  non sconfessare il sovrano, ad approvare il Patto. 23 maggio 1915: Italia dichiarò guerra all’Austria. “Né aderire né sabotare” dei socialisti.
    2. La grande strage (1915-16). Si pensava naturalmente ad un conflitto veloce. Non fu così. Immediatamente gli austriaci ripiegarono di qualche chilometri fino ad attestarsi sull’Isonzo e sulle alture del Carso, le posizioni difensive più favorevoli. Le battaglie guidate dal generale Cadorna costarono 250.000 uomini e non fecero avanzare di un solo metro l’esercito italiano. Ma per tutto il 1915 gli schieramenti restarono fermi anche sul fronte francese; gli unici successi furono quelli tedeschi contro la Russia sul fronte orientale, prima con l’avanzata in Polonia, poi il debellamento della Serbia. Febbraio 1916: i tedeschi ripresero l’offensiva contro la Francia - Verdun, battaglia durata quattro mesi e troppo costosa per tutti; intervento inglese sulla    Somme, che si risolse in un’altra estenuante battaglia di logoramento  -  carneficina: 1.600.000 caduti tra le due battaglie.      Gli austriaci tentarono nel giugno  1916  la  Strafexpedition  per  spaccare  in  due  lo  schieramento  italiano  nella  pianura veneta; l’eserciti resistette all’attacco ad Asiago, ma il contraccolpo  morale  fu  pesantissimo:  cadde  il  governo  Salandra, sostituito da Boselli. Ancora stasi sull’Isonzo. Sul fronte orientale la Russia riuscì a riprendersi quanto perso l’anno prima e ad indurre la Romania ad entrare nel  conflitto  a  fianco  dell’Intesa  -  disastro,  Romania  debellata,  risorse  agricole  ed energetiche a disposizione degli Imperi centrali. Tuttavia essi erano sotto l’Intesa, economicamente, anche per il rigidissimo blocco navale attuato da Londra  - battaglia navale dello Jutland. Fallimento  tedesco.
    3. La guerra nelle trincee. Sul piano tecnico, la trincea fu la vera protagonista del conflitto, per quanto semplice: la vita monotona ma pesante che vi si svolgeva era interrotta solo, di quando in quando, da grandi e sanguinose offensive, prive di risultati decisivi (gli assalti, anticipati dal “fuoco di preparazione”, che non faceva che rovinare ogni effetto sorpresa sul nemico). Da ciò, soprattutto nei soldati semplici, uno stato d’animo di rassegnazione e apatia che spesso sfociava in forme di insubordinazione (non si tornava dalla licenza, fino alla peggiore, l’automutilazione). Solo alcuni reparti speciali mantennero sempre l’entusiasmo, ma loro non erano tappati nelle trincee per settimane: le Sturmtruppen tedesche e gli arditi italiani; per  gli altri, soprattutto di estrazione contadina, la guerra era un flagello naturale da sopportare.

 

    1. La nuova tecnologia militare. Tecnologia applicata alle esigenze belliche. Grande novità subdola furono le armi chimiche, i gas tossici. Le telecomunicazioni vennero perfezionate, così come i mezzi motorizzati, il che rese più veloci ed efficienti gli spostamenti. L’aviazione però, ad esempio, non ebbe un peso decisivo nella IGM, non essenso ancora sufficientemente sicura e affidabile. Stentati esordi anche per i carriarmati: le autoblindo. Le potenzialità non furono capite, e gli inglesi iniziarono a servirsene regolarmente solo nel 1917, dopo aver sostituito le ruote con i cingoli. Il sottomarino invece influì molto sul corso  della guerra: la guerra sotto il mare era molto utile, i primi ad accorgersene furono i tedeschi. Guerra sottomarina fu sospesa per le pressioni americane sulla Germania dopo l’affondamento del Lusitania, 1915.
    2. La mobilitazione totale e il “fronte interno”. Tutti i civili, vicini o lontani al fronte che fossero, furono vittime dirette del conflitto, ne sentirono gli sconvolgimenti. Ad esempio gli armeni, vittime di un genocidio nel Caucaso. Rivolgimento maggiore fu senz’altro la mobilitazione industriale per sostenere le continue consegne del cliente Stato, che doveva alimentare in continuazione la macchina militare nazionale senza badare a spese. L’intervento statale in economia si faceva molto forte -    in Germania si arrivò a parlare di “socialismo di guerra”. Si rafforzarono anche gli apparati statali, però - aumento della burocrazia. Si assistette ad una  “militarizzazione” della  società,  tanto  in  Germania quanto  in GB  e Francia:  lo stato maggiore aveva un potere ampissimo nella società del primo  conflitto  mondiale,  e  si  preoccupava  di  debellare  i  nemici interni. Mobilitazione avveniva attraverso la propaganda, che però era ancora rudimentale. Contemporaneamente alle conferenze di Zimmerwald e Kienthal  i  socialisti  europei  contrari  alla  guerra  di  riunirono  per  urlare  il  loro  “no”.  Col protarsi del conflitto, ovviamente, l’opposizione socialita vedeva sempre più persone coinvolte; c’erano tensioni interne tra le sinistre riformiste e il “disfattismo rivoluzionario”, spartachisti e  bolscevichi.
    3. La svolta del 1917. Nei primi mesi dell’anno accaddero due cose che cambiarono le sorti del conflitto e del mondo: la rivoluzione in Russia con la destituzione dello zar e l’intervento americano nella guerra contro la Germania. Il peso americano iniziò a farsi sentire in capo a pochi mesi. L’esercito russo intanto si dissolveva, e i tedeschi penetrarono in Russia con facilità. Il malessere delle truppe in battaglia si fece sempre più forte: erano stanche della guerra e di ricevere un trattamento disumano, tanto tra gli eserciti dell’Intesa quanto tra quelli degli Imperi centrali. In Austria-Ungheria l’andamento non brillante della guerra provocò il risveglio delle “nazionalità oppresse”, e presto Carlo I tentò di portare avanti dei negoziati per una pace separata, respinti dall’Intesa. Benedetto XV fece appello perché si ponesse fine alla “inutile strage”.
    4. L’Italia e il disastro di Caporetto. Anche per l’Italia il 1917 fu l’anno più difficile della guerra; le truppe stanche continuavano i tentativi di sfondare le linee austriache sull’Isonzo, invano. Lo popolazione civile era sempre più scontenta e rabbiosa, perché iniziavano a mancare beni e cibo; a Torino la carenza di pane sfociò in moti con forte partecipazione operaia; situazione complessa e delicata - Austria ne approfittò, e con l’aiuto delle truppe tedesche, sfondò le linee italiane a   Caporetto e tentò per la prima volta la tattica dell’infiltrazione, così efficace da prendere gli avversari di sorpresa. L’esercito italiano si riuscì ad attestare su una linea difensiva solo in corrispondenza del Piave, dopo una tragica ritirata. Cadorna fu sostituito da Diaz. La sconfitta era stata causata dalla demoralizzazione delle truppe, ma soprattutto dall’incapacità dei    comandi di rispondere alla tattica tedesca. Intanto però la guerra per l’Italia era diventata difensiva e aveva riacceso gli animi: intorno al governo Orlando si strinsero tutte le forze politiche. Diaz si mostrò più sensibile alle necessità delle truppe, e cercò    di sollevare loro il morale e le loro condizioni di vita; contemporaneamente iniziava a diffondersi con il Servizio P la propaganda al fronte - si iniziò a parlare di “guerra democratica”, lotta per un più giusto ordine interno e internazionale.
    5. Rivoluzione o guerra democratica? La rivoluzione d’ottobre portò al governo Lenin e i bolscevichi, che volevano gettarsi alle spalle la guerra e decisero di firmare un trattato di pace separata con gli imperi centrali  -  3 marzo 1918, pace di        Brest- Litovsk, dalle condizioni durissime per la Russia. Eppure Lenin aveva salvato il nuovo stato socialista. Per rispondere   alla sfida lanciata da Lenin, si accentuò il tono ideologico del conflitto, come lotta contro l’autoritarismo - ad opera del presidente americano Wilson soprattutto. Sono del gennaio  1918  i  quattordici  punti  di  Wilson:  non  solo  prevedeva diminuzione  degli armamenti o l’abolizione della diplomazia segreta, ma anche precise delineazioni dei nuovi confini europei una volta sconfitta la Germania, nonché la fondazione della Società delle Nazioni. Da molti il wilsonismo du vissuto come una rivoluzione diplomatica, ma la realtà era che molti governi europei non lo condividevano affatto, ma finsero di farlo perché avevano troppo bisogno dell’aiuto americano e perché si opponeva alla rivoluzione che contemporaneamente stava avendo luogo in Russia, ben più pericolosa ai loro  occhi.
    6. L’ultimo anno di guerra. Le posizioni degli schieramenti erano ancora le stesse. Le truppe tedesche riuscirono a sfondare a Arras e Saint Quentin e arrivarono sulla Marna di nuovo, mentre gli austriaci attaccarono in forze il Piave  - ma      gli anglo-francesi riuscirono anche con l’appoggio americano a respingerli, come gli italiani del resto. Tra l’8 e l’11 agosto i tedeschi furono sconfitti ad Amiens: al governo di coalizione nazionale spettò l’ingrato compito di aprire le trattative di pace, anche se i responsabili di tutto erano stati i comandi militari. Ma era tardi: i suoi alleati crollavano uno dopo l’altro, prima la Bulgaria, poi la Turchia, infine l’Austria, travolta dai moti indipendentisti e anche dall’offensiva italiana sul Piave - battaglia di Vittorio Veneto - armistizio Austria-Italia, 3 novembre. La Germania intanto era scossa da una rivoluzione su modello russo, con ammutinamento dei marinai a Kiel e la formazione di consigli rivoluzionari. Ebert fu messo a capo del governo, il Kaiser trovò rifugio in Olanda. L’armistizio fu firmato a Rethondes l’11 novembre, e impose alla Germania delle condizioni molto     molto dure: consegna della flotta, ritiro oltre il Reno, cessione unilaterale dei prigionieri, annullamento dei trattati con Russia e Romania. Germania perdeva una guerra senza che un solo lembo del suo territorio fosse  stato  occupato  da  un  esercito straniero: la perse per fame   e stanchezza. 8,5 milioni di vittime e una generazione decimata fu l’esito della guerra.
    7. I trattati di pace e la nuova carta d’Europa. Il compito dei vincitori a Versailles era quello di ricostruire un ordine europeo dopo la guerra e la caduta di quattro imperi (tedesco, austro-ungarico, turco e russo). Si pensava che i lavori si sarebbero basati sui quattordici punti di Wilson, ma si scoprì in fretta che la loro messa in pratica non era così semplice, perché in realtà l’Europa era un intreccio molto complesso di etnie e popoli, ed era difficile stabilire confini secondo l’autodeterminazione senza creare nuovi irredentismi. Erano presenti: Wilson, Clemenceau, Llyod George e Orlando. Pace democratica o pace punitiva per la Germania? A Parigi non bastavano Alsazia e Lorena, voleva invece il confine sul Reno, ma dovette rinunciarvi. Il trattato di Versailles con la Germania fu una imposizione vera e propria: cessioni territoriali, come il corridoio polacco con Danzica che andarono alla Polonia, l’Alsazia e Lorena e le colonie. Clausole economiche e militari: riparazioni altissime che avrebbero  bloccato  lo  sviluppo  economico  tedesco,  abolizione  del  servizio  di  leva,  Ruhr  smilitarizzata  -  umiliazione della Germania, che la Francia temeva tornare ad essere la potenza egemone europea. Altro problema furono i riconoscimenti delle realtà nazionali post-Impero austro-ungarico. La Repubblica d’Austria fu ridotta ad uno Stato piccolo, senza sbocco sul mare,

impossibilitato a riunirsi con la Germania, mentre l’Ungheria si vide tolte molti territori magiari. Molte etnie godettero della caduta dell’Impero austro-ungarico: nacquero la Cecoslovacchia (stato federale con una minoranza di tre milioni di tedeschi sudeti) e la Jugoslavia, mentre l’Italia acquisiva territori e l’Impero ottomano si riduceva alla sola penisola anatolica. La Bulgaria fu ridimensionata. La Repubblica socialista russa non fu riconosciuta a Versailles, anzi fu circondata da un cordone sanitario di stato cuscinetto che impedissero un eventuale dilagare della rivoluzione in Europa occidentale (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania). Nel 1921 si aggiungeva al numero di Stati neonati anche l’Irlanda. Wilson voleva che a garanzia del nuovo equilibrio si ponesse la Società delle Nazioni, un organismo internazionale che non aveva precedenti nella storia; ma era già minata all’inizio, perché non comprendeva gli sconfitti e la Russia. Ma il colpo le fu dato dagli States stessi, quando il Senato votò  contro l’adesione alla Società delle Nazioni a favore dell’inizio di un periodo di isolazionismo reclamato dall’opinione pubblica. Organizzazione inutile!!

 

 

  1. La rivoluzione russa.

 

    1. Da febbraio a ottobre. In Russia dopo la IGM ci fu una svolta storica: la più grande rivoluzione dopo quella francese. Fine del regime zarista abbattuto dalla rivolta degli operai e dei soldati di Pietrogrado. Nel marzo 1917 ci fu quindi un governo provvisorio liberale, che voleva continuare la guerra a fianco dell'Intesa e occidentalizzare la Russia. Con loro stavano cadetti, menscevichi e socialisti rivoluzionari. I bolscevichi invece rifiutarono qualsiasi partecipazione, perché ritenevano che solo la classe operaia avrebbe potuto guidare la trasformazione del Paese. Ma la coalizione antizarista non bastava a tenere su il governo: infatti, spuntarono ovunque come nel 1905 i soviet, che vennero a formare una sorta di parlamento proletario che emanava disposizioni diverse da quelle del governo. Lenin tornò in Russia nel 1917 e iniziò a far circolare le cosiddette “tesi di aprile” (un documento in 10 punti), che rovesciando il pensiero marxista chiamavano i proletari alla rivolta per la presa del potere (nonostante secondo Marx la rivoluzione sarebbe prima scoppiata nei paesi più sviluppati). Lenin voleva conquistare il controllo su più soviet possibile, dare la terra ai contadini poveri e che i consigli operai avessero il controllo sociale della produzione. E di fatto le sue idee e la sua opposizione alla guerra valsero ai bolscevichi numerosissimi consensi tra contadini e operai. Intanto l’opposizione socialista contraria al governo e alla guerra sfociò in un’insurrezione, presto sedata dalle truppe fedeli a L’vov, che però presto si dimise lasciando il governo a Kerenskij, che tentò una politica personale. Ma costui era screditato in quanto aveva fallito nell'offensiva contro gli austro-tedeschi da lui stesso promossa. Il comandante dell’esercito, Kornilov, tentò il colpo di stato, ma fallì perché il governo ebbe l’appoggio bolscevico e delle forze socialiste, anche se Lenin ormai stava preparandosi a insorgere contro il governo provvisorio.
    2. La rivoluzione d’ottobre. Dopo un’accesa riunione del partito, in cui molti si opposero alle sue proposte, Lenin (appoggiato da Trotzkij, mente militare dell’insurrezione) riuscì a far scattare la rivolta, che Kerenskij non riuscì a stroncare perché l’esercito non gli obbedì. Il 7 novembre (25 ottobre del calendario russo) i soldati rivoluzionari e le guardie rosse (milizie operaie armate presero i punti nevralgici della città e circondarono il Palazzo d’Inverno, per poi prenderlo la sera stessa. Nel frattempo a Pietrogrado si riunì il Congresso panrusso dei soviet (cioè l'assemblea dei delegati dei soviet di tutte le provincie dell'ex Impero russo). Questo Congresso approvò decreti sulla pace giusta e senza indennizzi, e sulla terra, che diede ai contadini ciò che volevano, abolendo così la grande proprietà terriera. Venne creato dai bolscevichi un Consiglio dei commissari del popolo ovvero un governo rivoluzionario con Lenin presidente. Nonostante questa presa di potere nelle successive elezioni, ci fu un amara delusione per i bolscevichi. I vincitori furono i socialrivoluzionari. La successiva Costituente fu però immediatamente sciolta dai bolscevichi e ciò pose le premesse per una dittatura di partito. Infatti Lenin era convinto che solo il proletariato avesse il potere di guidare la rivoluzione.
    3. Dittatura e guerra civile. La Russia aveva ereditato problemi immensi, primo tra tutti la guerra, e i bolscevichi non godevano dell’appoggio di nessun’altra forza politica, né degli strati sociali più elavati, vi fu un emigrazione politica, un vero e proprio esodo. Il governo volle costruire uno Stato proletario secondo il modello disegnato da Lenin nella sua opera “Stato e rivoluzione” ovvero un autogoverno delle masse secondo i principi di democrazia sperimentati nei soviet e non ci sarebbe stato bisogno di parlamenti e di magistratura, di eserciti e di burocrazia. Niente Stato, espressione del potere di una classe su  un’altra. Ormai il governo doveva fare la pace, e il 3 marzo 1918 firmò il durissimo trattato di Brest-Litovsk, pace separata con la Germania. I Bolscevichi totalmente isolati in quanto corrente di sinistra ritirò i suoi rappresentanti dal Consiglio dei commissari del popolo. A livello internazionale la pace fu interpretata come un tradimento dalle potenze l’Intesa che nel frattempo combattevano gli Imperi centrali. La reazione dell'Intesa fu quella di appoggiare gli oppositori dei bolscevichi, quest'ultimi furono rafforzati dagli sbarchi di truppe anglo-francesi, americane e giapponesi e in diverse zone de paese si alimentò guerra civile. Le armate bianche controrivoluzionarie giunsero dalla Siberia al Volga con l’ammiraglio Kolciak (ci fu l'esecuzione dello zar e della famiglia a Ekaterinenburg per ordine dei soviet) e dal Nord della Russia si mossero verso sud (per questo motivo vi fu lo spostamento della capitale da Pitrogrado a Mosca). Il governo intanto accentuava i suoi caratteri autoritari infatti vi fu la creazione della Ceka (polizia politica), e del Tribunale rivoluzionario centrale in questo modo ogni contestazione venne placata, con arresti ed esecuzioni sommarie. Nel febbraio 1918 venne ricostituito l’esercito, con il nome di Armata rossa degli operai e dei contadini. Vennero istituiti i commissari politici che assicuravano fedeltà al governo rivoluzionario. Le forze controrivoluzionarie erano mal coordinate a causa di rivalità politica e di distanza geografica, finchè nel 1919 persero anche l’appoggio occidentale. Entro pochi mesi la guerra civile finì. Ma vinti i nemici interni, la Russia nell’aprile 1920 fu attaccata dalla nuova Repubblica di Polonia, insoddisfatta dal trattato di pace di Parigi. La risposta bolscevica fu travolgente, e l’Armata rossa giunse presto alle porte di Varsavia, ma i polacchi ebbero la meglio e li respinsero. Nel 1921: trattato di pace  - alla Polonia parti di Ucraina e Bielorussia. Durante questo attacco alla Polonia, crebbe una coesione nazionale che spinse molti ad avvicinarsi al regime sovietico.
    4. La Terza Internazionale. Nel 1919 i vertici russi consideravano ancora necessario l’appoggio del proletariato europeo per poter sopravvivere e vi era la inoltre prospettiva di una rivoluzione europea. Lenin volle un’Internazionale “comunista” , per coordinare gli sforzi rivoluzionari in tutto il mondo. Già nel 1918 era nato il Partito comunista (bolscevico) di Russia. Inizio di marzo 1919 venne convocata la Terza Internazionale, in cui venne accettata la costituzione della nuova Internazionale comunista (il Comintern). Lenin stabilì i “ventun punti” necessari a qualsiasi partito per entrare a far parte del Comintern, tra cui c’erano la rottura con gli oppositori, il cambio di denominazione in Partito comunista, etc. Tra ’20 e ’21 comunque in moltissimi Paesi del mondo nascevano partiti comunisti ispirati al modello sovietico, che appoggiavano la Russia bolscevica in una rete

efficiente ed organizzata. Ma in Europa occidentale i partiti comunisti restavano minoritari rispetto a quelli socialisti.

    1. Dal comunismo di guerra alla Nep. L’economia russa era in totale dissesto economico, aggravato dalla rivoluzione e dalla guerra civile. Agricoltura volta solo all’autocomsumo, industrie mal gestite, banche nazionalizzate e debito con l’estero cancellato, ma il governo non era in grado di riscuotere tasse -  ritorno al baratto. Il governo nel 1918 decise una linea       dura anche in economia: il comunismo di guerra. Primo problema: approvvigionamenti alle città. Vennero creati dei comitati rurali che dovevano  ammassare  e  distribuire  le  derrate.  Fu  incoraggiata  la  nascita  di  kolchoz(  fattorie  collettive)  e sovchoz (fattorie sovietiche) gestite dallo Stato o dai soviet locali. L’industria fu nazionalizzata. Quest'ultima fu una misura di emergenza, i vecchi dirigenti delle imprese furono affiancati a dei funzionari di partito e vi fu la reintroduzione del “cottimo” ovvero del salario legato al  rendimento  (del  tutto  contrario  all’egualitarismo  salariale).  Il  comunismo  di  guerra  fu  però   un fallimento economico: produzione industriale del 1920 era un settimo di quella del 1913. Raccolti scarsi. Razionamenti e requisizioni - mercato nero e malcontento popolare, sfociato spesso in sommosse. 1921: carestia nelle campagne della  Russia e dell'Ucraina che uccise tre milioni di persone. Duro colpo per l’immagine del regime sovietico. Ma il dissenso era anche degli operai, delusi dalla gestione autoritaria dell'economia, dalla scomparsa dei sindacati e  dal  regime  di militarizzazione imposto nelle fabbriche. Nel marzo 1921 vi fu rivolta da parte dei marinai di Kronstadt, i quali chiedevano elezioni liberi nei soviet, maggiori libertà politiche e sindacali ma vi fu una repressione militare. Il X congresso del Partito comunista abolì ogni dialettica al suo interno e decretò la fine del comunismo di guerra, in favore di una timida liberalizzazione nella produzione e negli scambi.

nuova politica economica (la Nep) aveva come primo scopo lo stimolo dell’agricoltura e l’arrivo di cibo nelle città. I contadini iniziarono a vendere le eventuali eccedenze. Liberalizzati anche commercio e piccola industria, mentre la grande industria e le banche restarono sotto il controllo statale. Vi fu una notevole ripresa produttiva, che però fece riemergere il ceto dei contadini ricchi, i kulaki, che in poco tempo ebbero il controllo del mercato agricolo. Col commercio aperto c’erano più beni di consumo, ma anche una nuova categoria di trafficanti ricchissimi, i nepmen. L’industria di Stato però stentava a decollare e vi fu una crescita della disoccupazione. Salari degli operai bassissimi. La classe operaia, protagonista della rivoluzione e principale sostenitrice del regime comunista, fu la più sacrificata dalle scelte della Nep.

    1. L’Unione Sovietica: costituzione e società. La prima costituzione della Russia rivoluzionaria è del 1918 e stabiliva che il potere doveva essere del popolo e dei suoi organi rappresentativi, i soviet, che lo Stato fosse federale, rispetasse le minoranze etniche e si aprisse all'unione con altre future repubbliche sovietiche. In realtà il nuovo stato comprendeva Russia e le ex province zariste (Azerbaigian, Armenia, Georgia, Bielorussia, Ucraina). Alla fine 1922 i congressi dei soviet delle singole repubbliche diedero vita all’URSS (Unione delle repubbliche socialiste sovietiche). La nuova costituzione dell'URSS del 1924 dava il potere supremo al Congresso dei soviet dell'Unione, anche se in realtà era nelle mani del Partito comunista. Era in pratica una dittatura di partito: esso guidava il governo, controllava la polizia politica, proponeva i candidati per i soviet, attuava un rigido centralismo. Ma i capi bolscevichi non volevano solo cambiare economia e istituzioni, volevano una nuova società compatibile con il nuovo ordine comunista  -  educazione della gioventù e lotta alla Chiesa ortodossa.  Scristianizzazione        in pratica riuscita, l’influenza del clero era quasi del tutto scomparsa, anche perché la Chiesa ortodossa era già in crisi da  tempo, perché legata all’antico regime zarista. Fu permesso solo il matrimonio civile e semplificato il divorzio, fu legalizzato l’aborto nel 1920, proclamata  l’assoluta  parità  tra  i  sessi  -  in  generale  ci  fu  una  liberalizzazione  dei  costumi.  L’istruzione fu posta obbligatoria fino a 15 anni;  venne  favorito  l’insegnamento  tecnico  a  quello  umanistico;  le  giovani  menti si forgiavano ideologicamente spingendone quante più possibile ad iscriversi alla Komsomol (Unione comunista della gioventù). Il regime di partito da un lato spinse molti artisti ad emigrare, dall’altro favorì la nascita di vivaci avanguardie,    almeno in un primo periodo. Fioritura creativa, ma presto le necessità propagandistiche bolsceviche cancellarono la libertà d’espressione.
    2. Da Lenin a Stalin: il socialismo in un solo paese. Con la malattia di Lenin e l’ascesa di Stalin alla segreteria generale  del Partito Comunista gli scontri interni al partito degenerarono. Il primo problema fu la centralizzazione e la burocratizzazione del partito, e quindi l’enorme potere che sarebbe finito nelle mani di Stalin. L’altro protagonista, che cercò di dare spazio alla  vera democrazia sovietica, fu Lev Trotzkij. Questi era molto autorevole, e forse per questo gli altri membri del partiti fecero blocco attorno al segretario, Stalin, che non godeva nemmeno della fiducia di Lenin. Lo scontro tra Stalin e Trotzskij iniziò dopo la morte di Lenin. Infatti secondo Trotzskij l’Unione Sovietica doveva cercare di favorire qualche un processo rivoluzionario nell'Occidente capitalistico e cercarsi di industrializzarsi. In Opposizione la tesi di Stalin per cui fu coniata l'espressione la rivoluzione permanente, che invece stabilì il principio del socialismo in un solo paese, una rottura rispetto alla tradizione bolscevica, ma un assunto molto realistico. Le potenze europee tra ’24 e ’25 si decisero a riconoscere lo stato sovietico, favorendo così indirettamente Stalin e isolando Trotzkij che infine infine sconfitto. Dopo di lui, nuovo scontro sull’economia: Kamenev voleva sospendere la Nep perché stava facendo rinascere il capitalismo nelle campagne. Contrario era Bucharin il quale voleva incoraggiare la piccola impresa agricola; Stalin stette con lui, espulse Trotzkij. Stalin iniziò la sua dittatura personale.

 

  1. L’eredità della grande guerra.

 

    1. Le trasformazioni sociali. La guerra fu la più grande, forse la prima, esperienza di massa dell’umanità, che coinvolse 65 milioni di persone e si comportò come un acceleratore di processi; inoltre i combattenti vivettero per anni in un’altra realtà e una volte tornati fu difficile reinserirli in una società dove intanto le donne erano subentrate. La mancanza della figura paterna, al fronte a combattere, mutò la struttura della famiglia (prima patriarcale) e la mentalità e le abitudini dei più giovani. Grandi cambiamenti, nell’abbigliamento, negli uomini come nelle donne e nei giovani. Ricerca di nuove occasioni di divertimento, spesso trovate nel cinema e nella musica americane. Tutti cercavano di rifarsi degli anni perduti. Sorsero molte associazioni combattentistiche per sostenere i reduci e aiutarli a reinserirli nella società. Vi fu la tendenza della massificazione della politica infatti per far valere i propri diritti e per affermare le proprie rivendicazioni era necessario associarsi e organizzarsi in gruppi numerosi. Infatti vi fu un aumento di iscritti nei partiti e nei sindacati. Perdevano importanza ad esempio l’azione parlamentare. Vi fu una maggiore frequenza di manifestazioni pubbliche basate sulla partecipazione diretta dei cittadini.
    2. Le conseguenze economiche. La guerra creò un grave dissesto economico per tutti paesi belligeranti, eccetto USA. A causa di ciò furono aumentate e tasse, e avevano contratto debiti con i paesi amici, soprattutto con gli USA . Venne stampata moneta in eccedenza generando così l'inflazione. Era un fenomeno mai visto, che sconvolse la società intera. Se gli operai riuscivano a mantenere il loro reddito reale, e se la guerra aveva arricchito industriali e speculatori, per i proprietari terrieri e il ceto medio, l’inflazione fu la piaga peggiore. Serviva una riconversione dell’economia. La supremazia europea era intanto  stata

scalzata da USA e Giappone, dalla nascita di nuove potenze sempre meno dipendente dall’Europa, e per alcuni paesi come la GB, dalla frammentazione di vecchi partner commerciali continentali in tante realtà statuali diverse. Fu un periodo di nazionalismo economico e protezionismo doganale soprattutto in quei Stati dove si voleva sviluppare una propria industria. Vi fu il blocco dei prezzi dei generi di prima necessità e sui canoni d'affitto. Si rafforzò la tendenza dei pubblici poteri ad intervenire su materie un tempo riservate alla libera iniziativa e vi fu il mantenimento di una enorme macchina burocratica per gestire tale intervento. Ad una prima espansione “artificiale” seguì una nuova crisi. La vera ripresa si sarebbe avuta dalla metà degli anni ’20 in avanti.

