Mediazione familiare

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Mediazione familiare

Ascolto empatico della coppia nella MEDIAZIONE
Di Cettina Infante

La Mediazione Familiare è quella professionalità che in modo assolutamente rivoluzionario consente di concepire il conflitto innovativamente, ossia come risorsa da cui partire per ricostruire e riequilibrare le relazioni.
Il conflitto è “vita”, “divenire”, per cui le contrapposizioni non restano eternamente inconciliabili. Difatti l’”altro” non è più  considerato come “diverso” ma solo “altra identità”, oltre se stessi, fino al punto di assottigliare sempre più le distanze relazionali.
Il mediatore familiare individua i bisogni, le motivazione sottese alle spinte emozionali al fine di decifrare comportamenti che spesso risultano apparentemente incomprensibili.
Se è vero come sostiene Pascal “che il cuore ha le sue ragioni che la ragione non conosce”, l’ASCOLTO EMPATICO diventa centrale nel lavoro di aiuto alla coppia.
L’empatia è la capacità di sentire le emozioni altrui, comprendere i pensieri, i punti di vista, le reazioni.
Più profondamente penetrare il suo mondo interiore e leggere tra le righe anche segnali non verbali indicatori di stati di animo. In tal modo è possibile intuire quale valore rivesta un evento senza però attribuire allo stesso significati “stereotipati”. Difatti il mediatore si concentra sui fatti approfondendo come siano andati effettivamente, fino a poter ricostruire l’esatta dinamica dell’accaduto. Ciò può però avvenire in una comunicazione “trasparente” in cui ci si apra senza “simulare”. La fiducia nel mediatore si attiva solo se lo stesso esclude il giudizio o la tensione nel “darsi da fare” per risolvere il problema.
L’immedesimazione nell’altro non si attua nell’annullare il suo punto di vista.
Bisogna quindi astenersi da valutazioni, approvazioni, disapprovazioni, correzioni, attraverso la sospensione di giudizi morali nel far percepire all’altro la possibilità che racconti “come“ si sente piuttosto che il “perché” si senta in un certo modo. Quasi a voler comunicargli “sei importante, ho stima di te, riconosco e condivido il tuo sentimento…”.
L’obiettivo finale nell’ascolto è porre l’altro nella condizione di esplorarsi per trovare la verità in se stesso.
Il “ponte” che il Mediatore crea tra le parti consente la possibilità di condivisione degli accordi.
La separazione, sia subita che provocata, comporta comunque l’attraversamento del dolore, del lutto,  rispetto al quale è necessario un tempo di elaborazione.
Spesso la rabbia accumulata dipende dalla ferita dell’abbandono, da un tradimento subito, da una conflittualità senza soluzione, o più profondamente dal fallimento di una vita comune, condivisa, dall’idea infranta di un’unione per sempre che viene meno con la separazione.
Il mediatore non si porrà con atteggiamento “statico” ma dinamicamente saprà confrontarsi con quanto avviene nell’altro, finirà per “sentire” con possibilità evolutive, anche personali.
Ciò nonostante è importante che non si schieri o prenda posizioni, non si immedesimi al punto tale da identificarsi pienamente nell’altro. Non deve avere pregiudizi, né esprimere giudizi.
Il momento difficile rappresentato dalla separazione comporta spesso frustrazione, smarrimento, scarso senso di autostima, ridimensione della propria esistenza fino al punto tale da  potersi sentire “falliti”.
Il Mf farà capire quanto quelle emozioni negative rappresentano tappe inevitabili, determinanti ai fini della ricostruzione di equilibri nella propria vita e della riqualificazione della dignità ferita. La stima di se stessi si riacquista nel tempo, anche sperimentando la solitudine più profonda. Spesso difatti il disagio affettivo è vissuto come un momento così esasperatamente individuale che nessuno è in grado di comprendere.
E’ importante “smaltire” il dolore e la rabbia nel tempo. Per questo la mediazione si sviluppa in più incontri dilazionati nell’arco complessivo di sei mesi, entro i quali è possibile riordinare le proprie emozioni.
