scienza che studia le strutture sociali

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La Sociologia
La sociologia è la scienza che studia le strutture sociali, le norme ed i processi che uniscono le persone non solo come individui, ma come componenti di associazioni, gruppi ed istituzioni. Il campo di interesse della sociologia spazia dall’analisi dei brevi contatti fra individui anonimi allo studio di processi globali, sociali. Comte, padre della sociologia, la definì strumento di azione sociale. Durkheim la definì la scienza dei fatti sociali, infine per Weber è la scienza che punta alla comprensione interpretativa dell’azione sociale.
La sociologia è una scienza emersa nel XIX secolo come risposta culturale ai cambiamenti della modernità. I sociologi speravano non solo di capire  che cosa univa i gruppi sociali, ma anche di sviluppare un antidoto alla disgregazione sociale. Oggi, i sociologi indirizzano la ricerca su aspetti macrostrutturali, come sistema sociale, funzione, classe sociale, istituzioni come la famiglia, la devianza o la rottura di strutture sociali.
Spesso i sociologi, utilizzano metodi quantitativi (statistica) nella ricerca sociale per descrivere le relazioni sociali mediante modelli e sviluppare schemi interpretativi che possano aiutare a prevedere i cambiamenti sociali e le risposte ad essi.
La sociologia, è una scienza nuova rispetto ad altre scienze sociali, comprese  economia, scienze della politica, scienze etnoantropologiche, psicologia. Il termine fu coniato da Auguste Comte, che sperava di unificare tutti gli studi sull’uomo. Egli credeva che l’esistenza umana passasse sempre attraverso le stesse tappe storiche. Tuttavia la sociologia ha le sue origini nella filosofia politica e sociale di Platone e AristOtele, fino a Hobbes, Machiavelli, Rousseau, Hegel, Tocqueville ed Emerson.
L’Illuminismo può essere considerato il periodo storico di partenza per lo sviluppo di tali disciplina. Montesquieu fu uno dei precursori dell’indagine delle condizioni sociali, delle leggi e dei costumi di modelli sociali differenti. Turgot sostituirà per primo l’origine della causa dei fenomeni fino ad allora ricercata nell’ambito del sovrannaturale con elementi concreti. Pur essendo un economista, furono rilevanti le influenze indirette di Adam Smith, padre dell’ economia classica. Adam Ferguson fu uno dei primi sociologi ad evidenziare i lati negativi indotti dalle attività ripetitive, mentre John Miller anticipò alcuni punti fermi dell’ analisi marxista sul rapporto tra attività produttive e idee. Sismonde De Sismond intuì prima ancora di Marx le antitesi dello sviluppo capitalistico: la sociologia è una scienza applicata, anche se la sua vicinanza con la filosofia mantiene al suo interno un vasto dibattito teorico simile a quello specifico delle scienze filosofiche. Sotto questo aspetto possiamo dividere la sociologia in due parti: una parte formata soprattutto da grandi teorie che hanno lo scopo di creare modelli generali di spiegazione della società, modelli eminentemente teorici che nascono però come grandi sintesi teoriche di osservazioni della realtà sociale; un'altra parte è costituita da studi maggiormente focalizzati su fenomeni sociali circoscritti per tempo e luogo.