    1. Il biennio rosso. Dopo la guerra ci fu una prodigiosa avanzata del movimento operaio e dei socialisti, che videro ovunque incrementi elettorali. Ci furono  agitazioni, che culminarono con l’ottenimento della riduzione della giornata lavorativa ad otto ore a parità di salario. Era il  biennio rosso: 1918-1920  -  “Fare come in Russia” era il motto un po’ ovunque, recitato dai        gruppi rivoluzionari. In Francia  e GB le autorità riuscirono  senza  problemi a tenere a bada le spinte operaie. Germania,  Austria e Ungheria furono invece teatri di veri e propri tentativi rivoluzionari. L’ipotesi rivoluzionaria però fallì miseramente: troppo diverse erano in Europa le condizioni rispetto a quelle russe, in quanto lì vi era un capitalismo debole, una borghesia numericamente esigua e un movimento operaio abituato alle cospirazioni.  Fu  allora  che  il  movimento  operaio  si  divise  nella corrente d’avanguandia e in quella più moderata un po’ dappertutto; fu allora che nacquero  i  partiti  di  ispirazione bolscevica che nonostante  volessero portare alla rivoluzione, invece avrebbero indirettamente aperto la strada ai conservatori.
    2. Rivoluzione e controrivoluzione nell’Europa centrale. La rottura comunismo-socialdemocrazia fu causata dalle vicende russe (con i bolscevichi al potere) e da quelle tedesche (con la proclamazione della Repubblica). Dopo l’armistizio l’esercito tedesco rientrò e si disgregò in migliaia di unità armate. Il governo legale era esercitato dal Consiglio dei commissari del popolo, ma in realtà a governare erano i consigli degli operai e dei soldati. A Berlino c’erano continue manifestazioni. Situazione simile a quella russa del 1917, ma in realtà molto diversa. La rivoluzione era ostacolata da: la presenza degli eserciti stranieri al confine, pronti a sedare una rivoluzione; l’indifferenza rurale rispetto ai moti rivoluzionari urbani; la solidità sociale della classe dirigente; i particolari rapporti di forza interni al movimento operaio (diversi da quello russo). A differenza dei menscevichi russi i socialdemocratici dopo la guerra erano l’unica forza organizzata del paese.

I leader socialdemocratici non volevano una rivolta come in Russia, ma una democratizzazione del sistema politico che rientrava nel quadro delle istituzioni parlamentari. I capi della Spd e gli esponenti della vecchia classe dirigente appoggiarono i socialdemocratici perché ritenevano che potesse placare le rivoluzioni. Venne stabilito un patto non scritto tra socialdemocratici e i capi dell’esercito,lealtà in cambio di tutela dell'ordine pubblico e mantenimento della struttura gerarchica delle forze armate. Ma la scelta della Spd si scontrò con i più radicali, come la Lega di Spartaco, che eppure non cercava uno scontro diretto, sapendo di essere minoritaria. Tuttavia le masse spinsero gli spartachisti ad insorgere (1919), anche se al loro appello a rovesciare il governo quasi non risposero, cosa che invece fece il governo che represse duramente il tentativo rivoluzionario attraverso i Freikorps, i corpi franchi, e trucidò i suoi leaders, Liecknecht e Luxemburg. Il 19 gennaio si tennero le elezioni per la Costituente, vinte dalla Spd che però non ebbe la maggioranza assoluta. Ci voleva quindi un accordo o con i cattolici o con i liberali. L'accordo tra socialisti, cattolici e democratici permise di governare, di eleggere a presidente della Reppublica Ebert e di stilare la nuova democratica costituzione, detta di Weimar (assetto federale, suffragio universale maschile e femminile, gov responsabile di fronte al parlamento, presidente eletto dal popolo). Tuttavia la pace sociale non arrivò, ci furono nuovi tentativi rivoluzionari, specie in Baviera, dove era stata proclamata una Repubblica dei consigli che però venne stroncata dall'esercito del governo. Ma il vero pericolo era nell’estrema destra: l’esercito era sempre meno fedele alla repubblica e faceva quello che voleva. Esso diffuse la leggenda della pugnalata nella schiena: secondo cui l'esercito tedesco avrebbe potuto vincere la guerra se non fosse stato tradito da una parte del Paese, anche se ciò non era affatto vero. La Spd nel 1920 fu sconfitta e dovette lasciare il governo ai cattolici del Centro. Anche in Austria i socialdemocratici furono sconfitti quell’anno dal Partito cristiano- sociale. Tentativi comunisti di insurrezione continuavano a fallire, mentre in Ungheria i comunisti riuscirono a tirare su un governo di stampo sovietico, che durò quattro mesi appena, quando Bèla Kun fu destituito dall’ammiraglio Horthy, che salì al potere scatenando un’ondata di “terrore bianco”. Il Paese cadeva nelle mani della Chiesa e dei grandi proprietari terrieri.

    1. La stabilizzazione moderata in Francia e in Gran Bretagna. La fine del biennio rosso e la recessione economica segnarono la sconfitta operaia e la ripresa dei moderati, che sconfitto il pericolo rivoluzionario cercarono di ristabilire l’ordine tradizionale socio-politico, di frenare l’inflazione e di dare stabilità all’assetto internazionale. In Francia e GB l’obiettivo della stabilizzazione politica interna fu raggiunto: in Francia la destra governò con una politica molto conservatrice dal ’19 fino al ’24, fino a che i radicali di sinistra attraverso il cartello delle sinistre (coalizione delle sinistre) riuscirono ad avere la maggioranza e a portare al governo il loro leader Herriot, che però sarebbe durato molto poco perché non seppe affrontare una crisi finanziaria. Nel 1926 la guida del Paese tornò al leader moderato Poincarè, che restò per tre anni riuscendo a stabilizzare la moneta e a risanare il bilancio statale, sempre a spese del popolo. In questi anni vi fu un boom economico in Francia. In GB il processo fu più lento ed incerto, anche a causa della stagnazione economica che proseguì per tutti gli anni ’20. Tra il 1918 e il 1929 in GB governarono solo i conservatori, a parte una brevissima parentesi laburista nel 1924 in cui vi fu una secca sconfitta liberale di quel periodo rifece del sistema inglese un sistema bipartitico, con i laburisti primi antagonisti dei conservatori. I governi conservatori tornati al potere avviarono una politica di austerità finanziaria e tagli dei salari che causò scontri con i sindacati. Grandi manifestazioni e malcontento popolare - scioperi dei minatori ma essi non portarono a nulla, dopo sette mesi di scontro i lavoratori non ottennero nulla. crisi dei laburisti causata dal fatto che venne dichiarata illegale la pratica per cui gli aderenti    alle Trade Unions venivano iscritti d'ufficio al Labour Party (si dimezzarono gi iscritti), che però si ripresero fino a vincere le elezioni del 1929.
    2. La Repubblica di Weimar. Grandi anni per la Germania, la cui costituzione era un esempio di liberalismo e democrazia per tutti. Rigoglio attività intellettuale e della cultura. Tuttavia la Repubblica era in crisi anche perché mancava una stabilità nelle maggioranze e nei governi, le forze politiche erano molto frammentate, incapacità di guidare il paese nella difficile crisi di trasformazione che stava attraversando. forza che poteva aspirare al ruolo di partito egemone era la socialdemocrazia (con la confluenza del Spd e dell' Uspd). La Spd fece sempre sentire il suo peso sia al governo sia all’opposizione, ma non riuscì mai  ad ampliare la sua base elettorale. Le classi medie, infatti, si raccoglievano attorno ai partiti della destra conservatrice e moderata e a quello cattolico. La diffidenza verso il nuovo sistema dunque non coinvolgeva solo la vecchia classe dirigente, ancora arroccata nella burocrazia e nell’esercito, e l’estrema destra, ma anche la piccola e media borghesia, per la quale l’età imperiale aveva significato tranquillità e grandezza nazionale, mentre la Repubblica era sinonimo di sconfitta e riparazioni di guerra. 1921: gli alleati dichiararono che le riparazioni ammontavano a 132 miliardi di marchi-oro da pagare in 42 rate   annuali:

per 50 anni cioè la Germania avrebbe dovuto dare via un quarto del suo PIL. Popolazione furiosa - proteste. Ci fu   un’offensiva da parte dell’estrema destra nazionalista (in cui si stavano facendo largo i nazionalsocialisti guidati da Adolf Hitler) ai danni della Repubblica considerata traditrice. Tra 1918 e 1919 furono assassinati il ministro delle Finanze Erzberger e     quello degli Esteri Rathenau. I governi tra il 1921 e il 1923 cercarono di non far pesare il problema delle riparazioni sulla popolazione, per evitare insurrezioni, quindi non alzarono le tasse, iniziando invece a stampare carta-moneta ci fu però così un processo inflazionistico e crollo del valore del marco. Il governo sperava che ciò avrebbe fatto desistere le potenze vincitrici dal continuare ad imporre loro le sanzioni economiche delle riparazioni.

    1. La crisi della Ruhr. 1923: Francia e Belgio occuparono il bacino della Ruhr (zona più ricca e industrializzata della Germania) in modo che la Germania pagasse quelle riparazioni ancora non corrisposte. Il governo tedesco non potè reagire militarmente ma incoraggiò la resistenza passiva: operai e imprenditori si rifiutarono di collaborare con gli occupanti. Attentati contro i franco-belgi questi però reagirono con fucilazioni e arresti in massa. Tutto ciò provocò il definitivo tracollo finanziario per la Germania: il marco si svalutò sino a perdere praticamente ogni potere d’acquisto. Polverizzazione della moneta. Inflazione inarrestabile. Chi aveva beni reali (agricoltori, industriali, commercianti) o chi aveva contratto debiti era avvantaggiato; mentre chi aveva risparmi da parte perse tutto. Gli industriali esportatori guadagnarono molto perché percepivano valuta straniera.       La classe dirigente reagì: nell’agosto ’23 nacque un governo di grande coalizione presieduto da Stresemann, convinto della necessità di un accordo con le potenze vincitrici. Riallacciò il legami con Parigi e proclamò lo stato di emergenza, potendo così sciogliere i governi regionali della Sassiona e della Turingia (dove erano al potere comunisti e socialdemocratici di sinistra), e sedare le rivolte comunista ad Amburgo e dell’estrema destra a Monaco. Quest’ultima, l’8 e 9 novembre, era capeggiata da Hitler e da Ludendorff che si opposero così al governo centrale, ma non ottennero l’appoggio sperato dei militari e delle autorità locali e vennero fermati. Hitler fu condannato a 5 anni di carcere anche se poi ne fece meno: la sua carriera sembrava conclusa. Nell’ottobre  si  tentò  di  risanare  l’economia  -  emissione  del  Rentenmark,  il  marco  di  rendita,  il  cui  valore  era  garantito dal patrimonio agricolo ed industriale tedesco, ovvero lo Stato tedesco impegnava i suoi averi per garantirsi un credito. Fu avviata una politica deflazionistica: ulteriori sacrifici, ma ritorno alla normalità finanziaria. Il piano Dawes: secondo questo la Germania per pagare le riparazioni doveva  essere  al  max  della  sua  forma  economica.  Per  questo  la  Germania  si  fece dare delle sovvenzioni dagli USA da restituire in rate in modo che così la Germania si potesse riappropriassero della Ruhr. Effettivamente vi fu una ripresa economica notevole. Nonostante questa ripresa, la crisi della Ruhr e la grande inflazione del 1923 avevano lasciato il segno e nelle elezioni ’24 ci fu l’avanzata delle ali estremiste (comunisti e tedesco-nazionali). Fu     eletto Presidente della Repubblica von Hindenburg, vecchio maresciallo imperiale. Si susseguirono anni di stabilità.  Stresemann rimase ministro Esteri fino alla sua morte e continuò una collaborazione con le potenze vincitrici. Fino al ’28 governa il centro.
    2. La ricerca della distensione in Europa. Dopo la guerra la Francia cercò di creare un suo sistema di sicurezza e di alleanze (con i neo-stati dell’Est europeo), e fu molto rigida con la Germania. Il governo francese e tedesco accettarono il piano Dawes e iniziò una fase di distensione internazionale, confermata dagli accordi di Locarno del 1925, che normalizzarono i rapporti franco-tedeschi (grazie anche all’operato dei ministri Stresemann e Briand). Il piano Young diminuì ulteriormente le sanzioni alla Germania, che intanto fu inserita nella Società delle Nazioni e vide gli ultimi reparti francesi lasciare la Renania nel 1930. Tale fase di distensione (culminata con il Patto Briand-Kellog, di Parigi, che rifiutava la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie) si interruppe alla fine del decennio in coincidenza con la grande crisi economica internazionale (nel 1930 la Francia stava già costruendo quel cordone difensivo contro la Germania che era la linea Maginot).

 

  1. Il dopoguerra in Italia e l’avvento del fascismo.

 

    1. I problemi del dopoguerra. Alla crisi economica tipica del periodo postbellico, in Italia si aggiunsero notevoli tensioni sociali: tutte le parti sociali erano in fermento. Gli operai volevano più potere nelle fabbriche e manifestavano, anche sotto gli echi della rivoluzione russa. I contadini con una nuova consapevolezza volevano garantiti i loro diritti. I ceti medi iniziarono ad organizzarsi e a mobilitarsi per sostenere i loro interessi. Ma rispetto a Francia e GB, in Italia l’economica e la  democratizzazione erano appena agli inizi, fragilissime. La classe dirigente liberale era entrata in una crisi impressionante, in quanto venne contestata e isolata, non fu in grado di gestire le mobilitazioni di massa e per questo motivo perse la usa egemonia. In Italia vennero favorite le forze socialista e cattoliche perché non erano ritenuti responsabili alla guerra.
    2. Cattolici, socialisti e fascisti. 1919: nasce sotto la guida spirituale di Sturzo e legato alla Chiesa, il Partito popolare italiano (Ppi). La Chiesa aveva un nuovo atteggiamento politico: voleva arginare il socialismo. Inoltre ci fu una crescita  incredibile del Partito socialista, al cui interno prevaleva la corrente di sinistra, chiamata massimalista, mentre i riformisti erano forti in Parlamento. I massimalisti guidati da Giacinto Menotti erano ammiratori della rivoluzione bolscevica e volevano lo stato socialista. Ma la rivoluzione la aspettavano e basta. Dei gruppi di estrema sinistra nacquero attorno a personaggi quali Bordiga, Gramsci o Togliatti, i quali si battevano per un maggior impegno rivoluzionario. Tutte illusioni, visto che questo atteggiamento  non fece che allontanare i proletari dalla vita politica: la borghesia era chiaramente spaventata da tali idee, aveva paura di una dittatura proletaria, e si teneva lontana dai socialisti. Nacquero tanti gruppi difensori dei “valori della vittoria”: come ad esempio i Fasci di combattimento, fondati il 23 marzo 1919 a Milano da Benito Mussolini. Politicamente erano a sinistra e chiedevano riforme sociali audaci, ma in realtà odiavano i socialisti. I fascisti furono i protagonisti del 1° grace episodio di guerra civile dell'Italia postbellico con l’assalto e l’incendio alla sede dell’”Avanti!”.
    3. La “vittoria mutilata” e l’impresa fiumana. Italia uscì politicamente rinforzata dal conflitto: raggiunse i confini naturali e vide dissolto il suo acerrimo nemico, l’Impero asburgico. Secondo il Patto di Londra la Dalmazia andava all’Italia, Fiume all'impero asburgico nonostante fosse italiana. La conferenza di pace a Versailles andava male però: Orlando e Sonnino cercarono di ottenere anche Fiume, ma incontrarono il rifiuto alleato, in particolare di Wilson e Abbandonarono la conferenza per protesta, ma quando vi tornarono non ottennero nulla. Il governo Orlando allora si dimise. Governo Nitti al potere, mentre nel Paese si sviluppava il disappunto con le potenze ex alleate, che defraudavano l’Italia, e con il governo incapace di assicurare gli interessi nazionali: Gabriele D’Annunzio, noto ormai come una sorta di vate nazionale, parlò allora di “vittoria mutilata”. Nel settembre 1919 alcuni reparti ribelli guidati dal poeta occuparono Fiume e ne proclamarono l’annessione all’Italia. L’impresa fiumana durò quindici mesi, durante il quale si misero in atto alcuni espedienti e si fece esperienza di alcune realtà che sarebbero state utilizzate durante il ventennio fascista.
    4. Le agitazioni sociali e le elezioni del ’19. Tra 1919 e 1920 l’Italia fu attraversata da aspre agitazioni sociali: l’inflazione e il caro-viveri procurarono moti spontanei della popolazione e forti reazioni sindacali, che culminarono nelle centinaia di scioperi

che videro protagonista quasi ogni settore. Ci furono anche agitazioni agrarie, portate avanti per gli stessi scopi ora dalle leghe rosse socialiste ora da quelle bianche cattoliche. Nel Sud invece iniziò a diffondersi l’occupazione di terre incolte e latifondi da parte di contadini ed ex combattenti. Le lotte erano però tra loro separate e a volte si opponevano, infatti si erano accentuate le divisioni del Paese. Novembre 1919 si ebbero le prime elezioni del dopoguerra ed ottennero successo dei partiti di massa (socialisti 32%, e i popolari). Vecchi equilibri politici in crisi, nuovi difficili da creare, anche a causa del sistema proporzionale, su cui si erano basate le elezioni, che difficilmente dava vita a coalizioni stabili; l’unica che fu possibile, era quella tra popolari e liberal-democratici, governò per gli ultimi anni prima dell’avvento del regime.

    1. Giolitti, l’occupazione delle fabbriche e la nascita del Pci. Dopo Nitti, Giolitti prese il governo con un programma molto avanzato, anche dal punto di vista fiscale. Infatti introdusse la nominatività dei titoli azionari (cioè l'obbligo di intestare le azioni al nome del possessore, permettendone così la tassazione) e un' imposta straordinaria sui sovraprofitti realizzati dall'industria bellica. La questione adriatica ovvero la negoziazione con la Jugoslavia fu risolta da Giolitti nel 1920 con il trattato di Rapallo. All’Italia conservò Trieste, Gorizia e l’Istria, alla Jugoslavia la Dalmazia eccetto Zara che fu assegnata all'Italia. Fiume, quando venne attaccata, fu presto abbandonata da D’Annunzio. Avviando il risanamento del bilancio, il governo Giolitti stabilì la liberalizzazione del prezzo del pane; però il suo disegno politico complessivo non era più applicabile: gli mancava la maggioranza dell’anteguerra e non poteva fare delle piccole concessioni ai socialisti per tenerli buoni. Evento più importante: occupazione delle fabbriche da parte dei metalmeccanici nell’autunno ’20. Era un pesantissimo scontro sindacale tra  imprenditori e operai, che conobbe anche degli accenni rivoluzionari (nacquero i consigli di fabbrica ovvero organismi eletti dai lavoratori). Dalle attese rivoluzionarie si passò al compromesso sindacale, favorito da Giolitti e dalla sua politica di neutralità    - controllo sindacale sulle imprese. I dirigenti riformisti della Cgl furono accusati di aver svenduto la rivoluzione in cambio di   un accordo sindacale. I contrasti nel movimento operaio esplosero però solo al II Congresso del Comintern, atto di nascita di molti partiti comunisti. Serrati si rifiutò di espellere i riformisti perché in questo modo il Psi avrebbe perso buona parte dei suoi quadri sindacali, dei suoi deputati, dei suoi amministratori locali. Al congresso del partito, tenutosi Livorno, la minoranza di sinistra abbandonò e fondò il Partito comunista d’Italia (Pci), con un programma leninista, ma l’ondata rivoluzionaria europea e italiana si stava esaurendo. In più, il Psi era come bloccato dalle sue vicende interne, in cui i massimalisti tenevano fermi i riformisti  - nessun accordo con i borghesi e incapacità di ostacolare la tendenza antisocialista che si stava diffondendo in Italia.
    2. Il fascismo agrario e le elezioni del ’21. Con il riflusso delle lotte operaie vi fu a livello europeo un aumento della disoccupazione e un calo della capacità contrattuale degli operai, mentre in Italia si iniziò a diffondere il fascismo agrario. All’inizio il fascismo non aveva seguaci, ma poi subì una trasformazione: iniziò una lotta spietata contro il  socialismo,  abbandonò del programma radical-democratico e costituì delle strutture paramilitari, squadre d'azione. Mussolini infatti aveva deciso di cavalcare l’onda di riflusso antisocialista che si era creata a seguito del biennio rosso. Il sistema delle leghe socialiste nella Valle Padana era estremamente efficace, perché controllava il mercato del lavoro e aveva ampio potere contrattuale. Il fascismo portò a galla le fratture interne al sistema: quelle tra braccianti e mezzadri. Il fascismo agrario nacque quando ci furono i fatti di Palazzo d’Accursio a Bologna, nel 1920, dove fascisti si mobilitarono per impedire la cerimonia d'insediamento della nuova amministrazione comunale fascista. I socialisti per sbaglio spararono sulla folla tra i loro sostenitori. I fascisti da ciò trassero il pretesto per scatenare una serie di ritorsioni antisocialiste in tutta la provincia. I proprietari scoprirono nei fascisti degli alleati preziosi per distruggere il potere delle leghe, e li sovvenzionarono molto generosamente. Le fila fasciste intanto si ampliavano, lo squadrismo dilagò in tutto il centro-nord. Solo il Sud per ora restava immune. Gli obiettivi squadristi erano l’esclusione dalla vita  politica  ed  economica  del socialismo  -  spedizioni che  andavano  a devastare  e incendiare  camere del lavoro, sedi delle leghe, case del popolo, e sottoponevano i socialisti a ripetute violenze. Molte giunte furono costrette        alle dimissioni. Molto leghe chiusero i battenti. Ma il successo fascista oltre a spiegarlo con fattori di ordine militare, ma si devono attribuire delle responsabilità anche al governo e allo stesso Giolitti: i fascisti erano visti come naturali alleati nella lotta ai “rossi”. Maggio 1921: elezioni - i fascisti sono invitati ad entrare nei blocchi nazionali, le coalizioni nate per fermare l’ascesa elettorale dei partiti di massa. I socialisti persero relativamente poco, considerato le spedizioni contro di loro e la secessione comunista. La vera novità furono i 35 deputati fascisti eletti, capeggiati da un Mussolini sempre più desideroso di potere.
    3. L’agonia dello Stato liberale. A Giolitti successe Bonomi, che promosse ed ottenne una tregua tra socialisti e fascisti      - patto di pacificazione con entrambi rinunciavano alla violenza. In particolare i socialisti accettavano di sconfessare quei gruppi di militanti di sinistra che si erano organizzati spontaneamente per opporsi allo squadrismo. Ma al patto erano contrari i fascisti più intransigenti, che si opposero a Mussolini  fino  a  che  egli  non  sconfessò  il  patto  stesso,  non  potendo  fare  a meno dello squadrismo agrario. I ras riconobbero la guida politica di Mussolini e nacque Partito nazionale fascista (Pnf), con 200.000 iscritti. Nel febbraio ’22 il governo passò nelle mani di Facta, il quale dimostrò una scarsa autorità politica. A causa di ciò lo squadrismo dilagò incontrollato. Il fascismo era sempre più importante intanto: venivano attuate scorribande e occupati centri. Il fascismo giocava da un lato sulla violenza armata, dall’altro sulla manovra politica; il socialismo non seppe rispondere  in modo efficace e quando si decise era troppo tardi. I dirigenti sindacali proclamarono lo s ciopero generale legalitario , in  difesa  delle  libertà costituzionali.  Questo fu usato come pretesto dai fascisti per passare come garanti dell’ordine e per  sferrare un attacco alle ultime fortezze socialiste (Milano, Genova, Ancora, Parma…). Movimento operaio  distrutto.  Ottobre 1922: i riformisti Turati abbandonarono il Psi, per fondare il Psu (Partito socialista  unitario)
    4. La marcia su Roma. Mussolini e i fascisti ora volevano il potere: quindi fecero buon viso a cattivo gioco e iniziarono a prepararsi ad un colpo di Stato, mentre intanto rassicuravano il re e cercavano accordi con i moderati per formare un governo a cui i fascisti avrebbero partecipato. La mobilitazione fascista fece i primi passi e presto si ebbe il progetto di una marcia su Roma, con obiettivo la conquista del potere centrale, che non sarebbe mai giunta a buon fine se solo avesse incontrato l’opposizione governativa e l’esercito spiegato. Mussolini stesso vedeva la marcia su Roma come un mezzo di pressione politica. La mattina del 28 ottobre il re Vittorio Emanuele III si rifiutò di firmare il decreto per la proclamazione dello stato d’assedio - le camicie nere ebbero libero accesso a Roma e Mussolini al potere. Il 30 ottobre Mussolini incontrò il re e ottenne il compito di formare il nuovo governo, che la sera stessa fu già pronto. Il cambio di governo era in realtà di regime, ma pochi    lo capirono.
    5. Verso lo Stato autoritario. Mussolini continuava a seguire due linee, una dura e una morbida. I fiancheggiatori (liberali e cattolici) non capirono cosa ci fosse sotto. La normalizzazione moderata apparì presto sempre più lontana, quando il Partito assunse ruoli incompatibili con un governo liberale. Nacque il Gran consiglio del fascismo alla fine del 1922, per delineare le linee guida della politica fascista e il rapporto tra potere e governo; all’inizio del 1923 nacque la Milizia volontaria per la  sicurezza nazionale, che aveva come vero scopo non tanto gestire la rivoluzione, ma tenere sotto controllo lo squadrismo e

limitare il potere dei ras. La repressione divenne anche “legale”: chiusura giornali e arresti preventivi, ad esempio. Le vittime principali furono i comunisti che furono costretti alla semiclandestinità. Crisi definitiva del movimento operaio; scomparvero scioperi e sindacati, diminuirono i salari. La politica fascista in economia mirava a ridare libertà d’azione all’iniziativa privata. Ad es il servizio telefono venne privatizzato, fu abolito il monopolio statale sulle assicurazione sulla vita. Si cercò di contenere la spesa pubblica attuando dei licenziamenti. Venne attuata una politica di privatizzazione e liberista. pareggio del bilancio entro il 1925, anche se il merito era ancora degli ultimi governi liberali. Il governo di Mussolini fu appoggiato dalla Chiesa e Mussolini se lo garantì anche con la riforma Gentile, che andava incontro ai desideri del clero in ambito dell’istruzione. La prima vittima dell'avvicinamento Chiesa e fascismo fu il partito popolare. Mussolini impose le dimissioni dei ministri popolari. Per avere una maggioranza più forte, Mussolini istituì la legge elettorale maggioritaria (che avvantaggiava la lista che avesse ottenuto la maggioranza relativa assegnandole i 2/3 dei seggi disponibili). Molti liberali e alcuni cattolici accettarono di candidarsi insieme ai fascisti nelle liste nazionali. Le forze antifasciste erano troppo divise, ed erano di fatto già condannate alla sconfitta. Le elezioni del 6 aprile 1924 videro il trionfo del fascismo anche senza l'uso della legge maggioritaria. Nonostante fosse avvantaggiato durante la campagna elettorale e le votazioni i fascisti usarono violenza contro gli avversari.

    1. Il delitto Matteotti e l’Aventino. Mussolini uscì rafforzatissimo dalle elezioni. Dopo 2 mesi dalle elezioni un gruppo di squadristi uccise Giacomo Matteotti (segretario del Partito socialista unitario) il 10 giugno 1924. Proprio egli pochi giorni prima di morire aveva lanciato un’invettiva contro il fascismo denunciandone le violenze e i crimini e aveva contestato la validità dei risultati elettorali. Opinione pubblica scossa e il fascismo fu isolato all’improvviso. Tutto l’edificio del regime parve per un attimo sul punto di crollare. L’opposizione era debolissima, tutto quello che fece fu la cosiddetta secessione dell’Aventino, cioè si astennero cioè dai lavori parlamentari attendendo il ritorno della legalità democratica. Gli aventiniani speravano in un intervento del re e in un indebolimento della maggioranza: ma niente. Mussolini accettò di dimettersi da ministro degli Interni e di  sacrificare alcuni suoi collaboratori più coinvolti nell'affare Matteotti. L’ondata antifascista rifluì in fretta. 3 gennaio 1925: ci fu una svolta autoritaria, Mussolini con un discorso alle Camere minacciò apertamente di usare la forza contro le opposizioni. Nei giorni successivi infatti vi furono arresti, perquisizioni e sequestri contro partiti di opposizione e organi di stampa.
    2. La dittatura a viso aperto. Se il “Manifesto degli intellettuali del fascismo” raccolse alcune menti tra cui Giovanni Gentile, quello antifascista nacque per iniziativa di Benedetto Croce. L’occupazione fascista dello Stato proseguiva; all’opposizione non restava alcuno spazio di libertà. Alla fascistizzazione della stampa italiana seguì un colpo fatale ai sindacati, con il patto di Palazzo Vidoni, con cui la Confindustria si impegnava a riconoscere la rappresentanza dei lavoratori ai soli sindacati fascisti. Il governò promulgò delle leggi “fascistissime”: rafforzamento del potere del capo del governo; legge sindacale che proibiva lo sciopero e che solo i sindacati fascisti avevano il diritto di stipulare contratti collettivi; una raffica di provvedimenti repressivi  seguì ai tentati attentati alla vita di Mussolini. I partiti antifascisti furono sciolti, i deputati aventiniani furono dichiarati decaduti e  fu reintrodotta la pena di morte per chi commetteva reati contro la sicurezza dello Stato. Nacque il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, i cui giudici però erano ufficiali dell’esercito e della Milizia. Legge elettorale 1928: sistema della lista unica con tanti candidati quanti erano i seggi da occupare (gli elettori potevano approvarla o respingerla in blocco) e la costituzionalizzazione del Gran consiglio del fascismo, che divenne organo dello Stato. Il regime era completo (e diverso da quelli del passato perché non solo voleva dominare le masse, ma anche inquadrarle nelle sue ideologie), le decisioni importanti erano concentrate nelle mani di un solo uomo. Lo Stato liberale morto e sepolto.

