Biliardo

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Biliardo

 

DIZIONARIO DEL BILIARDO

di Ivan Severi

 

 

A Sammy, Bat e Pollo, amici di una vita,
a noi quattro che potremo sempre dire: “Io c’ero”

A Pino Armuzzi, maestro di stile e di vita

 

BILIARDO, BIGLIARDO – L’oggetto del discorrere, visto che è di questo che si andrà a s-parlare. Primo problema: come si scrive? Se dovessi scriverlo io sotto tortura, lo scriverei senza la “g”, ma ho la sensazione che sia corretto anche con la “g”.
Biliardo, dunque, è lo sport delle biglie o bilie (vedi “palle”), consistente nel tentativo di fare più punti dell’avversario durante un partita giocata, appunto, con le palle. I punti si accumulano in due modi: in modo “classico” - quello che dà il senso al gioco - avvicinando le proprie palle (non preoccupatevi!! Continuo ad insistere: vedi “palle”) ad un pallino; e, in aggiunta (ma che aggiunta!) facendo transitare le palle dell’avversario sul castello (non temete! Vedi “palle” e “castello”!)
Il modo di avvicinare le palle al pallino, in pratica il modo di giocare, distingue le due specialità principali in cui si distingue il biliardo: a boccette o a stecca. Nel primo caso le palle si “danno” con le mani, nel secondo si colpiscono con la stecca (a questo punto, è assolutamente obbligatorio per chi legge andarsi a togliere ogni dubbio sullo stato mentale di chi scrive: vi prego, andate sotto a controllare cosa sono le “palle”...) Nel frattempo, scordatevi la stecca e tutte le sue innumerevoli, borghesucce specialità: qui si parla del vecchio, proletario, povero, difficilissimo biliardo a boccette! Ma non di tutto il biliardo a boccette: solo di quello che il sottoscritto conosce da dentro, ossia di quello giocato in bar piccoli e maleodoranti, con giocatori e pubblico competenti il giusto, da giocatori che sono dei gentlemen (il biliardo è sport per “signorini” per eccellenza) solo prima di iniziare la partita, con giocate che sono tutto e il contrario di tutto.
“Biliardo” è, poi, anche il nome del campo dove si gioca questo sport, costituito da un tavolo di materiale legnoso con un ripiano avente un’anima in lavagna, ripiano ricoperto da panno verde dalle varie caratteristiche; alcune tecniche (“biliardo che stringe”, “biliardo che non stringe”, “biliardo che pende”, “biliardo veloce”, “biliardo lento”, “scaffa”, “vasca”, “biliardo del ca...”, …), altre di aspetto esterno (biliardo con panno pulito, biliardo con panno sporco, con panno macchiato, con panno unto, con panno pieno di capelli, …)

BILIARDI NUOVI, BILIARDI INTERNAZIONALI, BILIARDI SENZA BUCHE – Il fosso tra il passato e il presente, nel biliardo, fu scavato nel 1994 o giù di lì. Ma non perché il sottoscritto iniziava a giocare… Si trattò, al contrario, di una rivoluzione dalla base, ossia riguardante il campo di gioco: le buche, e con loro i malefici “sbocchi”, furono riempite; le sponde ammorbidite, in modo da far sì che il pallino colpito in bocciata “tornasse”; le palle divennero più grandi; anche i birilli aumentarono di volume; ma soprattutto i punti di seconda divennero doppi, rivoluzionando le tattiche e accorciando i tempi. Anche l’organizzazione cambiò: dalla politicizzata Arci, che gestiva il principale campionato locale, si passò alla Fibis, una vera e propria federazione!
E tutta la terminologia di un tempo (vedi lo speciale “Amarcord”) è rimasta sulla bocca di molti, quasi a perenne ricordo di quando si era più giovani (e di quando il proprio bocciatore, non in serata, bocciava anche 20/25 pallini prima di riuscire a farlo transitare su quei diabolici birillini…)

SPONDA LUNGA, SPONDA CORTA – Denominazioni ufficiali delle due coppie di sponde che racchiudono il malefico panno verde. Quando si parla tra compagni di coppia è talmente chiaro di cosa si sta parlando che il riferirsi alla sponda lunga piuttosto che a quella corta è superfluo. Dovendo commentare o descrivere il biliardo, quindi nel linguaggio forbito (vedi “Loris De Cesari”), parlare di sponda lunga e corta ha invece molto più senso; ma, se non si fosse ancora capito, in questo dizionario, del linguaggio “alla Loris De Cesari” c’è ben poco…

PROVARE IL BILIARDO – È l’atto con cui un singolo giocatore o una coppia provano, appunto, il biliardo dove dovranno giocare. Se si gioca “sul proprio biliardo”, la prova ha lo scopo principale di verificare che cali e difetti ci siano ancora tutti. Se si gioca su un biliardo per noi nuovo, invece, scopo della prova è di individuare questi difetti, di farvi fronte e quindi, come si dice, di “prendere su il biliardo”. Ci sono giocatori che ci mettono due date a prendere su il biliardo, giocatori che concludono la partita senza averci ancora capito niente (“non ho preso su il biliardo per niente”).
Il modo di provare è personalissimo: c’è chi prova una volta un po’ tutte le palle, c’è chi predilige il punto (“hai visto come stringe?” ci si dice tra compagni di coppia, ed è molto probabile che il biliardo non stringa affatto…), chi tira dei siluri a sette sponde per capire (…) se il biliardo stringe o no, chi prova i calci di braccio. Un po’ tutti, nell’ultimo minuto, provano la bocciata; un vecchio adagio ammonisce che “quando si fanno tanti punti in prova, poi non si fanno in partita”: sarà vero? Sta di fatto che molti, impauriti, invitano il bocciatore a “tenerli per dopo”… In coppia, o si prova insieme, oppure le coppie più fighette provano prima uno e poi l’altro.
Tempo. La regola dice che il biliardo andrebbe provato per 4 minuti o giù di lì; questo, però, è quello che succede SOLO in gara, dove l’arbitro dispone di cronometro (si dice che il tempo lo “chiama l’arbitro”) e segnala l’ultimo minuto di prova (“un minuto!”).
In campionato si assistono, invece, a scene raccapriccianti, con singoli o coppie che provano il biliardo per minuti e minuti, suscitando il nervosismo degli avversari e l’imbarazzo dei compagni. La tensione si rompe quando si ode un “Ai sem?” da parte degli avversari stizziti, oppure un “Si gioca!” da parte di un compagno particolarmente sportivo.

“Provare il biliardo” si dice, infine, anche del diritto riservato agli ospiti, prima di una partita a squadre, dalla squadra ospitante, in segno di ospitalità appunto. Vi sono, in serie C, casi rari di squadre che si presentano in grosso anticipo a provare i biliardi; vi sono casi frequentissimi di giocatori che provano per decine di minuti un biliardo, pensando di fregare tutti, e poi appena iniziata la partita danno una serie di pallacce ignobili…

NON ESSERE SUL BILIARDO, NON STARE SUL BILIARDO – Strana ed equivoca espressione indicante uno stato di apatia nella carriera o semplicemente nella serata di un giocatore, quando o ci si è allenati poco oppure si hanno altri pensieri per la testa. Si dice: “Stasera non sto sul biliardo” oppure “è un po’ che non sono sul biliardo” In realtà, come è facile immaginare, è vietatissimo salire a piedi sopra il biliardo per dare una palla! E direi che la “palla bruciata” sarebbe la minore delle conseguenze… 

CALARE, CALO – Attitudine negativa per eccellenza di un biliardo, dovuta a difetto strutturale o nel panno. Si verifica quando una palla, data teoricamente per andare a finire in un certo posto, verso la fine del suo tragitto devia verso l’interno (“questo biliardo cala in dentro!”) o verso l’esterno (“’sta vasca cala in fuori!”), creando comunque dei danni. Come si è visto, ma sempre teoricamente, un calo andrebbe individuato durante le prove; ma cerchiamo di non pretendere troppo dai giocatori di C…

STRINGERE – Altra attitudine negativa di un biliardo difettoso. Attitudine che porta una palla a riuscire “stretta”, appunto. Un sinonimo, avente nel biliardo un’altra miriade di significati, è “dare” (per intenderci, e per capire subito che aria si respira sui campi di serie C, frasi come “questo biliardaccio non stringe un ca...” e “questo biliardo del ca... non dà una mazza” hanno, più o meno, lo stesso significato…)

SPECIALE “SCAFFE E VASCHE”

Un biliardo che cala o stringe è, quindi, un biliardo difettoso. Ma c’è di peggio: può essere, infatti, che un biliardo “penda di brutto” (una gamba più corta delle altre??) o che sia “lento ammazzato” (di quelli che per andare a punto bisogna spingere da matti, rischiando sempre di “star corti” o di “non arrivare”?).

SCAFFA e VASCA (vedi “Isobar” di Borgo Paglia…) sono le più classiche definizioni di biliardi di qualità infima, la “summa” di tutti i possibili difetti che possa presentare un biliardo; quelli, per intenderci, dove prima di dare una palla è obbligatorio farsi il segno della croce: qui la palla, infatti, non scivola, ma sembra che abbia le gambe…

DARE LA COLPA AL BILIARDO – Classica bassezza dei giocatori di bassa lega. Certo, capita di giocare a volte in certe scaffe che non sono buone neanche da lavarci i panni, ma il biliardo è uguale per tutti, belli e brutti. Comunque, a chi si lamenta dei biliardi con frasi del tipo “Mai zughì in t’un biliardàz acsé” e ha una mezz’ora della sua vita da buttar via, consiglio nuovamente di venire una volta all’Isobar di Borgo Paglia: al peggio non c’è mai fine…

PALLA, PALLE, BILIA, BIGLIE, BIGLIE – Detto del supporto su cui si gioca, è bene tornare subito su un altro concetto-base: ossia che a biliardo si gioca proprio con le palle! Si tratta delle quattro sfere che ha a disposizione un unico giocatore (se trattasi di partita a “singolo”) oppure una coppia di giocatori (nel caso di partita “a coppie”) durante una “mano”. Va detto che un linguaggio ufficiale ci inviterebbe a parlare di “biglia” e “biglie” (tra l’altro, il nome dello sport viene proprio da lì), ma direi che “palla” e similari hanno una diffusione assai maggiore.
Importante. Il verbo che indica l’azione con cui si mette in gioco una palla è “dare”; quindi si dice che a biliardo si “dà una palla”. E’ chiaro che da questa base si passa, a seconda dei casi, ad espressioni del tipo “dare una gran palla” oppure “dare una pallaccia” oppure alla più equivoca “dare una palla del ca...”.

BIANCHE, ROSSE – Il patriottismo, nel biliardo a boccette, è un concetto di poco valore. Sport diffusissimo in Emilia-Romagna, diffuso in qualche altra regione del Nord e del Centro, sconosciuto in pratica nel resto del mondo, il biliardo tentò qualche anno fa di darsi i propri Campionati del Mondo. La fortuna ha voluto che a vincerli sia stato un grande campione (forse il più grande degli anni ’90: Juri Minoccheri), ma il fatto che non ci sia ancora stata una seconda edizione la dice lunga sul successo di iniziative del genere e sulla diffusione delle boccette nel mondo.
Sta di fatto che il biliardo a boccette, sport italico per eccellenza, si gioca su un tappeto verde, con palle e birilli bianchi e rossi! Il pallino blu (giallo nella specialità della “goriziana”) completa il cromatismo di una partita di biliardo.

PALLINO – La nona palla, inferiore per dimensioni e diversa nel colore dalle otto che hanno a disposizione i contendenti. Alla base del gioco, si consultino le voci successive per comprenderne l’importanza e i possibili utilizzi (“nascondere il pallino”, “ho bocciato dieci pallini senza fare un birillo” e tante altre ancora).

PALLINO (2) - Curiosità. Il termine “pallino” è pure usato nel caso di “assenza” di un giocatore/coppia nel tabellone di una gara (vedi “gara”). Se il proprio avversario, in pratica, non si presenta, si dice che si è “avuto il pallino”, si ringrazia, ci si risparmia lo stress di una partita e si va avanti. Ottimo viatico per passare una batteria.

SINGOLO – Essendo ancora alla descrizione delle fondamenta del biliardo, è il momento di affrontare una distinzione che più essenziale non si può. A prescindere dal contesto agonistico, quindi, una partita di biliardo la si può giocare in singolo o in coppia. A singolo si gioca da soli, uno contro un altro e le palle a disposizione sono quattro a testa. Senza scendere troppo nei particolari, diciamo che tatticamente giocare da singolo e in coppia cambia: chi è nato per fare il singolo, infatti, dovrebbe essere teoricamente più dotato di chi gioca in coppia, dovrebbe saper dare un po’ tutti i tipi di palla, dovrebbe rischiare di più e puntare ai punti di seconda. Tutta teoria…

COPPIA – Una partita in coppia, invece, la si gioca due contro due (ma va?!), due palle a testa per giocatore. Nella coppia si distinguono puntatore e bocciatore (vedi), ma i compiti sono intercambiabili. Una buona coppia a biliardo è come una buona coppia nella vita: uno comanda il gioco, e l’altro si adegua. La speranza è che chi comanda il gioco sia effettivamente quello che ne ha un po’ più un’idea…

BOCCIATORE, PUNTATORE – Classicissima, e sempre validissima distinzione tra competenze all’interno di una coppia.
Teoricamente, puntatore è colui che è tra i due è più dotato di valore a punto; e in più, ancora più teoricamente, di visione di gioco, di tattica, di autocontrollo nei momenti caldi. In una coppia con un po’ di verso, dovrebbe essere quello che decide la tattica di gioco, dove mettere le proprie palle, quali soluzioni adottare. È, sempre di regola, colui che dà l’acchito ad inizio partita e che dà le ultime due palle della data. In C, nel 90% dei casi è l’elemento meno giovane della coppia (fu così anche per il mio primo puntatore, Pirìn!).
Bocciatore, al contrario, è colui che è deputato (senza guadagnare una lira, si badi bene…) alla bocciata e che dà le prime due palle della data (si gradiscono “chiodi” o similari). Molto spesso, almeno in C, bocciatori sono giovani prestanti e ciccottari, ma che lasciano un po’ a desiderare a punto.

 

MANO, DATA – Una mano è una delle fasi in cui si divide il gioco del biliardo. Ha inizio con una bocciata e prosegue con l’utilizzo di tutte le proprie biglie da parte dei due (o quattro) giocatori. Alla fine della data chi è riuscito, per volontà o per sghetto, a porre la propria palla più vicina al pallino, ha diritto alla bocciata.

DARE – Fondamentale, vitale verbo del biliardo, senza il quale si starebbe tutto il tempo a guardarsi nelle…palle degli occhi. Semplice: come già detto, a biliardo le biglie si “danno”! Migliaia le espressioni che usano il verbo “dare”: si va dalle equivoche “dare di prima” e “dare di seconda” al “dare la mano” che a fine partita, pensate un po’, si potrebbe dover fare dopo che il nostro avversario ci ha sconfitto “tirandoci (=dando) un calcio”: via la violenza dal biliardo!! 