Lo sviluppo della sociologia
La sociologia nacque nel Settecento e si sviluppò nel corso dei due secoli successivi. I fenomeni sociali e la crisi di quel periodo storico rappresentavano un terreno fertile per la riflessione e la nascita di nuove idee. Perché la sociologia possa esistere sono necessarie tre precondizioni: libertà di pensiero, consapevolezza dello stato di crisi, convinzione che sia possibile far qualcosa per porre rimedio alla crisi. Queste precondizioni,combinandosi in tre rivoluzioni, industriale, politico-sociale e scientifica, hanno favorito lo sviluppo della sociologia. Essa non può svilupparsi se non c’è libertà di pensiero.
La seconda precondizione è la crisi, in quanto fino a quando la gente non si convince che qualcosa non funziona come dovrebbe, la riflessione sociologica non ha spazio.
Il terzo punto importante è la convinzione di poter fare qualcosa per migliorare le condizioni di vita o modificare le situazioni critiche.
Ad un certo momento della storia occidentale queste tre precondizioni si incontravano con altrettante rivoluzioni. La rivoluzione scientifica iniziò più di un secolo prima con il lavoro di astronomi e matematici quali Keplero, Galileo, Newton. Le loro idee si diffusero in Europa lentamente, ma nel ‘700 esse incominciarono a mettere in crisi il ben radicato sistema convenzionale di credenze.
Una seconda rivoluzione fu quella del pensiero politico e sociale. Molti dei cambiamenti socio-politici accaduti nell’ ‘800 trassero la loro linfa vitale dall’opera di quei filosofi come l’inglese Locke e il francese Voltaire che contestavano l’idea di un ordine sociale voluto da Dio e indicarono le linee di un mondo irreale più giusto a cui quello reale avrebbe dovuto tendere. Allo stesso tempo avvenne lo sviluppo della scienza. Questo campo era già stato preparato da grandi personaggi vissuti nel secolo prima come Pico della Mirandola, Niccolò Machiavelli, Giordano Bruno, Galileo Galilei, Francesco Bacone, che avevano tracciato il profilo di un uomo autonomo, “autodiretto”. Questo nuovo uomo accetta di sottomettersi ad una legge non per obbligo ma per scelta e per realizzare una convivenza civile. La terza rivoluzione, quella industriale, iniziò in Inghilterra per poi diffondersi in tempi diversi negli altri paesi occidentali. Con l’avvento di innovazioni in campo tecnologico e con la comparsa di macchine che amplificavano gli effetti del lavoro umano, vi furono nuove possibilità di lavoro. Ma i cambiamenti legati alle prime fasi del lavoro industriale crearono anche miseria e problemi sociali, che indussero a studiare i fenomeni della povertà,dell’alienazione e del comportamento delle folle. Quest’ultimo fu l’oggetto di studio di Gustave Le Bon, Gabriel Tarde e dell’italiano Scipio Sighele, i quali sostenevano che gli individui in una folla si trasformano e riescono a compiere imprese nel bene e nel male. La povertà che venne prodotta dallo sviluppo disordinato della rivoluzione industriale fu l’oggetto di studio sul finire dell’ ‘800 di alcuni sociologi britannici, che diedero inizio a una tradizione, ancora presente nel loro paese, di studi sociologici sulla povertà. Due punti cruciali per la nascita della sociologia furono la consapevolezza che erano in atto dei grossi cambiamenti e la preoccupazione per i problemi che da questi cambiamenti stavano emergendo. Questo è il punto di partenza per i padri fondatori della sociologia. Karl Marx, Max Weber, Emile Durkheim e George Mead si impegnarono nello studio dei grossi cambiamenti che avvenivano e andarono alla ricerca delle basi dell’ordine sociale. Marx individuò l’ordine sociale nella struttura economica; Durkheim pose l’accento sui bisogni fondamentali della società; Weber si concentrò sui legami che esistono tra determinati comportamenti e determinate credenze e convinzioni; Mead mostrò come i ruoli che gli adulti svolgono nella società vengono appresi durante l’infanzia.
Il primo ad aggiungere la parola sociologia nel vocabolario delle scienze umane fu August Comte. Autore dell’opera Corso di filosofia positiva, aveva in origine pensato al termine “fisica sociale”: secondo esso la nuova scienza doveva essere organizzata come la fisica, descrivere le leggi per l’organizzazione delle società e quelle evolutive. Successivamente scelse una parola che esprimesse il significato etimologico della nuova disciplina: sociologia deriva dal latino “socius” e dal greco “logos”, dunque “discorso sulla società”. Per Comte la società doveva essere considerata come un evento naturale, regolata dalle stesse leggi che regolano i fenomeni fisici e biologici. Egli fece nascere la sociologia come disciplina autonoma.
Emile Durkheim, considerato il padre della sociologia francese, diede un grosso contributo alla sociologia nascente. Nel suo primo saggio su La divisione del lavoro sociale, Durkheim analizzò le trasformazioni che caratterizzavano le società moderne incentrando le sue analisi su due punti fondamentali: da un lato l’idea che la divisione del lavoro e l’individualismo fossero le principali caratteristiche dell’epoca moderna e, dall’altro, che ciò comportasse il rischio dell’anomia, ossia di una sorta di estraniazione o depersonalizzazione dell’individuo. L’anomia evidenzia una sofferenza o disgregazione nelle relazioni tra le persone, dovuta all’indebolimento delle norme che regolano la vita degli individui nella collettività.
Tra i padri fondatori della sociologia fu il tedesco Karl Marx a rompere più nettamente con le idee del passato. Anch’egli, come Comte, era alla ricerca di un modello che potesse spiegare la dinamica dei sistemi sociali moderni,ovvero delle società capitaliste e dedicò la sua opera Il capitale alla formulazione di una teoria di economia politica <<critica>> del capitalismo. Il suo pensiero influenzò profondamente alcune correnti sociologiche e molti autori.
In qualità di filosofo, oltre che di sociologo, Weber si interessò allo studio dello statuto delle scienze sociali prendendo parte al dibattito sul metodo e sostenendo, a differenza di Comte, che le scienze sociali non possono essere assimilate alle scienze della natura. Weber fu anche fautore di un <<ritorno>> dell’attore sociale, cioè dell’individuo che si fa portavoce dell’individualismo metodologico, ossia di quell’approccio che considera gli eventi sociali come il risultato di azioni individuali. La sociologia per Weber è <<scienza dell’azione sociale>>, in quanto la società è il prodotto delle azioni di individui o di gruppi che agiscono in funzione di valori, credenze, rappresentazioni mentali, valutazioni, calcoli.
La domanda centrale, a cui tutti i << padri fondatori>> hanno cercato di fornire una risposta, è: in quale modo la società, composta di soggetti sociali diversi, con bisogni ed esigenze spesso in contrasto tra loro, riesce a darsi un’unità e a garantire una parvenza di ordine? Questo interrogativo costituisce ancora oggi uno dei maggiori centri di interesse dei sociologi. L’analisi di Durkheim diede luogo alla scuola nota come funzionalismo, che guarda alle funzioni che le varie istituzioni sociali assolvono nella società. Gli scritti di Marx diedero vita ad una corrente di sociologia critica che si poneva come obiettivo quello di comprendere l’azione esercitata sulla società dalle classi dominanti. Il lavoro di Weber, infine, non diede origine ad alcuna scuola particolare,ma si diffuse attraverso tutte questi prospetti modificandoli tutti in misura maggiore o minore.