 

  1. La grande crisi: economia e società negli anni ’30.

 

    1. Crisi e trasformazione. Anni ’20: ripresa per tutta l’Europa, apparente stabilità e diffusa prosperità; ma un taglio netto con tutto ciò lo diede la “grande crisi” del 1929 che scoppiò negli USA, evento di portata storica; evento periodizzante che modificò i destini del mondo, catalizzò procedimenti già in atto e accelerò la storia. Le trasformazioni degli anni '30 consistono nell'affermarsi del capitalismo diretto, lo sviluppo di mezzi di comunicazione di massa, crescita di classe medie
    2. Gli anni dell’euforia: gli Stati Uniti prima della crisi. Durante la guerra, gli USA erano non solo il 1° paese produttori ,  ma anche primi esportatori di capitali (prestiti a buona parte dell' Europa), con il dollaro una moneta fortissima. Dal 1921 per gli USA iniziò un grande periodo di prosperità, anche grazie al boom industriale (PIL aumenta del 25%); però il numero degli occupati nell'industria calò a causa della disoccupazione tecnologica. Aumentava invece l'occupazione nel settore dei servizi. Numerosi mutamenti nella vita quotidiana della gente: 1 automobile ogni 5 abitanti (Europa 1 a 83), elettrodomestici diffusissimi . Negli anni '20 ci fu l’egemonia repubblicana, e una rigida politica liberista, che favorì l’iniziativa privata, le grandi corporations, ridusse le imposte dirette, senza preoccuparsi delle classi più povere. Infatti si pensava che l'accumulazione della ricchezza privata costituisse la miglior garanzia di prosperità. Enormi squilibri sociali: specie gli operai comuni e quelli di colore erano svantaggiati rispetto agli altri. Inoltre ci fu un ondata di conservatorismo ideologico: legge limitative dell’immigrazione, razzismo e cattolici ed ebrei venivano guardati con diffidenza, discriminazione contro i neri, e nel Sud diffusione impressionante della setta razzista Ku Klux Klan. Proibizionismo: divieto di fabbricare e vendere bevande alcoliche perchè l'ubriachezza era ritenuta un vizio tipico di neri e proletari in genere. Tuttavia vi era ottimismo tra la borghesia americana, Wall Street lavorava  freneticamente, anche se appoggiandosi per lo più su attività speculative; in realtà l’espansione americana era problematica: i beni di consumo durevoli saturavano il mercato, mentre il settore agricolo attraversava una crisi durissima. Fu allora che si tentarono di penetrare con le esportazioni nel resto del mondo: da allora tra Europa e America vi fu un legame di interdipendenza economica, perchè l'espansione americana finanziava la ripresa europea. L'Europa alimentava con le sue importazioni lo sviluppo degli USA. Ma tutto ciò si poteva però sfaldare da un secondo all’altro, perchè i crediti statunitensi all'estero erano generalmente erogati da banche private e dunque legati a calcoli di profitto. Quando meno investimenti giunsero da noi, ciò si ripercosse sull’industria USA - crisi del 1929.
    3. Il “grande collo” del 1929. Il crollo di Wall Street mise alla luce tutti gli squilibri dell’espansione. Tra il 24 e il 29 ottobre vi fu una grande corsa alla vendite, che fece precipitare il valore dei titoli, facendo volatilizzare intere fortune (ci furono diversi suicidi). Pur avendo colpito i ricchi e i benestanti, il crollo arrivò a toccare tutta l’economia americana e da lì quella mondiale; il vero problema arrivò quando gli USA per difendersi smisero di inviare capitali all’estero e inasprirono il protezionismo. Tra il 1929 e 1932 il commercio mondiale calò del 60%. La recessione dilagò con la significativa eccezione dell’URSS. 14 milioni di dissocupati in USA, 15 in Europa. Industrie e negozi chiudevano. Agricoltura non aveva mercato di sbocco. Disastro economico che in alcuni paesi portò un senso di sfiducia che poi avrebbe attuato un mutamento politico.
    4. La crisi in Europa. In Europa tra l’altro entrò in crisi anche il sistema finanziario (le banche crollarono in Germania e

Austria), con una conseguente crisi monetaria. Molto capitale inglese era investito in quei paesi. Le banche inglesi dovettero far fronte a un precipitoso ritiro dei capitali stranieri ed a richieste di conversione della sterlina in oro. Esaurite le riserve aurifere, finì la convertibilità e ci fu la svalutazione della sterlina. Molti paesi sospesero la convertibilità e ci fu la svalutazione della moneta. Ma la crisi ebbe effetti così negativi e duraturi anche perché i politici non sapevano come gestirla, e usavano i vecchi mezzi, come il pareggio del bilancio, facendo tagli alla spesa pubblica e mettendo nuove tasse. Politiche di austerità che però non fecero che ridurre ulteriormente la domanda interna, aggravando il tutto. Dal 1933 qualche miglioramento, ma in realtà si uscì dalla crisi economica solo col riarmo e lcon la guerra. La crisi in Germania fu particolarmente forte, a causa del legame strettissimo della sua economia con quella americana: governo Spd in crisi. Nel 1930 arrivò al governo il Centro cattolico con Brüning - politica di sacrifici, anche per mostrare al mondo la severità delle sanzioni - nel 1932 le riparazioni furono  abbassate

e  il  pagamento  fermato  per  tre  anni,  ma  tali  politiche  avevano  creato  sei  milioni  di  disoccupati  -  ne  approfittarono     i

nazionalsocialisti. In Francia la crisi arrivò tardi e durò di più, perché Parigi tentò a lungo di difendere il franco, invece che svalutarlo (fu fatto solo nel 1937). Instabilità politica: diciassette governi tra il ’29 e il ’36. GB: ministero laburista Mac Donald fronteggiò la crisi tagliando i sussidi ai disoccupati. Con l’opposizione delle Trade Unions, Mac Donald le mollò e fece una coalizione con liberali e conservatori  - svalutazioni e politiche che favorivano gli scambi all’interno del Commonwealth  -     GB uscì dalla crisi prima degli altri Paesi.

    1. Roosevelt e il “New Deal”. Elezioni presidenziali 1932: Hoover sconfitto dal democratico F.D. Roosevelt. Pur non avendo un programma ben definito Roosevelt era popolarissimo, perché ispirava fiducia (“chiacchierate al caminetto” famosissime e amatissime). All’insediamento egli parlò di un New Deal che voleva avviare nella politica economica e sociale: un nuovo stile di governo che avrebbe visto già nei primi “cento giorni” un intervento dello Stato nei processi economici e nelle riforme sociali. All’inizio furono stabilite le terapie d’urto per bloccare il grosso dei danni: ristabilimento sistema creditizio, svalutazione dollaro, aumento sussidi. Inoltre il governo utilizzò nuovi strumenti d’interventi: Aaa, Agricultural Adjustament Act, che voleva limitare la sovrapproduzione agricola; Nira, National Industrial Recovery Act, stabiliva codici comportamentali per evitare la concorrenza troppo accanita tra imprese e tutelava i lavoratori; istituzione del TVA, Tennessee Valley Authority, per sfruttare le risorse idroelettriche del bacino del Tennessee, producendo energia a buon mercato. Ma a parte la TVA gli altri progetti furono lenti a partire e diedero mediocri risultati. A questo punto il governo potenziò l'iniziativa statale varando vasti programmi di lavoro pubblici e aumentando la spesa pubblica e vasti programmi di opere pubbliche (per limitare disoccupazione). 1935: riforma fiscale, legge sulla sicurezza sociale, che garantì alla maggior parte dei lavoratori la pensione e riorganizzò l'assistenza statale a favore dei bisognosi. Inoltre favorì l'attività sindacale e tutelò i diritti dei lavoratori. Roosevelt si garantì così l’appoggio sindacale, in un periodo di grandi tensioni sociali. L’opposizione rooseveltiana era notevole (persino la Corte Suprema cercò di bloccare le riforme), ma la sua vittoria schiacciante alle elezioni del 1936 la zittì. Il New Deal dimostrò che a volte l’intervento statale è indispensabile, però nonostante ciò riuscì a ridare slancio all’iniziativa economica dei privati.
    2. Il nuovo ruolo dello Stato. Sia in Europa che negli USA prima della crisi l’intervento statale era visto come sporadico e limitato ad alcune specifiche situazioni; dalla crisi del 1929 allo Stato spettarono nuovi oneri, non solo controllo e sostegno esterno ma Stato divenne un soggetto attivo dell’espansione economica. La grande trasformazione degli anni ’30 dal capitalismo liberale si passò al capitalismo diretto, che limitava in alcuni casi le scelte dei privati. Realtà analizzata nel 1936 da John Maynard Keynes, già critico sull’osservanza dogmatica del liberismo. Stabilì una serie di correttivi all’instabilità capitalista, senza mai spostarsi su soluzioni socialiste. Però da solo il capitalismo non era in grado di creare equilibrio. Secondo lui allo Stato spettava aumentare la spesa pubblica per accrescere la domanda effettiva. Quindi andava abbandonato il mito del bilancio in pareggio. Fu di grande ispirazione per le politiche economiche del New Deal rooseveltiano.
    3. I nuovi consumi. Nonostante dopo il 1929 ci fu un processo di impoverimento nacquero nuove abitudini di consumo e nuovi modelli di vita - urbanizzazione, anche a causa della crisi del settore agricolo e nonostante le teorie ruralistiche.      Quindi sviluppo del settore edilizio - case sempre migliori e più vivibili, nelle periferie e nei centri - mezzi pubblici (tram  elettrici e autobus). I salari reali di chi aveva mantenuto il lavoro nonostante la crisi non scesero - il crollo dei prezzi agricoli permetteva loro di consumare nuovi beni, quelli del cosiddetto consumo di massa, che si era affermato in USA nei ’20 e in Europa arrivò dieci anni dopo in piena depressione. Apparivano anche in Europa le prime vetture “popolari”, come la Volkswagen in Germania o la Topolino in Italia. Anche l’uso di elettrodomestici (ferro da stiro, cucina a gas, radio, scaldabagni, frigoriferi) andava via via estendendosi.
    4. Le comunicazioni di massa. Grande successo ebbero la radio e il cinema, che divennero ben presto elementi caratteristici della società di massa; la radio costava poco e non necessitava di manutenzione, divenne popolare con la guerra, quando si trasformò in un mezzo per comunicare con un gran numero di persone; boom degli apparecchi, specie in USA, a partire dal 1920, anno di inizio anche delle prime trasmissioni (in UK ad esempio gestite o su modello della BBC). Tempo libero occupato dalla radio, nel periodo in cui i quotidiani subirono un calo notevole (nacquero così le riviste illustrate, come “Life”). Anni di affermazione della radio, è un mezzo utilissimo, un’invenzione epocale; anche il cinema si sviluppò in quegli anni; verso la fine dei Venti arrivò il sonoro, e con esso anche il “divismo” di massa. Inoltre attraverso il cinema si potevano divulgare anche messaggi ideologici. Inoltre nelle sale cinematografiche venivano proiettati i cinegiornali. Radio e cinema erano mezzi di svago, di informazione ma anche di propaganda (cinegiornali). Furono soprattutto i regimi autoritari a sfruttare appieno i nuovi mezzi di comunicazione.
    5. La scienza e la guerra. Negli anni ’20 e ’30 vennero fatte alcune scoperte scientifiche destinate a segnare la storia futura: anzitutto quella dell’energia nucleare (che avrebbe portato qualche anno più tardi alla costruzione della bomba atomica). Sul piano delle applicazioni belliche della scienza, sono da ricordare i grandi sviluppi dell’aeronautica. Arma aerea sempre più minacciosa. Prime imprese aeree, come le trasvolate atlantiche - anche l’aviazione civile avanzò timidamente in quegli anni.
    6. La cultura della crisi. Nella cultura europea si accentuarono allora i fenomeni di disgregazione e di perdita dell’unità, tanto che nessuna delle correnti del periodo può essere assunta, da sola, come particolarmente rappresentativa. I maggiori personaggi di allora, come Picasso ad esempio, non facevano parte di nessuna avanguardia. Ai movimenti già affermatisi prima della grande guerra (astrattismo, cubismo, futurismo, espressionismo) SE NE AGGIUNSERO ALTRE COME IL SURREALISMO Il romanzo borghese entrò in crisi. C’era una ricerca, a volte folle e delirante, di nuovi modi di esprimersi. Furono anni, per gli intellettuali, di grandi contrapposizioni ideologiche (liberalismo-comunismo, democrazia-fascismo) e di impegno politico (essi erano chiamati ad appoggiare apertamente certe idee e affermazioni). L’emigrazione degli intellettuali tedeschi durante il nazismo, dopo quelli russi sotto lo stalinismo, provocò un impoverimento culturale dell’Europa, a favore degli Stati Uniti.

  1. L’età dei totalitarismi.
    1. L’eclissi della democrazia. Anni ’30: periodo più buio per la democrazia, per la quale non si aveva più alcuna fiducia. Si aspettava soltanto l’avvento di qualche dittatura, mano a mano che esse si facevano largo in molti paesi, poveri o ricchi che fossero. Questi regimi fascisti si facevano portatori di una rivoluzione all’inizio, e si proponevano di dare vita ad un nuovo ordine politico  e  sociale.             Sul  piano  dell'organizzazione  politica,  fascismo  significa  accentramento  del  potere,  gerarchia  rigida, inquadramento delle masse, controllo sulla cultura e l’informazione. Sul piano economico e sociale il fascismo proponeva una i“terza via” tra capitalismo e comunismo, cosa che intrigava molto i ceti medi, che diedero al fascismo un’ampia base sociale, riconoscendosi in esso. Ma in realtà non ci fu nessuna terza via piuttosto ci fu la soppressione della libera dialettica sindacale. Totalitarismo: volontà di dominare una società in modo “totale” - fascismo, nazismo e stalinismo avevano capito  profondamente la società di massa ed avevano imparato a servirsene per i loro scopi di propaganda.
    2. La crisi della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazismo. Hitler nel novembre del 1923 venne arrestato per aver tentato un colpo si stato a Monaco di Baviera. Hitler faceva parte del Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi o nazista, il quale fino al ’29 era un partiro minoritario e marginale a metà tra un partito e un’organizzazione paramilitare, che usava la violenza per i suoi fini e si serviva delle SA, cioè “reparti d’assalto”. Dopo il tentato golpe di Monaco, sull’esempio di Mussolini, Hitler volle dare un’immagine più rispettabile al partitino - programma nazista: denuncia trattato di Versailles, riunione di tutti     i tedeschi in una nuova “grande Germania”, discriminazione contro ebrei, fine del parlamentarismo corruttore. I progetti a    lungo termine erano contenuti nel “Mein Kampf”, testo  sacro  per  i  nazisti.  Istanze  antisemitiche  e  razziste  (grossolana teoria darwiniana di una razza ariana superiore). Per lui gli ariani erano i tedeschi, che un giorno avrebbero dominato il     mondo: gli ebrei erano un ostacolo, e simbolo  della decadenza  europea  (responsabili  dei misfatti del capitale finanziario e      di quelli el bolscevismo). Bisognava prima sbarazzarsi di loro e degli altri nemici interni; e poi, una volta rifatta l’unità in uno  Stato nuovo, i tedeschi si sarebbero dovuti ribellare a Versailles ed espandersi ad est, a scapito degli slavi considerati anch'essi inferiori. Simili teorie non ebbero seguito fino all’avvento della grande crisi, che radicalizzò la lotta politica, visto che la gente   non credeva più nella repubblica. A sinistra,  spostamento  verso  bolscevismo  e  speranza  di  una  rivoluzione;  a  destra,  le forze conservatrici scontente dello status quo appoggiarono gli eversivi, tra cui i nazisti. L’adesione al nazismo conveniva a molti, dando protezione, supporto,  capri  espiatori,  prospettive  esaltanti  per  la  patria,  senso  di  potenza.  Nelle  elezioni  del  1930 i nazisti ebbero un’impennata incredibile, mentre i partiti moderati  e  democratici  (come  la  Spd,  cattolici,  etc…)  venivano esclusi dal  gioco politico. Forze antisistema trionfarono. Nel 1932 la crisi fu all’apice; produzione industriale si era dimezzata in  4 anni e la metà dei tedeschi era disoccupata. Violenza politica ovunque: scontri tra nazisti e comunisti. Crisi di governo e continua crescita del partito nazista. Hindenburg venne rieletto (anche perché i democratici non volevano Hitler presidente), ma subito dopo cedette alle pressioni e congedò Brüning. Seguirono i fallimentari governi Papen e Schleicher. Elezioni 1932: nazismo era il primo partito tedesco senza cui non era possibile governare. 30 gennaio 1933: Hitler fu convocato dal presidente della Repubblica e accettò di divenire capo del governo, leader di un partito che rappresentava 1/3 del Paese.
    3. Il consolidamento del potere di Hitler. In pochi mesi Hitler riuscì ad imporre un potere totalitario. La prima stretta repressiva: contro i comunisti, dopo l’incendio del Reichstag (parlamento nazionale) di cui erano stati accusati. Partito comunista venne dichiarato fuori legge, e vennero eseguite spedizioni punitive. Alle elezioni del marzo ’33 il nazismo non ottenne la maggioranza assoluta (ebbe il 44%), poteva avere un’ampia base parlamentare, ma Hitler già mirava all'abolizione del Parlamento. Il Reichstag approvò una legge suicida che attribuiva al governo (Hitler) pieni poteri, compreso quello di legiferare e quello di modificare la costituzione. Nel giugno venne abolita la Spd perché accusata di alto tradimento e di conseguenza cadde il sistema sindacale e operaio tedesco. A luglio, Hitelr varò una legge in cui proclamava che il Partino nazionalsocialista era l'unico consentito in Germania; mentre a novembre la consultazione di tipo plebiscitario, a lista unica, fece registrare un 92% per i nazisti. Annientate le opposizioni restavano due ostacoli: le SA, estremisti nazisti che non erano disposti a sottomettersi al controllo dei poteri legali, e la destra conservatrice che chiedevano ad Hitler di frenare i rigurgiti estremisti e di tutelare le tradizionali prerogative delle forze armate(ad esempio Hindenburg). Iniziando a creare le “squadre di difesa”, SS, Hitler decise il colpo di mano contro le SA di Röhm, le assassinò nella “notte dei lunghi coltelli”. Inoltre Hitler profittò dell'occasione per eliminare altri elementi sgraditi, come l'ex cancelliere von Schleicher. In cambio della testa di Rohm, le forze armate appoggiarono la candidatura di Hitler a capo dello Stato come successore di Hindenburg. Alla morte del maresciallo, nell’agosto ’34, Hitler si trovò così a coprire la duplice carica di Cancelliere e di Presidente. Ciò significava che gli ufficiali erano obbligati a prestare giuramento di fedeltà a Hitler e quindi al nazismo. Fine autonomia dal potere politico per i generali tedeschi. Nel febbraio del 1938 Hitler decise di assumere personalmente il comando supremo delle forze armate.
    4. Il Terzo Reich. Così sparivano le ultime tracce del sistema repubblicano e nasceva così il Terzo Reich (il 3° impero) con a capo il Führer, leader carismatico e in carica pressoché di ogni cosa, il quale aveva un rapporto diretto con il popolo. L'unico tramite con le masse era costituito dal partito unico e da tutti gli organismo ad esso collegati come il Fronte del lavoro (che sostituiva i disciolti sindacati oppure come il Hitlerjugend (organizzazioni giovanili). Obiettivo di queste organizzazioni era di fare dei cittadini una compatta e disciplinata “comunità di popolo”, che ovviamente non comprendeva stranieri, non ariani e ebrei. Gli ebrei tedeschi, circa 500.000, si concentravano nelle città, e ricoprivano le zone medio-alte della scala sociale - furono   oggetto di una durissima propaganda, sancita nel settembre 1935 dalle leggi di Norimberga, che tolsero agli ebrei la parità di diritti e il divieto di matrimoni misti.  Molti ebrei  fuggirono, i pogrom contro  di  loro  erano  sempre più violenti ed organizzati.  Tra  8 e 9 novembre 1938 ci fu la “notte dei cristalli”, uno degli attacchi più violenti e sanguinosi contro gli ebrei. Una volta  iniziata la guerra, Hitler avrebbe deciso per quella raccapricciante “soluzione finale”, deportazione e sterminio del popolo ebraico. La difesa della razza era fondamentale nel nazismo, più importante dello Stato stesso: sterminio o sterilizzazione per i portatori di malattie ereditarie e la soppressione dei malati di mente perché considerati incurabili.
    5. Repressione e consenso nel regime nazista. L’opposizione al nazismo fu sempre debolissima, ed esso sopravvisse benissimo fino alla sua distruzione in guerra. Persino i cattolici accettarono il nazismo, dopo il suo accordo con la Chiesa cattolica, un concordato firmato del 1933 con cui lo Stato prometteva di non interferire negli affari interni del clero. Marzo 1937: intervenne con un enciclica Pio XI per fermare le politiche razzista hitleriane. Le chiese luterane, in maggioranza nel Paese, per lo più si conformarono alla nazificazione. Paradossalmente l’opposizione era proprio conservatrice. L’apparato repressivo era crudelissimo, per cui non stupisce più di tanto il limitato dissenso: molte polizie (tra cui la Gestapo), campi di concentramento  per oppositori politici. Ma il consenso?! Sicuramente grazie ai successi in politica estera (abbattimento delle disposizioni di Versailles) e alla ripresa produttiva, che in nel ’38 tornò ai livelli del ’28, senza più riparazioni da pagare, ma anche grazie ai lavori pubblici (autostrade) e al calo della disoccupazione - piena occupazione nel ’39, alla vigilia della guerra. In qualche  modo

in stile rooseveltiano, il nazismo tramite intervento pubblico cercò di rafforzare l’iniziativa privata - accordo con grande  industria e grandi proprietari terrieri. Dal punto di vista delle industrie, l’equilibrio fu sconvolto, i lavoratori persero ogni diritto contrattuale guadagnando solo qualche concessione, come migliori servizi sociali e l'allontanamento dell'incubo della disoccupazione. Ma c’è anche da dire che il nazismo fu in grado di toccare la gente nel profondo con miti e ideologia,      sapendo anche sfruttare i nuovi mezzi di comunicazione di massa. Utopia ruralista inculcata nel popolo; uomini sani e forti, guerrieri-contadini lontani dalle malsane città e dalle malattie della civiltà industriale; controsenso, visto che poi il nazismo        ha  sempre  sostenuto  la  grande industria. Tale  mito  attecchiva  perché  si  appoggiava  agli  antichi  miti  della  terra  e  del sangue  e al rimpianto  per un passato preindustriale dipinto in forme idilliache. Ma per questa crociata anti-moderna il regime    si servì di mezzi modernissimi. Venne istituito un ministero per la Propaganda, affidato all’abile  Goebbels.  Gli  intellettuali vennero inquadrati nel regime o costretti lasciare il Paese. Tecniche di spettacolo - feste e cerimonie pubbliche - erano studiate come rappresentazioni teatrali, dalle scenografie alle coreografia, tutto doveva essere perfetto per questi sacri momenti magici. Esempio erano le “cattedrali di luce”.

 

    1. Il contagio autoritario. Con la fine della Prima Guerra Mondiale (anni 20) i regimi liberali europei entrarono in crisi; il virus autoritario arrivò sì in Italia, ma si diffuse anche nel resto del continente, a partire dall’est; Ungheria: l’ammiraglio Horthy impose un regime conservatore e abolì le libertà politiche e sindacali. Nel 1926 in Polonia l’ex socialista Pilsudski organizzò una marcia su Varsavia per instaurare un regime. Anche negli Stati balcanici continuarono a nascere autoritarismi o ad entrare in crisi liberal-democrazie ancora un po’ grezze: Grecia, Bulgaria e Jugoslavia, anche se quest’ultima aveva il grande problema delle rivalità tra le varie etnie. Non erano veri e propri fascismi ma regimi autoritari di tipo tradizionale, sostenuti dall'esercito e dai gruppi conservatori, simili a quelli che si formarono nello stesso periodo nelle penisola iberica. Il generale Miguel Primo de Rivera con l'appoggio del sovrano Alfonso XIII nel 1923 attuò un colpo di Stato in Spagna. Nel 1930, dopo 7 anni di governo semidittatoriale fu costretto alle dimissioni di fronte alle masse in rivolta , mentre l’anno successivo la vittoria repubblicana alle elezioni spinse il re a lasciare il paese. Nel 1926 in Portogallo i militari interruppero l'esperienza di una democrazia parlamentare- Antònio Salazar, il cui regime clericale e corporativo si sarebbe rivelato stabilissimo per mezzo secolo. A   partire dalla vittoria hitleriana, tutta l’Europa centro-orientale fu infestata da movimenti ispirati al nazismo (Croci fracciate o le Guardie di ferro) e in molti casi da altri regimi autoritari e di nuove dittature di stampo monarchico-fascista (Romania e Grecia). Persino in Austria nacque un regime di ispirazione clericale e corporativa simile al fascismo e il Partito socialdemocratico    venne messo fuori legge.
    2. L’Unione Sovietica e l’industrializzazione forzata. Mentre l’Occidente conosceva il fascismo e la crisi  economica, l’URSS era la patria dell’antifascismo, e non era minimamente toccata dalla recessione grazie al suo isolamento economico. Anzi stava attuando un colossale sforzo di industrializzazione. Tra il ’27 e il ’28 Stalin decise di abbandonare la Nep in favore di un piano massiccio di industrializzazione che avrebbe fatto dell’URSS una potenza militare - lo Stato dovette quindi assumere il totale controllo dei processi economici. Primo ostacolo all’economia collettivizzata e industrializzata erano i kulaki, i quali  erano accusati di arricchirsi alle spalle del popolo  e di affamare  la  città  non  consegnando  allo  Stao  la  quota  di prodotto dovuta. - sconfitta l’opposizione guidata da Bucharin (convinto teorico della Nep), Stalin diede il via alla collettivizzazione forzata del settore agricolo, e alla dekulakizzazione. Tra il 1929 e il 1933 ci fu una vera e propria rivoluzione dall’alto nelle campagne, i kukaki fulono eliminati sia come classe che come persone fisiche, i contadini furono costretti a trasferirsi nelle fattorie collettive (kolchoz), mentre chiunque si opponesse veniva deportato in Siberia. Ma la resistenza contadina, sommata all’inefficienza del programma, causarono una terribile carestia (1933). Solo nella seconda metà del decennio la produzione agricola superò i livelli Nep. Ma il vero obiettivo era non tanto quello di aumentare la produzione agricola, quanto a favorire l’industrializzazione del Paese. - risultati notevoli con il primo piano quinquennale, del ’28. 1932: 5 milioni di operai e una crescita produttiva del 50%; col secondo piano quinquennale, 1933-37, la produzione crebbe del 120% e gli operai divennero 10 milioni. Ritmi di crescita mai visti prima. Gli operai furono convinti a fare sacrifici dalle convincenti ideologie staliniane, che premiavano l’impegno e  si mescolavano  anche  ad  un  certo  patriottismo;  aveva  presa  sulle  masse  lavoratrici.  Chi produceva  di  più  veniva  premiato materialmente e moralmente con onorificenze (eroe del lavoro). Nacque lo stacanovismo (da Aleksej Stachanov che era riuscito ad estrarre un quantitativo di carbone ben 14 volte la media)), celebrato anche da  giornali e cinema. Il mondo l’URSS era ammirato per questa impresa epica, ma i costi umani e politici dei piani non si conoscevano affatto. Nelle campagna era una tragedia. Il potere assoluto di Stalin cresceva.
    3. Lo stalinismo. Stalin, alla stregua di Hitler, divenne il capo carismatico, prosecutore del lavoro di Lenin, era diventato il padre e la guida infallibile del suo popolo. Depositario della dottrina marxista-leninista, dettava anche le direttive della cultura. Vi era censura e controllo sulla propaganda. La letteratura, il cinema, la musica e le arti figurative dovevano avere una funzione propagandistica-pedagogica che doveva rientrare nei canoni del cosiddetto “realismo socialista”, cioè la sola realtà sovietica. Fu riscritta la storia in modo da esaltare il ruolo di Stalin e sminuire quello di Trotzkij. Stalinismo è di difficile interpretazione: per alcuni è un’anomalia di destra nella rivoluzione, per altri una ovvia conseguenza del leninismo e del bolscevismo, per altri una forma nuova di dispotismo industriale, per altri semplice e naturale eredità del centralismo zarista. Stalin portò agli eccessi alcune teoria di Lenin, conducendole con arbitrio e spietatezza. Sterminò i suoi rivali politici, e con loro chiunque fosse sospettato  di  “deviazionismo”.  Macchina  del  terrore  -  1934:  iniziarono  le  “grandi  purghe”  staliniane,  era  una gigantesca repressione poliziesca.  ”Arcipelago  Gulag”,  amministrazione  dei  lager  in  cui  furono  mandati  i  “dissidenti”. Processi  arbitrari. Vennero uccisi anche i più vicini a Stalin, vittime di una macchina da loro stessi creata. Trotzkij venne  freddato da un sicario di Stalin in Messico, nel 1940. la repressione non risparmiò nessun settore della società. Secondo certe stime, tra il ’28 e il ’39 le vittime dello stalinismo sarebbero 10-11 milioni. Gli echi in Occidente ci furono, ma per svariati motivi non si fece nulla (l’URSS era troppo  prezioso  prezioso  per la  lotta  antifascista,; non  vi  erano  reali  informazioni su  ciò  che sta avvenendo; pregiudizi ideologici come quelli di origine giacobina, secondo cui una certa dose di terrore fosse una componente indispensabile di ogni rivoluzione).
    4. La crisi della sicurezza collettiva e i fronti popolari. Le prime iniziative hitleriane in politica estera furono il ritiro della Germania dalla conferenza internazionale di Ginevra e poi dalla Società delle Nazioni. La politica aggressiva tedesca destava preoccupazione in Europa, anche nell’Italia nonostante le affinità ideologiche e il comune atteggiamento revisionista (cioè critico dell’assetto internazionale stabilito a Versailles). Quando fu assassinato il cancelliere austriaco Dollfuss da reparti infiltrati nazisti, l’Italia schierò le sue truppe al confine italo-austriaco e Hitler che voleva unificare la Germania e l'Austria, ancora impreparato per una guerra, dovette far marcia indietro. Alla conferenza di Stresa del 1935 Italia, Francia e GB condannarono il riarmo tedesco (Hitler aveva intanto reinserito la coscrizione obbligatoria vietata dal trattato di Versailles), riaffermarono la validità dei patti di Locarno e il loro interesse all’indipendenza dell’Austria. Pochi mesi dopo l'aggressione italiana all'Etiopia

avrebbe rotto il fronte di Stresa e dato avvio a un processo di riavvicinamento italo-tedesco. Nel 1935 Stalin dovette scendere in campo e rompere il silenzio, viste le non troppo celate idee di Hitler riguardo la Russia: entrò nella Società delle Nazioni e  stipulò un’alleanza militare con la Francia. L'URSS nel VII congresso del Comintern (1935) dichiarò il fascismo il primo e il principale nemico. Era compito dei partiti comunisti cercare di creare ampi fronti popolari che raccogliessero tutti i governi e i popoli intenzionati a combattere la minaccia fascista, anche quelli borghesi. L’Europa temeva il fascismo: in particolare la Francia, nel febbraio 1934, vide l’estrema destra organizzare una marcia sul Parlamento per protestare contro il governo Daladier, ma venne fermata dalla polizia e osteggiata da manifestazioni con socialisti e comunisti insieme. Questo anticipava e preparava l'Internazionale comunista in Francia e in altri paesi che avrebbe portato alla firma dei patti di unità d’azione tra socialisti e comunisti. Ciò diede l’illusione di una sinistra forte che potesse battere il fascismo, ma non fu così. Nonostante la politica di sicurezza collettiva l’Italia attaccò l’Etiopia e la Germania inviò truppe nella Renania “smilitarizzata”. Se non altro le iniziative dei fronti popolari ridiedero unità e speranza ai movimenti operai. Addirittura il Fronte popolare vinse le elezioni in Spagna  e in  Francia;  qui  fu la  volta  del  governo  Blum,  primo  governo  socialista  della  storia  francese  -  gli  operai iniziarono proteste durissime che finirono con la firma degli accordi di Palazzo Matignon, (40 ore la settimana, e ferie, aumento dei salari). Gli accordi di Palazzo Matignon crearono però notevoli difficoltà all'economia francese, che non si era ancora    ripresa  dalla grande depressione. L'improvviso aumento del costo del lavoro impedì la competitività dei prodotti dell'industria    e innescò un rapido processo inflazionistico che vanificò in gran parte i vantaggi salariali ottenuti dai lavoratori.  Ci  fu  la svalutazione del franco. Blum nel 1937 si dimise. Il Fronte popolare ebbe vita breve.