DI PRIMA, DI SECONDA – Le classi della scuola elementare? Le marce dell’automobile? Misure del reggiseno? Niente di tutto ciò! A biliardo “prima” e “seconda” indicano due modi diversi di dare le palle (eh, sì, si va a finire sempre lì…) Di prima si intende una palla che colpisce un’altra palla prima di qualsiasi sponda, di seconda il contrario. Distinzione fondamentale nel biliardo moderno (una volta, nei biliardi con le buche, non c’era differenza di punteggio), perché ogni birillo fatto o bevuto vale normalmente se abbattuto in seguito a un tiro di prima, vale il doppio nel caso di una seconda. I COLPI (O TIRI) DI PRIMA sono anche detti DIRETTI; i redditizi COLPI (O TIRI) DI SECONDA sono anche chiamati INDIRETTI oppure DI RIMESSA.
Cosa fare, dunque? “Darla di prima” o “darla di seconda”? Beh, una scelta importante, certo. Ma una scelta prettamente di gioco per i giocatori di sesso maschile; una scelta un po’ più critica per le giocatrici donne….

DI BRACCIO, DI STRISCIO – La terminologia del biliardo è fatta di grandi antitesi. C’è il puntatore e il bocciatore, la palla corta e la palla lunga, la bocciata e il punto, e tante altre ancora. Ma se si vuole proprio partire dalla base, si deve distinguere una palla data di braccio e una data di striscio.
Distinzione chiarissima per chi gioca a biliardo, difficilissima da spiegare per chi non è dei nostri. Dunque, ci proviamo. “Di braccio” (Loris e i puristi direbbero “a braccio libero”) si gioca quando la faccia della palla è rivolta verso il panno, la palla è tenuta in mano come si tiene normalmente una sfera e, soprattutto, la palla viene quasi “lanciata” sul tappeto; il braccio è alto e nell’effettuare il colpo la traiettoria disegnata è ampia. Di regola il colpo di braccio è veloce, difficile da controllare. Di braccio si effettuano quasi tutti i colpi violenti del biliardo, dalla “rimessa” e lo “slargare” alla “seconda"; si può andare a punto a due sponde, di braccio (quando di striscio “non viene”), mentre a tre sponde si va sempre di braccio. È riconosciuto, invece, che la bocciata d’acchito si può effettuare di braccio, di cricco o più raramente, di striscio; un calcio, infine, lo si può dare sia di braccio (“um fà un bèl mang: mè ai dàg ad bràz!”) che di striscio (“dacci di striscio, che rischi di meno!”)
Ecco, in questa tipica frase detta da un giocatore in ansia al proprio compagno indeciso sul tipo di calcio da effettuare, è una delle differenze tra un colpo dato di striscio e uno dato di braccio. “Di striscio” si rischia di meno, la velocità è più bassa e il controllo maggiore; la palla è appoggiata o quasi appoggiata sul panno e viene accompagnata dalla mano, il corpo aderisce al biliardo, il braccio è basso e quasi lo tocca. Di striscio si danno il 100% dei punti nel gioco alto, il 100% degli acchiti, il 90% dei punti ad una o due sponde, il 50% dei calci, tutti gli “striscini” (ovviamente) e le “scatoline”.
Ma attenzione: questo per un giocatore “normale” (in questa categoria rientrano, solo per questa volta, sia i giocatori forti che i giocatori di nuova generazione, giovani). C’è poi una ristretta categoria (composta da qualche vecchietto e qualche quarantenne autodidatta) di fenomeni, che giocano TUTTE le sante palle di braccio!
Ehm beh, nessuno si lamenta, nessuno mi critica dicendo “come, solo di striscio e di braccio: e le palle ad effetto?!??!?” Ma a questi signori dico: “ma siete mai venuti a vedere una partita di C o una gara di terza? Vedete sotto, va là, che ho messo anche le palle a effetto, noiosi!

GIOCATORE A TUTTO BRACCIO - Va aperta una piccola parentesi per questi nostalgici del bel gioco, razza in via di estinzione, reperto fossile del vecchio biliardo con le buche giocato nei dopolavori delle stazioni. Chi ha giocato anche solo per una volta a biliardo (e ne abbia un minimo di idea) sa bene la perdita di valore che si ha dando una palla di braccio anziché di striscio. E invece questi pazzi danno tutto di braccio, dall’acchito e tutte la palle a punto (per bocciare, ovviamente, il pallino non lo mettono di braccio: ma magari un giorno mi capiterà di vedere un giocatore che lo fa!!) Tutto di braccio, dunque. Solo quando il gioco rimane alto, una ruga gli riga il viso: devono dare una palla di striscio, aiuto! E allora li vedi, goffi e impacciati, a dare, con immane sofferenza, la loro palla di valore (sbagliata...)
Ma se Madre Natura li ha dotati anche di un po’ di talento, è uno spettacolo guardarli, questi giocatori che più “classici” non si può: il gioco arioso è il loro pane, e spesso non disdegnano le palle a effetto. I risultati, salvo qualche raro fenomeno che la naftalina preserva dall’usura del tempo, sono deprimenti; ma, in assenza di cosce nei pressi dei biliardi, diciamo che con i giocatori a tutto braccio è vero il detto che “anche l’occhio vuole la sua parte”.    

PALLA AD EFFETTO – Il terzo incomodo, la palla fantasma, l’errore rispetto alla palla di striscio o di braccio. Iniziamo dicendo che non ho mai capito se la palla ad effetto si chiama così per l’effetto particolare che le viene fatto prendere o per l’effetto (sorpresa, ammirazione) che dovrebbe creare in chi guarda… Mah, quando ne do una io, nessuna delle due…
Comunque, dicesi palla a effetto una palla data a braccio alto, ma con la bilia che rimane aderente al tappeto per tutto il suo vagare (a caso…) per il campo. Due o tre dita tengono la palla e la fanno frullare (qualcuno dice anche “la do di frullo”) verso una meta che, dopo tre o quattro sponde, dovrebbe essere nei pressi del pallino. Palla a punto, quindi, e questo vi basti: non sto qui a dilungarmi su effetti ed effettini, tanto non ci capireste niente e tanto di palle a effetto nei bassifondi della C se ne vedono ben poche. Quando? Beh, c’è qualche puntatore che ne conosce i segreti, qualche singolo che ne fa uso (alcuni, abuso), qualche fenomeno che le usa come il salame in mezzo al pane. Gli altri? Guai! Terrore, superstizione, apprensione; sembra che la palla a effetto nessuno la sappia dare, almeno in gara (qualche schifezza, in partite di prova, la si prova, appunto). Ed è un vero peccato perché, come ammonisce un vecchio adagio, “la palla a effetto fa sempre gioco!”.  

DARE UNA PALLA DA DENTRO, DA FUORI – Termine di improba difficoltà nel venire spiegato. Rinuncio. Un invito a provare a giocare, una volta: già alla prima partita capirete che differenza c’è tra dare una palla da fuori e darla da dentro (fermo restando che, in molti biliardi, certe palle “da dentro non vengono”...)

ACCOSTO – Voce dotta (cara al Presidente Loris De Cesari, ma a parte da lui, usata da nessuno) che sta semplicemente ad indicare l’ ”andare a punto” (usata da tutti). Pochi, purtroppo, sono i punti ottenibili col gioco d’accosto: due per una palla vicina al pallino, tre per due palle, quattro per tre palle, otto per tutte e quattro le nostre palle vicine al pallino. Parte non violenta ed essenziale del gioco del biliardo, l’accosto divide i giocatori in “buoni” o “scarsi”: il resto, la parte violenta con calci e bocciate, con l’entrata in scena di “sghettari”, “tiratori” e altri brutti ceffi, conta poco (eh, magari…)

VALORE – Il valore è la prima qualità che deve possedere un giocatore di biliardo, non si scappa. Le correnti di pensiero sono numerose come i punti di una partita ai 90, ma non c’è pezza: uno può fare quanti birilli vuole, può avere la visione di gioco che vuole, può essere freddo quanto vuole, ma finché non ha un buon valore si può scordare di vincere…
Lo si potrebbe definire la capacità che ha ognuno di avvicinarsi il più possibile al pallino, di giocare bene a punto, in poche parole. Uno il valore può averlo avuto da Madre Natura (si dice che “ha il valore”), può costruirselo con l’allenamento (si dice che uno “ha messo su un gran valore”) oppure può perderlo del tutto in parte (“non ho più il valore di una volta, puttana troja!”).
Ma “valore” è anche riferito alla palla stessa; si dice, infatti, “palla di valore” quando il punto è preso proprio con una precisione millimetrica.
Infine, come di tutte le espressioni che trovate su questo dizionario, esiste una versione ironica, perché il vero biliardista di serie C è ironico con se stesso. Quindi, quando il gioco è stretto e non si bolla mai al mondo,  bisogna dire: “Arrivo di valore!” e poi si può scagliare un siluro pazzesco per far saltare via tutto quello costruito nel frattempo dall’avversario esterrefatto. Un buon “seghetto” e la bollata condiscono il piatto di questo colpo che, vi assicuro, riuscirà molto indigesto al vostro nemico…

BOLLARE, SEGNARE, PRENDERE IL PUNTO – Verbo positivo del biliardo. Si dice che si “bolla” o si “segna” o si “prende il punto” quando si riesce a far sì che una delle proprie palle sia la più vicina al pallino. Quando questo non avviene per parecchie date di fila, vuol dire che l’avversario ci sta “uccidendo al punto” e si dice che “non si bolla mai”; ed è proprio in questi frangenti poco simpatici che il proprio compagno potrebbe ammettere: “An bulém mai…”.  Quando, invece, la palla di un avversario è talmente vicina al pallino da scoraggiare anche il tentativo più ardito di bollare, è bene ammettere: “An bulém piò…” E magari tirare, a seconda della disponibilità del momento, una “cagna” oppure un “sasso” oppure una “seppia” o magari una “razza”: tenendo conto che c’è chi a volte ha “una lucertola in tasca”, si capisce bene come, nel biliardo, è sempre bene portarsi dietro qualcosa da casa, per le situazioni di emergenza…

SPECIALE “ANIMALI SUL BILIARDO”

Gli animali, nel biliardo, di solito compaiono durante le fasi più “violente” del gioco, quelle dove non si va al punto, per intenderci. Ma visto che sono stati chiamati in causa, diamo una prima occhiata ad alcuni componenti di questo piccolo parco naturale del biliardo.

RAZZATra gli animali del biliardo, uno tra i più diffusi. Dicesi di colpo di braccio di seconda, dato con scopi bellicosi da realizzo, avente le fattezze di una candela veloce, poco taglio e poche speranze: rientra, cioè, nel novero dei colpi che ti riescono una volta nella vita, e quindi nella categoria dei “seghetti”. A volte, impropriamente, si dice “razza” anche una palla per allargare, e in questo caso è imparentata anche con la cagna, il SASSO e la seppia.

CAGNA – La cagna rientra tra gli animali benvoluti dal biliardista. Trattasi di termine dal significato doppio: da un lato, infatti, si dice (anche) cagna una palla veloce, data per allargare. Ma la cagna in senso stretto sarebbe da considerare una palla data di valore, in special modo all’inizio della mano, che costringerà con ogni probabilità l’avversario ad andare via con due (magari tre) palle.

CANE, CANE DA PAGLIAIO – Sport maschile per eccellenza, il biliardo non poteva certo tollerare che ci fosse una “cagna” e non ci fosse un “cane”! Animale diffusissimo nel gergo del nostro sport, può indicare, pensate un po’, sia un avversario particolarmente fortunato (“mi chiavato, ‘sto cane!) sia uno particolarmente benevolo (“l’ha zughì cum’un chén…”). In ogni modo si rientra nel novero delle giocate che definirei “con palle a spigolo”, per usare un eufemismo. Infine, ricordiamo che se la malattia che tramuta in “cani” è particolarmente grave, da cani è facile trasformarsi in “cani da pagliaio”, infimo appellativo per giocatori che hanno sbagliato sport…

SEPPIA, LUCERTOLA – Altri esseri viventi che, a volte, fanno la loro comparsa durante una partita. A Pavolucci Mario (“Buraciòun”) del Gabs Settecrociari si deve probabilmente l’invenzione dell’espressione “avere una lucertola in tasca”, stante ad indicare una serata di particolare buona vena (con colpi anche fortunosi) di un biliardista. “Seppia”, invece, è tendenzialmente riconosciuto come un colpo veloce da slargo.

LIMARE AL PUNTO, PITTURARE, MANGIARSI IL PALLINO, STRINGERE A PUNTO – Qualità supreme nel giocare all’accosto e caratteristiche tipiche del giocatore “punto e battuta”. Sta ad indicare, semplicemente (anche se è più facile a dirsi che non a farsi) l’andare con le proprie palle sempre vicini al pallino. Il valore è la caratteristica che contraddistingue questi (rari in C) personaggi.
Tra queste espressioni, la più colorita ma anche quella forse un po’ più antiquata è quella di “pitturare” (soprattutto ai tempi dell’Arci un grande puntista era detto un “pittore”) “Mangiarsi il pallino” invece è espressione usatissima, selvatica e culinaria. “Stringere a punto”, infine, ha valore meno forte, e significato un pochino diverso: nel senso che la palla la si dà per il punto (“boccio??” “No, stringi al punto!” è lo scambio di battute tra due compagni che vedono la data in maniera diversa), ma non è detto che i risultati siano così buoni…

PUNTO STRETTO, PUNTO LARGO – È incredibile ma, dopo che per secoli milioni di matematici si sono scervellati per trovare delle dimensioni al punto, va detto che nel biliardo il punto…ha la sua “dimensione” ben precisa! Può essere, infatti, “stretto” o “largo” a seconda che la distanza tra la bilia che sta bollando (e le altre lì nei pressi) e il pallino, sia minore o maggiore. Se il punto è largo, niente vieta di tentare l’accosto per mettere altre palle a punto o tentare di bollare; ma se il punto è stretto… Eh, in questi casi si arma il braccio e pum! Un bel siluro secco e sicuro contro l’ammassamento improprio e passa la paura.