Auguste Comte (1789-1857), filosofo e sociologo francese, è considerato il padre fondatore del positivismo. Studiò alla Scuola Politecnica di Parigi e già a quattordici anni si propose di rinnovare il metodo di tutte le scienze, sulle ali dell’entusiasmo diffuso dalla rivoluzione francese.
Nel 1826 una violenta crisi nervosa lo costrinse ad entrare in manicomio; riuscì a riprendersi, ma il clima di ostilità che incontrò il suo Corso di Filosofia Positiva gli impedì di ottenere la cattedra di matematica alla Scuola Politecnica.
Nel 1846, in seguito alla morte dell’amata Clotilde de Vaux, si dedicò al progetto di una nuova religione.
Comte è il padre del positivismo e si dedicò più di ogni altro alla definizione di un altro sistema di pensiero che partisse dalle basi certe della fisica e del metodo sperimentale. Le leggi che regolano lo sviluppo dell’uomo e della realtà sono per lui leggi che possiedono la precisione e la determinazione delle scienze fisiche: il suo scopo è quindi quello di portare alla luce queste leggi in modo da possedere una conoscenza che possa agire sulla realtà concretamente.
Il termine “positivo”, da cui deriva positivismo, designa tutto ciò che è concreto, reale, sperimentabile, diverso da ciò che è astratto e metafisico, ma anche ciò che è utile al miglioramento materiale dell’uomo, diverso da ciò che appare inutile, non produttivo, ozioso. Con il positivismo si tratta di diffondere una nuova scienza sulle basi delle leggi concrete della natura e non fondata sulle sterili teorie metafisiche.
Alcuni tratti del positivismo sono:

  • La scienza è l’unico metodo per raggiungere una vera conoscenza, in particolare le scienze naturali (fisica, chimica, biologia, astronomia).
  • Lo studio della sociologia come indagine scientifica dei rapporti naturali che vincolano gli uomini. Secondo Comte anche i rapporti tra persone e tutto ciò che riguarda l’uomo è regolato da leggi scientifiche.
  • L’ottimismo legato alla fiducia nella scienza, vista come una disciplina che può risolvere qualsiasi problema dell’uomo. La scienza tende ad aumentare il benessere degli uomini e l’approccio scientifico porta ad un progresso generale e costante delle qualità di vita.
  • L’idea che la filosofia abbia il compito di organizzare e coordinare i risultati delle singole scienze specialistiche, ovvero la riduzione della filosofia da scienza prima a scienza generica con compiti di controllo.

La scienza positivista è per Comte il culmine di uno sviluppo storico ininterrotto verso la vera conoscenza delle cose; i modi in cui l’uomo si è accostato nel corso del passato a tale conoscenza sono principalmente tre, distinti da Comte in tre stadi:
1) Il primo stadio è quello teologico, cioè lo stato in cui l’uomo spiega l’ignota origine dei fenomeni attribuendo le cause a forze divine superiori.
2) Il secondo stadio è quello metafisico, cioè lo stato in cui l’uomo rifiuta la spiegazione divina e cerca nell’assenza astratta dei fenomeni la spiegazione di tutto.
3) Il terzo stadio è quello positivo, “scientifico”, cioè lo stato che si trova a vivere l’uomo moderno, il quale spiega i fenomeni studiando le leggi empiriche.
Nel positivismo si assiste a un importante cambiamento di prospettiva: l’uomo rinuncia alla ricerca dei perché delle cose, per concentrarsi sul “come” accadono. Questa nuova prospettiva è propria di tutta la scienza moderna e di larga parte della filosofia contemporanea. Mentre l’atteggiamento di chi vuol trovare il perché delle cose è sintomo dello stadio metafisico e teologico, l’atteggiamento positivista si limita ad identificare la legge che permette ai fenomeni e ai fatti di manifestarsi.
Comte afferma che le varie discipline scientifiche a lui contemporanee stanno per entrare o sono entrate nella fase positiva; tuttavia, in generale, la scienza non ha ancora aderito pienamente al positivismo. L’idea è che il pensiero positivo si sia affermato prima nelle scienze più semplici, quali la matematica, la fisica, l’astronomia e la biologia, e che le scienze il cui oggetto di studio è più complesso perché entra in gioco lo spirito dell’uomo, impiegheremo un tempo maggiore per diventare “positive”.
Comte è il padre riconosciuto della sociologia, con lui si fa avanti l’idea che il complesso delle relazioni umane sia regolato da leggi scientificamente determinabili. Dunque Comte crede nella possibilità dello sviluppo positivista delle scienze umanistiche, anche se è consapevole che tale sviluppo nella direzione positivista sarà per la sociologia più arduo rispetto, ad esempio, a quello della fisica. Per Comte la sociologia è un dovere, ma anche una necessità urgente, infatti solo studiando i problemi dell’uomo è possibile risolvere una volta per tutte le crisi che ancora tormentano le società e le nazioni. Per Comte, attraverso uno studio analitico e rigorosamente scientifico della società, è possibile risanare qualsiasi problema sociale e risolvere positivamente ogni questione politica.
Comte divide la sociologia in statica sociale e dinamica sociale:

  • La statica sociale si occupa di studiare le istituzioni sociali per ciò che sono in un determinato momento storico, al fine di trovare le connessioni che rendono possibile l’equilibrio sociale;
  • La dinamica sociale si occupa di definire le leggi del progresso sociale, ovvero i modi in cui le società si evolvono e i motivi di tale evoluzione.