    1. La guerra civile in Spagna. Tra il 1936 e il 1939 la Spagna fu dilaniata dalla guerra civile. Aveva motivi interni, che però finirono per peggiorare anche la situazione internazionale. Il Paese era stato traversato da tensioni politiche e sociali notevoli, era molto arretrato e si trovava spaccato in due tra un ceto dominante reazionario e un proletariato vicino alle istanze anarco- sindacaliste. Aristocrazia ancora forte. 1936: vittoria delle sinistre unita alla coalizione di Fronte popolare  - tensione esplode   in tutto il Paese. Le masse proletarie videro la vittoria come l'inizio di una rivoluzione sociale: collera popolare contro     proprietari terrieri e il clero cattolico. La classe dominante rispose con la repressione operata dalla Falange (gruppi fascisti).      Le truppe coloniali in Marocco furono il fulcro della ribellione. Le truppe ribelli  guidate  da  Francisco  Franco  assunsero inizialmente il controllo della Spagna occidentale, il governo repubblicano riuscì  a  mantenere  il  controllo  su  Madrid  e  il Nord-est.  Però  i franchismi furono aiutati parecchio da Italia e Germania (questa vi mandò aerei, per testare la sua aviazione) - aiuto fascista fu determinante. Mentre la Repubblica non ottenne alcun appoggio dalle potenze democratiche. L’unica ad aiutare fu l’URSS che rifornì il  governo  spagnolo  di  materiale  bellico  e  fece  sì  che  si  costituissero  delle  Brigate internazionali che raccogliessero chiunque volesse combattere i fascisti (anche  Hemingway,  Orwell  c’erano). Tuttavia  esse non erano sufficienti a fermare l’avanzata franchista. Mentre il caudillo (duce, condottiero) Franco guadagnava consensi e attuava l’unità di tutte le destre sotto un partito unico chiamato Falange nazionalista, il Fronte popolare perdeva terreno,      anche a causa  delle  tensioni interne  tra anarchici e comunisti. Nel 1937 ci fu  lo scontro di Barcellona, anarchici contro comunisti ed esercito repubblicano. Gli anarchico e alcuni loro partiti scomparvero. Le divisioni nel fronte repubblicano contribuirono a far svanire il clima di entusiasmo popolare e a  facilitare  l'offensiva  delle  forze  nazionaliste.  I  franchisti  nel 1938 riuscirono a spezzare in due il territorio controllato dai repubblicani separando Madrid dalla Catalogna. Quando la Repubblica spagnola fu abbandonata da tutti, all’inizio del 1939, Madrid cadde. 500.000 morti in tutto il Paese. Guerra civile preludio del conflitto mondiale perché ne prefigurò gli schieramenti (URSS e democrazie contro gli Stati fascisti) e perché in Spagna furono adottati per la prima volta metodi e tecniche di guerra (bombardamenti dei centri urbani, rappresaglie, rastrellamenti).
    2. L’Europa verso la catastrofe. La politica estera hitleriana accelerò il cammino verso la tragedia della guerra. GB e Francia avevano un atteggiamento arrendevole; la Germania aveva ormai l’amicizia dell’Italia in seguito all'impesta etiopica e all'avventura spagnola, e Hitler si vide abbastanza forte da iniziare il suo programma: riunificare tutta la Germania ed espandersi ad est a danno della Russia. Il Führer sperava di poter evitare lo scontro con Fr e GB. Lo stesso Chamberlain, Primo Ministro inglese, propose l’ “appeasement” nei confronti del Reich. Proponeva cioè di dare a Hitler quello che voleva nei limiti del ragionevole come risarcimento per Versailles, di ammansirlo. L’unico davvero contrario, insieme ad un altro po’ di conservatori, era Winston Churchill, che voleva fermare la Germania a tutti i costi. La Francia in crisi viveva nell’ombra di Londra, non prendeva posizione, avendo paura della Germania e domandandosi se valesse la pena di fare una guerra per difendere la Russia comunista o i lontani alleati dell'Est europeo. Hitler aveva così campo libero senza dover ricorrere all'uso delle armi. Il 1° successo di Hitler si ebbe nel marzo 1938: annessione dell’Austria alla Germania. Stavolta Mussolini non si oppose, e altrettanto fece Londra, che non si interessava di Vienna. Altra questione: i tedeschi sudeti residenti in Cecoslovacchia. Lo stato cecoslovacco era legato da trattati di alleanza con la Francia e l'Urss. L'Urss però poteva intervenire solo se lo avesse la fatto la Francia. Però quest'ultima, influenzata dal governo britannico, accontentò Hitler. La regione dei Sudeti fu annessa al Terzo  Reich (accordi di Monaco, ‘38). La pace di Monaco era falsa, il conflitto alle porte; Hitler si sentiva forte e legittimato, perché Fr e GB non erano più credibili, con il loro comportamento permissivo e debole.

 

  1. L’Italia fascista.

 

    1. Il totalitarismo imperfetto. L’Italia era già uno Stato totalitario nel ’20 con le sue strutture giuridiche (partito unico, milizia, sindacati di regime), e ben riconoscibile nelle sue manifestazioni esteriori (adunate di cittadini in uniforme, amplificazione dell'immagine e della parola del capo, quando ancora in Germania il nazismo era una forza marginale. Caratteristica del regime erano le 2 strutture e le 2 gerarchie parallele: quella dello Stato (impalcatura monarchica) e quella del partito. Il punto di congiunzione fra le 2 strutture il Gran consiglio del fascismo. Mussolini era invece capo del governo e duce del fascismo, potere supremo. Nel fascismo italiano, tuttavia, lo Stato continuò sempre a prevalere sul partito (la Milizia non fu mai niente di simile alle SS). Tuttavia il Partito fascista continuò a dilatarsi e ad inserirsi nella società civile - l’adesione al partito era una pratica    di massa, quasi una formalità burocratica per avere un posto nell'amministrazione statale. La fascistizzazione del paese fu anche appoggiata dalle organizzazioni laterali del partito: l’Opera nazionale  dopolavoro  (tempo  libero  dei  lavoratori),  il Comitato olimpico nazionale (Coni) e le varie organizzazioni giovanili (i Fasci giovanili, i Gruppi universitari fascisti, l’Opera nazionale Balilla). L'ONB inquadrava tutti i giovani tra i 12 e i 18 anni con un indottrinamento ideologico, ed fisica e qualche rudimento di istruzione premilitare e questi in base all'età venivano divisi in balilla e avanguardisti. I Figli della lupa erano quelli sotto i 12 anni. Il progetto totalitario c’era: il fascismo voleva occupare la società e riplasmarla. Ma i risultati non sempre ci furono, anche a causa  del  peso  della  Chiesa,  che  fu  fin  da  subito  un  ostacolo  -  Mussolini  cercava  l’accordo  -  dialogo  portato avanti

segretamente che sfociò nel febbraio 1929 nei Patti lateranensi, comprendenti un trattato internazionale (Santa Sede riconosceva l’Italia con capitale Roma, mentre lo Stato italiano le riconosceva il Vaticano), una convenzione finanziaria (con cui l'Italia si impegnava a pagare al papa una forte indennità a titolo di risarcimento per la perdita dello Stato pontifico) e un concordato sui rapporti tra Stato e Chiesa (sacerdoti esonerati dal servizio militare, insegnamento religione, matrimonio religioso veniva riconosciuto civilmente, le organizzazioni dipendenti dall'Azione cattolica potevano continuare a svolgere la propria attività, purchè sotto il controllo delle gerarchie ecclesiastiche e al di fuori di ogni partito politico). Per il regime fascista i patti lateranensi ebbero un effetto propagandistico. Prime elezioni plebiscitarie, marzo 1929: 98% di voti favorevoli. La Chiesa fu favoritissima dai patti, perché in cambio di qualcosa che aveva già perso da decenni (potere temporale) ebbe molta libertà di azione (ad esempio le organizzazione giovanili, che se non concorrenza rappresentavano un’alternativa a quelle fasciste). Oltre alla Chiesa Mussolini doveva fare i conti con la monarchia, che non gli era affatto subordinata. Il re era la più alta carica, infatti a lui spettavano il comando supremo delle forze armate, la scelta dei senatori e il diritto di nomina e revoca del capo del governo. Nel momento in cui il regime fosse diventato debole, il re avrebbe avuto le carte migliori.

    1. Il regime e il paese. L’immagine dell’Italia del ventennio era quella di un paese molto fascistizzato. Mussolini riprodotto ovunque, fascio littorio su ogni edificio, libro, etc, scritte guerriere sui muri, grandi mobilitazioni, sfilate degli scolari in camicia nera… Ma era vera questa immagine? Il Paese reale com’era? Statisticamente, si scopre che l’Italia continuò a crescere  appena più lentamente degli altri Paesi europei; dal ’21 al ’39 popolazione passò da 38 a 44 milioni,  urbanizzazione, diminuzione impiegati agricoltura. Nonostante ciò era però un paese arretrato. Reddito medio italiano era la metà di quello francese, un terzo di quello inglese, un quarto di quello americano. Spendevano metà delle entrate per mangiare,mangiava in quantità inferiori rispetto ad un inglese o ad un americano. Anche i beni di consumo durevoli erano molto meno diffusi, dalle  auto alle radio ai telefoni. Tutto ciò in realtà ben si coniugava con il tradizionalismo fascista, con il ruralismo convinto propagandato dal regime; credendo che la forza di un Paese risiede nel numero dei suoi abitanti, Mussolini incoraggiò la crescita  demografica  (  tasse  sui  celibi,  assegni  per  le  famiglie  più  prolifere..)  -  il  regime  era  contrario all’emancipazione femminile, anche se anche le donne ebbero le loro organizzazioni facenti capo al fascismo (piccole      italiane, giovani italiane, massaie rurali) la cui funzione principale era di valorizzare le virtù domestiche della donna, nel  ribadirne l'immagine tradizionale di “angelo del focolare”. Tuttavia il regime aveva contemporaneamente al suo tradizionalismo un’utopia dell’”uomo nuovo”, di un sistema totalitario moderno, in cui la popolazione era pronta a combattere per la grandezza nazionale ma ne rappresentò un ostacolo il ritardo economico e culturale  del  paese.  Carta  del  lavoro  non  garantiva  i lavoratori - calo salari. Il consenso maggiore fu raccolto tra la piccola e media borghesia, classe più legata ai valori fascisti (nazione, gerarchia, ordine sociale) e più favoriti dalle scelte del regime.
    2. Cultura, scuola, comunicazioni di massa. Dopo la riforma Gentile il fascismo cercò di fascistizzare ulteriormente la scuola: controllo sugli insegnanti, testi unici, etc. Rispetto a elementari e medie l’università restò molto più autonoma: anche se  a tutti i docenti fu imposto il giuramento di fedeltà al regime pena la perdita della cattedra.. L’adesione dell’alta cultura vide molti nomi illustri accanto al regime, da Marconi a Pirandello. Ma il controllo su di loro fu relativo; controllatissima era la cultura di massa, e quindi i mezzi di comunicazione. Il controllo sulla stampa era capillare, ma non era solo censura: veniva indicato cosa scrivere. Se ne occupava il duce in persona. La radio divenne un mezzo di comunicazione di massa, in Italia, dal 1935 in avanti; prima era poco diffusa, poi il regime la installò nelle scuole, ad esempio. Alle orecchie degli italiani arrivavano canzonette, cronache del regime, notiziari politici, sceneggiati radiofonici, etc. Cinema, venivano censurati i film considerati sconvenienti, ma non ne venivano prodotti di propagandistici: per questo c’erano già i cinegiornali dell’Istituto Luce. I cinegiornali si rivelarono degli efficacissimi strumenti.
    3. Il fascismo e l’economia. La “battaglia del grano” e “quota novanta”. Il fascismo ritenne di aver trovato la “terza via” nel corporativismo, di ispirazione in parte medievale in parte rivoluzionaria. Sarebbe stato una gestione diretta dell’economia da parte delle categorie produttive, organizzate in corporazioni distinte per settori di attività (fatti di lavoratori e di imprenditori). Vennero istitute nel 1934, ma vennero attuate solo in parte. Qualcosa in economia il fascismo riuscì a fare, ma mai con una politica continuativa e coerente. 1922-25 adottò una linea liberista e produttivista per incoraggiare l'iniziativa privata e allentando i controlli statali, che però portò inflazione. Svolta del ’25 con l’avvento al ministero delle Finanze di Volpi, che attuò una politica protezionistica,  deflazionistica,  di  stabilizzazione  monetaria.  Maggiore  intervento  statale   -   inasprimento  dazi  sui  cereali, accompagnato   da   una   rumorosa   campagna   propagandistica,   quella   della   “battaglia   del   grano”,   il   cui obiettivo   era l’autosufficienza  nel  settore  cerealicolo  sia  attraverso  l'aumento  della  superficie  coltivata  a  grano  sia mediante  l'impiego  di tecniche più avanzate. Obiettivo in parte raggiunto: fine anni 30 la produzione raddoppiata. Però le  vittime furono altri settori come l'allevamento e il settore ortofrutticolo). La seconda battaglia fu quella per la rivalutazione della lira - obiettivo di quota 90 (90 lire per una sterlina). In un anno, anche grazie ai massicci prestiti delle banche americane, l’obiettivo fu raggiunto, ma a spese dei lavoratori dipendenti perché gli vennero tagliati gli stipendi  -  mercato interno      favorito grazie agli sgravi fiscali e un forte aumento delle commesse pubbliche, quello dell’export assolutamente no perché a causa del valore della lira erano poco competitivi. In più si accentuò la concentrazione aziendale a favore delle grandi imprese.
    4. Il fascismo e la grande crisi: lo “Stato-imprenditore”. La crisi del 1929 si fece sentire parecchio in Italia, anche se le scelte del 1925 avevano già iniziato a far crollare l’economia. Risposta del regime fu duplice: sviluppo dei lavori pubblici (come Hitler e Roosevelt per rilanciare la produzione e attutire le tensioni sociali) e intervento dello Stato a sostegno dei settori in difficoltà. Nuove strade e ferrovie, nuovi edifici pubblici, “risanamento” di Roma, bonifica dell’Agro Pontino un vasto territorio incolto perché paludoso e malarico. In meno di tre anni furono bonificate le Paludi Pontine, altro successo propagandistico. Nacquero nuovi poderi e centri urbani (Littoria e Sabaudia). Le banche stavano attraversando poi una fase di crisi nera, erano molto esposte - per salvarle dal fallimento venne creato nel 1931 l’Imi, Istituto mobiliare italiano, con il compito di sostituire      le banche nel sostegno all'industrie in crisi, e 2 anni dopo nel 1933 venne creato l’Iri, Istituto per la ricostruzione industriale,    che divenne principale azionista delle banche e assunse così il possesso di molte grandi aziende, come la Terni o l’Ansaldo, poi mai più riprivatizzate come invece doveva accaedere e l'Iri diventò un ente permanente. Era uno Stato-imprenditore, che aiutò molti gruppi a risollevarsi e fu di fatto accolto con gioia dalle aziende. L’economia non era fascistizzata: per le consulenze e i progetti Mussolini si appoggiava a tecnici puri, non a membri del partito - burocrazia parallela, importantissima nel dopo-regime. Uscita dalla crisi prima di altri cioè negli anni '30, l’Italia non seppe sfruttare questa sua posizione: Mussolini    iniziò uan politica di dispendiose imprese militari, sottraendo risorse ai consumi e agli investimenti produttivi e accentuando l'isolamento econimico del paese.
    5. L’imperialismo  fascista  e  l’impresa  etiopica.  Il  nazionalismo  non  aveva  sbocchi:  l’Italia  non  aveva rivendicazioni

territoriali, perché era uscita vincitrice dalla guerra completando l’unificazione e aveva risolto la questione adriatica. Inizialmente il fascismo si limitò ad appoggiare le velleità revisioniste di chi non accettava l’assetto di Versailles (come Ungheria e Austria). L’Italia “proletaria” si opponeva alle ideologie delle potenze “plutocratiche” che avevano dettato legge dopo il primo conflitto mondiale: nonostante le tensioni con la Francia, Mussolini fu presente a Stresa con UK e Francia per denunciare il riarmo tedesco. Fu l’ultimo accordo con le democrazie, perché il regime stava già preparando l’attacco all’Impero etiopico. Mussolini voleva l’impresa imperialista per vendicare Adua e dimostrare di poter avere successo, ma in realtà per distogliere l’attenzione interna dalla crisi economica. Parigi e Londra in teorie disposte a lasciar fare Mussolini, non potevano permetterlo a causa della loro opinione pubblica. 1935: attacco senza dichiarazione di guerra all’Etiopia  -  sanzioni economiche, ben poco     significative, ma che accentuarono il contrasto Italia-potenze democratiche. Mussolini riuscì a mobilitare le masse, facendo passare l’Italia per il paese bistrattato cui le grandi potenze coloniali impedivano di ottenere un “posto al sole” - il paese fu percorso da un ondata di imperialismo popolaresco. Guerra con tinte razziste, e apparentemente umanitarie per liberare la popolazione etiopica da un regime corrotto e schiavista. Il negus Selassié guidò per sette mesi gli etiopici, ma nel 1936   Badoglio entrava ad Addis Abeba - Mussolini proclamò la vittoria e offrì al sovrano la corona di imperatore d'Etiopia. Se economicante l’impresa fu folle, politicamente fu un successo clamoroso per il regime, in grado di imporsi al volere delle    grandi potenze e fare dell’Italia un Impero. Sanzioni ritirate, ma in realtà l’Italia non avrebbe vinto uno scontro con una    potenza. Dopo l’impresa in Etiopia l’Italia si riavvicinò alla Germania;  fu  firmato  un  patto  di  amicizia  che  prese  il  nome  di Asse Roma-Berlino, che, sommato al  Patto anticomintern, subordinò l’Italia alla Germania, quando Mussolini voleva solo ottenere più vantaggi coloniali facendo pressione sulle potenze occidentali; invece  finì  per  essere  condizionato  da  Hitler,  e nel  1939  firmò  il  “patto  d’acciaio”,  che legava definitivamente le sorti dell'Italia a quella dello Stato nazista.

    1. L’Italia antifascista. In Italia la maggioranza degli antifascisti – soprattutto ex popolari e liberali – restarono in una posizione di silenzione opposizione (Benedetto Croce era per loro un punto di riferimento). I comunisti invece si impegnarono, benché con scarsi risultati, clandestinamente diffusero opuscoli, giornali e volantini di propaganda, a infiltrare suoi uomini nei sindacati e nelle organizzazioni giovanili fasciste; sulla stessa linea si mosse il gruppo di “Giustizia e Libertà”, di indirizzo liberal- socialista. Gli altri gruppi in esilio all’estero (socialisti, repubblicani, democratici, federati nel 1927 nella Concentrazione antifascista – all’estero già da anni stavano personalità eminenti come Turati, Treves, Nenni e Saragat) svolsero soprattutto un’opera di elaborazione politica in vista di una sconfitta del regime che l’antifascismo non era in grado di provocare. I comunisti anche erano presenti all’estero, ma Togliatti, il loro leader, era un pezzo grosso del Comintern, quindi seguiva chiaramente le direttive di Mosca: non inserì mai il Pci nella concentrazione antifascista, nonostante molti fossero contrari. Gramsci lo era, nei suoi “Quaderni del carcere”, che però non furono pubblicati che dopo la guerra. Le idee di chi la pensava diversamente restarono sconosciute ai militanti. Nonostante queste debolezze, l’importanza dell’antifascismo risiedette nella funzione di testimonianza e di preparazione dei quadri e delle piattaforme politiche della futura Italia democratica.
    2. Apogeo e declino del regime fascista. L’apice del consenso al fascismo si ebbe con l’impresa etiopica, dopo la quale iniziò ad incrinarsi la fiducia nei confronti del regime. Mussolini decise di adottare la politica dell’ ”autarchia” – finalizzata all’obiettivo dell’autosufficienza economica in caso di guerra – ottenne solo parziali successi e provocando un aumento dei prezzi suscitò un diffuso malcontento. Inoltre molte risorse furono impiegate per spegnere gli ultimi focolai in Etiopia e nella guerra civile spagnola. La politica estera di Mussolini e Ciano era un altro problema: era impopolare l’amicizia con la Germania nazista.  Il  duce  prevedeva  un  futuro  di  guerre  e  conquiste  per  l’Italia,  che  doveva  diventare  un  paese  di  guerrieri     - totalizzazione:  istituzione  Camera  dei  fasci  e  delle  corporazioni,  e  altri  cambiamenti  (passo  romano,  etc).  La    politica discriminatoria nei confronti degli ebrei (ricalcando quelle naziste) suscitò timori e dissensi nella maggioranza della popolazione. Queste leggi discriminatorie crearono un contrasto con la Chiesa. Solo tra i giovani il disegno totalizzante mussoliniano ebbe successo anche perché erano cresciuti nelle organizzazioni del regime fascista. Però con lo scoppio del conflitto e con i primi rovesci bellici, il fascismo perse anche il sostegno dei giovani, i quali divenuti nel frattempo soldati e  ufficiali videro in prima persona il fallimento del governo nel prepararsi alla guerra

 

 

  1. La seconda guerra mondiale.

 

    1. Le origini e le responsabilità. A Monaco era stata negoziata una “falsa pace” tra Hitler e le forze democratiche; il mondo si trovò ben presto coinvolto in un nuovo conflitto, la cui responsabilità è della Germania nazista per la sua politica di conquista e di aggressione. Le democrazie occidentali si erano illuse a Monaco che a Hitler bastassero i Sudeti, ma nel marzo ’39 g il Führer occupò la Boemia e la Moravia, ovvero la parte più grossa della Cecoslovacchia. Fu la svolta; Gran Bretagna e Francia, abbandonato l’appeasement, cercarono di stipulare più alleanze militari possibili: Grecia, Turchia, Romania, Belgio, Olanda, ma soprattutto Polonia la quale costituiva il 1° obiettivo delle mire espansionistiche tedesche. Hitler stava rivendicando il possesso  di Danzica e il diritto di passaggio attraverso il corridoio che univa la città al territorio polacco  - ad impedire ciò c'era    l'alleanza anglo-francese con la Polonia. Per l’Italia la libertà di manovra era limitata: Mussolini fece infuriare le democrazie occupando il piccolo Regno di Albania, per poi legarsi alla Germania nazista con il “patto d’acciaio”: il patto prevedeva che     una  delle  2 sarebbe dovuta scendere in campo in aiuto dell'altra in qualsiasi guerra la coinvolgesse (anche d’aggressione):   ma l’Italia non era pronta, le fu assicurato da Hitler che il conflitto avrebbe aspettato tre anni. Invece non fu così. Le trattative tra le democrazie e l’URSS non portarono a nulla, perché c’erano troppi dubbi e troppe diffidenze reciproci. Il 23 agosto 1939 a Mosca i ministri degli esteri tedesco e sovietico firmarono un patto di non aggressione fra i 2 paesi. Tale accordo destò indignazione e stupore in quanto si trattava di 2 regimi ideologicamente opposti: in realtà faceva comodo ad entrambe le parti, che allontanavano il rischio di  un  attacco  (URSS  impreparata  alla  guerra,  avrebbe  ottenuto  dei  territori  secondo  il protocollo segreto (spartizione della Romania e della Polonia); Hitler risolveva la questione polacca evitando la guerra su due fronti). 1 settembre 1939: Germania attaccò la Polonia. Dopo due giorni GB e Fr le dichiararono guerra alla Germania. Italia proclamò la sua “non belligeranza”. La guerra non sarebbe stata solo mondiale, ma totale. Scontro ideologico molto aspro. Nuove armi e tecnologie. Le cause di fondo della seconda guerra mondiale erano: il tentativo della Germania di affermare la propria egemonia sul continente europeo e la volontà di FR e GB di impedire questa affermazione.
    2. La distruzione della Polonia e l’offensiva al Nord. Poche settimane di guerra furono sufficienti a mostrare a tutti una perfetta macchina da guerra; la Polonia capitolò in pochissimo, il suo esercito antiquato era niente rispetto a quello tedesco e alla  sua  guerra-lampo,  che  prevedeva  l’uso  congiunto  di  aerei  e  mezzi  corazzati. A fine  settembre  Varsavia  cadde,  e in

pochissimo in base al protocollo segreto i sovietici occuparono la parte est del Paese e stabilivano, esattamente come i tedeschi ad ovest, uno spietato regime di occupazione. Per sette mesi ci fu quello che i francesi chiamarono “drôle de guerre”,la guerra fu momentaneamente congelata, ciò demoralizzò le truppe alleate e dando a Hitler il tempo di rimettersi in forze. A fine novembre l’URSS attaccò la Finlandia, che però resistette e nel marzo ’40 cedette alle richieste sovietiche pur restando indipendente. Il 9 aprile Hitler attaccò Danimarca e Norvegia e le travolse. Hitler così controllava buona parte dell'Europa centro-settentrionale. Il suo prossimo obiettivo era scatenare l'attacco a occidente.