PRIMA PALLA – Una delle prime cose che vengono insegnate ad un giovane che inizia a giocare è, semplicemente, che “la prima palla è fondamentale”. Anzi, parafrasando la celebre frase di Arrigo Sacchi, si potrebbe dire che nel biliardo per vincere ci vuole “occ, pazìnzia, bus de cùl…e préma pala!” Perché? Ma perché è la prima palla che si dà dopo la bocciata dell’avversario: se ha fatto i birilli, serve per metterlo sotto pressione e non farlo andar via liscio; se viene da una bicicletta o comunque una bocciata senza birilli, è un ottimo modo per incattivirlo ulteriormente. Come difendersi da un’ottima prima palla? Beh, a volte “basta allargare”, ossia toccare anche di poco l’incastro, in modo che si crei il buchino (oddio!!) che poi noi o il nostro puntatore possono riempire (profittatore!) “T’è fàt a sa”, “non hai fatto poco” dice, infatti, un puntatore al proprio bocciatore che ha almeno mosso.
Avete capito, no? Pensate: la prima palla è talmente importante, soprattutto ai nostri livelli, che se un bocciatore fa tanti birilli ma poi “mette delle prime palle del ca...”, va a finir male. I misteri del biliardo…

CHIODO, CHIODINO – Come il chiodo fissa due oggetti l’uno all’altro, così il chiodo, nel biliardo, deve in teoria mettere al sicuro la data, assicurarci cioè la bollata. In che modo? Semplice: dando una palla talmente attaccata al pallino che neppure una martellata la possa spostare! Questo è il chiodo (o chiodino o ciudéla), che risulta essere molto utile a inizio data (dopo l’acchito dell’avversario), ma soprattutto produce i suoi effetti più deleteri quando un avversario lascia il buco tra la propria biglia e il pallino: ecco quel buco va riempito, quello è il momento di “metterci un bel chiodo”!

STRINGERE – Ma è ora di passare alle palle…quadrate (!!), ossia a quelle che presentano difetti più o meno seri.
Difetto tra i più deleteri è proprio quello di stringere, con ovvio risultato di produrre una palla stretta. Si può stringere per errore per effettivi limiti tecnici oppure per colpa del biliardo (vedi “dare la colpa al biliardo”) che, tra i suoi difetti, può avere anche quello di stringere. Quando, al contrario, si dà un palla larga, è bene prendere bene le misure e tentare di “stringere di più”. Un invito in tal senso può anche venire dal compagno di coppia che, con tono alterato, non è raro che ci intimi fra i denti “strénz, puténa vàca!!” oppure “at l’avéva dét che un strinzéva par gnìnt!”

ESSERE, STARE CORTO – Con la contraria “essere lungo” rappresenta un altro dei difetti peggiori nel dare una palla. Si vedano le voci corrispondenti “palla corta, palla lunga” e si cerchi di dare la giusta forza alle palle, per piacere!

ANDARE VIA CON DUE (O TRE) PALLE – Stranissima, equivocissima e diffusissima espressione del biliardo, rientrante nella ricca categoria dei concetti negativi. Diciamo subito che non ha niente a che vedere con la (remota) possibilità che un giocatore (uomo, a questo punto) che si presenta a giocare una partita nella normalità delle sue doti virili, se vince magari si porta a casa un’extra…
Niente di tutto ciò. È se si sostituisce ad “andare via” un verbo tipo “sprecare” (più biliardistico: “strusciare”) che si ottiene un significato che si avvicina all’originale, in quanto “andare via con due (o tre) palle” significa dare appunto due o tre palle senza mai prendere il punto (vedi “bollare”). Una buona regola del biliardista dice che se si va sempre via con due o tre palle, e poi l’avversario ci fa un sedici di sghetto nell’allargare, non ci si deve lamentare. Dirsi è facile, farlo meno…

VENDERE, VENDERE IL PUNTO – Il biliardo non è uno sport con fini di lucro. Si arriva alla partita poveri e, nel 99% dei casi, si torna alla propria casina povero come prima. Quindi nel biliardo non c’è commercio, non si compra e non si vende: quindi, chi ha istinti affaristici, è meglio che non giochi a biliardo…
“Vendere”, infatti, significa regalare il punto all’avversario (si “vende il punto”, perciò) quando il punto stesso è nelle nostre mani e l’ultima palla l’abbiamo proprio data noi. Fare harakiri, insomma. Ma a questo, che è già un danno, si aggiunge matematicamente la beffa perché, come dice una regola vecchia come il mondo, “punto regalato, filotto assicurato” (cioè, se si regala la bollata, l’avversario fa i punti in bocciata, di sicuro!) È la regola non scritta più importante del gioco, e quella più matematica: l’avversario cui si è ceduta la bocciata, infatti, magari uno che i birilli non sa neanche cosa siano, state pur certi che vi farà di sicuro filotto o dieci! Questa regola è talmente radicata che pur di non vendere, come vedremo meglio, c’è gente che per “stare dalla parte del sicuro” con l’ultima palla sta anche “corto di un metro”…
Invece, chi vuole troppo (“per mettere due palle, ho venduto!”) è a grosso rischio di vendere; ma non è detto che si venda sapendo a cosa si va incontro: c’è gente che vende perché è semplicemente talmente abituata a “tirare sempre” che di una bollata in più o in meno non se ne fa molto. Beati loro…

SPECIALE “LIME E RASPE”

PALLA CORTA, PALLA LUNGA – Classica differenziazione fra tipi di palle, entrambe – diciamolo subito – negative; si può affermare che chi dà di continuo palle corte (si dice “essere corto” o “stare corto”) o lunghe, non ha il valore, e neppure una gran carriera davanti…
Corta è una biglia che “non arriva”, ossia che si ferma prima di avvicinare il pallino (o un’altra palla); una palla inutile, insomma. “Mai corto!” oppure “Arriva!” (ossia: “La palla corta non fa mai gioco, bisognava arrivare!”) è a questo proposito un’esclamazione assai frequente sulla bocca di un puntatore il cui compagno è scarso, oppure di un singolo troppo autocritico.
Lunga è, al contrario, una biglia che eccede in forza (leggasi: velocità). Dando palle lunghe si rischia di vendere e, dato che se una palla è lunga si vede subito, non è raro vedere gente che batte le mani sul biliardo per rallentarla (sogno..) oppure gente che dice “frena!” (eh, come se si potessero frenare, le palle!).

PALLA STRETTA, PALLA LARGA – Altra fondamentale differenziazione di palle e, come nel caso di quella lunga o corta, anche in questo caso si tratta in entrambi casi di…palle sbagliate!
Se è difficile spiegare sulla carta la differenza tra una palla corta e una lunga, ancora di più lo è per questi due tipi di palle. Vediamo un po’ se Pitagora ci viene in aiuto: dunque, dicesi “stretta” una palla (data a non meno di 2 sponde) la cui traiettoria disegna un angolo inferiore a quello ideale; ossia, che va finire “un po’ più in qua” del pallino. “Larga” è, al contrario, una palla dall’angolo eccessivo, una di quelle che va a finire “un po’ più in là”. Chiaro, no?
Innumerevoli le frasi che accompagnano una palla larga o corta; una per tutte: “T’è strét?!” quando si è, appunto, appena dato una palla disgraziatamente stretta e magari era quella che ti avrebbe permesso di bocciare per “andar fuori”. Un significato affine, ma sottilmente diverso, hanno le espressioni sorelle di “palla stila” e “palla grossa”.
Comunque, per tagliar corto, si sarà capito che, a biliardo, una palla meno aggettivi ha e meglio è!!

PALLA SOTTILE (“STILA”), PALLA GROSSA – Espressione simile alla precedente, ma non uguale; la differenza, lo premetto, riguarda un fine concetto geometrico: quindi, chi è allergico a questa materia, passi pure alla voce successiva… Dunque, dicesi “grossa” una palla data a un’unica sponda (qui la differenza con la corrispondente “stretta”) che va “un po’ più in là” del dovuto; capito, no? “Sottile” (o, molto più spesso, in dialetto: “stila”) una palla col difetto opposto. Quindi possono risultare grosse o stile delle seconde, delle candele sterzate e via dicendo (si rimanda alle rispettive voci).

LISCIA – Classica palla di scarso profitto, data con l’intenzione di colpire qualcosa e invece persasi via “liscia come l’olio”. Anche se la porzione di palla o pallino colpita è molto scarsa, si può parlare di palla liscia. Una volta la Gialappa’s aveva inventato il “Vai col liscio!” a “Mai dire gol”, accompagnando i lisci dei giocatori con la musica di Casadei: ecco, nel gioco romagnolo per eccellenza non poteva mancare un omaggio al Maestro.

PALLA CIVETTA – Animale palloso per eccellenza, la civetta è diventata…una palla! Dirò la verità: ne ho sentiti talmente tanti, di significati di “palla civetta”, che non mi ricordo neanche più se ne ha uno buono per tutti. Un mio vecchio e forte compagno di coppia dei tempi andati, Claudio Benini, chiamava “civetta” una palla di braccio, studiata molto ma poi data alla ca.... Ecco: per me “palla civetta” è una palla così.

PALLA SALTERINA – Le palle devono strisciare sul biliardo, non c’è verso. Una palla data di braccio deve cadere dall’alto ma poi, fatto uno o due saltelli, deve strisciare anch’essa.
Ma esistono palle che si ribellano a chi le ha date, e…saltellano per il biliardo! Succede il più delle volte quando viene giocata una bilia di braccio, mal calcolando la distanza tra i saltelli “fisiologici” e la sponda; la quale funziona un po’ come trampolino da lancio, e fa rimbalzare ancora la palla, che perde il controllo, stringe alla maledetta e puntualmente va a far danni.

PALLA BRUCIATA, PALLA FUMATA – Prototipo delle palle negative e quindi del biliardo di bassa lega. Questa le batte tutte, giacché…deve venire tolta dal gioco! Vi sono, infatti, nel biliardo dei colpi proibiti (e ci, credo, si parla di palle...), che portano automaticamente ad eliminare dal gioco la palla incriminata e a bere i birilli che eventualmente dovessero cadere (“lasciala andare!” e “tutti bevuti!” sono due espressioni per le quali la lunghezza della spiegazione supererebbe di troppo la frequenza in partita).
Come si fa a bruciarsi una palla? Succede nei seguenti casi: la biglia tocca prima di ogni altra cosa una palla posta al di sotto della linea di metà campo; la biglia abbatte un birillo prima di toccare qualsiasi altra cosa; la biglia esce dal campo (in questo senso la palla salterina è altamente a rischio); si tocca con la maglia o qualsiasi altra parte del corpo una palla che non è la nostra; si scaglia completamente d’acchito (caso raro, quasi da ricovero…) La bruciatura di una palla viene solitamente accolta con velato sentimento di nervosismo da parte dei propri compagni di squadra.
Si capisce, quindi, che la data la si può terminare con tre palle (con due è rarissimo, da ricovero); meglio ricordarsi bene se un avversario si è bruciato una palla: cambia la strategia (quante volte si sente dire “ah, perché, non ne hai più?!” da giocatori distratti che hanno fatto un certo gioco pensando che l’altro avesse ancora una palla da dare…)
Un’annotazione linguistica, per finire. In alcuni ambienti (direi soprattutto nel Riminese) i punti bevuti si dicono “fumati”; confondendo, così, Bacco e Tabacco. Ma anche una palla bruciata dicono che è “fumata” (e già qui è tutto più chiaro): ma da quelle parti si fuma proprio di tutto!

BATTERE – Equivoco verbo di strada, avente nella lingua italiana una miriade di significati. Nel biliardo è l’azione del toccare la sponda da parte della palla che si è appena data. “Batti tra buca e brocca!” suggerisce un giocatore al proprio compagno, infischiandosene del fatto che le buche le hanno ormai murate da più di 10 anni…

SBRACCIARE – Simpatico detto del gergo biliardistico, indicante l’azione di allungarsi col braccio il più possibile sfruttando al massimo la propria apertura alare. Alcuni biliardi, stringendo poco, necessitano di sbracciare molto; in altri, occhio a sbracciare troppo, perché c’è anche il caso di andare a bere!

BROCCA – Giocatrice dagli scarsi mezzi tecnici. Apro una parentesi sul gentil sesso nel biliardo: poche giocatrici, solitamente imparentate con giocatori di alto lignaggio, mediamente non delle modelle, ma non si sa perché tutte con delle gran tette.
Ecco, ci siete cascati, sempre a pensare alle tette!
“Brocca” è, in realtà, ognuno dei piccoli puntini o rombi bianchi posti sulle sponde superiori del biliardo, utili a calcolare le traiettorie da far disegnare alla propria palla. Marino Fabbri, artista del biliardo da sempre in forza al Gabs Settecrociari, sostiene che le brocche andrebbero tolte, perché uno deve farsi guidare dall’istinto; eh, buona questa… (ci sono giocatori che quando giocano nel bar e il sole, radente, non ti fa vedere le brocche, mettono un birillo in brocca, per aiutarsi a fare le traiettorie!) 
Nel gergo, per dare indicazioni al compagno di coppia sul dove far battere la palla, si può dire “vieni in brocca” oppure “batti un po’ prima della brocca”; per giustificare una pallaccia che si è appena data e dare la colpa al biliardo, invece, si può ricorrere all’espressione “eppure l’ho data in brocca”…
Ma con il termine “brocca” si indica anche, precisamente, la “brocca del mezzo” (altro termine in uso) superiore; il posto dove si posiziona il pallino che si è appena malauguratamente bruciato: si dice pertanto che il pallino “si mette in brocca”. 

GIOCO SU, GIOCO ALTO – Dicesi quando il pallino rimane nella metà superiore del biliardo, ed è lì che ovviamente va diretta la propria biglia. È frequente che il proprio compagno di coppia ci chieda di “attaccare (la palla o il pallino) a sponda”. Spauracchio per molto giocatori vecchio stile (specialmente per quelli a tutto braccio) il gioco alto è invece un ottimo modo per guadagnare palle di vantaggio oppure recuperare quella che eventualmente si è persa. Occhio ai calci, però!

MANDARE SU – Colpo intelligente di difesa, consistente nello spingere una o più palle, sparse in posizione pericolosa nella parte alta del biliardo, verso la sponda superiore, il più possibile attaccate. Obiettivo: evitare i colpi indiretti.

PORTARE GIÙ – Atto opposto, con palla e pallino spinti sotto la riga di mezzeria. Obiettivo: evitare i colpi indiretti.

CANDELA – Ai giovani che si avvicinano al biliardo (spesso con un bicchiere di birra o coca, rischiando così di macchiare il panno, o peggio con una paglia in bocca…), dicevo che ai giovani che si avvicinano al biliardo bisognerebbe insegnare, per prima cosa, la candela. Trattasi del colpo più semplice che esista, ottenuto partendo da un punto, facendo sbattere la palla sulla sponda alta e facendola ritornare da dove è partita, senza sterzate (vedi “candela sterzata”) o altri trucchi. Spesso bistrattata, andrebbe usata più spesso perché, come la palla a effetto, “fa sempre gioco”.

PALLA DI TAGLIO – Tipo di pala dato facendo disegnare alla propria biglia una traiettoria a taglio sul panno, ossia un triangolo assai acutangolo con vertice alla sponda superiore e al centro il castello. Chiaro, no?

CANDELA STERZATA – Parente povera, ma più usata, della candela, è l’applicazione più tipica della palla di taglio, tanto da risultarne quasi un sinonimo.
Ecco, adesso se qualcuno ha capito che cosa cacchio ho scritto in queste due ultime voci, mi chiami pure, perché io non ci ho capito una mazza, anzi una stecca!