Nell’ultimo periodo della sua vita Comte credette di poter diffondere ed affermare una vera e propria religione positivista.

Karl Marx (1818-1883), tedesco di origini ebraiche, fu filosofo, economista e sociologo. Il suo orientamento può essere definito materialismo storico-dialettico: la società per Marx è retta dall’economia (struttura), e da qui si usa il termine “materialismo”; gli altri elementi che la caratterizzano (sovrastruttura) non sono autonomi, in quanto dipendono dai rapporti economici. Così ad esempio la cultura di una società sarà influenzata dall’economia. Tali rapporti economici percorrono tutta la storia umana (da qui materialismo “storico”) e si esprimono attraverso la lotta di classe (perciò si usa il termine “dialettico”). La realtà di cui parla Marx, infatti, è dominata dalla lotta tra i capitalisti (proprietari delle imprese) e proletari (operai). 

Emile Durkheim (1858-1917) è tra i più importanti protagonisti del pensiero sociologico contemporaneo. Tra i suoi scritti fondamentali abbiamo: La divisione del lavoro sociale (1897), che è una gigantesca analisi del sistema sociale occidentale fino alla fine dell’ ‘800 che anticipa e determina, per molti aspetti, i rapporti di convivenza della contemporaneità. Si concentra sull’articolazione sociale della solidarietà, come costrutto unico del vivere insieme. Le regole del metodo sociologico (1895), dove si trovano gli elementi-chiave del suo pensiero, come il concetto di fatto sociale. Il fatto sociale è l’elemento caratterizzante di una società che condiziona l’individuo. I fatti sociali vengono considerati come cose: essi sono esterni e coercitivi, in quanto non possono essere diversi da ciò che sono. Il primo compito del sociologo deve essere quello di definire le cose di cui tratta, perché si sappia con precisione qual è la questione. La regola per la distinzione del “normale” dal “patologico”, consiste nell’individuare casi anormali, clinici o devianti per spiegare condizioni di normalità sociale. In altre parole la normalità viene spiegata attraverso la devianza. Per devianza si intende ogni atto o comportamento di una persona o di un gruppo che viola le norme di una collettività. Per il sociologo francese Emile Durkheim “un atto è criminale” perché urta la coscienza comune e non viceversa. Tuttavia bisogna tener conto del fatto che le risposte della collettività a uno stesso atto variano nello spazio e nel tempo: per questo motivo si parla di relatività dell’ atto deviante rispetto a: contesto storico, politico, sociale, ambito geografico, situazione.
Una definizione canonica afferma che la devianza è un comportamento che viola le aspettative istituzionalizzate di una data norma sociale.
La norma sociale appare divisibile in due elementi costitutivi: l’aspettativa istituzionalizzata (ideale modalità di risposta) e la sanzione (a seguito della violazione dell’ aspettativa). La devianza è il non assoggettarsi al ruolo che il sistema di valori della propria società si aspetta e si riferisce alle aspettative connesse ad un orientamento normativo. Secondo Talcott Parsons le norme discendono da valori sociali che sono interiorizzati attraverso la socializzazione, un processo di addestramento alla società che inizia da bambino col rapporto madre e figlio. Per i positivisti la devianza è spiegabile in base alle motivazioni che spingono a deviare, ma bisogna ammettere che non ogni deviante, con la sua motivazione, viene a costituire un deviante ufficiale. Il deviante è tale poiché come tale è individuato da un gruppo, sicché è un concetto relativo. Per Becker la devianza non è una qualità dell’atto commesso dal soggetto, ma piuttosto la conseguenza dell’ applicazione da parte degli altri, di regole e sanzioni. Anche all’interno dello stesso gruppo, lo stesso comportamento può essere interpretato in maniera diversa, secondo la situazione. Diversi tipi di devianza sembrano correlati a determinati ruoli sociali (neomarxismo). Difficilmente può essere individuato un gruppo completamente esente dal produrre devianza; può assumere intensità e direzioni diverse.
Uno degli studi più famosi di Durkheim riguarda Il suicidio (1897): Durkheim mostra come ci possano essere dei fattori sociali che esercitano un’influenza determinante al riguardo, soprattutto, di ciò che egli chiama anomia, come rottura degli equilibri della società e sconvolgimento. Durkheim elenca i modi di suicidio in tre tipi:

  • il suicidio egoistico, che si ha quando le persone pensano solo a loro stesse e non sono in grado di raggiungere gli obbiettivi che si pongono.
  • Il suicidio altruista, che si ha quando la persona è troppo inserita nel tessuto sociale al punto da suicidarsi per soddisfare l’imperativo sociale.
  • Il suicidio anomico, tipico della società moderna, sembra essere collegato all’ambito economico: il numero dei suicidi aumenta nei periodi depressione economica.

Un’altra opera di Durkheim è la Sociologia e l’educazione (1922), in cui studia i rapporti osservabili tra le diverse componenti di un sistema educativo, ed i principali sistemi, sotto sistemi e processi della società di cui esso fa parte. Per sistema educativo si intende un insieme di istituzioni e organizzazioni specializzate in ogni tipo d’istruzione, addestramento, formazione, aggiornamento, sviluppo professionale e culturale. Per educazione si intende il processo di integrazione sociale e culturale nell’ambito di concrete situazioni storiche, ambientali e familiari, dove si struttura la personalità umana. Nella storia poco meno che secolare della sociologia dell’educazione, è possibile individuare almeno cinque fasi distinte: la prima fase, che studia i rapporti fra sociologia e pedagogia, assegna alla sociologia dell’educazione il compito di individuare le tendenze evolutive presenti nella società, con l’intento di assecondare e accelerare le tendenze in atto. La seconda fase concepisce l’educazione come una “ricostruzione continua dell’esperienza”, in contrapposizione all’idea dell’educazione come “preparazione per il futuro”e “ricapitolazione del passato”. La terza fase stabilisce una connessione intrinseca tra le forme dell’educazione e le forme del dominio,tra i contenuti dell’educazione della classe sociale cui appartiene. La quarta fase è orientata da un paradigma per il quale “l’educazione va considerata come la “protogenesi della società”. La quinta fase critica i rapporti tra strutture di classe e educazione.

Max Weber (1864-1920) è stato un economista, sociologo, filosofo e storico tedesco. Larga parte del suo lavoro di pensatore e studioso riguardò la razionalizzazione nell’ambito della sociologia della religione e della sociologia politica, ma i suoi studi diedero un contributo importante anche nel campo dell’economia. La sua opera più famosa è il saggio L’Etica Protestante e lo spirito del capitalismo: in questo studio di sociologia Weber sviluppa la tesi secondo la quale la condotta di vita ascetica, propria del calvinismo, ebbe un influsso decisivo sulla genesi del capitalismo moderno. L’etica protestante è interpretata come una “molla” che ha contribuito a far scattare un processo di razionalizzazione unico sul piano storico, eppure di portata universale. Il metodo e il risultato di quest’analisi sociologico-metodologica hanno condizionato il dibattito fino a oggi,con il quale iniziò le sue riflessioni sulla sociologia della religione. Grazie a un’ingente rendita privata derivata da un’eredità, nel 1907 riuscì comunque a dedicarsi liberamente a tempo pieno ai suoi studi, che spaziarono dall’economia al diritto, dalla filosofia alla storia comparata ed alla sociologia, senza essere costretto a ritornare alla docenza. La sua ricerca scientifica affrontò problemi teorico-metodologici cruciali e svolse complesse indagini storico-sociologiche sulle origini della civiltà occidentale e sul suo posto nella storia universale. Durante la prima guerra mondiale prestò servizio come direttore degli ospedali militari di Heidelberg e al termine del conflitto tornò all’insegnamento con una cattedra di economia prima a Vienna e nel 1919 a Monaco di
Baviera, dove guidò il primo istituto universitario di sociologia in Germania. Benché in vita fosse considerato uno storico e un economista, Max Weber è ritenuto come uno dei fondatori della sociologia moderna, assieme a Karl Marx ed Emile Durkheim. Molte delle sue opere furono raccolte, revisionate e pubblicate dopo la sua morte. Interpretazioni fondamentali furono prodotte da grandi sociologi come Talcott Parsons e C.Wright Mills. Nell’opera postuma Sociologia della religione, Weber mostrava negli studi sull’etica economica delle religioni universali (confucianesimo, taoismo, induismo), come in nessun’altra civiltà che non fosse l’Occidente moderno si sia verificata una correlazione come quella che si è stabilita tra etica protestante e mentalità capitalistica. Importante fu anche il suo intervento nel campo della sociologia urbana. Analizzando l’opera Sociologia del potere, si possono trarre svariati tratti caratterizzanti le forme di legittimità carismatica. Il popolo è portato affettivamente a sottomettersi al carisma del signore, il quale è dotato di virtù soprannaturali (eroismo,ecc.) che non sono mai esistite.
Weber introduce i presupposti fondamentali della sociologia: il postulato dell’assenza dei giudizi di valore, il concetto del comprendere, il concetto del tipo ideale. Secondo il sociologo, infatti, i giudizi di valore dovrebbero essere esclusi dalle indagini sociologiche così come da qualsiasi altro campo del sapere, in quanto ne metterebbero in discussione l’oggettività. Con il concetto del comprendere, sviluppato in seguito nel saggio del 1913 Alcune categorie della sociologia comprendente, Weber propone di comprendere l’agire sociale attraverso un procedimento interpretativo, che include uno studio del “senso orientante”, per spiegarlo quindi causalmente nel corso e nei suoi effetti. Infine, attraverso il concetto di tipo ideale, Weber tenta di rilevare delle caratteristiche ricorrenti, ad esempio come la razionalità dell’agire economico. Nel 1909 Weber fonda con altri la Società tedesca di sociologia a Berlino.