    1. L’attacco a occidente e la caduta della Francia. L'offensiva tedesca sul fronte occidentale iniziò il 10 maggio 1940 e si risolse in poche settimane a favore di Hitler. I francesi erano superiori per numero e armamento, ma i comandi francesi commisero degli errori, basandosi ancora sulla vecchia concezione della guerra statica e riponendo troppa fiducia nella linea Maginot, fortificazione difensiva che però copriva solo la frontiera franco-tedesca, lasciando scoperto Belgio e Lussemburgo    - Hitler invase ed  occupò  Belgio,  Olanda  e  Lussemburgo,  valicò  la  impenetrabile  foresta  delle  Ardenne  e  sfondò  a Sedan, puntando sul mare e chiudendo in una sacca reparti francesi, belgi e l’intero contingente inglese, che riuscì a reimbarcarsi a Dunkerque solo grazie  ad  un  rallentamento  tedesco.  Per  gli  inglesi  quel  reimbarco  fu  la  loro  salvezza, mentre  la  Francia capitolava e il 14 giugno i tedeschi entrarono a Parigi. De Grulle da Londra cercò di incitare i francesi        alla rivolta contro gli occupanti, ma Petàin firmò l’armistizio il 22 giugno a Rethondes luogo dove precedentemente i tedeschi si erano piegati al Diktat nel 1918. in base all'armistizio il governo francese fu trasferito a Vichy e governava solo la parte centro-meridionale, mentre il resto della Francia restava occupato dai nazisti. Finiva la Terza Repubblica, mentre a Vichy l’Assemblea nazionale si spogliava dei suoi poteri e dava il compito a Petàin di promulgare una nuova costituzione; era un conservatore accanito(culto dell'autorità, difesa della religione e della famiglia, esaltazione retorica della piccola proprietà e del lavoro nei campi, organizzazione sociale di stampo corporativo), che fece del regime di Vichy uno stato-satellite  della  Germania hitleriana, un Paese guidato da   una tradizione alla ancien règime. Rapporti Fr-GB rotti.
    2. L’intervento dell’Italia. Nell’estate 1939 l’Italia non era entrata in guerra giustificandosi per motivi economici: dipendeva cronicamente dalle importazioni estere. Ma il crollo della Francia fece sparire le ultime esitazioni di Mussolini e vinse le resistenze di quanti si opponevano all’intervento italiano, compresa l’opinione pubblica che inizialmente odiava la Germania hitleriana. 10 giugno 1940: il duce annunciò l’entrata in guerra dell’Italia contro “le democrazie plutocratiche e reazionarie dell’Occidente”. L’offensiva sulle Alpi contro una Francia già sconfitta (il giorno prima della firma dell’armistizio) fu una prova di notevole incompetenza: molti morti, limitata penetrazione in territorio francese, ma comunque armistizio il 24 giugno. Dalla GB l’Italia ricevette due sconfitte navali vicino alla Calabria e vicino a Creta. Altri insuccessi contro GB in Africa settentrionale a causa dell'insufficienza dei mezzi corrazzati. Mussolini rifiuò un'offerta d'aiuto da parte della Germania perché convinto che l'Italia dovesse combattere una sua guerra, parallela, a quella tedesca. Ma l’Italia era impreparata.
    3. La battaglia d’Inghilterra. La GB era sola a combattere Hitler, ma non aveva intenzione di piegarsi alla sua volontà e accettare un accordo che riconoscesse le sue conquiste. La classe dirigente inglese guidata da Winston Churchill convinse gli inglesi a dover fare dei sacrifici per poter resistere e sconfiggere le velleità hitleriane. L'Inghilterra reagì compatta e coraggiosa all’operazione Leone marino, quella che Hitler aveva ideato per la battaglia di Inghilterra: era necessario colpire dal cielo, per compensare la potenza navale inglese - prima grande battaglia aerea della storia, estate ‘40: Luftwaffe vs. RAF (GB), che    era avvantaggiata per il radar. Londra e altri centri furono ripetutamente bombardati, ma la resistenza brit fu accanita e Hitler  non riuscì a piegare la GB; l’invasione dell’Inghilterra fu rimandata - prima battuta d’arresto per la Germania nazista      dall'inizio del conflitto.
    4. Il fallimento della guerra italiana: i Balcani e il Nord Africa. 28 ottobre 1940: l’esercito italiano attaccò improvvisamente la Grecia, stato semi-fascista che si pensava di travolgere. L'attacco fu determinato da ragioni di concorrenza con Hitler e l’espansione tedesca  -  solo che la resistenza fu molto più organizzata del previsto e ricacciò gli italiani in Albania, i quali        si schierarono sulla difensiva. Grossa eco in Italia, ondata di sfiducia nei confronti del regime e del duce. Colpo all’immagine   del regime, anche perché contemporaneamente  arrivava  dall’Africa  altre  notizie  di  insuccessi.  Con  un  contrattacco  gli inglesi conquistarono l’intera Cirenaica, e per non dover abbandonare la Libia Mussolini dovette accettare l’aiuto di Hitler -  iniziò una lunga controffensiva guidata dal brillante generale Rommel, che nel 1941 riprese la Cirenaica, mentre l’Africa  orientale (Etiopia, Somalia, Eritrea) italiana veniva presa dagli inglesi nella primavera. Era la fine della guerra parallela italiana-tedesca. Simultaneamente le truppe italiane e tedesche travolsero la Grecia e Jugoslavia e gli inglesi si dovettero ritirare. In Europa Hitler non aveva più rivali, l’unico fronte aperto era quello nordafricano. L'obiettivo di Hitler era quello di conquistare lo “spazio vitale” a est ai danni dell'Urss.
    5. L’attacco all’Unione Sovietica. Guerra entrò in una nuova fase con l’attacco all’URSS dell’estate 1941: si aprì un nuovo fronte e l’ambigua alleanza russo-tedesca cadeva. Stalin sapeva che Hitler un giorno avrebbe attaccato, ma pensava che prima avrebbe voluto la GB fuori gioco. Invece no: l’operazione Barbarossa scattò il 22 giugno 1941 e colse i russi impreparati (anche per le purghe del ’37 che avevano decimato i comandi dell’Armata Rossa). In due settimane le forze del Reich penetrarono per centinaia di chilometri in territorio russo (insieme ad un corpo di spedizione italiano), seguendo due direttrici: una dai Paesi baltici e una dall’Ucraina che puntava sulle petrolifere caucasiche. Ma a Mosca i nazisti non arrivarono, perché colti dall’inverno e dalla accanita resistenza sovietica, attiva anche in dicembre. Infinito serbatoio umano russo permise a Stalin di far ripartire le industrie ad est del Volga, che permisero all’URSS di rimettersi in gioco: dalla guerra-lampo si passava a quella d’usura, in cui l'elemento decisivo era costituito dalla capacità di compensare rapidamente il logorìo degli uomini e dei materiali, cui la Germania non era avvantaggiata.
    6. L’aggressione giapponese e il coinvolgimento degli Stati Uniti. Alla terza elezione di Roosvelt a presidente, gli USA appoggiarono la GB con l’approvazione delle legge “affitti e prestiti” che consentiva la fornitura del materiale bellico, intesa per sostenere la GB, ormai sola nella lotta contro il nazismo. In maggio Washington ruppe i rapporti diplomatici con Italia e Germania, e in giugno la marina americana scortò un carico di aiuti per le potenze alleate fino all’Islanda. Gli USA volevano diventare l’”arsenale delle democrazie” e la politica USA fu suggellata dalla Carta atlantica, firmata da Churchill e Roosvelt su una nave da guerra al largo di Terranova nell’agosto 1941. Stabiliva l’avversione ai fascismi e il nuovo ordine democratico post- bellico:rispetto dei principi di sovranità popolare e di autodecisione dei popoli, libertà dei commerci e dei mari, cooperazione internazionale, rinuncia all'uso della forza nei rapporti fra gli Stati. La guerra era ora anti-fascista. Gli USA intervennero dopo l’aggressione improvvisa del Giappone sul Pacifico, il Giappone potenza asiatica legata all’Asse dal patto tripartito (con Italia e Germania). Dal 1937 il Giappone stava penetrando in Cina, ma la guerra in Europa gli permise di allargare le sue mire all’intero Sudest asiatico; quando penetrò nell’Indocina francese, USA e UK bloccarono le esportazioni verso il Giappone, che aveva

disperato bisogno di materie prime: dovette scegliere tra sottomissione al volere occidentale o guerra. Scelse la guerra             - attacco a sorpresa a Pearl Harbor, 7 dicembre 1941, che vide distrutta buona parte della flotta americana nel Pacifico.       Ora l’espansionismo giapponese non aveva particolari ostacoli e si rivolse verso Malesia e Birmania, Filippine e Indonesia,    fino a minacciare Australia e India. Pochi giorni dopo Pearl Harbor, Germania e Italia dichiaravano guerra a USA. Il conflitto a questo punto divenne mondiale.

 

    1. Il “nuovo ordine”. Resistenza e collaborazionismo. Nell’estate ’42 le forze dell’Asse raggiunsero la loro massima espansione; in Europa la Germania egemone governava indisturbata su 350 milioni di persone, e aveva una serie di stati- satellite o alleati impressionante; all’interno di questa rete l’Italia non contava nulla. Tanto Germania quanto Giappone tentarono nei territori sotto di loro di stabilire un ordine nuovo basato sulla supremezia della nazione eletta e sulla rigida subordinazione degli altri popoli alle esigenze dei dominatori, ma mentre Kyoto si appoggiò per questo ai movimenti indipendentisti locali e all’antimperialismo, il nazismo non fece concessioni di sorta alle esigenze di indipendenza e di autogoverno dei popoli ad essa soggetta. Fu invece molto duro, specie con i popoli slavi, considerati inferiori di razza e trattati come semi-schiavi: l’Europa orientale doveva diventare una colonia agricola del Reich. 8 milioni di civili sovietici e polacchi morirono durante l’occupazione nazista. Naturalmente però la persecuzione più disumana fu quella contro gli ebrei, nemico principale per Hitler, che iniziarono prima ad essere confinati nei ghetti (come quello di Varsavia) e a portare una stella al braccio, quindi deportati in campi di prigionia, i lager (Auschwitz, Dachau…), sfruttati fino alla consunzione fisica, usati come cavie per esperimenti, uccisi se considerati inutili. La “soluzione finale” ideata nel 1941 e affidata alle SS prevedeva l’eliminazione fisica degli ebrei: 6 milioni di ebrei sterminati. Gli effetti del dominio nazista furono molto positivi per i tedeschi in un primo momento, che poterono mantenere un altissimo livello di vita, ma la grande presenza militare in Europa e lo sfruttamento sistematico nazista misero i tedeschi al centro dell’odio di molti popoli. La resistenza al nazismo si fece via via più organizzata e convinta, e se prima comprendeva piccoli gruppi che si appoggiavano a Londra e ai governi in esilio, con l’attacco nazista all’URSS che portò i comunisti di tutta l'Europa a impegnarsi attivamente nella lotta armata contro i nazisti. All’interno però i fronti di resistenza erano divisi, perché nei confronti dei comunisti c’era grande diffidenza da parte degli anglo-americani. Ma la collaborazione si rivelò impossibile in quei paesi dell'Europa orientale e balcanica dove più diffuso era il timore che i partiti comunisti fungessero da strumento per i piani egemonici ell'Urss. Ma c’era anche il collaborazionismo, in tutti i Paesi invasi della Germania o da essi controllati, con la popolazione e i loro dominatori e ciò accadde per convinzione o convenienza. I tedeschi trovavano ovunque sostenitori e i governi collaborazionisti spuntavano ovunque: il più eclatante fu certamente Vichy, che cessò di esistere alla fine del 1942.
    2. 1942-43: la svolta della guerra e la “grande alleanza”. Grande svolta per il conflitto nel 1942-1943, nel Pacifico: i giapponesi vennero sconfitti dagli americani nelle due battaglie del Mar dei Coralli e delle Midway: aerei decollavano dalle portaerei, le flotte non si vedevano. Con la presa americana di Guadalcanal, i giapponesi rinunciarono ad espandersi ed iniziarono a difendere i territori. Atlantico: gli americani riuscirono con il tempo a limitare i danni della guerra sottomarina tedesca, grazie alla tecnologia (rader perfezionati, bombe di profondità, razzi antisommergibile). Ma l’episodio più importante di questo periodo fu in agosto l’inizio dell’assedio e della battaglia di Stalingrado, che dopo mesi vide i tedeschi sconfitti dalla resistenza sovietica. Ciò rappresentò un simbolo di riscossa per i sovietici e per gli antifascisti di tutto il mondo. Ottobre 1942, Africa settentrionale: Montgomery comandante delle forze britanniche attaccò Rommel, generale del contingente italo-tedesco, ad El Alamein e riuscì a cacciarlo verso la Tunisia, dove le truppe italo-tedesche furono presto intercettate da un contingente alleato sbarcato in Algeria e Marocco. Tra due fuochi, le forze dell’Asse dovettero arrendersi. Ora gli alleati potevano occuparsi dell’Europa. Conferenza di Washington: patto delle Nazioni Unite contro il fascismo e impegno a tener fede ai principi edlla carta atlantica. I contrasti tra alleati, cioè tra URSS e USA-UK, riguardavano anzitutto l’apertura del fronte di battaglia in Europa: Stalin lo voleva subito in Nord Europa in modo da alleggerire la pressione tedesca dall'Urss, Churchill voleva prima chiudere la partita in Africa e poi sbarcare nell'Europa meridionale; la spuntò l’inglese. Conferenza di Casablanca gli inglesi e gli americani  decisero che lo sbarco sarebbe avvenuto in Sicilia, per motivo logistici e politici; e la guerra non sarebbe finita senza la resa incondizionata della Germania, senza patteggiamenti di sorta con la Germania o con i suoi alleati
    3. La caduta del fascismo e l’8 settembre. Il 10 luglio 1943 i primi contingenti anglo-americani sbarcarono in Sicilia e in poche settimane conquistarono l’isola: colpo di grazia per il regime fascista, che già era messo in crisi dagli scioperi che in marzo avevano messo in subbuglio tutto il Nord, ad opera dei comunisti in risposta al malcontento popolare. Ma a far cadere Mussolini fu la “congiura monarchica”, ordita dalla corona e da esponenti del prefascismo che volevano preservare lo status quo monarchico ma uscire dalla guerra. 24-25 luglio 1943: riunione del Gran consiglio; su proposta di Dino Grandi il comando delle forze armate tornò al sovrano Vittorio Emanuele III, che al pomeriggio convocò Mussolini e lo costrinse alle dimissioni, per poi farlo arrestare. Capo del governo divenne Pietro Badoglio. La cadute del fascismo suscitò l' esultanza popolare. Crollo repentino e inglorioso del sistema fascista, debole all’interno e indebolito dal discredito. La gente voleva la fine della guerra, per questo esultava, ma l’uscita dal conflitto fu più tragica del conflitto stesso: al nord si stavano accumulando forze tedesche, pronte a punire la defezione e fermare l’avanzata alleata. Badoglio disse che l’Italia non sarebbe venuta meno ai suoi impegni, ma in realtà allacciò contatti con le potenze alleate, con cuì però firmo un’armistizio il 3 settembre, senza garanzie sul futuro. Fu reso noto solo l’8 settembre - caos totale: il re e il governo abbandonarono Roma, mentre i tedeschi iniziarono ad occupare la   parte centro-settentrionale dell’Italia. Mentre i tedeschi avanzavano, un esercito stanco e abbandonato a se stesso non era in grado di opporre alcune resistenza, di fronte alla decisa e crudele determinazione tedesca a punire e fronteggiare gli anglo-americani (un’intera divisione italiana che non voleva arrendersi fu sterminata a Cefalonia, ad esempio). I tedeschi riuscirono ad attestarsi sulla linea Gustav (da Gaeta a Pescara – Cassino) e a bloccare lì l’avanzata alleata fino alla primavera ’44.
    4. Resistenza e lotta politica in Italia. Nel 1943 Italia spaccata in due: monarchia filo-alleata al Sud, tedeschi e fascisti al nord. Il 12 settembre Mussolini fu liberato da un commando di tedeschi sul Gran Sasso e iniziò ad organizzare un nuovo stato fascista, la Repubblica sociale italiana, la cui capitale era Salò e un nuovo esercito che continuasse a combattere a fianco degli antichi alleati; La Repubblica di Mussolini non acquistò mai una vera credibilità in quanto totalmente dipendenti dai tedeschi, che si comportavano come un esercito di occupazione (sfruttamento delle risorse economiche e umane dei territori controllati, applicazione delle politiche razziali). La principale funzione svolta dal governo di Salò fu quella di reprimere e combattere il movimento partigiano che stava nascendo nell'Italia occupata per opporsi ai tedeschi. Quindi oltre alla guerra tra stranieri nel Nord Italia si sviluppava una guerra civile, tra repubblichini e partigiani della resistenza. Iniziava la vera resistenza: i partigiani e i soldati che aveva rifiutato la resa ai nazisti si unirono per combattere i tedeschi con azioni di disturbo e rappresaglie, specie lontano  dai centri abitati. I tedeschi furono del tutto intransigenti con loro (furono fucilati alle Fosse Ardeatine, 1944). Dopodiché i partigiani si iniziarono ad organizzare in vere e proprie formazioni: Brigate Garibaldi, fatte di comunisti, Giustizia e Libertà,

antifascisti, Brigate Matteotti, socialisti. Rinascita dei partiti antifascisti: Partito d’azione (Pda), Democrazia cristiana (Dc), Partito liberale e Partito repubblicano, infine Partito socialista di unità proletaria. Rappresentanti di partiti si riunirono a Roma subito dopo l’8 settembre e fondarono il Comitato di liberazione nazionale, il Cln, incitando la popolazione alla lotta e alla resistenza. I partiti antifascisti si proponevano come guida e rappresentanza dell'Italia democratica che si contrapponeva sia all'occupazione tedesca, sia al sovrano responsabile della dittatura, sia al governo Badoglio. Il re e Badoglio non erano ben visti, ma il Cln non era abbastanza compatto e organizzato per opporsi al governo di cui gli alleati si fidavano, in quanto garante degli impegni assunti con l'armistizio. Nell'ottobre del 1943 il governo dichiarò guerra alla Germania e un corpo italiano di liberazione combattè a fianco degli anglo-americani. Il contrasto tra Cln e governo fu sbloccato con il ritorno di Palmiro Togliatti dall’esilio in URSS. Con la svolta di Salerno Togliatti propose un governo di unità nazionale per combattere i tedeschi e il fascismo, e per legittimare agli occhi moderati e liberali il comunismo italiano. Questo governo di unità nazionale ci fu, insieme ad una tregua istituzionale: il re Vittorio Emanuele III promise di passare i poteri al figlio, per poi fare sì che a guerra finita fosse il popolo a decidere se l’Italia dovesse essere ancora retta da una monarchia. Giugno 1944: Roma liberata, re Umberto divenne luogotenente generale del Regno, mentre al governo Badoglio successe quello di Ivanoe Bonomi  -  maggiore legame tra governo e resistenza, che        si rafforzò sempre più e si organizzò efficacemente. L’azione partigiana divenne sempre più diffusa, i tedeschi rispondevano  con pugno di ferro (  dove  a  Marzabotto  venne  uccisa  l'intera  popolazione),  mentre  città, come  Firenze, vennero  liberate prima dell’arrivoperchèera terrorizzata. Nell’inverno tra il 1944 e il 1945 lo scontro tra tedeschi e alleati si blocctò sulla linea gotica (Rimini-La  Spezia).  Gli  inglesi  non  vedevano  di  buon  occhio  il  Clnai,  ma  il  governo  alla  fine  lo  riconobbe    come  suo rappresentante nell’Italia occupata. Il movimento partigiano riuscì a sopravvivere, mentre nella primavera ’45 ci         fu  il  crollo tedesco.

    1. Le vittorie sovietiche e lo sbarco in Normandia. I sovietici iniziarono a premere contro i tedeschi con una lenta ma inesorabile avanzata verso Berlino. Prezzo altissimo in vite e risorse, ma almeno Stalin ottenne un ruolo forte nella “grande alleanza” e alla conferenza di Teheran (nov-dic 1943, con Stalin, Churchill e Roosvelt)ottenne l’impegno alleato ad attuare uno sbarco in forze sulle coste francesi nella primavera ’44. Con sforzo sovrumano e un’attentissima pianificazione gli anglo- americani, riuscendo a superare il vallo atlantico, portarono a compimento l’operazione Overlord (generale Eisenhower), il 6 giugno 1944, facendo sbarcare in un mese un milione e mezzo di uomini. In due mesi linee tedesche sfondate, il 25 agosto Parigi venne liberata. Tedeschi scacciati quasi sul confine del ’39, dove hanno il tempo di riorganizzarsi, ma per poco.
    2. La fine del Terzo Reich. Mentre gli alleati della Germania si arrendevano uno dopo l’altro e il Paese era vessato da pesantissimi bombardamenti (Amburgo e Dresda, ad esempio) volti a demoralizzare la popolazione, Hitler sperava ancora in un rivolgimento del conflitto a suo favore, sperando nella rottura dei rapporti tra URSS e anglo-americani; invece essi tennero fede agli impegni presi, e la grande alleanza tenne, anche in virtù delle conferenze di Mosca e Yalta, durante le quali si pianificava una vera e propria spartizione del mondo in sfere di influenza una volta conclusosi il conflitto. Intanto l’era del Terzo Reich volgeva al termine: l’Armata Rossa tra aprile e maggio liberava Vienna e Praga dai tedeschi, mentre più a nord proseguiva verso Berlino, dove si ricongiunse con i reparti anglo-americani provenienti da ovest; l’esercito nazista era sfaldato, e anche in Italia si ritirò il 25 aprile. Mussolini catturato e impiccato. 30 aprile: Hitler si suicidò. Il 7 maggio la Germania firmò la resa incondizionata a Reims. Guerra europea finita.
    3. La sconfitta del Giappone e la bomba atomica. Dal ’43 gli USA avevano iniziato a riguadagnare terreno nel Pacifico; nonostante dal ’44 il territorio nipponico fosse bombardato e gli USA fossero sempre più forti, i giapponesi continuavano ostinati a resistere (kamikaze)  -  Truman, presidente  americano, decise  di  porre  fine  al tutto  con la  bomba atomica  (deterrente per l’URSS – atto di forza): due ordigni su Hiroshima e Nagasaki (160.000 vittime + conseguenze LP). Imperatore Hirohito    firmò l’armistizio senza condizioni il 2 settembre 1945 nella baia di Tokyo. Così finiva la seconda guerra mondiale.
  1. Il mondo diviso.

 

    1. Le conseguenze della seconda guerra mondiale. La IIGM era stata uno spartiacque storico, con conseguenze incredibili sul mondo contemporaneo. La 2° guerra mondiale vide la vittoria delle democrazie e ridisegnò la carta d’Europa, accelerò la crisi delle potenze europee: Germania debellata, Francia e GB indebolite e incapaci di mantenere i loro imperi coloniali. Le uniche due che potevano aspirare ad essere potenze mondiali, o superpotenze, erano USA (superiorità economica e militare) e URSS (padrona di mezza Europa), due entità continentali e multietniche, ricche di risorse, con interessi mondiali, portatrici di due messaggi ben contrapposti: il messaggio americano, a sfondo individualistico, era fatto di pluralismo, democrazia liberale, concorrenza economica e libertà. Il messaggio sovietico era quello dell’anti-individualismo, del sacrificio e della disciplina, del modello collettivistico e centralizzato. - mondo bipolare, molto chiaro in Europa dove le sfere di influenza furono determinate  da dove gli eserciti erano arrivati. Il disastro della guerra aggiunto alle rivelazioni sull’Olocausto e alla bomba atomica (arma      in grado di distruggere l’intera umanità) segnarono molto il pensare comune. Ci furono tentativi di rifondare i rapporti internazionali: gestione generosa della pace da parte americana, nuova fisionomia alle Nazioni Unite, codificazione e aggiornamento del diritto internazionale, anche penale - processo di Norimberga (1945-46) contro i capi nazisti in cui molti collaboratori di Hitler vennero condannati a morte. L’egemonia USA fece sì che gli States divennero promotori e garanti del progetto  di  un  nuovo  sistema mondiale  e  per  l’Europa  un  punto  di  riferimento:  il  “mito  americano”  era  quello  di  cui l’Europa atterrita e spaventata aveva bisogno: influenza culturale (musica, balli,  etc…).

Le Nazioni Unite e il nuovo ordine economico. ONU nasce a San Francisco nel 1945 con l'obiettivo di salvare le generazioni future dal flagello della guerra e di impiegare strumenti internazionali per promuovere il progresso economico e sociale di tutti i popoli. Ispirato ai principi della Carta atlantica, seguiva due concezioni: l’utopia democratica wilsoniana e la roosveltiana (necessità di un unico “direttorio” per gli affari mondiali tra le potenze.

Assemblea generale (principi di universalità dell'organizzazione e di uguaglianza di tutti gli Stati) si riunisce annualmente e ha il potere di adottare risoluzioni che però non sono vincolanti ma hanno solo il valore di raccomandazioni.

Consiglio di Sicurezza organo permanente che in caso di crisi internazionale, ha il potere di prendere decisioni vincolanti per gli Stati e di adottare misure che possono giungere fino all'intervento armato. Il consiglio è formato 15 membri (i 5 membri permanenti sono le maggiori potenze vincitrici e dhanno diritto di veto: Usa, Urss, Gran Bretagna e Francia + 10 membri vengono eletti a turno fra tutti gli Stati)

Consiglio economico e sociale   organo dell'ONU(Unesco, Fao, etc…)

Corte internazionale di giustizia organo dell'ONU, cui spetta di dirimere le controversie fra gli Stai che vi si rimettono volontariamente. Spesso l’ONU non è servito a niente, è stato inadempiente, paralizzato dai contrasti tra le potenze, incapace di


prevenire e contenere le crisi; però è importante centro di dialogo. Anche i rapporti economici internazionali però cambiarono: nel 1944 nacque a Bretton Woods il Fondo monetario internazionale, con lo scopo di costruire riserve valutarie e assicurare la stabilità dei cambi, ancorando le moneta non solo all’oro, ma anche al dollaro (con conseguente primato). Banca mondiale si occupa invece di fare prestiti a lungo termine ai Paesi per la loro ricostruzione o sviluppo. E poi ci fu il Gatt (Accordo generale sulle tariffe e sul commercio), 1947, che abbassò il livello dei dazi doganali. Gli USA si servirono di questi mezzi per indirizzare la rinascita economia europea.

    1. La fine della “grande alleanza”. Presto i contrasti tra le due superpotenze furono chiari: gli USA erano in realtà stati toccati poco dalla guerra e ora puntavano a creare un nuovo ordine mondiale, mentre l’URSS, uscita molto più acciaccata dal conflitto, non faceva che esigere il prezzo della vittoria (niente paesi ostili ai confini, riconoscimento del suo ruolo nel mondo, riparazioni). Nel “grande disegno” di Roosvelt era previsto un dialogo tra le due potenza , l’URSS sarebbe stata una forza d’ordine importante in un’area turbolenta come l’Europa orientale, dov’era la sua sfera di influenza, ma gli USA sarebbero restati egemoni. Con Roosvelt morì anche tale progetto, e Truman fu sin dall’inizio più diffidente nei confronti dell’Unione sovietica. L’irrigidimento c’era già alla conferenza di Postdam dell’estate ’45, quando vennero a galla i punti di frizione: la possibilità che l'Urss avesse un influenza sulla Germania e sul'Europa orientale era inesistente. A questo punto l'Urss impose i partiti comunisti al potere locale con l'appoggio dell'esercito sovietico. Nel 1946 Churchill pronunciò un discorso che denunciava il comportamento dei sovietici in Europa orientale. Si ruppe la “grande alleanza” e il processo negoziale sui trattati di pace  ne  subì le conseguenze. Alla conferenza di Parigi nel 1946 si raggiunse un accordo tra i vincitori e sui confini tra URSS, Polonia e Germania: a spese di quest’ultima la Polonia si spostò a ovest, così come l’URSS annesse una parte di Polonia.
    2. La “guerra fredda” e la divisione dell’Europa. La conferenza di Parigi del 1946 fu l’ultima atto di cooperazione tra URSS e potenze occidentali; nell’agosto 1946 scoppiò una grave crisi tra URSS e Turchia (appoggiata dagli Usa) per lo stretto dei Dardanelli -  prima applicazione della teoria del  containment (“contenimento” dell’espansionismo sovietico): invio della flotta    a sostegno  della  Turchia,  per  paura  che  anche  la  Grecia  entrasse  nella  sfera  comunista.  La  dottrina  Truman  era questo: intervenire anche con la forza per sostenere i liberi popoli nella resistenza all'asservimento da parte di minoranze  armate o pressioni  straniere.  Giugno  ’47:  lanciato  l’European  Recovery  Program,  ovvero  il  piano  Marshall  (un programma  di  aiuti economici  all'Europa).  Ma  l'Urss  rifiutarono  il  piano  perché  convinti  che  il  vero  obiettivo  degli  Stati Uniti  era  assoggettare l'Europa a discapito dell'Urss. Tra 1948 e 1952 13 miliardi di dollari permisero non solo la ricostruzione  in Europa occidentale, ma anche un rilancio dell'economia dell'Europa occidentale. Altra provocazione staliniana nel    settembre 1947: la fondazione Cominform, una sorta di riedizione in tono  minore  della  Terza  Internazionale.  Cessato  il dialogo tra le potenze, iniziò la cosiddetta “guerra fredda” - contrapposizione fortissima tra i due blocchi. In Grecia la  resistenza comunista venne  combattuta e debellata. In Francia e in Italia i comunisti furono estromessi dai governi di    coalizioni nel 1947. Principale terreno di scontro restava però il destino della Germania, divisa dalla fine della guerra in 4 zone   di occupazione (americana, inglese, francese e sovietica), come Berlino che si trovava all'interno dell'area sovietica era divisa ulteriormente in 4 zone. Quando l’iniziativa anglo- americana iniziò a fare delle loro zone tedesche un forte stato integrato nel blocco occidentale (riforma monetaria, liberalizzando l'economia), Stalin reagì con il  blocco  di  Berlino,  ovvero  chiuse  gli accessi della città  impedendone  il  rifornimento,  nella speranza di indurre gli occidentali  ad abbandonare  la zona ovest da  loro occupata. -  altissima  tensione,  ma  non  vi  fu  uno scontro militare grazie alla costruzione di un ponte aereo americano per rifornire la città, che alla fine fece desistere i sovietici. Sempre nel 49  furono  unificate  le  3 zone occidentali  della Germania: Repubblica federale tedesca (con capitale Bonn). Per risposta i sovietici costituirono la Repubblica democratica tedesca (con capitale Panlow, sobborgo berlinese). Europa divisa in due - 1949: firma del  Patto atlantico che consisteva in  una allenza difensiva fre i paesi dell'Europa occidentale, gli USA e il Canada. Questo patto fondato sulla democrazia    prevedeva un dispositivo militare integrato composto da contigenti dei singoli paesi membri: la Nato  (Organizzazione  del trattato  nel  Nord Atlantico).  1955:  URSS  rispose  stringendo  un  alleanza  militare ovvero il Patto di Varsavia con i paesi satelliti. Guerra fredda: compattezza dei blocchi, legame di politica estera fondamentale, militarismo e armamenti - paradossi notevoli, infatti: USA in Occidente appoggiano regimi pur di sostenere il mondo libero.
    3. L’Unione Sovietica e le “democrazie popolari”. Il dispotismo staliniano proseguì la sua opera, con purghe e condizionamenti pesantissimi a vita intellettuale e artistica. La ricostruzione avvenne senza aiuti esterni diretti, se non le riparazioni imposte ai paesi ex nemici controllati dall'Armata Rossa. Dalla Germania dell'Est, dall'Ungheria, dalla Romania e dalla Cecoslovacchia, i sovietici prelevarono risorse finanziarie, derrate agricole, macchinari, impianti e mezzi di locomozione.  La ricostruzione economica sovietica molto rapida, con crescita industriale del 70%. però venne agevolata l’industria pesante e bellica e non il settore dell'agricoltura dei beni di consumo. L’URSS era una grande potenza bellica, nel 1949 fece esplodere la sua prima bomba atomica, ponendo così fine al monopolio nucleare americano. Politica estera: trasformazione dei Paesi occupati dall’Armata Rossa in democrazie popolari, formula che cercava di mascherare il loro assoggettamento e il loro ruolo di satelliti. Polonia: la sua difesa era questione di orgoglio inglese, ma Stalin la voleva comunista perché era stata corridoio di passaggio per attacchi già due volte. Stalin la spuntò e nel 1945 a Varsavia s'insediò, il socialista Morawski, controllato dai comunisti e via via più dispotico e in rotta con i borghesi. Stesse cose in Romania, Bulgaria, Ungheria (un po’ di resistenza da parte del Partito dei contadini), Albania e Jugoslavia. Cecoslovacchia: paese democratico e sviluppato, favorevole all’URSS e guidato dal comunista Gottwald e da una coalizione di sinistra, che si ruppe quando fu il momento di decidere se accettare o no gli aiuti dell’ERP. All’inizio del 1948 i comunisti si imposero al governo, dopo pressioni sul presidente Beneš. In Europa dell’Est, comunque, arrivò la modernizzazione e l’industrializzazione iniziò a dare i primi frutti: collettivizzazioni, nazionalizzazioni e piani di sviluppo diedero un impulso deciso alla crescita economica di questi Paesi, che però restavano subalterni  ai  legami economici con l’URSS - Comecon, Consiglio di mutua assistenza economica, mezzo di rigido controllo sull’economia.   Modello di crescita sovietico priivilegiava industria pesante, limitando i consumi - malcontento popolare - necessario rigido controllo sui satelliti. In Jugoslavia, Tito attuò uno scisma da Mosca, che aveva decretato il comunismo slavo “deviazionista”.  Tito pose il paese in una posizione equidistante dai due blocchi e iniziò a cercare un equilibrio possibile tra statalizzazione ed economia di mercato  -  modello jugoslavo: autogestione delle imprese + libera concorrenza.  Per paura di un diffondersi    delle deviazioni comuniste, vi furono epurazioni spaventose nei regimi comunisti, con purghe ed esecuzioni.
    4. Gli Stati Uniti e l’Europa occidentale negli anni della ricostruzione. USA non avevano il problema della ricostruzione, ma della riconversione del sistema economico americano a scopi di pace. Il programma di Fair Deal di Truman non fu neanche lontanamente paragonabile alla politica riformista roosveltiana. Il programma però si realizzò in parte a causa della resistenza del Congresso contrari all'integrazione razziale. In più il costo della vita stava aumentando a causa dell'abolizione dei controlli sulle attività industriali e del forte deficit del bilancio statale - il Congresso contro il volere presidenziale adottò il Taft-Hartley Act,

legge conservatrice che limitava la libertà di sciopero. Nonostante le conquiste del New Deal si mantennero e anzi la politica sociale venne accresciuta, la spinta progressista dell’età roosveltiana si esaurì. In particolare dal 1949, si sviluppò una vera e propria caccia alle streghe contro i comunisti, il maccartismo che finì nel 1955. In Europa invece c’era aria di trasformazione e riforme; a parte Spagna e Portogallo, l’Europa occidentale era tutta democratica.