BIRILLI, OMETTI – Gli amati e odiati compagni di ogni giocatore di biliardo; per i bocciatori, quasi un incubo da esorcizzare a colpi di bocciate. In numero di cinque, compongono il castello e sono di due colorazioni diverse: rosso il centrale (dal valore di 4/8 punti se abbattuto unitamente ad almeno uno dei bianchi, di 5/10 se abbattuto da solo), bianchi i periferici (2/4 punti il loro valore). I birilli (ometti è espressione di identico significato, meno usata ma sempre molto diffusa) si “fanno”: se è una serata che “si boccia”, si “fanno un sacco di birilli” o si “sbirilla di brutto”; se, al contrario, è una di quelle serate che non ci si prende, si dice che “non si fa un birillo”. Ogni birillo, a seconda del frangente della partita, ha il suo valore; un semplice birillino, quasi inutile ad inizio partita, può diventare vitale alla fine: ad esempio, se si va a bocciare a 68 (coppia) o 78 (singolo) si dice che si boccia per “fare il birillo”. Tranquilli, avversari: la percentuale di errore in questa all’apparenza facile bocciata è molto, molto alta!

CASTELLO – Insieme dei birilli posti al centro del campo di gioco i quali, in numero di cinque, disegnano vagamente una figura di maniero medievale. La frequentazione del castello, luogo da signori e privilegiati, è tipica dei grandi bocciatori, mentre diventa sempre più saltuaria man mano che si scende di categoria. Per uno come chi sta scrivendo, ad esempio, “passare dal castello” anche due volte in una partita è buono. L’importante è passarci per la porta principale (vedi “filotto”) e non da quelle laterali…

SPECIALE “COCA E RUM”

BERE –  Vizio supremo del giocatore di biliardo! Ancora più grave del “vendere”, concerne la parte realizzativa, violenta del gioco; ma non c’è pericolo di rischiare l’etilometro: si bevono dei birilli, pensate un po’…  In pratica, si dice “bere” quando, mandando una propria palla sul castello, si regalano punti agli avversari.
Come già detto, nel Riminese risulta più diffusa la voce “fumare”. A questo punto non si capisce perché, se è vero che “Bacco (=bere), tabacco (=fumare) e Venere (=…-> censura) riducono l’uomo in cenere”, nel biliardo i vizi si siano limitati al bere e al fumare. In effetti, non ho mai sentito nessuno parlare di “punti scopati”…

BERSI LA CASA – Bere smodatamente, specie in seguito a tiro della disperazione o della fase detta “darsi alla macchia”.

INFILARSI NELL’EBI – Agreste, rara espressione indicante la bevuta copiosa. Sinonimi sono “bersi la casa” e le aeroportuali imbarcarsi”, “prendere l’imbarcadero”,” your boarding card, please!”

BERE COME UN CANARINO – Bere parsimoniosamente, usato in partite di prova (guai a usarlo in gara, dove certe cose è meglio tenersele per sé…) sia in senso risentito (quando il proprio avversario beve 2 o 4 punti e ne avrebbe dovuti bere almeno 16) sia in tono canzonatorio (quando il 16 l’avversario-amico l’ha bevuto sul serio…)

ACCHITO – Prima giocata dell’intera partita. Finite le prove, posti i birilli sul castello, i due giocatori (o i due puntatori delle coppie) prendono una palla a caso e la danno, di striscio (ma i giocatori “a tutto braccio” danno di braccio anche l’acchito!) a candela, semplice a una sponda. Chi avvicina di più alla sponda inferiore ha diritto di scegliere il colore delle palle e a bocciare per primo. Quindi si dirà: “bianche!” o “rosse!” oppure qualcosa che non andrà molto lontano dal “prendo le bianche” o “prendo le rosse”. In coppia, molte volte si assiste alla manfrina del compagno che ha vinto l’acchito che chiede all’altro: “Quali vuoi?” Il bocciatore sceglie, e dà inizio alle danze: un bel 10 o un filottino sono un bel modo per cominciare.
Il biliardo è sport fatto anche di superstizioni e di tic. La scelta delle palle dovrebbe essere al di fuori di questi discorsi, ma c’è gente per la quale è più importante vincere l’acchito per scegliere il colore delle palle piuttosto che per bocciare per primi…

Per finire, va detto che “acchito” viene spesso anche usato per indicare il tipo di bocciata che si effettua all’inizio della data, la bocciata propriamente detta (si dice perciò BOCCIATA D’ACCHITO). Questo per non confonderla con la bocciata di rimessa, che comunque è conosciuta semplicemente come “rimessa” e si effettua immancabilmente a metà data.

BOCCIATA – Momento essenziale della partita di biliardo, esattamente essenziale quanto l’andare a punto o accosto. Solo con una piccolissima differenza: che se uno non è capace di andare a punto o se l’è momentaneamente scordato (ci sono, quelle serate che “non se ne dà una”), si può anche scordare di bocciare.
La bocciata di cui stiamo parlando è la bocciata in senso stretto (altrimenti detta “acchito”), ossia il colpo con cui chi vince una data (ossia ha bollato) dà inizio alla data successiva. Diversa, anche se sempre bocciata, è la rimessa, che si effettua nel bel mezzo di una data (sia per acchito che per rimessa vi invito a consultare le rispettive voci).
Ricapitolando, vinta la data, un singolo (oppure il bocciatore di una coppia) prende in mano il pallino, attende che gli altri giocatori si cavino dal mezzo, si concentra (poi c’è chi si tocca i maroni, chi si asciuga le mani nei luridi asciugamani per dei minuti, chi guarda il compagno – che non ti guarda indietro mai, chi trova da dire col pubblico, chi si soffia il naso), beh, insomma, trascorso il tempo che ci vuole, si procede alla bocciata.
Modalità di esecuzione: di braccio, di cricco, di striscio. Di braccio bocciano i giocatori detti “classici”, ossia quasi tutti i giocatori di C sopra i trent’anni (tutti gli over 60), più alcuni fenomeni di A e B; più la categoria cala, più il controllo del colpo è scarso e il rischio di bere è esso stesso un classico! Di cricco, invece, bocciano: qualche volenteroso over30 di C, quasi tutti i giovani di C, quasi tutti i giocatori di A e B, tutti i fenomeni. Il controllo e la percentuale realizzativi sono altissimi nelle categorie alte, alte in C fino a quando la partita si mantiene sui 50-60 punti; da verificare per i giovanotti di C quando il pallino comincia a scottare… Di striscio, infine, boccia qualche sparuto fenomeno di altissimo lignaggio. 
Obiettivo, sempre: fare i punti, ossia mandare il pallino nel castello. Punteggi. Un birillo: 2 punti (“fare due”); due birilli: 4 punti (“fare quattro”); il rosso centrale: 5 punti (rari in bocciata, vedi “sghetto”); tre birilli bianchi: 6 punti (“fare sei”); tre birilli centrali: 8 punti (“fare filotto”); quattro birilli bianchi: 8 punti (“fare otto”); cinque birilli: 10 punti (“fare dieci”); tutti i birilli: 12 punti (“fare dodici” oppure “fare strike” nelle telecronache di Loris De Cesari).
Premio per una bocciata con punti: un incitamento dei compagni (a volte anche dei tifosi, quelli che non si sono addormentati) (vedi “Speciale” specifico).
Da evitare: la bevuta o la fumata, spesso conseguenza del rimpallo. Punizione, in questo caso: sempre da parte di compagni/tifosi, si può avere una frase di circostanza/presa per il culo del tipo “la bocciata è sana” (se aveva la parvenza di una bocciata), oppure il silenzio più gelido oppure i più vari gesti di disapprovazione, disprezzo o odio.
Eseguita la bocciata, si inizia ad andare a punto (o a tirare, se la partita è compromessa, o si ha fretta di andare a casa perché è tardi e la partita non conta più un ca...…) Nel caso in cui i punti realizzati o bevuti portano alla conclusione della partita, ci si dà la mano, cosa sportiva ma antigienica per eccellenza (e come potrebbe essere da meno, dato che la cosa più pulita che tutti toccano sono le palle…non parliamo poi degli asciugamani, lerci per eccellenza).

FILOTTO – Il vero, primario obiettivo di chi boccia. Se dopo vengono anche i dieci o i dodici, tanto meglio; ma intanto se si “passa dal filotto” è già un buon segno!
METTERE BUONO IL PALLINO, BRUCIARSI IL PALLINO – La bocciata è una gran cosa. Ma per poter bocciare bisogna mettere buono il pallino, ossia posizionarlo sopra la riga di mezzeria. C’è chi lo mette di striscio, c’è chi lo appoggia (più finemente) con due dita; c’è chi lo mette lontano dalla riga (“alto”) (Maurizio Brighi, oggi come chi scrive in forza al Gabs Borgo Paglia, lo gradisce “altissimo”), chi lo mette appena buono (i ciccottari, soprattutto, hanno bisogno di un pallino vicino). L’importante, comunque, è che il pallino sia “buono”.
Se è a filo di riga, si chiama un qualcuno che “ci dà un’occhiata” con un affare tipo trappola per topi. Se proprio non è buono, ossia tocca la linea (ancora mi manca di vedere uno che mette un pallino che non arriva neanche alla linea…), si è fatta una bella stronzata; il pallino è bruciato e, come tutti sanno, “va in brocca”. Che fare ora? I più si rassegnano e vanno a punto, alcuni tirano uno “strambuglione” (vedi); mi risulta, invece, che sia vietato il calcio col pallino in brocca.
Nonostante la bocciata in C porti molto spesso dei danni, bruciarsi il pallino non è mai bello. Quando lo si fa verso fine partita, poi, rientra nella categoria dei delitti (non lamentatevi, poi, se il vostro puntatore si incazza!) Fortunatamente per le psiche dei puntatori, appunto, ho visto di rado bruciarsi il pallino della bocciata per andar fuori.

CICCO, CICCOTTO, CRICCO – L’introduzione, a metà degli anni ’90 del secolo scorso, dei biliardi con le buche (a quel tempo detti anche “internazionali”) rappresentò la vera, storica rivoluzione nella storia del biliardo. E con essa i punti doppi per i tiri indiretti.
Dopo qualche tempo, per invenzione di non so chi, avvenne un’altra cosa incredibile: per bocciare, anziché alzare il braccio e colpire, qualcuno iniziò ad abbassarsi sul panno e, afferrando bizzarramente la palla con il medio e l’anulare della mano, a scagliare la palla stessa usando l’indice come stantuffo. Il gesto è lo stesso con cui, una volta, si colpivano le biglie (ma va??!) con i volti dei ciclisti (Gimondi, Merckx, De Vlaeminck, Moser, Saronni, Ceruti, Panizza, Gavazzi, Bertoglio, Battaglin, Baronchelli), in spiaggia: il ciccotto.
E fu così che nacque il cicciotto o cricco o cicco, e fu così che la storia del biliardo fu riscritta. Davvero? Mah, su questo esistono varie teorie. Diciamolo subito: i campioni nella bocciata di braccio sono rimasti tali anche con il cicciotto. Però è innegabile che a beneficiarne furono soprattutto le nuove generazioni, che dal niente si trovarono in mano un’arma potentissima da sfoderare contro la classe dei vecchi giocatori a tutto braccio o comunque classici: va da sé che il cricco, ben imparato, garantisce una percentuale realizzativi altissima, e un controllo delle biglie pressoché assoluto. Essere alti, checché se ne dica, aiuta; ma, per un buon cicciotto, più di tutto ci vuole coordinazione, pratica assidua e delle belle dita lunghe per tenere la palla. Un cicciotto nelle mani di uno scarpone, invece (e in C ci sono tanti fanciulli che dei ciccottari hanno solo il nome…), può essere un boomerang micidiale: rimpalli, biciclette, scagliate e bevute, quando il gioco si fa duro, sono all’ordine del giorno.

RIMESSA – Rimettere sul biliardo è schifoso per chi guarda e assai antipatico per il barista, che deve rifare il panno (e spendere un bel po’ di quattrini).
Ma al gioco del biliardo la rimessa è qualcosa di diverso. Intanto, come già visto, i “colpi di rimessa” sono un sinonimo di tiri indiretti o di seconda.
Nello specifico, poi, “rimessa” è un tipo di bocciata che si effettua nel corso di una data; la si distingue dalla bocciata d’acchito, con cui si apre la data. La rimessa è, di regola, di braccio, anche perché si boccia un pallino messo lì un po’ dal caso; tuttavia, nessuno vieta ai ciccottari di usare il cricco anche di rimessa (a volte, si vedono bocciare di cricco pallini a metà biliardo)… La rimessa si può dare quando, nel cuore di una data e per motivi vari e imprevedibili, la palla o il pallino si viene a trovare in una posizione che invoglia a tentare la carta della bocciata; lo scopo, ovviamente, è sempre quello: portare punti in cascina. Solitamente, proprio perché procurata da un evento fortuito, la rimessa provoca in chi la subisce reazioni che vanno dalla smorfia, alla parolaccia biascicata in bocca, al “ca...!” tenuto dentro, al “ca...!” che non si è riusciti a trattenere, alla bestemmia pensata, alla bestemmia detta e segnata sul suo taccuino da Lucifero in persona.

RITORNO, TORNARE – Neologismo ossia parola senza senso “ai tempi dell’Arci”, ha oggi la sua grossa importanza! Per un’ignota legge della fisica, infatti, un’alchemica combinazione del tessuto con cui sono fatti i biliardi di oggi e della velocità con cui viaggia un pallino bocciato, fa sì che il pallino stesso, anziché allontanarsi dalla verticale del punto di bocciata, ritorni (da qui il nome) verso di essa, ossia indietro. Perciò se il pallino fa il primo giro oltrepassando il castello, non c’è problema: occorrerà semplicemente aspettarne il “ritorno”. Bisogna poi vedere quanto torna: ci sono, infatti, biliardi che “tornano poco” e biliardi che “tornano un casino”. Se manca la velocità, però, il pallino non torna, e va dritto: ed è quello che succedeva nei biliardi con le buche: pensate, oggi una bocciata del genere va vicina all’essere considerata un seghetto… Un vero seghetto, invece, si ha quando un pallino bocciato di ciccotto (altro privilegio dei ciccottari), pur colpito non “da birilli”, prende ugualmente la traiettoria dritta per il castello (difficile da spiegare, si dice comunque che i punti sono venuti “all’arrovescio”).

DARE I DUE, DARE I QUATTRO, DARE IL FILOTTO, ECC. – Espressioni legate alle fasi realizzative della partita, dove c’entra il castello, per intenderci, e indicante il numero dei punti che il giocatore ottiene. A voler essere pignoli, però, si tratta in genere di colpi o malriusciti (e perciò fortunosi) oppure che rendono meno del previsto. Ad esempio, una bocciata in apparenza a vuoto, che magari si raddrizza alla fine e fa cadere un birillo, si dice che “dà i due”; un calcio di seconda che meritava due birilli e invece butta giù il filotto si dice che “ha dato il filotto”. Se la resa, poi, è inferiore alla minima aspettativa salariale si dice che la bocciata o il calcio “non hanno dato un ca...” (tutto nasce da lì e va a finisce sempre lì, non c’è niente da fare)…

FARE I BIRILLI, SBIRILLARE – Atto, al contrario, del bocciare con profitto e con merito (poche sono le sensazioni più belle di quando si è fatto dieci e si va a “mettere su i birilli”). A consuntivo della partita, parlando con i compagni, se si intende precisare quanti punti si è fatto, si usa l’usatissima “fare (tot) punti di bocciata”, dove al posto del “tot” si indica il numero dei punti realizzati (si può usare la stessa espressione per indicare i punti fatti calcio: “u’ha fàt quarénta pùnt ad calcio, ‘ste sghitèr!”).

