Fotografia a colori

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Significato dei termini utilizzati nei libri

 

Fotografia a colori

Fotografia a colori [fotografia, dal fr. Photographie, che a sua volta è dall’ingl. Photography, comp. Di photo-, dal gr. Phōto-, der. Di phõs, phōtós, «luce», e grafia, dal gr. -Graphía, der. Di gráphō, «scrivere», colori, dal lat. Color -ōris, «colore»]. La fotografia a colori trova il suo fondamento negli studi avviati fin dall’inizio del xix secolo, sulla teoria del colore inteso come sensazione, ovvero come fenomeno pisocofisico. Da quelle premesse derivò la possibilità di creare i colori mediante la sintesi additiva dei tre colori primari, rosso, verde, giallo, indicati anche con l’acronimo rgb (red, green, blue). La prima notizia significativa di un’immagine fotografica a colori risale al 1810, quando il fisico tedesco t. Seebeck riuscì a registrare lo spettro della luce solare su carta clorurata, senza però essere in grado di fissare l’immagine. Nel 1848 il fisico francese e. Becquerel ottenne immagini a colori con cloruro d’argento. Altre immagini instabili furono realizzate da j. Herschel nel 1840, da l. Hill nel 1850 e da niepce de saint-victor nel 1851 e nel 1867. Le prime immagini a colori conservate fino ai nostri giorni sono quelle ottenute dal fisico scozzese j. C. Maxwell nel 1859, con l’aiuto di un esperto fotografo. Nel 1861 il fisico james clerk maxwell annunciò i principi della fotografia a colori per sintesi additiva e ne diede una prima dimostrazione. In breve, il procedimento consisteva nell’esporre in successione con lo stesso soggetto tre lastre bianco e nero al collodio. Le tre lastre erano quindi proiettate contemporaneamente su un unico fuoco in modo tale che le tre immagini si sovrapponessero perfettamente. Per ogni lastra si impiegava un filtro che era interposto tra la sorgente luminosa e la la lastra stessa, il filtro era dello stesso tipo di quello utilizzato per la ripresa. La risultante del procedimento era un’immagine a colori simile a quella originale. La fedeltà cromatica era limitata, tra l’altro, dal tipo di emulsione a quel tempo disponibile che non era sensibile a tutto lo spettro visibile. Malgrado non disponesse di materiali sensibilizzati cromaticamente e sensibili al rosso, l’esperimento riuscì a causa di una riflessione spuria del colorante rosso presente sul nastro colorato da lui ripreso. Un procedimento simile, basato però sulla sintesi sottrattiva, fu messo a punto nel 1862 da l. Ducos du hauron e descritto all’accademia delle scienze di parigi. Nel 1868 hauron mise a punto un metodo di ripresa a colori utilizzando tre filtri, uno verde, uno violetto ed uno arancio. Hauron utilizzò un metodo di stampa a colori complementari con pigmenti tipografici giustapposti a registro. Nel 1891 g. Lippmann mise a punto un procedimento interreferenziale che gli valse il premio nobel nel 1908, anche se esso non risultò poi di pratico impiego. Il metodo interferenziale di lippmann era un metodo diretto che non impiegava coloranti o pigmenti, ma si basava sul fenomeno di interferenza della luce su una lastra fotografica di vetro pancromatica posta a contatto con una supercie perfettamente specchiata formata da uno strato di mercurio, i raggi luminosi emessi o riflessi dalla scena formavano un’immagine latente soltanto quando il risultato dell’interferenza era diverso dall’annullamento reciproco delle lunghezze d’onda interferenti. In corrispondenza dei diversi gradi di rinforzo, lo sviluppo metteva in evidenza un segno che variava per intensità selettiva delle lunghezze d’onda. Per riprodurre l’immagine originale a colori, la lastra era posta a contatto con uno specchio ed illuminata. In tal modo, sempre per il fenomeno dell’interferenza, attraversavano la lastra in direzione dell’osservatore soltanto le lungheze d’onda che corrispondevano ai colori originali. Il primo procedimento di fotografia a colori destinato ad avere successo commerciale fu messo a punto nel 1904 dai fratelli lumiere. Il procedimento, denominato authochrome (autocromia), si basava sulla sintesi additiva dei coloranti prodotta da un reticolo di fecola di patate colorati. La produzione di questi materiali iniziò nel 1907 e continuò fino al 1934. Nel 1912 rudolph fisher e h. Siegrist brevettarono un sistema che impiegava una pellicola a colori con tre strati, ciascuno dei quali sensibile ad uno dei colori primari, la pellicola, la prima monopacco a colori sottrattiva, incorporava copulanti cromogeni, lo sviluppo era cromogenico. A. Keller dorian nel 1908, pensò di sostituire ai reticoli delle minuscole lenti ottenute per goffratura sul supporto dell’emulsione, che andava esposta attraverso di questo. Un filtro a tre colori fu posto davanti all’obiettivo in modo che ogni lente proiettasse sull’emulsione tre immagini, che furono poi proiettate su uno schermo attraverso il medesimo filtro usato per la ripresa. Nel 1935 leopold mannes e leopold godowsky jr.In collaborazione con i laboratori della kodak inventarono, partendo dalla ricerche di fisher, le pellicole monopacco kodachrome: si trattava di pellicole a colori ad inversione che utilizzano il metodo sotrattivo con copulanti cromogeni inclusi in sviluppi separati. Un’industria tedesca, l’agfa, nel 1936 mise in commercio un’altra pellicola 35 mm a inversione con copulanti cromogeni inglobati nell’emulsione stessa, senza pericolo di migrazione da uno strato a quello adiacente. Nel 1939 l’agfa produsse un film a colori negativo che rendeva posibile un processo di stampa a colori negativo-positivo per impiego amatoriale utilizzando un’opportuna carta fotografica monopacco dell’agfa stessa. Intanto continuò la produzione di stampe a colori con procedimenti al pigmento e poi per imbimbizione di coloranti. Quest’ultimo diede origine alle pellicole cinematografiche technicolor e alle stampe flexichrome, usate fino agli anni sessanta del xx secolo. A partire dal 1941 furono messe in commercio divesi tipi di pellicole a colori: kodacolor, ektacolor, ektachrome, polacolor, cibachrome, polaroid, pellicole a trasferimento per diffusione, pellicole aps. (V. Anche pellicole bianco e nero). Bibliografia: calvenzi 1985, residori 2002.

 

Fonte: http://www.cricd.it/pages.php?idpagina=13&idContenuto=6151

Sito web da visitare: http://www.cricd.it/

Autore del testo: Carlo Pastena C.R.I.C.D.

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