GB: 1945, Churchill fu battuto dal laburista Attlee, che promosse la nascita di un vero Welfare State (stato del benessere) di ispirazione svedese - Servizio sanitario nazionale e nazionalizzazioni di imprese e banche. Questo però comportò dei    sacrifici per la popolazione e di conseguenza venne favorito il ritorno dei conservatori al potere nel 1951.

Francia: il governo provvisorio gaullista lasciò il posto a successive coalizioni tra i partiti di massa, comunisti, Sfio e repubblicani popolari. Nel 1946 partì il piano Monnet, quadriennale progetto riformista e dirigistico, e fu stilata la nuova costituzione di stampo democratico-parlamentare, simile a quella prebellica. De Gaulle si oppose, avrebbe preferito un sistema presidenziale con esecutivo forte, e fondò un movimento per cambiare la costituzione Raggruppamento del popolo francese. La coalizione tra i partiti di massa si ruppe a causa dei contrasti fra i comunisti ed essi furono estromessi dal governo. Si susseguirono numerosi governi iniziava la Quarta Repubblica, con la sua instabilità cronica.

Germania: ripresa più rapida di tutte. Il Paese era uscito devastato dalla guerra: morte e distruzione ovunque, città ed infrastrutture rase al suolo, economia al collasso, 10 milioni di profughi ad Ovest. Solo nel 1949 la Germania aveva recuperato una teorica sovranità nazionale ma aveva contemporaneamente perso la sua unità ed era stata divisa in due stati, la Repubblica federale governata da Adenauer e la Repubblica democratica guidata dal partito unico Sed. Eccezionale capacità di recupero: ma nell’Est l’URSS prelevava molto e investiva poco, mentre ad Ovest gli USA garantirono l’accesso ai fondi Marshall e fecero  sì che nel ’51 il PIL fosse già al livello del 1938.

    1. La ripresa del Giappone. Il Giappone così come la Germania uscirono sconfitti dal conflitto della 2° uerra mondiale.. in Giappone per iniziativa degli occupanti americani, si affermò un modello di organizzazione politica e sociale di tipo liberale e occidentale. Il Giappone era sotto la tutela del generale Mac Arthur nel 1946 si vide imporre una costituzione redatta da funzionari americani, che trasformava l’autocrazia imperiale in una monarchia costituzionale (a queste condizioni Hirohito potè mantenere il trono) e introduceva un sistema parlamentare. Lo stesso anno fu avviata una riforma agraria, anche se gli americani non volevano indebolire troppo i ceti conservatori. In particolare con la guerra di Corea i grandi agglomerati industriali divennero fornitori per gli USA, non vennero smantellati e l’economia potè decollare, anche grazie alla stabilità politica e agli elevatissimi investimenti. Merito della classe imprenditoriale fu quello d puntare sui settori in crescita come: siderurgia, cantieristica, automobile e tecnologia. Già negli anni ’60 il Giappone era terza potenza economica mondiale dopo USA e URSS. Miracolo nipponico.
    2. La rivoluzione comunista in Cina e la guerra di Corea. Grande svolta nel 1949 con la vittoria comunista in Cina: una grande potenza tornata indipendente del tutto e portatrice di un modello comunista distinto da quello russo e destinato ad attrarre molti Stati ex coloniali. La precaria alleanza del 1937 tra nazionalisti (Chang Kai-shek) e comunisti (Mao Tse-tung) contro l'aggressione giapponese, scomparve quando il Giappone si trovò occupato nel Pacifico contro gli USA e Chang Kai-shek riprese la sua repressione contro i comunisti. Guidava un regime impopolare, corrotto e che preferiva fare guerra ad altri cinesi piuttosto che agli occupanti (giapponesi). Al contrario i comunisti di Mao avevano guadagnato il consenso delle masse contadine (alternativa maoista) con riforme agrarie nell’interno della Cina da loro controllato e facevano un’accanita guerriglia ai giapponesi. Finita la guerra, gli USA cercarono di promuovere un accordo tra Mao e il Kuomintang, ma Chang Kai-shek rifiutò ogni compromesso e decise di attaccare i comunisti, ma le sue forze erano  ormai limitate e demotivate  -  dopo tre  anni         di vicende  alterne,  Mao  entrò  a  Pechino  nel  febbraio  1949  e  nell’ottobre  fondò  la  Repubblica  popolare  cinese, riconosciuta dall'Urss e dalla GB ma non dagli USA che continuava a considerare legittimo il governo cinese di Kai-shek fuggito a Formosa. Ad un’ampia socializzazione seguì un accordo di amicizia e di mutua assistenza tra Cina e URSS - fronte comunista si ampliava. Primo campo aperto di scontro fu nel 1950 la Corea, che era stata divisa in due parti dagli accordi interalleati, divise dal 38° parallelo. In Corea del Nord c’era un regime comunista guidato da Kim Il Sung, mentre in Corea       del Sud un governo nazionalista appoggiato dagli americani. Entrambi rivendicavano l’intera penisola coreana e una serie di incidenti di frontiera portò  nel  giugno  1950  all’attacco  nordcoreano  (nordcoreani  armati  dai  sovietici)  al  Sud.  Gli americani, sotto la bandiera dell’ONU, agirono inviando delle truppe in Corea del Sud e riuscendo a penetrare nel Nord comunista  -  intervento cinese di MAO  a difesa dei comunisti ribaltò le sorti del conflitto, riuscendo a penetrare nella Corea  del Sud. Nel 1951 Truman aprì lr trattative con la Corea del Nord che, assieme  alla guerra,  durarono  fino  al  1953 e terminarono  con  il ritorno  alla  situazione precedente cioè con il confine al 38° parallelo. La minaccia comunista era sentita come mai prima.
    3. Dalla guerra fredda alla coesistenza pacifica. Nel giro di cinque mesi finì la presidenza Truman (1952) e morì Stalin (1953), il confronto tra blocco occidentale e sovietico assunse nuove forme. In URSS la “direzione collegiale” mantenne la linea dura, mentre in  USA arrivò  Eisenhower che  con  la  nuova  amministrazione repubblicana  aveva  intenzione  di sfidare  l'Urss - 1953-54, uno dei  periodi  di maggiore  tensione. Eppure  in  quel  periodo  si  venne  formando  la  reciproca accettazione e  le premesse per la coesistenza pacifica fra i 2 blocchi, con la presa di coscienza della forza dell’avversario e della      progressiva scomparsa del divario tecnologico (bomba H). 1955 con la fine del maccartismo negli USA e ascesa Kruscev in URSS si ebbero gesti di distensione. In marzo, i sovietici decisero di ritirare le proprie truppe di occupazione dall'Austria in cambio dell'impegno occidentale a garantire la neutralità del paese. Ciò venne sancito con il trattato di Vienna. Gli americani accettavano come dato di fatto la situazione in Est Europa, infatti non intervenirono quando i sovietici attaccarono l'Ungheria
    4. Il 1956: la destalinizzazione e la crisi ungherese. L’ascesa di Kuscev culminò nel 1957 quando questi raccolse in sé le cariche di primo ministro e di segretario del partito. Si fece promotore di alcune significative aperture sia in politica estera sia in politica interna infatti si riconciliò con gli jugoslavi, sciolse il Cominform, partecipò agli incontri di Vienna e Ginevra, mentre in politica interna rilanciò l’agricoltura con maggiore attenzione alle condizioni di vita dei cittadini e abolì le grandi purghe. Demolì con sistematica determinazione la figura di Stalin denunciando gli errori e i crimini commessi in Unione Sovietica, pur senza mettere in discussione il modello sovietico e la dottrina leniana; ciò si evince nel rapporto Kruscev, durante il XX congresso del Pcus, fece luce sulle atrocità compiute da Stalin negli anni del suo governo personale e lo denunciò. Effetto traumatizzante della destalinizzazione si ebbe soprattutto in Polonia e Ungheria, anche se all’interno dell’URSS le parole di Kuscev non mancarono  di scuotere molti animi. Polonia: con l’appoggio della Chiesa cattolica gli operai polacchi iniziarono rivendicazioni e manifestazioni, fino ad arrivare a proclamare scioperi. L’ottobre polacco, moto di protesta a livello nazionale che voleva democratizzazione, spinse Mosca a favorire un cambio di regime - Gomulka attuò una politica liberalizzatrice e di  conciliazione con la Chiesa, senza uscire dalla sfera comunista sovietica però. In Ungheria, invece, le proteste sfociarono in insurrezione che

fece ritirare le truppe sovietiche dal Paese e portarono al governo il comunista dell’ala “liberale”, Nagy, che il primo novembre annunciò l’uscita ungherese dal Patto di Varsavia. Il segretario del Partito Comunista, Kàdàr, invocò l'intervento sovietico. Nel giro di pochi mesi l'Armata Rossa occupò Budapest, Nagy venne fucilato e Kadar assunse la guida del paese.

    1. L’Europa occidentale e il Mercato comune. Se l’Europa dell’Est aveva “sovranità limitata”, quella occidentale  dipendeva in tutto e per tutto dagli States. GB: smobilitazione dell’Impero estremamente tranquilla. Nonostante il Welfare State fosse stato mantenuto, i governi conservatori non riuscirono a frenare un declino economico iniziato da mezzo secolo, che presto divenne stagnazione. La ripresa più spettacolare fu quella tedesca, grazie alla sua economia sociale di mercato. I fattori del miracolo tedesco furono: ampia disponibilità di manodopera grazie ai profughi, la mobilitazione sindacale e la stabilità politica. In coalizione con il Partito liberale, l’Unione cristiano-democratica restò al governo con Adenauer fino al 1963, mentre l’opposizione costituzionale era nelle mani del Partito socialdemocratico. Di fronte alla crisi europea e al fatto di essere tutte governate   da  sistemi  simili,   le  Nazioni   europee   si  iniziarono  a  concentrare  su  quanto  avevano  in  comune   -    spinta all’integrazione europea, che iniziò concretamente  nel  1951  con  la  nascita  della  Ceca  (Comunità  europea  del carbone  e dell'acciaio) che aveva il compito di coordinare  produzione  e prezzi in quelli che  erano  i settori-chiavi della    grande industria continentale. Trattato di Roma nel 1957 Francia, Italia, Germania federale, Belgio, Olanda e Lussemburgo,    che istituì la CEE (Comunità europea economica)- scopo creare un Mercato comune europeo (Mec) attraverso il graduale abbassamento delle tariffe doganali e la libera circolazione della forza-lavoro e dei capitali. Organi principali della CEE erano: Consiglio dei ministri, Corte di giustizia e il Parlamento europeo. Sul piano economico l’integrazione diede grande impulso      alle economie nazionali, mentre sul piano politico la spinta all'integrazione rallentò nel giro di pochi anni, frenata dal peso delle tradizioni e dagli egoismi nazionali.
    2. La Francia dalla Quarta Repubblica al regime gaullista. La Francia fu l’unica democrazia occidentale a subire una crisi istituzionale nel dopoguerra: dopo la rottura tra i tre partiti di massa nel 1947 ci furono dieci anni di instabilità. Difficoltà nel gestire una smobilitazione imperiale con l’opposizione della popolazione: nel 1958 arrivò la minaccia di un colpo di Stato da parte delle truppe di stanza in Algeria. De Gaulle venne richiamato e invitato a redigere una nuova costituzione, con la quale nacque la Quinta Repubblica. Rafforzò l’esecutivo, il Capo dello Stato aveva il potere di nominare il capo del governo, di sciogliere le Camere e di sottoporre a referendum le questioni importanti. Risolse con la forza l’affare algerino, e nonostante avesse deluso le aspettative della destra colonialista. De Gaulle si fece promotore di una politica estera che tendeva a svincolare la Francia dagli Stati Uniti, in modo che la Francia potesse diventare la guida di una futura Europa indipendente dai due blocchi. De Gaulle ritirò nel 1966 le truppe francesi dall'organizzazione militare della Nato, pur restando fedele all'alleanza atlantica; contestò la supremazia del dollaro nell'economia occidentale, proponendo il ritorno al sistema della convertibilità in  oro; mise il veto all'ingresso della GB nel Mec. Ma questa politica era velleitaria anche perché non sostenuta da una base economica, ma nonostante ciò suscitò adesioni sia a destra che a sinistra.

 

  1. L’Italia dopo il fascismo.

 

    1. Un paese sconfitto. Difficile dopoguerra; situazione economica disastrosa: industrie poco devastate, ma agricoltura e allevamento  in  ginocchio  -  problema  approvvigionamenti  alimentari.  Inflazione  alle  stelle.  Infrastrutture  e  case  in  gran parte distrutte + disoccupazione - problemi di ordine pubblico, inasprimento lotte sociali e problema dei partigiani riluttanti a ritirarsi. Nel Sud i contadini occupavano le terre e i latifondi, ma la minaccia più grave era senza dubbio costituita dal contrabbando e dalla borsa nera (ossia al commercio clandestino dei generi razionati), e in Sicilia da un ritorno del fenomeno mafioso, anche a causa dell’atteggiamento  americano  che  si servì di noti  esponenti  delle  malavita  italo-americana  per stabilire contatti con la popolazione. Nell’isola si sviluppò un movimento indipendentista composto soprattutto dalla vecchia classe dirigente prefascista condizionato dalla presenza mafiosa, ma i suoi tentativi furono sempre stroncati dai governi postliberazione - si trasformò in banditismo del dopoguerra. Il Paese era disgregato moralmente e la frattura Nord-Sud si faceva più profonda: essi avevano vissuto dal ’43 in due realtà diverse, con la continuità monarchica e gli alleati nel Mezzogiorno; l’occupazione tedesca, le lotte di liberazione e la guerra civile al Nord. La liberazione aveva poi lasciato una voglia di rinnovamento in quanti avevano combattuto per ottenerla - ma il vento del Nord (lotta partigiana) non soffiava in tutto il Paese, ancora sconvolto dal ventennio e comunque uscito sconfitto dalla guerra.
    2. Le forze in campo. I partiti in campo erano in pratica gli stessi del prefascismo, però cambiato era il contesto. Si assistè ad una crescita della partecipazione politica. Il Partito socialista, pareva destinato ad assumere un rulo da protagonista anche grazie alla popolarità del suo leader Pietro Nenni. Il gruppo dirigent però era diviso fra le spinte rivoluzionarie e il richiamo alla tradizione riformista. Il Partito comunista, invece, aveva guadagnato terreno grazie al contributo dato alla liberazione dai fascismo: era un “partito nuovo”, di massa e deciso a prendere parte alle istituzioni. L’unico in grado di competere con loro era la Democrazia Cristiana, che si richiamava al partito popolare di Sturzo e ne ereditò la base contadina e piccolo-borghese, con le sue fila rimpinguate anche dai membri di Azione cattolica durante il ventennio. Con l’esplicito appoggio della Chiesa, la Dc era perno dell’ala moderata, anche perché il Partito liberale vedeva ormai eroso il suo legame con la base sociale, mentre il Partito d’azione, per quanto moderno, non aveva una base di massa. I neofascisti si ricostituirono solo a fine ’46, ma le destre andarono a ingrossare ora i monarchici ora la Dc ora il movimento del qualunquismo. “ L’Uomo qualunque”, movimento che si prefiggeva di sostenere e rappresentare il cittadino medio, senza alcuna caratterizzazione ideologica, che raccolse parecchi consensi nel Sud ma che già nel 1947 iniziò a scomparire. Nel frattempo la Cgil ovvero la Confederazione generale italiana de lavoro (tre componenti, cattolica, comunista e socialista) fece delle conquiste sindacali: commissioni interne (che rappresentavano il sindacato all'interno delle aziende), scala mobile, disciplina licenziamenti, egualitarismo retributivo fra i lavoratori delle diverse categorie
    3. Dalla liberazione alla repubblica. A Bonomi successe il governo Parri,che era stato uno dei capi militari della Resistenza. Parri cercò di normalizzare un Paese ancora sconvolto dal regime e dalla guerra - epurazione. Inoltre affermò di voler alzare  le tasse per le grande imprese e favorire la piccola e media  - i moderati si opposero, e il governo cadde. La Dc fece salire     De Gasperi (cattolici forti ormai), che fece una svolta in senso moderato, bloccando le riforme economiche e l’epurazione  (troppo complessa). La sinistra restò delusa, ma ancora sperava nelle elezioni del 2 giugno 1946 dell’Assemblea costituente. Lo stesso giorno si sarebbe votato per il referendum istituzionale, per decidere se mantenere monarchia o instaurare la repubblica. Per la prima  volta,  avrebbero  votato  le  donne.  Nonostante  l’abdicazione  di  Vittorio  Emanuele  III  a  favore  del  figlio Umberto II, la repubblica si affermò di netto, mentre per la Costituente trionfava la Dc con il 35% dei voti, seguita dal 20% socialista con alle

calcagna il 19% dei comunisti. Sinistra rinforzata ma non abbastanza da essere maggioritaria; la nuova espressione dell’Italia moderata era la Dc. I partiti di massa stravinsero, e le vecchie dirigenze liberali erano ormai retaggio del passato ed erano stati sostituiti dalla Sc. Anche il voto fu spaccato in Italia: al Nord repubblica e sinistra, al Sud contrario.

 

    • La crisi dell’unità antifascista. L’Italia nei due anni successivi definì il suo ordinamento istituzionale con la Costituzione,  la riorganizzazione economica secondo schemi capitalistici e un equilibrio politico notevole; democristiani, comunisti e socialisti governavano insieme, riuscirono a scegliere De Nicola come Presidente della Repubblica. Secondo governo De Gasperi: i contrasti sociali e la guerra fredda iniziarono ad esasperare le differenze interne alla coalizione della Dc con le sinistre. Mentre la Dc tendeva sempre più ad assumere il ruolo di garante dell'ordine sociale e della collocazione del paese nel campo occidentale; i comunisti invece guidavano le lotte operaie e contadine (per il salario, per l'occupazione, per la terra) e accentuavano il loro allineamento all'Urss. A fare le spese di tale radicalizzazione fu però il Partito socialista in cui alla fine del 1946 si erano delineati in seno al Psiup 2 schieramenti contrapposti:
      • a capo Nenni, voleva che il Partito mantenesse i suoi caratteri classisti e rivoluzionari e puntava su una possibile alleanza fra l'Urss e le sinistre occidentali
      • a capo Saragt ostile verso il comunismo sovietico e la politica staliniana nell'Europa dell'Est

Nel 1947 a Roma vide la scissione di Palazzo Barberini, Giuseppe Saragat e i suoi che presero le distanze da Nenni e dalla sua alleanza con i comunisti. Venne fondato un nuovo partito Partito socialista dei lavoratori italiani che poi successivamente prese il nome di Partito socialdemocratico italiano. Crisi politica - maggior libertà d’azione alla Dc, che finì per escludere le sinistre    dal governo, ponendo alcuni membri democristiani nei ministeri (Einaudi e Sforza).

    • La Costituzione repubblicana. Nonostante la crisi però, la Costituente proseguì i lavori e li ultimò il 22 dicembre 1947. La Costituzione si ispirava alle democrazie ottocentesche: sistema parlamentare, governo responsabile di fronte alle 2 camere: camera dei deputati e il senato della repubblica (due camere elette a suffragio universale e titolari del legislativo), Corte superiore della magistratura, Corte costituzionale, referendum abrogativo, istituto della regione. Molte norme restarono inattuate per anni, come molti dei contenuti sociali (che erano solo risultato dell’incontro tra interessi Dc e interessi sinistre). L’impianto politico è stato criticato molto, perché favorisce l’agibilità e la visibilità delle forze politiche, anziché la stabilità e legittimazione autonoma al potere esecutivo. I partiti divennero arbitri della politica italiana, anche a causa della legge elettorale proporzionale
  • immobilismo, sistema italiano bloccato anche dalla guerra fredda. In realtà fu un compromesso equilibrato, tanto più in un periodo incerto e instabile come quello. Momento di estrema asprezza: accordi Stato-Chiesa, alla fine Togliatti accetta l’articolo 7 nonostante l'opposizione dei socialisti e degli altri partiti laici, in cui si stabiliva che i rapporti fra Stato e Chiesa erano regolati dal concordato stipulato nel 1929 fra Santa Sede e regime fascista
    • Le elezioni del ’48 e la sconfitta delle sinistre. I partiti iniziarono la corsa per conquistarsi i favori degli elettori; due schieramenti opposti: l’opposizione comunista e la Dc. Quando i socialisti si unirono con il Pci sotto l'isegnna del Fronte popolare, fu chiaro che l’alternativa era secca. De Gasperi poteva godere di due potentissimi alleati: la Chiesa cattolica da un lato, che fece grossolana ma efficace propaganda a favore della Dc, e gli Stati Uniti, che sostennero il partito democristiano e minacciarono una sospensione degli aiuti del piano Marshall in caso di vittoria delle sinestre. Le sinistre e i socialisti fecero appello ai lavoratori e alle classe disagiate, ma il legame con l’URSS, estremamente malvista, non giocò a loro favore, mentre la Dc aveva dalla sua le prospettive di sviluppo e benessere. 18 aprile 1948: la Dc stravinse con il 48,5% dei voti, bruciante sconfitta per le sinistre i cui sogni si infransero. Egemonia del partito cattolico si rafforzava intanto. A luglio uno studente di destra  ferì  con  un  colpo  di  pistola  Togliatti  -  proteste  comuniste  in  tutto  il  Paese,  che  in  molti  casi  si  trasformarono in insurrezioni violente che si esaurirono in pochi giorni, ma mostrarono a tutti quanto l’Italia fosse divise. Persino nei sindacati  si vide tale contrasto la decisione della maggioranza social-comunista della Cgil di proclamare uno sciopero generale per protesta contro l'attentato a Togliatti fornì alla componente cattolica l'occasione per staccarsi dal sindacato unitario e per dar   vita ad una nuova confederazione la Cisl (Confederazione italiana sindacati lavoratori), mentre quella socialdemocratica e repubblicana fondò la Uil (unione italiana del lavoro)
    • La ricostruzione economica. Gli elettori italiani avevano anche scelto una certa impostazione economica: già dalla fine della guerra le riforme mancarono e avvenne una sorta di “restaurazione liberista”, che i governi postbellici mantennero. Non volevano utilizzare i mezzi economici usati dopo la grande crisi, e tra l’altro non volevano assolutamente che lo Stato ingerisse troppo nell’economia, prerogativa questa da regime. La sinistra non seppe creare alternative credibili ma si limitarono ad un'azione di sostegnoai sindacati, di difesa dei salari e di tutela dell'occupazione mediante il blocco dei licenziamenti. Quando la sinistra fu esclusa dal governo, De Gasperi fece Einaudi ministro del Bilancio. La sua linea prevedeva la lotta all’inflazione, la stabilità monetaria e il risanamento del bilancio statale. Li ottenne con inasprimenti fiscali, svalutazione della lira e restrizione del credito, ma a costi sociali immensi - crebbe la disoccupazione in quanto venne abolito il blocco dei licenziamenti. Le     politiche keynesiane stentavano ad attecchire in Italia: i milioni di dollari arrivati da noi con il  piano Marshall furono mal      gestiti, e non furono usati per sviluppare la domanda interna ma per finanziare le importazioni di derrate alimentari e materie prime.
    • Il trattato di pace e le scelte internazionali. A Parigi nel 1947 l’Italia fu trattata esattamente come una potenza sconfitta: dovette pagare riparazioni ai paesi attaccati e ridurre il suo esercito. Perse le colonie, ma di questo non importò a nessuno. Mentre grande attenzione era data ai confini nazionali: ad ovest l’Italia non perse praticamente nulla e a nord riuscì a mantenere il Trentino Alto-Adige grazie alla maggiore debolezza austriaca, ma i problemi si presentarono a est, dove gli jugoslavi avevano occupato Trieste e gran parte del Friuli. Sistemazione provvisoria alla fine del 1946, ma si aprì così la questione di Trieste, che doveva essere un territorio libero divise in una zona A occupata dagli alleati e in una B dagli jugoslavi. Nel 1954 la città tornò all’Italia, ma la questione continuò a suscitare problemi. Il contrasto tra italiani e slavi si era inasprito nella guerra dopo le vessazioni del regime ai nostri vicini, che però si rifecero alla fine della guerra, vendicandosi degli italiani ( strage delle foibe, ad esempio). Ma l’Italia non poteva incentrare la sua politica estera sulla questione triestina; da paese sconfitto, doveva attuare una scelta  di campo  -  USA naturalmente: fu chiaro  con l’esclusione  delle  sinistre  e l’accettazione dei  fondi  Marshall.  Ma questo schieramento non significava un’alleanza militare, che eppure arrivò nel 1949 nonostante le titubanze di tutti, per     scelta di De Gasperi e Sforza, quando l’Italia aderì al Patto atlantico.
    • Gli anni del centrismo. 1948-53: egemonia della Dc. La Dc continuò a puntare sull'alleanza coi partiti minori laici e appoggiò la candidatura del liberale Einaudi a presidente della Repubblica. Era la formula del centrismo, consistente nell’avere la Dc in mezzo che escludeva dalla maggioranza la destra monarchica e neofascista e la sinistra social-comunista e portava avanti un timido riformismo sociale, per tenersi buone le masse, specie contadine - riforma agraria del 1950: espropriazione    e distribuzione delle terre, per tenere buona la popolazione e a lungo andare per rafforzare la piccola impresa agricola (da sempre

fattore di stabilità sociale), che tuttavia fu sempre piuttosto gracile e debole. Nonostante la riforma agraria iniziarono le grandi migrazioni verso le città. Altro intervento fondamentale fu l’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno, un istituto che avrebbe dovuto coordinare lo sforzo statale per lo sviluppo e il miglioramento del livello di vita nel Meridione. Risultati deludenti però, quando si capì che la modernizzazione non partiva e la società era statica. Altre, come la legge Fanfani (case popolari) e la riforma Vanoni (dichiarazione dei redditi) furono osteggiate dalla destra, mentre sempre più accanita era l’opposizione delle sinistre, che protestavano per le condizioni dei lavoratori che non erano mai migliorate. Nonostante la ripresa industriale la disoccupazione e i salari bassi persistevano  -  scioperi e manifestazioni -  politica repressiva (ministro degli Interni,    Scelba). I comunisti e i socialisti furono  persino  “schedati”. Appena  prima  delle  elezioni  del  1953  De  Gasperi  e  la  Dc riuscirono a far passare la legge elettorale che introduceva un sistema maggioritario. Legge fatta a pennello per la Dc (soprannominata “ legge truffa” dall’opposizione), ma la cui coalizione centrista fu sorprendentemente sconfitta e non potè accaparrarsi il premio di maggioranza. La Dc di De Gasperi subiva così la prima  sconfitta.

    • Alla ricerca di nuovi equilibri. Si iniziarono a cercare nuovi equilibri politici, e l’esigenza era quella di legarsi alle sinistre e di dare una spinta riformatrice al Paese e intergrarlo in Europa (Mercato unico nel 1957). I successivi governi democristiani comunque continuarono sulle orme degasperiane e mantennero la maggioranza quadripartita. Alcune novità: piano Vanoni (programmazione economica), nascita del ministero delle Partecipazioni Pubbliche (coordinare attività delle aziende di Stato), insediamento della Corte costituzionale, fondamentale per adattare la vecchia legislazione alla Costituzione e distruggere qualche ultimo ricordo del fascismo. Ma progressiva si iniziò a vedere un’emarginazione dei degasperiani e l’emergere della nuova generazione democristiana, quella di Moro, Rumor e Fanfani insomma. Quest’ultimo cercò di strutturare meglio il partito e di scioglierlo dal vincolo con Confindustria, legandolo maggioramente alle imprese di Stato, come l’Eni - pericoloso legame    tra partiti ed economia. La linea centrista non mutò nemmeno con Fanfani (segretario dal 1954), ma con l’elezione  presidenziale di Gronchi il partito sentì forte l’instabilità della coalizione e la necessità di una apertura a sinistra, che ovviamente non poteva che significare un dialogo con il Partito socialista, che nel 1956 con le denunce in URSS dello stalinismo ruppe con il Pci e attuò una svolta autonomista portata avanti dallo stesso Nenni.
  • Distensione e confronto.