MAZZOLATORE – Termine ormai desueto che una volta, in seguito all’introduzione del ciccotto, stava ad indicare un bocciatore dallo stile rozzo ma redditizio. Padre del termine è Benini Claudio del Gabs Settecrociari, che apostrofò in questo modo il giovane Alessandro Severi, dello stesso bar. Altro mazzolatore di vecchio stampo, il talentuoso Samuele Pavolucci del medesimo bar, giocatore dal buon braccio ma dal rendimento collinare.


SPECIALE “BOCCIATORI BOCCIATI”

Il nemico pubblico numero 1 del giocatore che sta per bocciare è, senza ombra di dubbio, la bevuta. Ma altri imprevisti possono dare il loro contributo ad alzare il livello di bile nel giocatore. Il medico consiglia: assumerne in dosi limitate!

SCAJARE, SCAGLIARE – In lotta con il “bere” per il premio di “Peggior risultato della bocciata”! E non è detto che le due disgrazie si escludano, anzi… Dicesi scajare o scagliare (un po’ più fighetto) quando si colpisce una scarsissima porzione di pallino, in modo che questo inizia a girare per i cavoli propri, facendo di tutto fuorché dirigersi perpendicolarmente verso il castello. La bicicletta (vedi) può, ad esempio, essere un prodotto dello scajare; la bevuta la giusta punizione, i punti di sghetto l’immeritato premio.
Chi può scagliare? Mah, diciamo intanto che il verbo scajare si adatta di più alla bocciata di cricco, ma lo si dice anche per i bocciatori di braccio. Dunque, chi boccia di cricco ai massimi livelli scaglia solo se ubriaco, ma di brutto. In C, invece, la probabilità di scajare sale con il salire dei punti, fino a toccare punte dell’80-90% nelle bocciate per andar fuori. Succede, poi, di scajare tutti i pallini; l’evento, raro e triste anche per gli avversari, è salutato con frasi del tipo “ché burdél è scajéva”…

RIMPALLO – Altro temuto nemico dei bocciatori, soprattutto dei ciccottari di bassa lega. Si verifica quando il pallino, colpito in bocciata, sbatte a sponda e ritorna (stronzo!) verso la nostra palla che l’ha colpito, mandandola contro gli ometti. Punti bevuti, bestemmia pronta al via. Non così raro per i bocciatori classici di braccio (che temono assai di più la bicicletta) il rimpallo è l’arma a doppio taglio dei “ciccottari d’acqua dòulza” di serie C: i quali, mi ripeto ma è cosa matematica, finché la partita è a metà via fanno i fenomeni e poi, con la mano che trema e suda, ne combinano di tutti i colori…

STRAMBUGLIONE – Simpatica, rara espressione stante ad indicare sia un colpo alla “viva il parroco” (parente stretto del seghetto) sia una bocciata scajata con conseguente bicicletta; “bocciata a più passate”, diciamo...

BICICLETTA – Eh, sì, anche il biliardo ha la sua bicicletta… Ma niente a che fare col più classico e sano dei mezzi di trasporto, anzi! La bicicletta rientra nella categoria delle schifezze che possono venir fuori da una mano poco abile, e si verifica allorché si colpisce - di solito in bocciata di braccio - una porzione scarsa di pallino (vedi anche “scagliare”) in modo da farlo girare per il biliardo a formare delle specie di… cerchi (ehm, qui fuori la fantasia, per cortesia!) Una bicicletta come si deve porta alla bevuta e al conseguente torpiloquio.

GUANTINO – Vero e proprio guanto in tessuto elasticizzato “sguilloso”, è il più classico degli espedienti che il bocciatore di cricco usa per sconfiggere il sudore. Di grande utilità nelle categorie superiori, vede decrescere la sua funzionalità in C, per perderla definitivamente nelle bocciate per andar fuori o similari. Non hanno ancora inventato, infatti, un guantino per tenere ferma la mano in tremolante attesa di bocciare…

STRACCIO – Compagno inseparabile di gran parte dei biliardisti, consiste nello straccio, tradizionalmente di colore verde e consistenza cotonesca, con cui ci si detergono le mani sudate durante la partita. Di tipi di stracci in giro ne ho visti centinaia; sono chiaramente una cosa schifosa (tutti ci asciugano le loro mani lerce), ma quando la mano ti suda e non sai come fare, allo schifo ci si passa sopra. Un mio attuale compagno nella squadra del Borgo Paglia, infine, si asciuga con lo straccio anche la faccia grondante di sudore: no comment.

BOCCIARE, BOCCIATA PER ANDAR FUORI – Ipotetico (in C, molto ipotetico…) ultimo colpo della partita. Si verifica quando si boccia ad un punteggio di almeno -12 rispetto al traguardo (dodici punti sono il massimo ottenibile con una bocciata). A dire il vero, in C ognuno è conscio che i miracoli sono rari, perciò il significato è quasi ristretto alle bocciate quando servono dal filotto in giù.
In A se il tuo avversario boccia a 80, puoi già iniziare a mettere a posto le palle. In C è meglio seguire il celebre detto trapattoniano sul gatto e sul sacco, anche quando gli mancano solo due punti. Una volta il talentuoso Ivan Severi di Settecrociari, in una finale di batteria (mica roba da ridere) del Campionato Romagnolo Singolo di 3a Categoria al Palazzetto di Cervia (mica roba da ridere), stava dominando la partita contro un tale del Gabs Romagna di Savignano. Ma, arrivato ad un passo da un momento per lui storico (partita ai punti 90), ebbe una straordinaria idea: bocciare  “per andar fuori” a tutti i numeri pari dal 78 fino all’88 à 6 bocciate per andar fuori, 0 punti. Perse partita: mica roba da ridere… 

 

 

 

SPECIALE “CURVA MARE”

Il biliardo è un gioco, ma anche uno sport. È prevista, quindi, la presenza del pubblico; pubblico non pagante (e vorrei anche vedere, in C specialmente!), costituito nelle gare dai vecchietti del bar dove si gioca, in campionato dai vecchietti del bar + i giocatori delle squadre. L’Eccellenza, come per molte delle cose che sto scrivendo, fa eccezione: pubblico di appassionati, gente competente, silenzio assoluto.
Sport di concentrazione e di silenzio anche in C (ad inizio partita, se c’è cagnara, un volenteroso fa notare che “si gioca!” e tutti tacciono; poi ricominciano a far casino e allora c’è chi fa “ssst!”, prendendosi dello “stronzo”), il biliardo ha però i suoi incitamenti: fatti senza malizia per incitare i propri compagni o beniamini, è altresì un ottimo strumento di tortura per avversari in difficoltà.
Non si urla al gol, dunque, non si esulta ad ogni canestro, ma si incitano i propri compagni (questo capita anche in Eccellenza, ma con più pudore). Veniamo alla casistica, iniziando da quella positiva. Il maggior numero di parole si sprecano per una bocciata con punti: “Vai!” + nome, “Così!”, “Fenomeno!”,Bestia!”, “Bestiaccia!”, “Spazzino!”, “Ruspa!”, “Butta giù!” (celeberrimo il “Bota giò!” con cui i vecchietti del Bar Oasi di Cervia Terme – ora chiuso - accoglievano le bocciate da filotto dei loro compagni, invero piuttosto rare…)
Anche un punto stretto può essere sottolineato con un “Vai!” + nome, oppure con “Bravo!” + nome, “Millimetro!”, “Pittore!” Una semplice bollata può meritare un “è quello il gioco”. Ancora meglio per una seconda o un calcio con punti: “Vai!” + nome, “Grande!” + nome, “Braccino!”,  “Talento!” In C è, infine, rarissimo riuscire a strappare l’applauso, mentre in Eccellenza anche la minima cagata viene salutata con applausi a scena aperta.
Ci sono poi i casi negativi. Solitamente si sta zitti e il nostro odio verso il compagno scarso nasce e muore dentro noi stessi. Frequente, invece, il caso di incitamenti a rincuorare: si va dal “non mollare!” al “credici!”, all’ ”insisti!” all’ “è lì, la partita!” (se si sta recuperando da una situation disperata).

 

 

PUNTO E BATTUTA – Oh, entriamo finalmente nel campo delle strategie del biliardo! Eh sì, anche in C esistono delle strategie; o, meglio, dei modi di giocare, diciamo. E qui si crea uno dei grandi solchi che distinguono i biliardisti: quello tra “tiratori” (vedi “strapazzone”) e “non tiratori”.
Questi ultimi (la cui strategia si può, appunto, sintetizzare nell’espressione “punto e battuta”) sono quei giocatori che limano il punto (il Pres. Loris De Cesari direbbe “curano l’accosto”) e poi tentano di fare i birilli di bocciata (Loris direbbe “realizzare di acchito”). In teoria, molto in teoria, chi gioca “punto e battuta” dovrebbe essere un po’ meno strapazzone dei tiratori, ossia di quelli che basta che vedano due palle sul biliardo ed iniziano a tirare a tutto spiano. “Punto e battuta” è anche una strategia per “tirar su” le partite che sono ormai perse; ma molti, moltissimi di più sono coloro che, presi dal panico, iniziano a tirare: e io, amici, ne ho viste ben poche di partite che vengono raddrizzate tirando come dei matti…

AVERE LA PALLA DI VANTAGGIO, DI SVANTAGGIO – Equivoca, basilare espressione di strategia applicata al biliardo. A grandi linee, si ha la “palla di vantaggio” semplicemente quando si ha ancora a disposizione una palla in più dell’avversario. In realtà, il termine ha senso all’approssimarsi della conclusione della data, quando cioè si deve cercare di conquistare la bocciata e di realizzare punti, possibilmente. È chiaro che si possono anche avere “due palle di vantaggio”, e in questo caso… beh, diciamo che è molto meglio. La regola dice che chi ha la palla di vantaggio deve curare il punto per cercare di bocciare; ma sapete quante volte la si perde, al nostro livello, la palla di vantaggio? Quindi bisogna essere svegli e cercare di adattarsi alle mutate esigenze, e ricordarsi che è sì facile “chiavare la palla di vantaggio” all’avversario (nel qual caso si andrà poi alla bocciata), ma lo è altrettanto “andar sotto di due palle” e lasciare l’avversario con “due o tre palle in mano” (nel qual caso si rischiano gli otto di colore, la seconda, il calcio, lo striscino, la scatolina). Paura, eh? Tranquilli, tranquilli: state giocando in C…

AVERE DUE, TRE PALLE IN MANO – Simpatica espressione del gioco del biliardo, equivoca quanto positiva. Si ricollega alla voce precedente “avere palle di vantaggio”: se il nostro avversario, infatti, oltre ad avere la palla di svantaggio, continua a non bollare (e quindi “va via con due, tre palle”), ci lascia a fine data con il punto già nostro e due o tre palle (appunto) ancora da giocare. Se il punto non è nostro ed è stretto, la regola-base è chiara e dice: “due palle in mano, punto stretto -> allargare!” (per controindicazioni, vedi “allargare”)
Ma se il punto è nostro, sorge il dubbio amletico: cosa farne, di queste palle che si hanno in mano? Abbiamo già detto che di modi per realizzare punti o rovinarsi definitivamente ne esistono diversi. Vediamoli in anteprima.
Il giocatore di C è spesso conscio dei propri limiti; ha paura del rischio, è un giocatore da “punto e battuta” nato (e, spesso, morto…) Dunque, perché rischiare? Se non c’è motivo di rischiare, se “la bocciata è sana”, si può anche “prendere su uno, o due”. Se lo spazio è sufficiente (si dice anche, oddio, che “il buco è sufficientemente largo”…) e nei punti si è abbastanza avanti, si può provare a “mettere due o tre palle”, gli “otto di colore” addirittura. Fondamentale: non vendere!
Oppure si può tentare uno dei colpi che definirei “da realizzo a fine data”.
Chi vuol stare dalla parte del sicuro, o non ha bisogno di troppi punti, oppure trova le seconde o i calci impossibili o troppo difficili, si mette il cuore in pace e dà uno striscino (di prima).
Chi invece ha bisogno di punti, va “deciso” sui colpi di seconda. Se c’è il calcio, si dà il calcio (di braccio o di striscio). Se non c’è, si può “alzare la palla” e poi tirarla di calcio. Un colpo particolare di calcio di striscio è detto “scatolina”.
Oppure, infine, c’è la seconda (data di braccio). Macchè “infine”: in C di robe per fare dei punti e dei danni se ne vedono a bizzeffe…   

PRENDERE SU UNO, DUE – Scelta da sparagnini del biliardo. Quando il punto è nostro e ci si accontenta, magari è anche la sera che si boccia, è buona norma prendere su quello che c’è e andare a bocciare. Sì, magari prima si tenta un calcio o di alzarsi una palla, ma quando si vede che “tirare” non è il nostro sport, è bene accontentarsi ed affermare: “Prendo su uno” oppure semplicemente “uno” oppure “una palla” oppure “come lo vedi, te? Se è mio, prendo su uno”.

METTERE UN’ALTRA PALLA, METTERE DUE/TRE PALLE – Come detto, se si è fifoni, all’antica (una volta, nei biliardi con le buche, il gioco era tutto nel mettere più palle possibili al punto) o semplicemente scarsi, niente di meglio che chiudere la propria data cercando di mettere un’altra palla o altre palle al punto (a volte questo discorso non vale, in quanto mettere due o tre palle, se si necessita solo di 3 o 4 punti, può volere dire “andare fuori”). 
Come già detto, una palla vale 2 punti, due palle 3 punti, tre palle 4 punti; se tutte le nostre palle sono più vicine al pallino, si sono realizzati gli otto di colore. Ma se una volta (ma si può anche dire “nell’Arci” o “nei biliardi con le buche”) le partite erano un’estenuante ricerca di quanti più punti possibili, con la muratura delle buche e soprattutto con l’introduzione dei punti doppi per i tiri di seconda, risulta molto più conveniente tentare un tiro da realizzo (un semplice calcio da un birillo ti porta ben 4 punti) piuttosto che star lì a limare tanto al punto.
E poi c’è sempre il rischio di vendere!!! Ah, ribadisco: “vendere” è la cosa da non farsi, mai, perché ci si rimane di merda e 9 volte su 10 l’avversario cui hai venduto il punto, anche il più scarso, ti fa 10 di bocciata…

OTTO, OTTO DI COLORE – Massimo del punteggio ottenibile nel normale svolgimento della data, ossia a prescindere dai punti ottenuti coi birilli. “Otto” si ottiene quando tutte e quattro le proprie biglie sono più vicine al pallino della più vicina del nostro avversario. Verificato che si è fatto otto, è buona norma prendere per il culo l’avversario ribadendo ad alta voce il concetto: “Otto”. L’avversario, statene pur certi, incasserà senza rispondere...