Alfred Weber (1868-1958 ), fratello del più famoso Max, resta tutt’ora una specie di oggetto misterioso. La critica lo ritiene troppo filosofo e dunque poco adatto a contribuire alla costruzione di una sociologia scientifica. Nel 1904 inizia ad insegnare economia politica e sociologia all’università di Praga. Sul piano sociologico Alfred Weber sviluppa una teoria “triarticolare” dei processi sociali, che può essere analiticamente così suddivisa:
a) i processi sociali provocati dalla perpetua spinta della volontà degli individui e dei gruppi sono fenomeni che hanno carattere ciclico e possono essere studiati utilizzando modelli idealtipici, concepiti da suo fratello Max;
b) i processi di civilizzazione, che scaturiscono dalla necessità dell’uomo di dominare la natura, sono processi universali e trasferibili che seguono ritmi di natura evolutiva, difficilmente controllabili;
c) i processi culturali, che sono frutto di forze psico-culturali che seguono uno sviluppo discontinuo e imprevedibile, condizionato dalla loro unicità e non trasmissibilità. Dalla confluenza di questi tre processi sorgono quei grandi corpi storici che Weber chiama “costellazioni storico-sociologiche”. Sotto questo aspetto, infine, sia la lotta di classe sia la guerra, come le altre forme storiche e sociali di conflitto, rientrano nell’alveo delle “costellazioni storico-sociologiche”. In Italia dei circa dieci libri scritti da Alfred Weber, ne è stato tradotto solo uno: Storia della cultura come sociologia della cultura. Ciò costituisce un vero peccato, perché Weber si è occupato anche di crisi dello stato moderno, di sociologia del tragico, filosofia della storia, socialismo libertario.