 

    • Mito e realtà degli anni ’60. Si dibatte se gli anni ’60 siano davvero stati un decennio felice o se in realtà siano stati travagliati e duri come gli altri. Infatti se da un lato vi era lo sviluppo economico dall'altro vi erano i contrasti sociali e il mondo viveva in un equilibrio del terrore, causato dalla deterrenza nucleare. Ci furono molti scontri anche sanguinosi soprattutto in Medio Oriente e il Sud-Est asiatico
    • Kennedy e Kruscev: la crisi dei missili e la distensione. 1960: diventa presidente JFK, primo cattolico alla Casa Bianca. Molto amato, si rifece a Wilson e Roosvelt, aggiornandoli con il mito della “nuova frontiera”, ovvero una frontiera non più materiale ma spirituale, culturale e scientifica. Il riformismo kennediano in politica interna si risolse in un incremento della spesa pubblica e nel promuovere integrazione razziale nel Sud. In politica estera fu ambiguo: accanto a dichiarazioni di volontà di distensione, portava avanti una intransigente difesa degli interessi USA nel mondo. Primo incontro Kennedy-Kruscev fu a Vienna nel 1961 sul problema di Berlino Ovest (che gli americani consideravano parte della Germania federale, mentre i  sovietici avrebbero voluta trasformarla in “città libera”): ma fu un fallimento. USA mantennero il loro impegno nella difesa di Berlino Ovest, URSS eresse un muro per dividere i due settori: simbolo della divisione del mondo in due. Ma il teatro di  confronto tragico fu Cuba, dove Kennedy tentò di far crollare il regime castrista sia boicottandolo economicamente sia appoggiando una insurrezione di esuli che sbarcarono alla Baia dei porci nel 1961 - fallimento e scacco per Kennedy.    L’URSS rispose all’intrusione americana a Cuba offrendo a Castro aiuto economico e militare, ma fece anche installare delle basi di lancio per missili nucleari sull’isola. Quando nel 1962 le basi furono scoperte da aerei-spia americani, Kennedy ordinò un blocco navale attorno a Cuba per impedire alle navi sovietiche di raggiungere l'isola. Il mondo fu sull’orlo della guerra totale.   Alla fine Kruscev cedette smantellando le basi missilistiche, in cambio Cuba fu lasciata in pace - distensione. 1963: firma del trattato per la messa al bando degli esperimento nucleari nell’atmosfera (invece continuarono quelli sotterranei); poco dopo installazione della linea rossa dalla Casa Bianca al Cremlino per scongiurare una guerra per errore. Il 22 novembre 1963 Kennedy fu assassinato a Dallas (nel 1968 sarebbe toccato al fratello Robert, e a Martin Luther King), gli successe Lyndon Johnson, capace uomo politico che ampliò e attuò molti progetti di legislazione sociale (assistenza medica, sussidi ai poveri..) che già erano stati avviati da Kennedy. Però legò il suo nome all'impopolare e sfortunato impegno americano nella guerra del Vietman Vietnam. Kruscev aveva iniziato a parlare di mera competizione economica tra le due potenze, in discorsi pacifici;    sfidò l’Occidente e la “vittoria” sarebbe andata a quello capace di assicurare al popolo il massimo benessere e la giustizia sociale. Ma nell’ottobre 1964 fu estromesso a caduta dell'andamento non brillante (come promesso) dell'economia sovietica.
    • La Cina di Mao: il contrasto con l’URSS e la “rivoluzione culturale”. Si vedeva un crescente contrasto tra URSS e Cina, dovuto a molti motivi, ma principalmente a differenze ideologiche; se l'Urss voleva un mondo bipolare, Mao tendeva a mettere in dubbio lo status quo internazionale e ad appoggiare la causa dei movimenti rivoluzionari di tutto il mondo. La Cina reclamava un ruolo di maggior rilievo. Metre l'Urss voleva mantenere fermo il suo ruolo di Stato-guida e di unica superpotenza del campo socialista. Nel 1949 la situazione del la Cina era tragica, la nazionalizzazione delle industrie era completa e il settore industriale prosperava; meno bene andava l’agricoltura: la riforma agraria raccolse la miriade di piccole imprese agricole in cooperative controllate dalle autorità statali. Ma non andava ancora: troppa gente da sfamare - “grande balzo in avanti”,    1958: che prevedeva una razionalizzazione produttiva e sacrificio del popolo - le cooperative furono forzatamente riunite in comuni popolari, unità più  grandi  che  dovevano  puntare  ciascuna  all’autosufficienza  economica,  producendo  in  proprio quanto  era necessario. In un’atmosfera da piani quinquennali si consumò un assurdo fallimento: la produzione agricola crollò;  la situazione con l'Urss crollò, dopo le critiche sovietiche alla politica agricola cinese e il rifiuto dei russi di sostenere i piani nucleari della Cina (che comunque nel 1964 la Cina aveva fatto esplodere la su prima bomba l’atomica) - addirittura scontri lungo il fiume Ussuri, ai confini fra la Siberia e la Manciuria. All’interno il fallimento del balzo in avanti aprì la strada alle forze moderate, ma a Mao non stava bene - avviò la cosiddetta “rivoluzione culturale”, mobilitazione dei giovani contro i più  moderati che impedivano l’avvento del comunismo, imprigionamento di molti di quelli che in realtà erano semplicemente gli oppositori di Mao Tse-tung. Il primo ministro Chou  En-lai,  fu  garante  della  continuità  del  potere  istituzionale  in  tutti  quegli anni, nonché artefice della clamorosa apertura cinese verso gli USA -  Nixon a Pechino nel 1972, e conseguente ingresso  della Cina comunista nell’ONU. Fase di transizione della Cina aveva così  inizio.
    • La guerra del Vietnam. Gli accordi di Ginevra del 1954 avevano diviso il Vietnam in due repubbliche : quella del Nord

dove vi erano i comunisti di Ho Chi-minh; in quella del Sud vi era un regime semidittatoriale del cattolico Diem, sostenuto dagli americani che volevano prendere il posto dei francesi in Indocina, per impedirne un contagio comunista.

Nel sud si sviluppò il Vietcong, movimento di guerriglia, guidato dai comunisti e sostenuto dalo Stato nordvietnamita; il governo del Sud ricevette aiuti da Washington che inviò 30.000 “consiglieri militari”. Con Johnson l’intervento divenne apertamente bellico: per tutto il ’64 il contingente fu alimentato di uomini e risorse, nel ’65 iniziarono i bombardamenti nel Nord Vietnam. Ma né i vietcong né le truppe di Ho Chi-minh cedettero. Crisi dell’esercito USA, che tra l’altro vedeva in patria una mobilitazione pressoché generale contro la guerra, contro la quale muovevano milioni di persone in imponenti manifestazioni di protesta. Nel mondo si sviluppava il senso di solidarietà ai vietnamiti. I successi del Vietcong apparvero come la prova del fatto che la più potente macchina militare potesse essere tenuta in scacco da una guerra del popolo. Inizio ’68: i vietcong lanciarono contro le pricipali città del Sus l’offensiva del Tet (capodanno buddista), che non fece particolari danni ma mostrò quanto potente fosse la guerriglia. A marzo Johnson fermò i bombardamenti del Nord e annunciò che non si sarebbe ricandidato  -  Nixon  ridusse      la presenza militare americana in Vietnam e avviò negoziati ufficiali con il Vietnam del Nord e con il governo provvisorio,         ma contemporaneamente attaccò anche Laos e Cambogia per cercare di tagliare gli approvvigionamenti ai vietcong. Gennaio 1973: armistizio di Parigi, ritiro americano. La guerra proseguì per altri due anni dopo l’armistizio, finchè il 30 aprile 1975 i vietcong e le truppe del Nord entrarono a Saigon ovvero la capitale del Sud.  Poco  prima  in  Cambogia,  Lon  nol  (il  cui governo era filoamericano), era  stato  cacciato  dai  comunisti,  che  anche  in  Laos  prevalevano.  Indocina  comunista:  più grande sconfitta americana.

    • L’URSS e l’Europa orientale: la crisi cecoslovacca. A Kruscev successe Brežnev, che mantenne la politica del predecessore mutandone lo stile, e rendendolo meno aperto e ottimista. Accentuò la repressione di ogni dissenso e le riforme che promosse in economia non diedero grandi risultati; ripartì il riarmo a spese del popolo, anche se non cambiarono né i rapporti con la Cina né quelli con l’Occidente. Se tollerarono la dissidenza rumena e la successiva parziale autonomia della Romania, i sovietici furono intransigenti con la Cecoslovacchia. Il riformista Dubček fece un mini-golpe e prese il potere, avviando un esperimento di socialismo misto ad elementi di pluralismo economico e soprattutto politico  -  era la primavera     di Praga, una sembianza di socialismo dal volto umano. Il Paese restava comunista, ma l'Urss non potè tollerare!! Il 21      agosto 1968 Praga fu occupata e un  governo  filosovietico  stabilito.  La  resistenza  passiva  imbarazzò  Mosca  e  la  vide costretta a rimettere al loro posto gli artefici del nuovo corso, compreso Dubček. Ma i sovietici iniziarono a lavorare per la “normalizzazione” del Paese e la cacciata dei dissidenti. 1969: Husàk al potere. L’intervento a Praga fu ciriticato da tutti i Pc,  ma Mosca potè così stabilire il controllo ferreo sull’Europa  orientale  senza  rendere  conto  a  USA,  impegnati  in  Indocina. Disagio tra governati e governanti anche in Polonia, con la crisi del 1970 e l’insurrezione degli operai di Danzica e Stettino.
    • L’Europa occidentale negli anni del benessere. Gli anni '60 furono un periodo florido per le democrazie dell’Europa occidentale; progressi nel tenore di vita della popolazione, quindi cambiarono i costumi. In Italia, Germania e GB questa fase coincise con l'entrata al governo dei socialisti, in Francia invece tale contesto fu garantito dai gruppi di obbedienza gaullista, anche dopo le dimissioni di De Gaulle nel 1969, con le successive presidenze Pompidou e Giscard d’Estaing. Germania: nel 1966 si interruppe il monopolio del potere dei cristiano-democratici, che dovettero creare una grande coalizione con i socialdemocratici di Willy Brandt. I socialemocratici, passata la contestazione e la crisi economica, abbandonarono i cristiano- democratici e si allearono con i liberali, con cui governarono per il quindicennio successivo, anni di prosperità e crescita, ma anche di un diverso approccio in politica estera. Infatti Scheel tese alla normalizzazione dei rapporti fra la Germania federale e i paesi del blocco comunista, e ripropose una riunificazione delle 2 Germanie attraverso un graduale superamento dei blocchi. Questa politica orientale (Ostpolitik) si concretò nell'instaurazione di rapporti diplomatici coi paesi comunisti, nel riconoscimento, sancito da trattati con la Polonia e l'Urss, dei confini fissati dopo la 2° guerra mondiale e in un primo scambio ufficiale di contatti con i tedeschi dell'Est.

GB: una congiuntura economica difficile costrinse il governo laburista Wilson a imporre un periodo di austerità, proprio mentre in Ulster  (Irlanda  del  Nord)  riesplodeva  la  questione  irlandese  che  andava  anche  a  mischiarsi  con  la  protesta  sociale    - rivendicazioni e violenze, terrorismo e guerriglia urbana. Praticamente l'Irlanda del Nord era rimasta nel Regno Unito       dopo la concessione dell'indipendenza del resto dell'isola, ciò che gli irlandesi volevano ottenere era la riunificazione. La crisi economica e l’abbandono  delle  ultime  colonie  (es. Singapore) spinsero  Londra  ad  abbandonare la  sua  genetica  riluttanza nei confronti dell’adesione britannica alla Comunità Europea, che però avvenne nel 1972 insieme a Irlanda e Danimarca. Tuttavia ciò non fu sufficiente a risolvere i problemi economici del Regno Unito, né a rilancare il processo d integrazione    politica fra gli Stati del Vecchio  continente.

    • Il Medio Oriente e le guerre arabo-israeliane. Anche dopo la crisi di Suez del 1956 il Medio Oriente restò un’area complessa e di potenziale scontro tra potenze; in particolare Israele era un protetto degli USA, l’Egitto dell’URSS. 1967: Nasser chiese il ritiro dell’ONU dal Sinai, chiuse il golfo di Aqaba, vitale per gli approvvigionamenti israeliani, e strinse un patto militare con la Giordania. Israele lanciò un attacco preventivo contro Egitto, Giordania e Siria e in sei giorni vide capitolare l'intera aviazione egiziana e ciò fu disastroso per gli arabi. L'egitto perse Sinai, Giordania, Siria. La “guerra dei sei giorni” cambiò molte cose, tra cui: declino d Nassaer e della sua politica di oltranzismo panarabo; lo stesso atteggiamento dell’Olp di Yasser Arafat, che soprattutto dopo il settembre nero (re Hussein di Giordania portò avanti un’offensiva contro i feddayn e i palestinesi profughi per non essere nel mirino di Tel Aviv) rivolse la sua lotta terroristica al piano internazionale (attentato contro squadra israeliana alle Olimpiadi Monaco ’72). 1970: morte di Nasser, cui succede Sadat, che voleva riprendere il Sinai e attaccò Israele il 6 ottobre 1973 il giorno dello Yom Kippur, da cui la guerra prese il nome. Fu respinto, ma riuscì a lavare l’onta del 1israele grazie agli aiuti massicci americani riuscì a respingere gli attaccanti. La crisi assunse portata mondiale quando i Paesi arabo chiusero il canale di Suez e decretarono il blocco petrolifero contro i Paesi occidentali amici di Israele.

La crisi petrolifera. Dopo venticinque anni di crescita incontrastata le società capitalistiche iniziarono a mettere in dubbio i fondamenti stessi della loro esistenza; due eventi epocali provocarono questa crisi economica diversa da tutte le precedenti; anzitutto, la decisione di Nixon nel 1971 di bloccare la convertibilità del dollaro in oro, che aveva garantito la stabilità monetaria mondiale dal 1944, in secondo luogo la decisione dei paesi arabi di quadruplicare il prezzo del petrolio - tale shock     petrolifero colpì maggiormente quei paesi che dipendevano totalmente dalle importazioni. La produzione calò, ma a differenza del passato vi fu una concomitante crescita inflazionistica, che prese il nome di “stagflazione”, dovuta alla cause esterne e     alla rigidità dei salari - lavoratori tutelati. Il vero problema fu infatti la disoccupazione.

 

Capitolo 27 – Anni di crisi


inizio degli anni '70 due avvenimenti dalle conseguenze traumatiche 1971: Stati Uniti decisero di sospendere la convertibilità del dollaro in oro.

1973: decisione presa dai paesi produttori di petrolio, in seguito alla guerra arabo-israeliana, di quadruplicare il prezzo della materia prima.

=> Generale tensione inflazionistica (stagflazione) dovuto in parte all'origine «esterna» dell'inflazione, in parte alla maggiore rigidità dei salari. Crescita della disoccupazione. Crisi del «Welfare State». La crescita continua della spesa pubblica costrinse i governi a portare a livelli sempre più alti la pressione fiscale. Avvento al potere dei conservatori in Gran Bretagna, con Margaret Thatcher (1979) e l'elezione alla presidenza Usa del repubblicano Ronald Regan (1980)

La crisi delle ideologie

Cultura di sinistra era stata la cultura egemone: si basava sul presupposto di un'illimitata capacità espansiva del sistema economico. Queste e altre certezze cominciarono a venir meno.

incapacità dei regimi ispirati al modello leninista e collettivista di offrire soluzioni accettabili ai problemi della società contemporanea => fine del mito Urss.

Drammatica esplosione di terrorismo politico, attuato da piccoli gruppi clandestini fortemente militarizzati (le Brigate rosse in Italia; la Raf, ossia federazione dell'Armata rossa, attiva in Germania; il gruppo di Action directe in Francia) ispirate a una versione estremizzata del marxismo-leninismo. movimenti di liberazione del Terzo Mondo e quelli nati dalle lotte delle minoranze etniche nella stessa Europa (Ira ed Eta). terrorismo come fenomeno internazionale: terrorismo di matrice fondamentalista islamica (1981: papa Giovanni Paolo II fu gravemente ferito in Piazza San Pietro da un terrorista turco).

Gli Stati Uniti e la «rivoluzione reaganiana»

Stati Uniti gli anni '70: crisi del dollaro, la guerra del Vietnam, il caso Watergate, che nel 1974 costrinse alle dimissioni il presidente Nixon.

1976: Jimmy Carter cercò di promuovere una politica di tipo «wilsoniano», fondata sul difesa dei diritti umani => la linea di opposizione a quella sovietica e la rivoluzione iraniana contribuirono alla sconfitta di Carter

1980: Ronald Regan, anziano esponente dell'ala destra del Partito repubblicano. in politica estera adottò una linea più dura nei confronti dell'Urss, incarnando l'orgoglio nazionalista americano.

Fra l'83 e l'86 l'economia riprese a marciare,

Strategia di Regan: mantenimento di un alto livello di armamenti (lo scudo elettronico spaziale).

Sostegno in armi e materiali ai guerriglieri afgani in lotta contro l'invasione sovietica, sfida ai regimi intagralisti del Medio Oriente, l'Iran e la Libia.

Regan concluse il suo secondo mandato con una popolarità pressochè intatta, grazie anche al successo dei suoi incontri con il leader sovietico Gorbacev e all'avvio di una nuova fase di distensione.

1988: George Bush, già vicepresidente con Regan: significativo ridimensionamento dello scudo spaziale. 1989: intervento militare a Panama

1990-91: intervento massiccio contro l'Iraq di Saddam Hussein.

1991-92: dissoluzione della potenza rivale e definitiva vittoria degli Stati Uniti.

L'Urss: da Breznev a Gorbacev (1985-90 segreteria del Pcus e poi presidente dell'Urss nel '90)

Anni '70: furono gli anni del potere incontrastato di Breznev. Successo effimero fu quello ottenuto dall'Urss nel vicino Afghanistan 1975: Conferenza di Helsinki sulla sicurezza e la cooperazione in Europa

Fine degli anni '70 i membri europei della Nato decisero l'installazione di nuovi missili a media gittata - gli euromissili - per rispondere allo spiegamento di armi analoghe da parte dell'Urss

Fine 1979: i sovietici inviarono in Afghanistan un forte contingente di truppe che si dovette scontrare per quasi dieci anni, contro l'accanita resistenza dei gruppi guerriglieri islamici (sostenuti dal Pakistan, dall'Iran e anche dagli Stati Uniti).

1982: morte di Breznev

1985: Gorbacev, svolta radicale: la «perestroika» (riforma) => serie di interventi nel segno della liberalizzazione, volti a introdurre nel sistema socialista elementi di economia di mercato.

Ginevra ('85)e a Reykjavik ('86): Incontri fra Reagan e Gorbacev, inaugurarono un clima più disteso nei rapporti Usa-Urss. 1987: terzo vertice a Washington che portò a uno storico accordo sulla riduzione degli armamenti missilistici in Europa.

Emergere di movimenti autonomisti e indipendentisti fra le popolazioni non russe: le tre repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania) e le repubbliche caucasiche (Armenia , Georgia, Azerbaigian).

1988: l'Urss s'impegnò a ritirare le sue truppe dall'Afghanistan. 1989: nuovi incontri al vertice fra Gorbacev e Bush

1990: la Repubblica russa rivendicò la propria autonomia dal potere federale ed elesse Boris Eltsin Nuovo ordine internazionale:

1990: Parigi. Conferenza per la sicurezza e la cooperazione in Europa Gran Bretagna

1979: vittoria dei conservatori di Margaret Thatcher (che governò ininterrottamente per 11 anni). 1990: La presidenza passa a Hohn Major, conservatore.

Germania

1983: i governi Brandt e Smidth, ascesa al governo del cristiano-democratico Helmuth Kohl. Francia

1981-93: presidenza il socialista Francois Mitterrand

Governi a guida socialista si affermarono, all'inizio degli anni '80 , nelle nuove democrazie dell'europa meridionale (Grecia, Spagna e Portogallo). ulteriore allargamento della Cee, cui aderirono tutti e tre i paesi: la Grecia nell'81, la Spagna e il Portogallo nell'86.

America Latina

quelli compresi fra la crisi petrolifera (1973) e la caduta del muro di Berlino (1989) furono anni di profonde trasformazioni. Il Cile, da Allende a Pinochet.

L'Argentina, fra peronismo e dittature militari. 1983: vittoria del radicale Raul Alfonsin. 1984-85: si ebbero libere consultazioni in Perù, Uruguay, Bolivia.

1988: in Cile, il regime di Pinochet fu sconfitto => vittoria dei democristiani.


1989: fu rovesciata anche la dittatura del generale Stroessner in Paraguay.

1992: in Perù. Colpo di Stato, sospensione della Costituzione ed esautorazione del Parlamento. Colombia: strapotenza dei grandi trafficanti di droga

1979: in Nicaragua il movimento sandinista rovesciò la dittatura di Somoza. 1989-90: elezioni che portarono al potere il fronte antisandinista.

La sconfitta dei sandinisti accentuava l'isolamento di Cuba, dove il regime di Fidel Castro era messo in seria difficoltà dal collasso dell'Urss.

Asia comunista

Negli anni successivi alla vittoria dei comunisti in Vietnam (1975) e alla morte di Mao in Cina (1976), l'Asia comunista attraversò una fase di profonde trasformazioni e di drammatici conflitti.

tragiche vicende in Cambogia, dove i khmer rossi misero in atto, fra il '76 e il '78, uno dei più radicali e sanguinari esperimenti di rivoluzione sociale mai tentati nella storia. i comunisti cambogiani consumarono uno spaventoso massacro, non solo dal punto di vista umano

1978: soldati vietnamiti, invadevano il paese e vi installavano un governo «amico» rovesciando quello dei khmer rossi. 1979: i cinesi effettuarono una spedizione punitiva nel Vietnam del Nord.

Solo nell'88, grazie alla mediazione dell'Onu, le forze vietnamite cominciarono a ritirarsi dalla Cambogia, raggiungendo solo nel '91 un precrio accordo di pacificazione.

La Cina dopo Mao

Fine anni '70: ascesa di Deng Xiaoping: furono introdotti nel sistema elementi di economia di mercato. La contestazione studentesca: Pechino, primavera dell'89, serie di imponenti e pacifiche manifestazioni di piazza per chiedere più libertà e più democrazia. intervento dell'esercito nella piazza Tienannen (giugno '89) che si risolse in un vero e proprio massacro, suscitò reazioni sdegnate in tutto il mondo democratico.

il paese più popoloso del mondo divenne teatro di un inedito esperimento di liberalizzazione economica all'interno di un regime che si proclamava ancora comunista.

Il «miracolo» giapponese

Uscito dalla guerra in condizioni disastrose, il Giappone era divetato, già negli anni '60, la terza potenza economica del mondo, dopo Usa e Urss.

 

  • L’Italia dal miracolo economico alla crisi della prima repubblica.

 

    • Il miracolo economico. Tra ’58 e ’63 si ebbe il “miracolo economico”, durante il quale l’Italia crebbe a ritmi virtuosissimi. Il settore  manifatturiero  nel ’61  triplicò  il suo  livello  di produzione  rispetto  a  quello  prebellico  -  aumento  export  prodotti italiani (elettrodomestici persino). Solidità lira,  stabilità  prezzi,  diffusione  prodotti  italiani,  successo  Olimpiadi  di  Roma  del 1960 - ottimismo italiano. Molti fattori hanno favorito il miracolo: la congiuntura internazionale favorevole, la politica di libero scambio, adesione alla CEE, le poche tasse, ma soprattutto  bassi salari e  alti profitti.  Manodopera  a basso  costo  perché c’era molta disoccupazione e migrazioni dal Sud al Nord. In questo periodo, di fronte ad un agricoltura ferma a livelli vecchi e che perdeva addetti, l’Italia divenne un Paese industriale. Agricoltura ristagnava, mentre crescevano i consumi in conseguenza del calo della disoccupazione e dell’aumento della capacità contrattuale dei lavoratori - salari più alti - battuta d’arresto del miracolo tra ’63 e ’64. Sarebbe ripreso nel 1966.
    • Le trasformazioni sociali. Notevoli mutamenti, Italia si lasciò alle spalle le strutture e i valori della società contadina ed entrò nella civiltà dei consumi. Fenomeno più importante: esodo da Sud a Nord e dalle campagne alle città: Torino ad esempio crebbe addirittura del 40% - spugne di questa manodopera in arrivo erano i settori commerciale ed edilizio. Pesanti costi  umani dell’urbanizzazione: disordine urbano e speculazione - impiantare i meridionali nelle  città  del  Nord  non  era procedimento indolore. Tuttavia in questi  stessi  anni  le  differenze  nei  comportamenti  sociali  cominciarono  ad  attenuarsi: ebbe inizio un processo di integrazione legato alle comuni esperienze lavorative, favorito anche dalla scolarizzazione dalla diffusione di alcuni strumenti  di  massa:  diffusione  della  televisione  principalmente,   ma   anche   dell’automobile.   1955: avvento   televisione, programmazione Rai, ma boom arrivò con il miracolo - attraverso essa passavano la lingua comune  (che iniziò a diffondersi) e modelli culturali di massa. Automobile: utilitarie 500 e 600 della Fiat. Diffusione favorita da una  politica fiscale che favoriva le basse cilindrate e dal progetto di costruzione di una grande rete autostradale.
    • Il centro-sinistra. Necessaria un’apertura a sinistra da parte del governo; non era facile, osteggiata da molti della Dc, dalle destra economica, ma anche dal Vaticano e dagli USA. La svolta ci fu dopo una serie di avvenimenti drammatici: 1960, il democristiano Tambroni, non riuscendo a trovare l'accordo con i socialdemocratici e repubblicani, si legò ai voti del Movimento sociale,  l’unico  con  cui  al  momento  riusciva  ad  accordarsi,  e  instaurò  un  governo  “ monocolore”  -  proteste  dei  laici  e della sinistra Dc. Quando Tambroni permise all’Msi di svolgere il suo congresso nazionale a Genova, città antifascista di tradizione, scoppiarono disordini, in tutta Italia, dove l’opinione pubblica  di  sinistra  insorse  contro  il  governo  che  voleva allearsi  con l’estrema destra - Tambroni fu sconfessato e costretto a dimettersi. Fu Fanfani, più tardi lo stesso anno, ad     aprire la stagione del “centro-sinistra”. Alleanza tra Dc, Pri e Psdi nel 1962, grazie soprattutto all’operato di Aldo Moro, finchè un secondo governo Fanfani  non  ottenne  l’appoggio  socialista   ai  singoli  progetti  legislativi.   Il  programma   del   centro-sinistra prevedeva la realizzazione della scuola media unica, nazionalizzazione dell'industria elettrica. Enel nacque nel 1962. Era un esperimento di programmazione economica per ridurre disuguaglianze. Fu creata tra l’altro la scuola media   unica, mentre l’attuazione delle regioni fu rinviata. La programmazione non riuscì mai sul serio, troppe divergenze tra socialisti e repubblicani, in più mancava una base politica e sindacale sufficientemente ampia. Alle elezioni del 1963 i democristiani e i socialisti persero voti a favore di liberali e comunisti - governo “organico”di centro-sinistra,  cioè  con  ministri  socialisti  accanto a quelli democristiani, socialdemocratici e repubblicania, nacque sotto la presidenza di Moro nel dicembre 1963. il processo riformatore fu bloccato a causa di un rallentamento economico + forze ostili al centro-sinistra (alte gerarchie militari e presidente della Repubblica Segni). Ma il contrasto all’innovazione era interno alla stessa Dc, in realtà. Mai scelte radicali,  anche  nell’operato tendenzialmente negoziale di Moro. 1964: scissione socialista e nascita del Psiup (Partito  socialista di    unità proletaria); nel Psi, comunque, restavano due linee diverse: una faceva capo a Lombardi (voleva riforme di “struttura”), l’altra a Nenni (voleva unirsi al Psdi, unione che sarebbe durata appena un paio di anni). 1964: morte di Togliatti che lsciò un testamento politico memoriale di Yalta: indipendenza da Mosca e proseguimento della originale “via italiana al socialismo”; nonostante ampi consensi, il Pci era isolato

politicamente, anche quando contribuì all’elezione a presidente della Repubblica di Saragat. Centro-sinistra sarebbe durato per un bel po’.