 

 

CALCIO – Il nome del gioco più amato dagli italiani è forse il più classico e pubblicizzato dei colpi del biliardo. Talmente famoso che per rispetto, mentre tutte le altre espressioni che trovate nel dizionario vengono tranquillamente pronunciate in dialetto, il “calcio” è spesso “calcio” anche in dialetto.
“Calcio” è il colpo nel quale la nostra biglia tocca la sponda superiore e poi il pallino o la palla, per cercare di mandarla nel castello. Non è solo un colpo da realizzo a fine data: lo si può tirare in mille modi e in qualsiasi momento della data, a seconda delle più svariate esigenze tattiche.
Tecnicamente, il calcio può essere di striscio o di braccio. Ovviante, il controllo è maggiore nel calcio di striscio, con cui (se occorre) si è quasi sicuri anche di bollare. Se lo si dà di braccio, invece, per bollare (“calcio e punto”) ci vuole la cosiddetta “malizia”. I punti realizzati col calcio sono doppi, ma se tirando di braccio è “facile” (se potessi usare 30 virgolette, le userei tutte…) fare 12, 16, 20 o 24 (raro), di striscio un “sedicione” è il massimo che si possa ottenere (raro).
Tatticamente, si può dare un calcio per mille motivi. Di braccio lo si dà perché si è indietro o perché la partita è spallata; ad esempio, si ha la palla di svantaggio, non si bolla mai, si è indietro: anziché star lì ad andare a punto, è bene mollare un bel calcio (tra compagni di coppia: “ch’ìl tira?” – “” oppure “sa dìt, a tìr e chìlz?” – “no, va’ a punt!”) Di striscio per realizzare punti al termine di una data vinta.
Tutti, anche i più sparagnini, prima o poi tirano un calcio. Oggi, “con le nuove regole” (alcuni nostalgici dicono ancora così), conviene tirare calci: un birillo vale già come tre palle messe a punto. E, perciò, se non ci sono palle da tirare, è facile che un giocatore strusci una palla per alzarsene una e poter tirare anche lui il proprio calcio. Con risultati, spesso, mortificanti…
P.S. Non ha molto senso, perché nessuno ci pensa, ma sarebbe interessante condurre un’analisi su quanti punti di accosto si lasciano indietro pur di tirare calci. Ci sono casi eclatanti di gente che muore grassa dopo aver lasciato per strada elementari punti di accosto; ma secondo me si va dai 5 ai 10 punti lasciati lì ad ogni partita.

ALZARE UNA PALLA – Giocata interlocutoria che si rende necessaria quando si sbava dalla voglia di tirare un calcio e di palle abbastanza “staccate” dalla sponda alta non ce ne sono. Ecco che allora si “spreca” una palla per creare tra palla da calciare e la sponda lo spazio sufficiente. A volte si è talmente bravi ad alzarsi una palla (eh, sfido: sono colpi che si danno in pieno relax, senza pressione…) che ne vengono fuori calci o striscini da far voglia! Più spesso, si rimane corti (e poi si sbaglia il calcio seguente, matematico…) e un coro di tifosi/compagni mormora: “Arìva quand zug bén!

SECONDA – Tipo di colpo da realizzo, ideale alla fine della data quando il punto è nostro e i birilli fanno gola (ma nulla vieta di tirarlo anche a metà data). Nello specifico, si dà una “seconda” quando la palla da mandare nel castello è sotto i birilli, e perciò la nostra palla viene scagliata contro la sponda superiore, per poi colpire la sponda inferiore, per poi dirigersi (molto spesso a caso…) verso la palla teoricamente da mandare a castello.
Per il suo utilizzo, la “seconda” è strettamente imparentata con il calcio, lo striscino, la scatolina. Quale usare? Dipende da dove è posizionata la palla da dirigere verso il castello, certo; ma anche dal livello di talento che il buon Dio ci ha inserito nel braccio. Di certo la seconda è il colpo più complicato; talmente complicato che, in C, se si è andati sotto di due palle, si è persa la data e si sta per subire la bocciata, non c’è da disperare: se il vostro avversario, come ultimo colpo della data, tenta una “seconda”, forse c’è una bella sorpresa per voi…

ESSERE INFILATA – Alcune volte la seconda risulta più facile del solito, perché le palle si sono disposte (magari a stretto contatto) in modo che “basta prendere” per mandarle sul castello. Ma molto più spesso si dice che la biglia in questione è “infilata”. Palla, perciò, che ha già fatto il biglietto per prendere il treno verso i sedici di seconda o calcio: manca solo di aiutarla a salire, sul treno.

SEDICI, VENTI, VENTIQUATTRO – Punteggi rari (in ordine crescente di rarità) che, se realizzati, risultano di grande utilità nel corso di una partita. Il sedici si ottiene con un rosso e due bianchi abbattuti con un tiro di seconda, ad esempio il filotto di calcio fornisce sedici punti (a dire il vero, una bicicletta di seconda, coi 4 bianchi per terra, fa 16: ma questa è una rarità riservata solo a sghettari professionisti…) Se particolarmente gustoso, il sedici può diventare “sedicione” (termine inventato da Oscar Bianchi del Gabs Settecrociari, forse il talento più puro espresso da questo fazzoletto di terra nella campagna tra Cesena e Bertinoro). Un venti è un filotto più un altro birillino, sempre di seconda. Anche un venti può diventare “ventone”.
Chi, invece, non può diventare “-one” è il ventiquattro, roba talmente rara che anche la parola corrispondente quasi non esiste. E, tra l’altro, mentre i sedici (soprattutto) e i venti si realizzano volutamente, il ventiquattro è sinonimo di sghetto (se realizzato) e di imbarcata catastrofica (se bevuto).

STRISCIO, STRISCINO – Colpo da realizzo più tranquillo, solitamente a fine data. Consiste in un colpo di prima effettuato di striscio (appunto), tendente a mandare una palla dell’avversario o il pallino negli ometti, dopo avergli fatto colpire la sponda superiore. Presenta grado di difficoltà=basso; rischio di andare a bere=basso; possibilità di riuscita=bassa; resa in termini di punti=bassa. In poche parole: che ca... si tira a fare, lo striscino??

SCATOLINA – Nome ad uso interno dell’Iso Bar di Borgo Paglia, stante ad indicare un tiro da realizzo, fatto di striscio, in cui la nostra biglia colpisce prima la lunga, poi la corta e poi va alla ricerca disperata di un qualcosa di rotondo da mandare nel castello. Alternativa al calcino di striscio, in termine aulico penso sia un qualcosa di simile alla VENEZIANA ed è colpo tipico di biliardi che “danno poco” e, soprattutto, di vasche schifose come i biliardi del suddetto bar (dove anche tentare di dare un calcino serio di striscio porta al riso generale...)

ARRIVARE – Con questo termine dal significato vagamente ambiguo, diamo inizio alla parte più violenta del gioco del biliardo. “Arrivare “ è semplicemente “dare una palla con forza”, senza stare corto. Si può arrivare per allargare, ma anche semplicemente “arrivare con mezzo metro di forza in più”, “non da matti”; ma si può anche arrivare solo per bollare, “con un dito di forza in più”, con “un giro in più”. Sempre, ben inteso, senza star corto: “È arrivata?”- “No, la n’è arivèda…dàn un’enta! Grrrr!” è tra i possibili dialoghi più tesi tra compagni di coppia. Insomma, per farla breve, arrivare per primi ai 70 (o agli 80) è sempre l’arrivo migliore che ci possa essere!  

ALLARGARE IL GIOCO, SLARGARE – Colpo che molti puristi ritengono da strapazzone, e infatti molto raro nelle categorie superiori, consistente nel colpire con forza (scagliando un sasso, una seppia o similari) un gruppo di palle che costituiscono un “punto stretto” (in coppia, uno dice all’altro: “Cazi una bota, va là!”).
Si diceva dei puristi. C’è ancora gente che non ha capito lo spirito del gioco “nei biliardi senza buche”, e con due palle in mano sta ancora lì a limare e limare e limare e limare; un vecchio adagio ammonisce: “Due palle in mano, allargare!” (anche perché, se poi non si bolla, c’è il filotto assicurato).
Il bello è che, oltre ad allargare il gioco e perciò rendere poi più agevole la bollata, si rischia anche di srubazzare qualche birillo (punti doppi, ovviamente). E mamma mia quanto fanno male i punti rubati allargando un punto stretto!

SPECIALE “ARSENIO LUPIN”

SGHETTO, SEGHETTO, SGHETTARE – Furto legalizzato per eccellenza, tipico delle aree povere della terza categoria. Parola usatissima, meritevole di massima attenzione! Dicesi “sghetto” o “seghetto” il colpo che porta punti in maniera, diciamo così, imprevista: “A tìr è sghétt” se lo si fa; “i m’ha fàt un sghét” se lo si riceve. Può essere cercato e consapevole oppure casuale (se si verifica in seguito a una bocciata, ad esempio “fare un otto di sghetto”), ma il senso è sempre lo stesso: si segnano i punti e si dovrebbe avere la buona creanza di scusarsi con l’avversario. Se per il nostro avversario rottinculo la pratica del seghetto raggiunge livelli patologici durante una partita, si può venire “ammazzati di sghetti”, il che non è mai bello. Una partita che ci viene scippata solo con l’ultimo colpo (uno sghetto), a prescindere da come si era svolta, si dice che è una “partita sghettata”.
Ma attenzione: gli sghetti non devono diventare né un’abitudine (se li si fa) né soprattutto un alibi (se li si subisce): c’è gente che ha abbandonato la carriera credendo che la causa delle sconfitte fosse la sfi.., ma gli sghetti ti potranno far perdere una, due partite in un anno, non di più. Sapete qual è il problema? Che molti confondono il seghetto vero e proprio con il seghetto fisiologico, ossia quello che si becca, prima o poi, se si continua a giocare come dei cani (vedi “andare via con due palle” e “allargare”, con annesso sedici nella schiena)…

SGHETTARO, SEGHETTARO – Ladro di professione, persona che eccede nelle ruberie, volute o meno. Uno sghettaro è, quindi, sempre uno sghettaro, sia che faccia un “filotto a rovescio” sia che faccia un “ventone” tirando una cagna per allargare.
Ma attenzione: lo sghettaro non va incentivato! Quindi occhio a dove mettete le palle, occhio a non strusciarne troppe. Ed è così che, contro un avversario sprecone, si corre perfino il rischio antipatico di essere bollati come sghettari! Pensate, una volta al sottoscritto (che è uno di quelli che non si fa scrupoli nello slargare il gioco, ossia quando c’è da allargare si allarga!), venne addirittura dato, appunto, dello sghettaro solo perché, in una partita ai 90 che stava 78 a 66 per il suo avversario, colpendo per allargare realizzò “appena” 24 punti… Ma sghettaro a chi??

TIRARE – Nel biliardo si “tira”, appunto, quando si è indietro. Partita spallata, si comincia a tirare, dicono i più. Il risultato? Velocizzare di molto la propria sconfitta… Sì, perché si cominciano a cercare colpi improbabili, traiettorie viste solo nei film, colpi di fortuna che vengono una volta ogni morte di Papa.

TIRARE – Dicesi anche “tirare” quando uno tenta di rendere migliore una propria palla sbagliata che sta per terminare la sua corsa. Come? Col pensiero, oppure con un mugolio tipo maniaco sessuale, aggrappandosi alle sponde del biliardo. Tutti i sistemi sono buoni, ma non per prendere il punto (tanto la palla che nasce male muore male), bensì fare la solita figura da sclerotici…

GIOCO ARIOSO – Termine tra il burlesco e il canzonatorio stante ad indicare un tipo di gioco che dà aria alle palle, facendole roteare sul tappeto. Più seriamente, il termine va accostato al tipo di gioco a tutto braccio; il contrario del “punto e battuta” per intenderci. Chi ricorre al gioco arioso? Beh, c’è chi non sa fare altro, avendo il valore di un elefante, e chi vi ricorre per tirare su una partita ormai persa (e che alla fine sarà effettivamente persa…) Spesso, per un tacito accordo tra avversari, si comincia a giocare arioso insieme, dando vita a momenti di grande biliardo.

DARSI ALLA MACCHIA, AL MACCHIONE – Sinonimo di “tirarle tutte”, è il primo segno che ci si è arresi e che per tirare su una partita si è fatto un patto col diavolo: il rischio di fare una figura di merda (vedi “bersi la casa”) è molto più di un rischio, ma a estremi mali è sempre meglio ricorrere ai rimedi estremi!

PANUCÈLA, GIOCARE ALLA PANUCÈLA – Una delle rare espressioni del biliardo di cui non si conoscono traduzioni in italiano! Si dice di quando, per cause tra le più disparate, si inizia a giocare tra il casaccio e il vergognoso, quasi lo si facesse apposta.    

STRAPAZZONE – Parente povero dello sghettaro, fa del macchione il proprio terreno di caccia continuo senza che il buon Dio lo abbia dotato dei mezzi idonei… Palle in libertà.

MALIZIA – Film storico con Laura Ant… Ah, no, scusate.
Dunque, dicesi “malizia” una qualità importante del buon biliardista, rara nelle categorie inferiori. Si dice che uno ha malizia quando, effettuato un calcio di braccio o una rimessa (due colpi, quindi, dai quali si vogliono ottenere birilli, non la bollata), ha anche il coraggio di bollare! Essendo che in C il concetto di malizia è vaghissimo, frasi del tipo “hai avuto malizia…” hanno il significato ironico del tipo “hai bollato di sghetto, ladro!” 

FARE GIOCO – Grezza espressione del biliardo, equivalente a “servire”. Si usa in molte situazioni, ma il significato non è del tutto chiaro. Comunque riguarda la fase a punto di una partita: una palla “fa gioco” se bolla o, se non bolla, almeno se “allarga il gioco” (così poi si può dare una “cagna” o un “chiodino”); ma “fa gioco” anche  una palla che, data veramente a caso, viene ad avere una qualche valenza positiva.

NON CONOSCERE IL GIOCO – Gravissima patologia tipica dei giocatori di bassa lega, consistente nel mettere sempre le palle nel posto sbagliato, nel non conoscere i trucchi dei rimpalli, nel non avere tutte le malizie, insomma, che i veri strateghi hanno.
Spesso, però, i professorini che si gloriano di conoscere il gioco, li vedi in partita fare delle cagate madornali; e, alla fine della partita, lamentarsi perché il biliardo era una vasca…

PRENDERE MEZZA, PRENDERE PIENA - Termini tecnici e antitetici, indicanti la porzione di palla (o pallino) che si colpisce con la propria biglia. È ovvio che, a seconda dei casi, risulta più conveniente prendere mezzo o pieno. Un pallino preso pieno si dice anche che si colpisce “in testa”.