Non è detto che chi lascia non provi il dolore dovuto ad una scelta che ha messo in crisi la propria vita, le proprie abitudini, i propri equilibri, una scelta che spesso ha acuito il suo senso di colpa anche perché “sottolineato” dal mondo circostante.
Il Mf si pone quindi tra le parti in modo imparziale, equidistante, raccogliendo le motivazioni di entrambi e decifrandole all’uno e all’altra.
Decodificatore di bisogni, percettore di emozioni e stati di animo, ansie nascoste, paure inconfessate, sensi di perdita e di abbandono, sensi di colpa e di fallimento.
La nostra società fragile ricerca appoggi, punti di riferimento “certi”.
Il vero bisogno che spesso si avverte è di essere ascoltati emozionalmente.
Il tempo veloce che ci attanaglia ci fa dimenticare spesso il bisogno di parlare di se stessi e a se stessi. Avere la sensazione che qualcuno riesca a penetrare quei “monologhi” spesso creduti  con esasperazione senza possibilità di soluzione consente una minima “apertura” fondamentale come base del dialogo e del confronto.
Le emozioni diventano quindi il centro della relazione anche in un rapporto destinato a finire dal punto di vista sentimentale.
Morin invita a centrare la stessa “educazione” sulle emozioni e a porre in discussione le certezze di una “ragione” forte di se stessa e avulsa dal “sentire”.
Attraverso l’ascolto dell’altro si ritrova la forza per il rispetto di se stessi, per la riacquisizione delle proprie energie nascoste e delle proprie risorse e quindi per ricominciare un nuovo periodo di vita.
I cambiamenti spaventano ma è pur vero che spesso possono sorprendere, per cui da una “perdita” può derivarne una inaspettata evoluzione della propria esistenza.
Non si può credere che con la relazione sentimentale si esaurisca in una sola battuta il mondo di ricordi  “condivisi”costruiti negli anni.
La relazione può trovare nuove basi, nuovi interessi, nuovi equilibri.
Si può continuare ad amare l’altro riacquistando il rispetto di se stessi nel recupero del sistema di relazioni parentali, amicali, sociali.
Se l’amore non alimenta più la relazione, bisogna riacquistare il rispetto della vita che si è smarrito concentrandosi solo sul proprio dolore, sulla propria rabbia, spesso vissuta come insormontabile.
La nostra società dà la sensazione che i legami umani debbano frantumarsi irrimediabilmente, quindi non tornare più come prima.
Bauman indica con “liquidità” l’idea dei legami che ondeggiano tra il desiderio di stabilità e di sicurezza e, per contro, la paura di restare incastrati in coppia in legacci stretti cui dover sacrificare la propria libertà o personalità, o ancora le proprie aspettative di vita.
Un amore liquido o privo di legami troppo stretti che possono sciogliersi o riannodarsi a piacimento, senza conseguenze e responsabilità.
Il desiderio di liquidità nelle relazioni è dovuto all’individualismo esasperato che oggi permea profondamente la nostra società, un individualismo che vuole solo appagamento.
Svanito il collante di religione, società, usi e costumi che fino a mezzo secolo fa tenevano in piedi il matrimonio esso perde la sua solidità.
Il discorso di Bauman poi si allarga alla comunità globale e dall’amore si passa alla relazione tra stati e popoli.
Le comunità tendono a creare un ipotetico “noi” su illusioni di identità che riducono lo sforzo di capire l’altro  di dialogare ed eliminare differenza.
Non si può vivere in modo isolato e inaccessibile. Solo la consapevolezza che tutti appartengono al genere umano può portare ad una vera comprensione dell’altro.
La fratellanza tra uomo ed uomo può nascere solo nella consapevolezza della reciproca umanità.

 

 

Fonte: http://www.aiart.org/public/web/documenti/Ascolto_empatico_della_coppia_nella_Mediazione.doc

Sito web da visitare: http://www.aiart.org/

Autore del testo: sopra indicato nel documento di origine

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