    • Il ’68 e l’autunno caldo. Fine anni ’60: radicalizzazione dello scontro sociale, iniziato con la contestazione studentesca e l’occupazione di alcune università. Accanto agli elementi classici (es anti-imperialismo, protesta contro la guerra in Vietnam, avversione alla civiltà dei consumi), la contestazione studentesca italiana ebbe una forte componente marxista e rivoluzionaria, che quindi sempre di più era ostile alla società borghese e sempre più si collegava per combattere le sue battaglie alla classe operaia. Cambiarono i comportamenti, che si ripercossero sul ruolo della famiglia e sui rapporti tra sessi. Tra ’68 e ’70 nacquero numerosi movimenti extraparlamentari di ispirazione operista e maoista in alcuni casi (es. Potere operaio, Lotta continua e Unione dei marxisti-leninisti). 1969: lotte dei lavoratori in vista dei rinnovi contrattuali, culminate nell’ autunno caldo; protagonista fu  l’operaio  massa  (immigrato,  poco  qualificato,  a disagio  nell’inserirsi)  -  Cgil,  Cisl  e  Uil  riuscirono a  pilotare le  lotte  e ad ottenere ingenti aumenti salariali (18%). Si avvicinarono una all’altra, dando il via ad una stagione di nuovo peso dei  sindacati nella politica italiana: trattative dirette con il governo su molti temi anche non del lavoro, e invasione del campo d’azione dei partiti.  Il  nuovo  peso  delle  organizzazioni  sindacali  fu  favorito,  e  in  qualche  modo  sancito  dall'approvazione da parte del Parlamento, nella primavera del '70, dello Statuto dei lavoratori, una serie di norme che garantivano le libertà sindacali e diritti dei lavoratori all'interno delle aziende.  La classe dirigente fu incerta nel rispondere ai sommovimenti del  ’68-’69, ma furono approvato ugualmente leggi molto importanti: liberalizzazione degli accessi alle facoltà universitarie, l’istituzione delle regioni e successivamente del divorzio.
    • La crisi del centro-sinistra. Crisi del paese nei primi anni ’70, instabilità politica e terrorismo. 12 dicembre 1969: strage di piazza Fontana - si seguiva una “pista anarchica”, ma la sinistra vedeva una matrice estremista di destra nell’attentato. Si  parlò di “strategia della tensione” portata avanti dalla destra per incrinare le basi dello Stato democratico. Estate ’70: Reggio Calabria esasperata per non essere diventata capoluogo insorse, in pratica guidata dall’Msi. Contrasti nella maggioranza: la Dc si e Psdi tendevano a farsi interpreti di un opinione pubblica moderata (maggioranza silenziosa) spaventata dalle agitazioni operaie  e voleva  spostarsi  a  destra;  il  Psi  mirava  al  progressivo  coinvolgimento  del  Pci  nelle  responsabilità  del governo.  Elezioni anticipate, 1972: né governo centrista di Giulio Andreotti (’72-’73), né quelli di centro-sinistra di Rumor (’73-’74) riuscirono a fare scelte  politiche adeguate  e a superare la  i problemi economici (ristagno produttivo dovuto anche   alle continue conflittualità sindacali, crescita della spesa pubblica) , che si tramutò in catastrofe nel 1973 con la crisi petrolifera. Infatti l'aumento del prezzo del petrolio causò un calo della produzione industriale e l'avvio di un processo inflazionistico. In più, scandali politico-finanziari, di corruzione  -  frattura tra società politica e società civile.  Nel 1974 la nuova legge  sul divorzio     fu sottoposta a  referendum abrogativo voluto dai cattolici. Vittoria per i divorzisti. Mutamenti della società, donna come uomo   - equiparazione dei coniugi nel diritto di famiglia (1975), abbassamento  della  maggiore  età.  1978:  dopo  aspro  dibattito, aborto. Forze del cambiamento parvero in crescita - il Pci di Enrico Berlinguer volle un compromesso storico, alleanza  duratura con socialisti e cattolici per allargare base sociale e facilitare il riformismo. Quindi stabilì contatti con i comunisti spagnoli  e  francesi  -  eurocomunismo, diverso da quello sovietico. Il carattere rassicurante del Pci favorì i successi elettorali  a livello regionale e locale, molte giunte comuniste. Però lo spostamento a sinistra dell'elettorato accentuò i dissensi tra Dc e  Psi dissensi tra Dc e Psi che portarono alla fine dell'esperienza centro-sinistra. Ritiro socialista portò a elezioni anticipate nel 1976: crescita del Pci fino al 34,4%, rimonta Dc e sconfitta Psi - ascesa della corrente autonomista alla cui segreteria via era Bettino Craxi.
    • Il terrorismo e la solidarietà nazionale. L' Unica soluzione ad una nuova formula del governo era il coinvolgimento Pci nella maggioranza. Cos' si giunse a un governo monocolore democristiano guidato da Andreotti. Era la risposta governativa alla crisi economica e all’emergenza terroristica, tanto di destra quanto di sinistra. Terrorismo nero (di destra): attentati dinamitardi indiscriminati, per creare il panico e favorire una svolta autoritaria  -  piazza della Loggia a Brescia nel 1974 e attentato         alla stazione di Bologna nel 1980. Il potere politico fu incapace di indirizzare correttamente le indagini e scoprire come     fermare il terrorismo  nero.  Stato  debole,  terrore  di  un  colpo  di  Stato,  terrorismo  di  destra  e  corruzione  politica  - terrorismo rosso, di sinistra: Lotta armata e clandestinità erano considerate eccezionali scelte di vita - mobilitazione operaia contro il capitalismo. Dopo qualche attentato incendiario, le Brigate rosse iniziarono con i rapimenti e gli assassinii programmati. Sopraggiunse anche la crisi economica  nel  1975,  con  inflazione  altissima  e  la  piaga  della  disoccupazione  giovanile  - ondata di protesta, anche armata, nel 1977, da parte degli studenti. Anche perché con lo sviluppo della scolarizzazione accrescevano anche le aspirazioni dei giovani, i quali faticavano però a trovare sbocchi adeguati l titolo di studio. Nessun esito - impennata del terrorismo rosso. Centinaia di attentati tra 1978 e 1980. 1978: più ambizioso progetto delle Brigate rosse       - sequestro di Aldo Moro, presidente della Dc. 55 giorni di prigionia, quindi l’assassinio. Cadavere ritrovato in una via del  centro romano. Fu l’apogeo ma insieme l’inizio del declino del terrorismo rosso, che già nel 1980 incassò le prime sconfitte. Il governo di solidarietà nazionale, creato dopo la morte di Moro, iniziò la politica dell’austerità per migliorare le condizioni economiche del Paese: qualche miglioramento ci fu, ma mancarono le riforme. L’equo canone (per regolare e calmierare gli affitti) e la riforma sanitaria che sanciva  la gratuità delle cure per tutti e riordinava la medicina pubblica, affidandone la    gestione ad appositi organismo, le Usl, ma si rivelarono fonte di inefficienza e di sprechi, furono dei fallimenti. La solidarietà nazionale fu una amara delusione, anche con l’ingresso dei comunisti al governo non servì a molto. Continuò ad esserci   cattiva gestione e corruzione che arrivarono a toccare persino il Quirinale  costringendo  alle  dimissioni  Leone  nel  giugno  1978 che era  stato  accusato  di  connivenze  con  gruppi  affaristici. Elezione  di  Sandro  Pertini,  socialista  moralmente indiscusso  che  ottenne  subito  molta  popolarità.  Psi  insofferenti  dei  vincoli imposti dalla grande coalizione che rendeva sempre più difficile la collaborazione all'interno della maggioranza e e ricreava le condizioni per una ripresa dell'alleanza fra i partiti del centro e del Psi (interrotta nel '75 per volontà degli stessi socialisti), mentre con l’uscita del Pci dalla coalizione la solidarietà nazionale finì miseramente.
    • Politica, economia e società negli anni ’80. I risultati delle elezioni anticipate del 1983: il Pci perse terreno, il Psi raccolse risultati deludenti (non sarebbe stato il perno della politica italiana) e la Dc subì una netta sconfitta. Unica strada praticabile? Coalizione di centro-sinistra -  pentapartito (Dc, Psi, Pri, Psdi, Partito liberale:  governo pentapartitica) , ma la novità fu che      la guida  del  governo  andò  nell’81-’82  al  segretario  repubblicano  Giovanni  Spadolini,  dall’83  al  socialista  Bettino  Craxi. La presidenza di Craxi si caratterizzò per il tentativo di potenziare il ruolo esecutivo e affermare una più incisiva presenza dell'Italia nella politica internazionale. Inoltre Craxi firmò nel 1984 un nuovo concordato con la Chiesa. Ciriaco De Mita cercò di rinnovare internamente la Dc, ridandole credibilità. In generale, tutti i partiti maggiori erano in crisi, anche il Pci che dopo il sorpasso della Dc alle elezioni europee del 1984 tornò sotto il 30% l’anno successivo. I sindacati furono sconfitti nella     vertenza contro la Fiat sul problema della riduzione della manodopera. La Fiat riuscì a portare avanti la sua razionalizzazione produttiva.  Da questo momento ruolo politico dei sindacati ridimensionato in negativo. Craxi tagliò alcuni punti della scala mobile, nell’ambito della sua

lotta all’inflazione -  scontri sul costo del lavoro. Problema della spesa pubblica si inserì nel generale clima di sfiducia               e abbandono del Welfare State, e la denuncia dell’assistenzialismo statale. A partire dal 1984 l’economia italiana diede segni    di ripresa anche grazie al rinnovamento tecnologico di alcuni settori industriali, che comunque ebbe ripercussioni sulla  collettività (disoccupazione – cassa integrazione guadagni). Il sistema economico italiano era estremamente vitale, grazie soprattutto della crescita  dell’economia  sommersa  ossia  quella  miriade  di  piccole  imprese  con  bassi  costi  e  alta adattabilità e produttività. Terziario in espansione, clima generale di ottimismo e risveglio, subito rallentato da nuovi scandali politici, come quello della Loggia P2 (branca segreta della massoneria che puntava ad una ristrutturazione autoritaria dello   Stato e con molti legami con politici di quegli anni). La malavita organizzata prosperava, e la mafia arrivò persino a perpetrare attentati terroristici inizialmente attribuiti  alla  destra  estrema  (treno  Firenze-Bologna,  1984).  Mafia  e  camorra  trovarono  la loro principale fonte di lucro nel controllo del mercato della droga. La lotta contro il terrorismo rosso invece fece notevoli passi avanti, quando i cosiddetti pentiti decisero di denunciare i compagni e collaborare con lo Stato  (in seguito ai sconti di pena)      -  dal 1981 in avanti gli attentati cominciarono a diminuire e i gruppi clandestini cessarono di   esistere.

    • Le difficoltà del sistema politico. Le disfunzioni del sistema italiano (lentezza delle procedure parlamentari, l'instabilità di una maggioranza troppo composita e logorata da continue polemiche interne, la mancanza di u alternative alla coalizione di governo) richiedevano una riforma istituzionale. Luglio 1985: Francesco Cossiga presidente della Reppublica. Difficoltà del pentapartito (in realtà contrasti Psi-Dc) portarono al crollo del lungo governo Craxi e alle elezioni anticipate del 1987 - Psi e   Dc crebbero, Pci scese, ma la cosa importante è che apparvero nuovi gruppi, i Verdi e Leghe regionali (antimeridionalisti xenofobi). Si riuscì a costituire una maggioranza a fatica - governi Goria e De Mita, non fecero assolutamente nulla degno      di noto, non risanarono le finanze e non riformarono le istituzioni - nuovo segretario Dc, Forlani, e non più De Mita, che nel maggio 1989 fu anche  costretto  a  lasciare  il  governo.  Crisi  risolta  in  luglio  con  la  ricostituzione  del  pentapartito  e  un governo Andreotti, che tuttavia dovette affrontare una crisi di maggioranza, che vide l’uscita dei repubblicani dalla coalizione (1991). I limiti strutturali del sistema politico italiano iniziarono a venire a galla,  ma  furono  elementi  esterni  al  sistema  a causare  la  crisi  della  prima repubblica.

 

Capitolo 30 – La caduta dei comunismi

Un sistema in crisi: Sconfitta dell'Urss tanto più evidente negli anni della stagnazione brezneviana; regimi spietatamente autoritari, o addirittura responsabili di genocidio, come quello di Pol Pot in Cambogia; il modello cubano aveva perso gran parte del suo fascino; fatti di piazza Tienanmen.

Gorbacev e il collasso dell'impero sovietico: Nel momento in cui il riformismo gorbaceviano aprì le prime brecce nel sistema, cercando di introdurvi dosi controllate di pluralismo e rinunciando all'uso della forza nei confronti dei satelliti, l'intera costruzione crollò in tempi rapidissimi.

I mutamenti in atto nell'Urss ebbero immediate ripercussioni nei paesi satelliti.

1980-1981: in Polonia era nato un sindacato indipendente a forte base operaia, e di dichiarata ispirazione cattolica, chiamato Solidarnosc («solidarietà»).

1981: Colpo di stato in cui Partito operaio polacco (l'equivalente del Partito comunista) assunse pieni poteri e mettendo fuori legge Solidarnosc.

La Chiesa e il sindacato continuarono tuttavia a operare in semiclandestinità e dopo la svolta gorbaceviana il dialogo si intensificò, fino al'apertura, nel 1989 di un tavolo ufficiale di negoziato.

1989: si svolsero libere elezioni, prime in un paese comunista, e videro la schiacciante vittoria di Solidarnosc, aprendo la strada alla nascita di un governo di coalizione.

Gli avvenimenti polacchi diedero avvio a una sorta di reazione a catena che, nel giro di pochi mesi, fra il1989 e il 1990 avrebbe messo in crisi l'intero sistema delle «democrazie popolari».

1989: anche in Ungheria si tennero libere elezioni. segnarono l'affermazione di un partito di centro-destra, e la quasi scomparsa degli ex comunisti.

Importanti decisioni: rimozione dei controlli polizieschi e delle barriere di filo spinato al confine con l'Austria.

9 novembre 1989: la caduta del muro di Berlino, simbolo della guerra fredda => rappresentò un evento epocale e assurse a simbolo della fine delle divisioni che avevano spaccato in due l'Europa e il mondo all'indomani del secondo conflitto mondiale. In Cecoslovacchia: il Parlamento, presieduto da Dubcek, elesse alla presidenza della Repubblica lo scrittore Vaclav Havel, già perseguitato dal regime comunista.

In Romania: fine della dittatura di Ceausescu, catturato e condannato a morte assieme alla moglie Elena. In Bulgaria: fu avviato un graduale processo di liberalizzazione.

1990: In Bulgaria e in Albania i comunisti mantennero il potere temporaneamente, ma furono sconfitti alle successive consultazioni politiche.

In Germania dell'Est vinsero i cristiano-democratici. Il governo Kohl riuscì a preparare con grande efficacia e in pochi mesi l'assorbimento della Germania orientale nelle strutture istituzionali ed economiche della Repubblica federale tedesca e a far acettare all'Est la nuova realtà di una Germania unita.

Maggio 1990: i due governi tedeschi firmarono un trattato per l'unificazione economica e monetaria.

  • ottobre 1990: Gorbacev diede il suo assenso alla riunificazione => la Germania vide entrare realmente in vigore il trattato e, dopo un quarantennio di divisione, tornò ad essere un paese unitario.

1991: Gorbacev fu sequestrato nella sua casa in Crimea. Il Golpe fallì clamorosamente e una gran folla si raccolse a presidio delle libere istituzioni appena conquistate e costringendo i golpisti alla ritirata. Decisivo fu il ruolo del presidente della Repubblica russa Eltsin che, dopo aver capeggiato la resistenza popolare e aver imposto laliberazione di Gorbacev, si propose come il vero detentore del potere, relegando in secondo piano lo stesso presidente sovietico.

Il fallimento del golpe valse a spazzare via quanto restava del regime comunista: morte dell'Unione Sovietica.

Il 25 dicembre 1991: Gorbacev annunciò in un discorso televisivo le sue dimissioni => la bandiera sovietica fu ammainata dal Cremlino e sostituita da quella russa.

1992: separazione consensuale tra cechi e slovacchi => creazione di due repubbliche. La crisi jugoslava

Fra il '90 e il '91: in Jugoslavia la crisi precipitò in seguito al contrasto fra le risorgenti aspirazioni egemoniche della Serbia di Milosevic e la volontà autonomistica delle repubbliche di Slovenia e Croazia, che proclamarono la propria indipendenza, seguite


poi dalla Macedonia. 1992: la Bosnia divenne teatro di una guerra crudelissima, condotta, soprattutto dai serbi, all'insegna della

«pulizia etnica». Né gli sforzi di mediazione della Comunità europea, né le iniziative dell'Onu, che impose l'embargo alla Serbia e inviò in Bosnia contingenti di pace, ottennero alcun esito. Sarajevo fu sottoposta a un lunghissimo assedio a opera delle milizie serbe. Per raggiungere una tregua d'armi, fu necessario l'impegno diretto, diplomatico e militare, degli Stati Uniti, che agirono sotto la copertura dell'Alleanza atlantica.

1995: la Nato attuò una serie di raid aerei contro le posizioni dei serbo-bosniaci e fu imposto il cessate il fuoco. Accordo di pace, la cui attuazione però si rivelò alquanto problematica.

1998: crisi del Kosovo, che era stato uno dei fattori scatenanti dell'intera crisi jugoslava. Ancora una volta furono i paesi della Nato,fra cui l'Italia, a intervenire.

I serbi risposero intensificando la «pulizia etnica» in Kosovo: drammatico esodo dei kosovari albanesi nelle vicine repubbliche di Albania e Macedonia, dove furono allestiti,con l'aiuto dei paesi della Nato (e in particolare dell'Italia), grandi campi per accogliere i profughi.

Ma alla fine grazie alla mediazione della Russia, Milosevic cedette e ritirò le sue truppe dal Kosovo. fu sostituito da Kostunica, alla guida di una coalizione democratica. Milosevic e venne successivamente arrestato, consegnato al Tribunale internazionale dell'Aja e processato per crimini contro l'umanità

2006: morì Milosevic, prima della conclusione del processo, e fu proclamata l'indipendenza della Repubblica del Montenegro. 2008: fu riconosciuta l'indipendenza del Kosovo.

Dal 1997: collasso delle istituzioni in Albania, fattore scatenante fu il fallimento di una serie di società finanziarie (Berisha e il Partito democratico erano accusati di connivenza coi responsabili delle società fallite).

L'Albania fu salvata dall'intervento dell'Onu che inviò nel paese un contingente di pace. Nuove elezioni che videro il successo dei socialisti.

 

Capitolo 31 – Il nodo del Medio Oriente

«Medio Oriente»: una zona dai confini non precisamente definiti che va dall'Egitto all'Iran, dalla Turchia all'Arabia Saudita. Un'area di grande rilievo strategico.

I fattori di tensione: accresciuto interesse per la risorsa petrolio, l'aggravarsi del conflitto arabo-israeliano per la Palestina, la rinascita del fondamentalismo islamico.

1974-75: Sadat (l'allora presidente egiziano), attuò un clamoroso rovesciamento di alleanze, espellendo i tecnici sovietici dall'Egitto, congelando i rapporti con l'Urss imprimendo alla sua politica un segno filo-occidentale.

1977: Sadat formulò a Gerusalemme una promessa di pace.

1978: accordi di Camp David grazie ai quali l'Egitto ottenne la restituzione della penisola del Sinai, occupata da Israele nel '67. La scelta dell'Egitto fu però condannata dalla maggioranza degli Stati arabi e Sadat fu ucciso al Cairo in un attentato organizzato da un gruppo integralista islamico.

La rivoluzione iraniana

Laici e integralisti: il risveglio politico-culturale del mondo arabo-islamico in lotta contro la dominazione occidentale si era aspresso attraverso due canali diversi e contrapposti.

Al di fuori del mondo arabo, il nazionalismo laico in Medio Oriente aveva la sua principale roccaforte nella Repubblica turca, nata dalla rivoluzione kemalista dei primi anni '20.

E di questa identità erano custodi i militari, eredi di Ataturk, pronti a interferire pesantemente nella vita politica ogni qualvolta vedessero minacciati i valori laici a fondamento dello Stato.

L'Iran dello scià: a partire dagli anni '60 aveva avviato una politica di modernizzazione accelerata, e per molti aspetti traumatica, che mirava a trasformare il paese in una grande potenza militare, senza però riuscire ad assicurare significativi progressi nella condizione di vita delle masse.

1978: la rivoluzione (nata dalla crescente opposizione dei gruppi di sinistra e del clero islamico tradizionalista di osservanza sciita).

1979: lo scià dovette abbandonare il paese.

Si instaurò così una Repubblica islamica di stampo teocratico, ispirata a un vago riformismo sociale basato sui dettami del Corano e guidata dall'ayatollah Ruhollah Khomeini, massima autorità dei musulmani sciiti, violentemente antioccidentale e antiamericano.

1980: guerra tra Iraq e Iran => l'Iran fu attaccato dal vicino Iraq, che cercava di profittare della situazione per impadronirsi di alcuni territori da tempo contesi fra i due paesi. La guerra rappresentò un gravissimo fattore di tensione in un'area di eccezionale importanza strategica.

1988: il cessate il fuoco stabilito, grazie alla mediazione dell'Onu, trovò i contendenti sulle stesse posizioni dell'inizio del conflitto

=> fu una spaventosa quanto inutile carneficina.

La fine della guerra e la morte nel 1989 di Khomeini aprirono qualche spazio alle componenti meno estremiste del regime iraniano.

La questione palestinese

Gli accordi di Camp David, che prevedevano dei negoziati per la soluzione del problema palestinese, non furono mai avviati. L'ostacolo principale venne in un primo tempo dagli Stati arabi dell'Olp, che denunciarono il «tradimento» dell'Egitto e rifiutarono ogni trattativa col «nemico storico».

Anni '80: gli Stati arabi moderati (in particolare Giordania e Arabia Saudita) e la stessa dirigenza dell'Olp assunsero una posizione più morbida e, sfidando la condanna del cosiddetto «fronte del rifiuto» (Siria, Iraq, Libia e l'ala radicale delle organizzazioni palestinesi), si dissero disposti a trattare con Israele e a riconoscerne l'esistenza in cambio del suo ritiro dai territori occupati (Cisgiordania e striscia di Gaza), dove sarebbe dovuto sorgere uno Stato palestinese. Ma furono proprio i dirigenti dello Stato ebraico a rifiutare la trattativa con l'Olp di Arafat.

1987: la tensione si accrebbe ulteriormente quando i palestinesi dei territori occupati diero vita una lunga e diffusa rivolta, detta intifada. in arabo «risveglio».

I riflessi dell'irrisolto nodo palestinese si erano fatti sentire pesantemente anche in Libano, un piccolo Stato pluriconfessionale, dove l'Olp aveva trasferito le sue basi dopo il «settembre nero» del 1970.

Dal 1975: sanguinosa guerra civile => non resse il fragile equilibrio su cui si reggeva la convivenza fra le diverse comunità


libanesi (cristiani, musulmani sunniti, sciiti, drusi).

1982: l'esercto israeliano invase il paese spingendosi fino a Beirut per cacciarne, dopo sanguinosi combattimenti, le basi dell'Olp, il cui centro dirigente fu trasferito a Tunisi. La forza fu ritirata nel 1984.

La Siria impose una sorta di protettorato sul Libano, che era rimasto lacerato da lotte intestine.

1990: La guerra del Golfo. Il dittatore dell'Iraq Saddam Hussein, già protagonista della guerra di aggressione contro l'Iran (e per questo a lungo armatoe rifornito sia dall'Urss, sia da molti paesi occidentali, compresa l'Italia) invase il piccolo e confinante Emirato del Kuwait, affacciato sul Golfo Persico, uno dei maggiori produttori mondiali di petrolio. L'invasione fu subito condannata dalle Nazioni Unite, che con voto pressochè unanime, decretarono l'embargo nei confronti dell'aggressore.

Contemporaneamente gli Stati Uniti inviavano in Arabia Saudita un corpo di spedizione, a cui si univano anche alcuni Stati europei (in misura assai limitata l'Italia). Decisivo fu l'atteggiamento dell'Unione Sovietica: Gorbacev non si oppose all'intervento armato e consentì così alla forza multinazionale di agire sotto la copertura delle Nazioni Unite.

La strategia di Saddam: presentandosi come il vendicatore delle masse arabe oppresse e come il banditore di una guerra santa contro l'Occidente, trovò notevole eco fra le masse di molti paesi arabi, in particolare fra i paesi dell'Olp, il cui leader, Arafat, si schierò a fianco dell'Iraq.

1991: l'attacco all'Iraq. la forza internazionale scatenava un violento attacco aereo contro obiettivi militari in Iraq e nel Kuwait occupato. Saddam rispondeva lanciando missili con testate esplosive sulle città dell'Arabia Saudita e di Israele (che pure era rimasto estraneo al conflitto) e minacciando il ricorso alle armi chimiche. L'esercito iracheno cedeva di schianto abbandonando precipitosamente il Kuwait occupato (incendiandone prima gli impianti petroliferi). Ottenuto lo scopo principale (la liberazione del Kuwait) Bush decideva di arrestare l'offensiva della forza multinazionale per evitare il rischio di complicazioni diplomatiche.

Saddam Hussein sopravviveva politicamente alla sconfitta. Ma gli Stati Uniti risultavano ugualmente trionfatori e contando su questo prestigio cercarono di profittare della situazione per rilanciare il processo di pace in tutta l'area mediorientale.

1991: fu convocata a Madrid la prima sessione di una conferenza di pace sul Medio Oriente.

1992: vittoria del partito laburista nelle elezioni politiche israeliane dopo quasi un ventennio di egemonia del Fronte nazionalista. Il nuovo primo ministro Itzhak Rabin fu più propenso dei suoi predecessori a concessioni territoriali in cambio della pace.

1993: nuova svolta storica => Rabin e Peres, presero la sofferta decisione di trattare direttamente con l'Olp, profittando di un Arafat uscito indebolito per l'appoggio fornito a Saddam Hussein..

Un lungo negoziato segreto fu firmato a Oslo (poi solennemente sottoscritto a Washington sotto gli auspici di Bill Clinton) e prevedeva un avvio graduale dell'autogoverno palestinese nei territori occupati, a partire dalla città di Gerico, in Cisgiordania, e dalla striscia di Gaza.

  • novembre 1995: Una nuova spirale di violenza e di fanatismo ebbe il suo culmine nell'uccisione del premier Rabin, avvenuta a Tel Aviv per mano di un giovane estremista israeliano.

1996: sale al potere Benjamin Netanyahu, leader della coalizione di destra. La vittoria della destra segnò una battuta d'arresto nel processo di pace, ma non ne interruppe il cammino. Netanyahu e Arafat firmarono un nuovo accordo che fissava i tempi del ritiro israeliano dai territori occupati i cambio di un più forte impegno da parte dell'autorità palestinese nella repressione del terrorismo.

1999: vittoria alle elezioni politiche israeliane della coalizione di centro-sinistra guidata dal laburista Ehud Barak.

2000: Clinton convocò le parti per una nuova tornata di colloqui di pace a Camp David. L'accordo per una pace globale e definitiva fu però ancora una volta mancato, si passò invece in brevissimo tempo a una nuova situazione di scontro generalizzato.

A innescare lo scontro fu, in settembre, una visita compiuta da Ariel Sharon, leader della destra israeliana, alla spianata delle Moschee di Gerusalemme: una provocazione agli occhi dei palestinesi. => seconda intifada, fu assai più cruenta ella prima, sia per la violenza delle manifestazioni,sia per la durezza della repressione.

2001: la crisi del governo Barak portò a elezioni anticipate che videro la netta vittoria del centro-destra, guidato questa volta proprio da Sharon. Il nuovo governo giunse a contestare l'autorità di Arafat, considerato un interlocutore non più credibile per la sua incapacità di bloccare gli atti di terrorismo che pure ufficialmente condannava.

2002: decisione del governo di Gerusalemme di costruire una barriera difensiva per proteggere i confini «storici» di Israele, con l'effetto di far calare il numero di attentati ma fu condannata da buona parte della comunità iternazionale, per il suo carattere unilaterale ( e anche perchè il tracciato includeva parti di territorio palestinese).

2004: morì Arafat.

2005: governo Sharon (diventato governo di unità nazionale grazie a un accordo con i lbouristi di Peres) prese la decisione di procedere al ritiro dell'esercito dalla striscia di Gaza.

2006: Sharon uscì di scena per le conseguenze di una gravissima malattia. Il suo partito si affermò ugualmente nelle sucessive elezioni con Ehud Olmert.

Ma i nuovi spazi di dialogo che erano sembrati aprirsi con l'autorità palestinese, guidata ,dopo la morte di Arafat, dal moderato Abu Mazen, furono vanificati dall'inatteso risultato delle elezioni a Gaza e in Cisgiordania che videro l'affermazione degli estremisti di Hamas, fermi nel rifiuto di riconoscere Israele. Dalla striscia di Gaza, non più occupata, continuarono a partire missili contro lo Stato ebraico, che rispose con pesanti rappresaglie, mentre si accentuavano i contrasti, in seno all'Autorità nazionale palestinese, fra le organizzazioni rivali di Hamas e di Al Fatah. Tali contrasti sarebbero poi sfociati in una vera guerra civile nella striscia di Gaza, passata sotto il completo controllo degli integralisti.

2007: l'amministrazione Usa riuscì a strappare a Olmert e Abu Mazen l'impegno per un nuovo negoziato da concludere entro il 2008. (?)

La crisi libanese: la Siria fu costretta a ritirare le sue truppe dal Libano ma continuò a far sentire la sua influenza soprattutto attraverso il movimento integralista sciita Hezbollah, appoggiato e armato anche dall'Iran.

Israele reagì alle continue provocazioni di Hezbollah con un attacco su vasta scala e invadendo il Libano meridionale. Una tregua fu stabilita grazie all'arrivo dell'Onu (con la partecipazione determinante dell'Italia) contestualmente al ritiro dei reparti israeliani.

L'emergenza fondamentalista

-I talebani in Afghanistan.

1996-97: gruppi fondamentalisti detti talebani (studenti delle scuole coraniche) assunsero il controllo di buona parte dell'Afghanistan. Vittime principali furono le donne, cui fu tra l'altro impedito di lavorare e di frequentare le scuole.


-I problemi in Turchia.

1995: un partito di ispirazione islamica (il Refah, Partito del benessere) assunse la guida del governo.

1997: le pressioni dei militari convinsero i partiti laici a formare una nuova maggioranza (il Refah fu addirittura messo fuori legge).

2002: si affermò alle elezioni un altro partito di ispirazione islamico-moderata chiamato Giustizia e Sviluppo e guidato da R. T. Erdogan.

=> contraddizioni di un paese impegnato da molti decenni in una difficile (e incompiuta) modernizzazione, di uno Stato costretto, per difendere le proprie istituzioni democratiche, a tradirne in qualche misuralo spirito. Un problema evidenziato anche dalla sanguinosa repressione attuata ai danni dei movimenti separatisti curdi e che ebbe non poca responsabilità nelle difficoltà incontrate dalla Turchia per vedere accolta la sua richiesta di adesione all'unione europea.

-La tragedia algerina. Imponente debito con l'estero. 1992: prime elezioni libere del dopo-indipendenza videro la vittoria al primo turno degli integralisti del Fis (Fronte islamico di salvezza). Il governo annullò allora le elezioni, scatenando le reazioni dei gruppi islamici. Questa reazione assunse tratti di particolare ferocia, dal momento che le frange estreme del fondamentalismo, misero in atto una strategia del terrore a base di massacri indiscriminati fra la popolazione civile. I governanti risposero con una dura repressione che peraltro non riuscì a fermare le violenze, anche dopo un'iniziativa di pacificazione lanciata dal nuovo presidente della Repubblica.

 

Fonte: http://www.riassuntisdf.altervista.org/wp-content/uploads/2012/09/STORIA-CONTEMPORANEA-1.pdf

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