SFACCIO – Voce in via di estinzione, rimasta oggi solo tra i vari modi di colpire una palla. Di “sfaccio” si colpisce una palla o un pallino quando la biglia battente ne colpisce la porzione più vicina al castello e poi si allontana sempre in quella direzione. Chiaro, no? Di sfaccio si danno, oggi, soprattutto, degli striscini; ma come dimenticarsi che il caro, vecchio sfaccio era, una volta, una delle più tipiche bocciate? Si veda, a tal proposito, lo speciale “Amarcord”.

SPECIALE “IMPREVISTI E PROBABILITà”

LECCARE – Verbo equivoco per eccellenza, col “mezzo” è indubbiamente quello che scatena i doppi sensi più pepati. Se, infatti, si può passare sopra le “palle” e il “birillo”, la “leccata” scatena in tutti, ogni volta che si tira fuori l’argomento, quel vago sentore che tutti sappiamo…
In realtà, leccare vorrebbe dire nient’altro che colpire palla o pallino con una minima porzione della biglia battente. Un lecco può essere quello che salva una pallaccia, quella che fa diventare una palla buona un capolavoro, quello che rovina tutto. Uno che lecca è un “leccatore”, un “licadòur”: ecco, lascio ognuno con le proprie fantasie…

SCROLLARE – Beffardo verbo detto del birillo che, colpito e strisciato dalla sfera, barcolla senza cadere. Ad un birillo che scrolla a inizio partita nessuno ci fa caso; ma se siete a 60 e fate 8 e vi scrolla l’ultimo birillo, se riuscite a contenere il “ca...!!” è segno che siete molto educati.

MEZZO – Altro nemico pubblico numero uno del biliardista. “Fare un mezzo” significa infilare un buco stretto (a letto i bambini, please). Ma cosa ci può essere di così stretto in un campo da biliardo? Sul castello, intanto, i birilli sono vicini: e così chi boccia ha il terrore di fare il mezzo, ossia far passare il pallino (“fare un mezzo col pallino”) o la palla (sfi.. micidiale!!) passano in mezzo al castello senza buttare giù alcun birillo. Oppure: a chi non è mai capitato di fare un mezzo con un calcio da sedici? Il fastidio che procura un mezzo, ad ogni modo, è prima di tutto commisurato al punto della partita in cui avviene: provate a fare un mezzo di bocciata quando bocciate a 68 e vi manca un birillo…
Ma mezzo è anche quando si passa con la propria palla in un punto tra varie palle che a riprovare mille volte ci si impallerà sempre! Solo una cosa tutti i mezzi hanno in comune: i commenti da educanda che si scatenano tra gli spettatori! Il mezzo è segno di sfi.. massima? E allora chi lo fa è un “chiavatore”, “uno che ha della patacca” e cose simili. Sul perché il passare in mezzo a un buco stretto possa provocare questi commenti, preferirei glissare…

BUCA – Parola che avrebbe meritato l’inserimento nella speciale sezione “Amarcòrd” (vedi), ma che è sopravvissuta…alla propria morte! Fino al 1994 o giù di lì, infatti, il biliardo si giocava nei “biliardi con le buche”, ossia dotati di quattro buche agli angoli e due agli estremi della linea di mezzeria. Poi si è passati a quelli che erano allora chiamati “biliardi internazionali”, e le buche sono state murate! Ma per tutti le buche è come se ci fossero ancora, e i quattro spigoli sono ancora, affettuosamente, chiamati “buche”. E non solo: se una palla va da quelle parti, molti si aspettano che ancora, improvvisamente, sprofondi in buca (frasi del tipo “metti la palla in buca” sono dure a morire)…

SBOCCO – Altro residuato bellico del biliardo con le buche. “Sbocco” era l’apertura della buca, dove le due sponde convergevano senza incontrarsi e dove, se la palla o il pallino ci andava a sbattere, prendeva direzioni impensate e comiche. A chi non è mai capitato, ad esempio, di subire un dolorosissimo “otto” di traverso, “di sbocco”? E come per la buca, anche lo sbocco non è morto con la morte delle buche, anzi si è…modernizzato: oggi, infatti, “sbocco” è proprio lo spigolo del campo, quel punto che una palla non può raggiungere e che, colpito solo nella fantasia, dà alla palla stessa traiettorie strane e indesiderate (evenienza negativa, quindi).

SEGNARE – “Segnare” non è solo, come abbiamo già visto, un sinonimo di bollare, di prendere il punto.  È anche il verbo, fondamentale, del contabilizzare i punti.
Anche nel segnare si è assistito, col tempo, ad una grande rivoluzione (forse l’unico aspetto nel quale il biliardo abbia concesso qualcosa alla tecnologia): mentre, infatti, fino a qualche anno fa i giocatori avevano a disposizione una specie di pallottoliere (la mitica “stecca”, per la quale si veda subito la sezione “Amarcord”), oggi tutto è automatico, e basta sapere spingere uno o, meglio, due tasti di una macchina segna-punti. Dico “sapere spingere” perché è frequentissimo vedere vecchietti o invalidi tentare di segnare 2 punti, e spingere invece 22 o 222, e poi cancellare tutto, e fare insomma un gran casino.
Per i più nostalgici, invito subito a consultare lo speciale “Amarcord”: non vi siete, infatti, dimenticati che una volta, in campionato, i punti si segnavano nel vero senso della parola, sui referti, vero?

ARRIVARE A, AGLI … - Classica e chiara espressione biliardistica indicante a quanti punti è posto il traguardo; in pratica, quanti punti è necessario totalizzare per vincere una partita. Lasciando da parte le varianti fantasy che hanno strolgato i vertici per rendere più spettacolari e televisivi i match nella categoria “Masters”, diciamo che la classica partita di biliardo arriva (oppure “va”) a 90 punti per i singoli, agli 80 per le coppie; solo nelle gare, da qualche anno a questa parte, erano stati abbassati i punteggi, di 10 punti a testa.
Poi, quest’anno, sorpresona: anche in campionato, e solo per la Serie C, i singoli arrivano a 80 e le coppie a 70. Il motivo ufficiale addotto dalla Fibis? In C le partite, essendo più rari i birilli, durano di più; il gioco va velocizzato e reso più spettacolare. Niente di più falso! Il motivo reale? I signori che il venerdì notte aspettano i risultati in sede si sono rotti i maroni di fare le 3.00-3.30 tutte le volte, ad aspettare che quattro strapazzoni finiscano di giocare le 6 partite di cui si compone un match di campionato. E cosa si è ottenuto con questa decisone illuminata? Che gli strapazzoni, con le partite più corte e sghetti redditizi sempre pronti in canna, da cento che erano sono diventati mille… 

ANDAR FUORI - Quando il nostro avversario “va fuori” non ha né bisogno di andare al bagno e neppure ha ricevuto una telefonata minatoria dalla moglie, incazzata che c’è la bambina che ha la febbre e suo marito è lì a tirare delle palle su un tavolo... Magari! Se il vostro avversario va fuori, infatti, vuol dire che avete appena “perso partita”! Si va fuori, infatti, quando si supera (dopo una bocciata o dopo una data a punto) la fatidica soglia.

MORIRE A …, MORIRE GRASSI – Pur senza che vada a prendere il revolver che tiene in macchina (chi è che non ne ha uno quando va a giocare?) e venga dentro a spararvi, vi assicuro che, mentre il vostro avversario “va fuori”, voi siete “morti”. In realtà il termine “morto” non viene quasi mai usato a caldo, cioè uno non “muore” quando perde. Si inizia a dire “essere morto”, seguito obbligatoriamente dai punti che si avevano quando si è perso, dalla prima volta che si parla della partita. Che può essere dopo 3 minuti, quando si chiama la moglie o l’amante per dirgli che si è perso, o dopo una settimana (“véndar a sò mòrt a sténta…”).
Se si è morti a un pelo dal traguardo, si dice che si è “morti grassi”; se il traguardo era a uno o due punti, si può anche dire di essere “morti grassissimi”.

ESSERE GRASSO – Il biliardo è uno sport democratico, nel quale chi non sia schizofrenico o paraplegico può tranquillamente giocare (avrei dei dubbi sulla prima delle due caratteristiche…)
Va be’, questo per dire che anche molti obesi frequentano i tavoli del biliardo, con le loro belle pance all’aria che impediscono loro di abbassarsi per bocciare.
Ecco, questo non c’entra un bel niente con l’essere grassi durante una partita. Il che vuol dire essere arrivati molto, ma molto vicini alla vittoria, diciamo dai -10 in su. Più si è vicini, e più obesi si è. Se poi, pur essendo grassi, ci si lascia le penne, si dice che si è “morti grassi”.

PERDERE PARTITA – Non si sa per quale strano arcano dantesco, nel gergo del biliardo non si “perde LA partita”, ma si “perde partita”! E questo capita a tutti prima o poi, tanto che uno dovrebbe imparare prima a perdere (arduo) che non a vincere (lo sanno fare quasi tutti). È una frase tipica della partita in corso di svolgimento, più precisamente verso il suo epilogo, e ancora più precisamente quando si perde per una maronata da suicidio. “Avém pérs partìda!” dice un giocatore al suo compagno per ribadire il suo dissenso al tipo di giocata testé effettuata dal colpevole.

FARE PARTITA – Tipica espressione che è facile ascoltare nelle fasi concitate di un match, quelle in cui le pulsazioni ti sfiatano, la voglia di scherzare o si azzera o ti porta a fare sgraziate risate isteriche, il sudore ti arriva nelle mutande.
“Fare partita” vuol dire “vincere”, e su questo ci siamo. Ma l’uso è limitato al momento in cui si “va fuori” e, ancora più precisamente, si attaglia meglio ad un finale di partita imprevisto, quello da grande recupero o da colpo da ladrone: “tè fat partìda…” dice uno cui un avversario con passamontagna ha appena scippato la partita con uno sghetto da professionista.

DARSI LA MANO ED EDUCAZIONE NEL BILIARDO – Il biliardo è uno sport educato. Durante il gioco sono bandite la bestemmia e la parolaccia. Contano il talento e la calma, che a volte si perde, ma sempre contenendo i moti di stizza. Quando il nostro avversario sta per dare una palla al punto elementare, è buona norma concedergli quanti punti vuole senza che stia a dare la palla (“due?”, “tre palle?”, “otto”, …)
Fare un seghetto può capitare, ma è buona educazione scusarsi con l’avversario, anche solo con un cenno. Alla fine della partita ci si dà la mano per congratularsi con chi ha vinto e consolare chi ha perduto.

Ah, scusate, un problema con la tastiera del mio computer. Ci sono 2 o 3 inesattezze, la versione giusta è questa:
Il biliardo è uno sport maleducato per eccellenza. Durante il gioco si bestemmia di brutto e le parolacce sono fitte come i gabbiani dietro i pescherecci. Il talento conta (ammesso che in Serie C ce ne sia), anche se di sghettari è pieno il mondo. La calma? Il biliardo è uno sport dove conta la testa e quando la calma la si perde si fa la figura degli sclerotici, come ridere. Quando il nostro avversario sta per dare una palla al punto elementare, è buona norma fargliela dare lo stesso, sperando che sbagli.
Un seghetto è quello che ci vuole per fare incazzare l’avversario: farlo e poi far finta di niente ottiene effetti letali. Alla fine della partita ci si dà la mano: per prendere per il culo gli avversari se si è vinto; come sfogo (del tipo: “Cut avnés un colp, lèdar!”) se si è perso.
Annotazione: capita, per fortuna raramente, che l’avversario sia talmente imbufalito e antisportivo da negarti la mano, a fine partita: gesto riprovevole, il più grave di tutti. D’altronde, se non si dovesse dare la mano ogni volta che ci viene seghettata una partita…

DIVISA – Anche il giocatore di biliardo, come qualsiasi altro sportivo, ha la sua divisa. Divisa da gentlemen, elegante, quella del biliardista: sotto, ci si veste tutti, infatti, con calzoni eleganti neri e scarpe dello stesso, funereo colore. E sopra, la maglia della squadra, con sponsor e, chi ne ha, scudetti.
Tuttavia, nonostante si tratti di rarità, anche la divisa del biliardo ammette alcune furberie. Alcuni, infatti, hanno i jeans, altri le scarpe marroni, altri stivali o anfibi. Il minimo storico di eleganza si raggiunse quando, una volta, il buon Severi Silvano del Settecrociari notò che un giovane energumeno del Punto Verde Montaletto si era presentato in campo indossando ai piedoni un paio di “scarpùn da pudadòur”!

STRONZI DA BILIARDO, SCORRETTI – Si è già detto in apertura che il biliardo è, in teoria, uno sport per signori. E che, se questo vale per il biliardo di alto lignaggio (Eccellenza, Masters, Serie A), vale molto meno sui “campetti di periferia” della serie C.
Come logica conseguenza, c’è il proliferare di maleducati e di veri e propri stronzi. Ce n’è tanti, di stronzi, fuori e dentro il campo. Molti sono travestiti da “integerrimi guardiani del regolamento”, di quelli che ti dicono che “sotto la maglia della squadra si può indossare solo un’altra maglia a maniche corte”; molti si nascondono tra chi misura il punto (quante volte avete rubato, dite la verità!) e chi guarda (quante volte vi siete soffiati il naso mentre uno boccia, o avete aperto la porta, o gli siete passati davanti mentre dà al punto, o boccia, peggio ancora! O avete incitato un compagno a voce troppo alta o in modo insistente! Su, fuori l’onestà!)
Ma veniamo alla partita vera e propria, dove il fair-play dovrebbe ad ogni modo farla da padrone. Provate un po’ a pensare a cosa succederebbe se una sera vi capitasse di incontrare un avversario del genere…

 

 

SPECIALE “L’AVVERSARIO CHE TUTTI VORREBBERO INCONTRARE,
NOME IN CODICE: LO SCORRETTO”