Talcott Parsons (1902-1979) è stato un sociologo statunitense. Nel corso di un’attività intellettuale estremamente intensa, Parsons ha rilanciato in seno alla sociologia americana l’importanza della riflessione concettuale e metodologica; ha recuperato e ripensato, in modo indubbiamente discutibile, ma anche assai stimolante, la grande tradizione durkheimiana e weberiana. Come molti altri sociologi cercò di combinare “azione sociale” e “struttura” in un’unica teoria non limitata al solo funzionalismo. Pur essendo un riferimento per sociologi contemporanei importanti come Habermas e Luhmann, il suo favore si è gradualmente ridotto nel tempo e il più importante tentativo di far rivivere il pensiero di Parsons, sotto l’etichetta di “neofunzionalismo”, si deve al  sociologo Jeffrey Alexander. Dopo Amherst, Parsons si reca alla London School of Economics, dove subisce l’influenza dei lavori di economisti quale H. Laski e R. H. Tawney, gli antropologi culturali Malinowski e Radcliffe-Brown e i sociologi Ginsberg e Hobhouse. Nel 1925, grazie ad una borsa di studio in Sociologia ed Economia, entra a far parte del Dipartimento di Sociologia e successivamente del Dipartimento di Relazioni  Sociali. In  La struttura dell’ azione sociale, Parsons afferma che l’azione è l’unita elementare di cui si occupa la sociologia.
L’atto richiede i seguenti elementi:

  • l’attore, colui che compie l’atto;
  • un fine verso cui è orientato l’atto;
  • una situazione di partenza da cui si sviluppano nuove linee d’azione e in cui vi sono le condizioni ambientali; un orientamento normativo dell’azione, che porta l’attore a preferire certi mezzi ad altri e certe vie ad altre, tuttavia basandosi sul sistema morale vigente nella sua società.

A questo punto del nostro lavoro abbiamo deciso di approfondire il pensiero di due autori fondamentali nell’ambito delle scienze sociali: lo psicologo W. Wundt e l’economista A. Smith. Pur non essendo “sociologi”, abbiamo deciso di soffermarci sul loro contributo in quanto, anzitutto, le scienze sociali non costituiscono un sapere univoco, ma hanno una struttura fortemente multidisciplinare. Non è possibile comprendere a fondo la sociologia e le altre scienze umane, sganciandola dalla psicologia, dall’economia o anche dalla storia, dalla filosofia, ecc.. In particolare abbiamo scelto Wundt perché ebbe l’opportunità di conoscere il sociologo Durkheim, e Smith in quanto ci ha incuriosito il legame esistente tra sociologia ed economia.

Wilhelm Wundt (1832-1920) è stato uno psicologo e fisiologo tedesco. È divenuto per la storia della psicologia “il padre fondatore” della disciplina, grazie al suo contributo teorico-sperimentale. Secondo Wundt la psicologia deve usare il metodo sperimentale per studiare le funzioni elementari della mente (come sensazione e percezione), per conferire oggettività alla psicologia. Viene ricordato principalmente per la fondazione del primo laboratorio di psicologia sperimentale, ma anche per l’immensa produzione scritta; Wundt fu uno dei primi scienziati a tentare di stabilire dei criteri oggettivi riguardo al comportamento umano. A tale scopo fondò un laboratorio di psicologia a Lipsia nel 1879 per raccogliere i dati empirici delle sue ricerche e analizzarne i risultati secondo i criteri delle scienze naturali. Il “laboratorio di Wundt”, divenne in breve tempo il luogo dove si formò la prima generazione di psicologi sperimentali europei, alla fine dell’ ‘800.

Adam Smith (1723-1790) è stato un economista e filosofo scozzese e gettò le basi dell’economia politica e classica. Smith descrive una condizione di aspra conflittualità sociale. Condivide comunque i presupposti ottimistici dell’Illuminismo. Infatti per Smith i processi socio-economici risentono, come tutte le altre attività umane, un carattere naturale che garantisce la loro bontà, almeno finché non subentra l’uomo con un improvviso intervento artificiale. Egli non ritiene che i meccanismi  socio-economici siano semplici teorie: al contrario pensa che esse rispecchino leggi del tutto assimilabili a quelle che determinano il carattere, la concatenazione e lo sviluppo dei fenomeni naturali. Con Smith l’economia politica, cioè l’arte di bene amministrare la vita economica dello Stato, esce quindi dall’ambito della precettistica empirica, per aspirare allo statuto di una vera e propria scienza.   

Fonte: http://www.atuttascuola.it/siti/lanucara/sociologia/sociologia.doc

Sito web da visitare: http://www.atuttascuola.it

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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