La serata inizia male: mia moglie si è dimenticata di lavarmi i calzoni da gara, quelli neri. Arrivo alla partita in ritardo, indossandone un paio di marroni, scurissimi. Lo Scorretto lo nota subito, te lo segnala e ti ammonisce che “non ti manda a casa a cambiarli solo perché è uno sportivo”…
Si prova. Io, già coi maroni girati male, provo i miei quattro minuti e, senza che nessuno mi dica niente, lascio libero il biliardo al mio avversario, allo Scorretto. Inizia; passa un minuto, due, tre, quattro, sei, otto, dieci, ed è ancora lì a provare! Scocciato, perché doveva ancora provare una palla a effetto, mette su i birilli. Si dà l’acchito che, ovviamente, gli viene corto di un mese (eh, ci credo: non ha avuto il tempo di provare, poverino…)
Si gioca. Ovviamente, domino e boccio sempre io. E, puntualmente, ogni volta che sto per bocciare, quando è gradito il silenzio sul campo e fuori, lui o si soffia il naso, o si schiarisce la voce, o parla col compagno (se lo Scorretto gioca in coppia).
Sono alto 1 metro e 90 (fantasia), e nel mettere il pallino capita un paio di volte che passi millimetricamente con il pallino l’apposita linea. Lo Scorretto me la fa passare liscia una volta, poi alla seconda me lo fa notare: “Sei fortunato che sono sportivo, altrimenti te lo bruciavo, quel pallino…” Grrrr! Il mio nervosismo sta salendo a livelli pericolosi.
Vado “in battuta” per la sesta volta (è scarso, boccio sempre io…) Per sbaglio, mi dimentico per sbaglio che la palla con cui intendo bocciare è appoggiata sul biliardo. Vado su per mettere il pallino e…“Bruciata!” mi sento dire: lo Scorretto ha colpito ancora!
La partita va avanti con io che gli “nascondo il pallino”, senza però fare un birillo, e lui che ogni tanto tira uno strambuglione e mi sghetta 8-12 punti alla volta.
Dodicesimo pallino. Stavolta, tra mille precauzioni e con la bile a spasso per il corpo, lo metto un po’ corto, vicino alla linea (non può toccarla). Ma si vede, che è buono. Non per Lui, che mentre sto per bocciare prende su e va a verificare! Chiama l’arbitro (così la mia concentrazione è andata a puttane) e fa misurare; responso: pallino buono.
Scaglio. Non ci vedo più dal nervoso. Durante la data c’è un punto che si vede lontano un chilometro che è mio, non c’è nessun bisogno di farcene. Ma lo Scorretto non perde occasione: chiama l’arbitro e ce ne fa fare. Punto mio, ovviamente.
Tra uno sghetto e l’altro (mi “ha quasi arrivato”), si va 70 a 64 per me. Data fondamentale. Sto per dare una palla di braccio, decisiva. Sfioro appena, senza muovere, con la maglia che mi esce dalla cintura, le palle sul tavolo. Apriti cielo: “Ah, hai mosso, ho visto benissimo!” E palla bruciata.
Vado a 78, boccio per andar fuori e, ovviamente, non faccio niente. Lui perde la palla di vantaggio, dà un’occhiata sul biliardo e, mentre io già pregusto la vittoria nonostante tutto, individua laggiù, nell’angolino, una palla che non c’entra un ca.... Comincio a sudare freddo: lo sghetto no! E invece sì: 16 di traverso, 78-80, partita persa.
Finale della storia: NON gli do la mano…

ARBITRO – Figura di spicco delle finali delle competizioni ufficiali, sempre in perfetta livrea all-black, l’arbitro viene chiamato dove c’è bisogno di effettuare una misurazione. Se l’arbitro è impegnato a misurare da un’altra parte, si chiama “arbitro!” e si aspetta pazienti. Il giudizio dell’arbitro è inappellabile. Per alcune storiche figure di arbitri, si veda la sezione “Amarcord”.
Come si è già visto, l’arbitro compare, però, solo “al Palazzetto” o nelle finali delle gare; durante le partite di campionato o coppa nei bar, al contrario, è sostituito da un improvvisato (si spera, sportivo) segnatore scelto fra chi, tra i giocatori, ha la mano più ferma (vedi voce successiva).

FARCI DARE, FARCENE – Brutta espressione, equivoca e volgare parlando tra adolescenti, ma assolutamente pulita su un tappeto verde: vuol dire, infatti, nient’altro che “misurare”, “controllare di chi è il punto”. La prassi vuole che, in presenza di un punto dubbio, chi dei giocatori non sia convinto (dopo essersi sporto e divaricato in vari modi sul biliardo per capirci qualcosa) pronunci la formula magica “possiamo farcene?”, “ce ne puoi fare?”, “puoi darci un’occhiata?” (spesso accompagnando il tutto con un ipocrita “per piacere”) oppure semplicemente “arbitro?
A quel punto, mentre i giocatori dicono sportivamente la loro (“per me è rosso”, “lo vedo bianco”, “mi piace di più la rossa”), si avvicinerà un personaggio armato (aiuto!); due sono le ipotesi: che si tratti di un arbitro vero, vestito in nero di tutto punto, con tanto di scudetto della Federazione (e vuol dire che, senza accorgertene, stai giocando in una gara seria) oppure che si tratti di uno straccione raccattato sul momento (uno dei giocatori-spettatori se si gioca in campionato, uno del posto se si gioca in una gara nei bar). Sì, perché in campionato, in assenza di arbitri di professione, a farcene è solitamente uno della squadra ospitante; spesso sempre lo stesso, è altre volte il risultato di un ignobile teatrino del tipo “chi ce ne fa?” – “Vai tu?” -  “No, vado io…”
L’arma? Gli strumenti di misurazione del biliardo sono: un compasso per punti larghi, un compasso per punti stretti, una trappola per topi per controllare se è buono il pallino, un metro (non sempre presente) per misurazioni larghissime, una carta da sigarette (da rimediare sul momento) per misurazioni strettissime. Ma in anni di biliardo ne ho viste di tutti i colori: dai panni aperti e allungati per punti chilometrici all’accendino acceso per punti al micron.
Gli arbitri, veri o finti che siano, guardano, alcuni dicono la loro, poi misurano ed emettono la sentenza. La quale dovrebbe essere inappellabile, e in effetti lo è; ma quante volte un punto viene misurato due, tre volte, o viene chiamato un altro a farcene, o si trova da dire perché si è mosso, e tutte ‘ste pippe qui che non contano una mazza: se si perde non è mai per colpa di una misurazione!

 

CAMPIONATO – Appuntamento fisso, ogni venerdì, per tutti i biliardisti, da ottobre a marzo. È la competizione principale in cui si articola l’anno del biliardo, organizzata in gironi di una decina di squadre l’uno, con partite di andata e ritorno. Ogni partita si compone di tre singoli e tre coppie: le vittorie determinano il punteggio finale (5-1, 4-2 o 3-3); se una squadra vince tutte e sei le partite, infine, fa 6-0 (un vecchio adagio ammonisce che “è sempre difficile fare 6-0…”, intendendo che anche contro le squadre scarse può capitare di perdere una partita). I punti totalizzati di volta in volta disegnano una classifica che determina il vincitore del girone, le finaliste alle finali di Cervia (vedi), eventualmente le retrocesse (dalla C non si retrocede…).

SCUDETTO – Principale miraggio di ogni biliardista, è il premio che si ottiene, insieme al diritto a cucirselo sul petto, vincendo una manifestazione ufficiale (non le gare nei bar, dunque: lì si vincono “solo” dei soldi…) Manifestazione che può essere sia in singolo, che in coppia, che a squadre: e se uno è nell’annata buona, essendo che si ha diritto a portare lo scudetto fino all’edizione successiva di quella gara, può capitare che sulla maglia non ci sia più spazio per gli sponsor! Ogni gara ha un suo tipo di scudetto, variamente colorato: dal campione italiano, che indossa il mitico tricolore (il talentuoso Battista Zanotti del Gabs Settecrociari ne tiene una copia a casa), al campione cesenate (bianco e nero, ne dispongo di una copia, vinta senza giocare…), dal campione regionale (bianco col simbolo della regione in verde) a quello romagnolo (chi si ricorda come è fatto?? Cacchio, se il mio amico Benini Claudio, quella notte di maggio, con noi suoi compagni che tremavamo nel silenzio assordante del Palazzetto, pronti a saltare per aria, a 72 non avesse tremato anche lui e avesse fatto filotto, vi assicuro che me lo ricorderei bene, come è fatto quello scudetto…).

MEDAGLIA – Altro tradizionale obiettivo dei biliardisti, viene assegnata al miglior singolo e alla miglior coppia di un girone del campionato, ossia semplicemente a chi vince più partite.
Parentesi autocelebrativa. A chi scrive venne fatto notare che lo scudetto di campione cesenate a squadre under 23 lo aveva “rubato” (effettivamente, mi ero ritrovato riserva in una  squadra - di 5 giocatori - con un paio di fenomeni e tutti i miei amici del bar di Settecrociari, che erano venuti su un po’ meglio di me…) Decisi che era vero e così mi impuntai che avrei messo tutti a tacere. Risultato? L’anno dopo onorai quello scudetto sul petto vincendo la medaglia come miglior coppia (mio compagno il buon Silvano Severi).

COPPA FIBIS – Equazione: il Campionato di calcio sta alla Coppa Italia come il Campionato di Biliardo sta alla Coppa Fibis. Manifestazione alternativa al campionato, il cui primo turno precede tradizionalmente l’inizio del campionato di una settimana. Si gioca con partite di andata e ritorno: passa il turno chi vince più partite. In caso di parità (ossia due volte 3-3 oppure 2-4 e poi 4-2) si “guardano i punti” (ossia si sommano i punti delle singole partite). Nelle finali, invece, e in altre competizioni a squadre, in caso di parità entra in scena il mitico QUARTO SINGOLO: ogni squadra, cioè, presenta un altro singolo, che si gioca tutto con il corrispondente dell’altra squadra. Anche i vincitori della Coppa Fibis (le cui finali si disputano al Palazzetto) hanno diritto a fregiarsi dello scudetto.

FINALI, PALAZZETTO – Dal 1996, mi pare, la coda finale alla stagione (le cosiddette “finali”) del biliardo si disputa al Palazzetto di Cervia (in realtà, a Pinarella, vicino al Club 99 o Shaky Makaky come lo si chiamava quando anche il sottoscritto ci andava a…scaldare le panchine) Ed essendo che l’intera manifestazione è racchiusa nel mese di maggio, la Fibis ha ideato il nome de “Il Mese del Biliardo” per pubblicizzarla.
“Al Palazzetto” si disputano una miriade di gare: la fase finale del campionato romagnolo (fino a qualche anno fa solo provinciale, oggi allargato), cui partecipano le migliori di ogni girone di campionato, con tabellone ad eliminazione diretta; le finali di tutti i campionati provinciali (dal singolo alla squadra); tutti i “romagnoli”, dal primo turno fino alla finale; gli eventuali spareggi per le medaglie; alcune altre gare importanti, variabili da anno ad anno: un qualche “italiano”, ad esempio, oppure una di quelle gare assurde che sono state inventate da poco, sempre per spettacolarizzare l’evento (mi vengono in mente le gare a “biathlon”, che penso sia una roba tipo una partita a goriziana + una normale; le gare “lui e lei”, tentativi di dare visibilità al  biliardo al femminile).
Per finire. Cosa c’è veramente di diverso, di unico al Palazzetto? Il clima! Venti biliardi in mezzo al parquet, pubblico sugli spalti (lontano dai maroni…), le urla dei tifosi durante le gare a squadre, le televisioni, il giocare fianco a fianco (non sullo stesso biliardo...) coi fenomeni. Clima unico, se paragonato con l’ambiente chiuso, maleodorante, equivoco dei bar dove si gioca di solito al venerdì.

GARA, GARA DI TERZA, GARA DI SECONDA E TERZA, SEGNARSI ALLA GARA  – “Gara” è termine vago, indicante genericamente una competizione biliardistica non a squadre.
La prima distinzione va fatta “gare” propriamente dette e gare ufficiali. Le “gare” sono la classica alternativa, onerosa e raramente remunerativa, al campionato e agli altri impegni con la squadra. Rigorosamente a pagamento (salato), a coppia o singolo, vi si partecipa per propria volontà (molti, anche forti, manco le cagano, ma nelle gare si fa tanta esperienza); possono essere, a seconda della categoria dei partecipanti (leggi: del livello del gioco) di terza, di seconda, di seconda  e terza, aperta a tutti (astenersi…) Giocata in un bar, la gara è pubblicizzata con colorati cartelloni che si appendono nei vari circoli; se uno si vuole segnare, prende su il suo bel cellulare e chiama il numero indicato. La sera ci si presenta, si gioca, si perde e si va a casa.
Le gare, ufficiali, invece, sono i vari “campionati”, sempre a coppie o singolo, che, a seconda dell’area che coprono, possono essere: “gli italiani”, “il romagnolo”, “i provinciali”,“il comprensoriale (antica denominazione dei campionati cesenate, forlivese, cervese e via dicendo; particolare perché era aperto a tutte le categorie, non si pagava niente, si giocava anche contro i fenomeni e, visto che nessuno si impegnava, capitava anche di batterne qualcuno). Si noti che le stesse denominazioni sono valide per le gare a squadre e che, sempre, vi si aggiunge la categoria a cui si riferiscono (si parla di “italiani a singolo di 3a” come di “provinciali di 3a a squadre” e così via). Per le gare ufficiali, l’iscrizione è un po’ meno salata che per le gare nei bar; cosa si vince (sempre se si passa almeno la batteria)? Beh, premetto che la mia esperienza in tal senso è alquanto limitata… Comunque, il premio classico per il passaggio della batteria è una coppetta; poi, più si va avanti e più il premio aumenta: si passa alla targhetta, al coppone, alla medaglietta e, dulcis in fundo, allo scudetto. Soldi pochini ma, considerato anche il contesto in cui sono vinti, fanno anche più felici di un pugnetto di soldi (che molte volte, nelle gare che si vanno a fare lontano, fanno fatica a coprire le spese tra iscrizione e trasporto)…
Una cosa, però, deve essere chiara; ufficiali o no, il senso delle gare è sempre lo stesso: se si vince si continua, se si perde si va a casa, se si vince almeno la batteria si intasca, se si vince la gara si è forti.  

BATTERIA – Ognuno dei minitornei a 8 (singoli o coppie) nei quali si suddividono le gare. Chi passa la batteria, accede alle finali.

PERDERE LA/ALLA PRIMA, LA/ALLA SECONDA, IN FINALE, PASSARE – Elenco di espressioni, in ordine crescente di gradimento, tutte ascrivibili esclusivamente ad un contesto: quello della gara. Essendo la batteria composta di 8 partecipanti, è ovvio che si parte dai quarti di finale: i perdenti racconteranno agli amici di aver “perso la prima”; chi perderà in semifinale di batteria dirà di aver “perso la seconda”; e così via. Chi vince tutte e tre le partite, si dice che “è passato”. Passato alle finali, s’intende; le quali, a seconda del numero delle batterie di cui è composta la gara, vedranno un tabellone (sempre a eliminazione diretta) diverso di volta in volta (molto probabile che si debbano disputare anche degli spareggi).

GORIZIANA – Antico gioco d’azzardo (immagino di origine friulana) divenuto una spettacolare alternativa alle boccette classiche. Ideale per giocatori a tutto braccio (i colpi di striscio sono permessi ma visti di cattivo occhio dai puristi, il cricco perfino peggio…), non prevede l’andare a punto, bensì una serie di tiri alternati tra i due giocatori, tutti aventi lo scopo di mandare il pallino sul castello e realizzare punti. Castello che in goriziana è “allungato” di un birillo per braccio; tre sono le palle: una rossa e una bianca per i due contendenti (esiste anche la goriziana a coppie, ma è meno praticata), più il pallino (nelle competizioni ufficiali di colore giallo). Altra particolarità della goriziana il fatto che i due giocatori non effettuano tutti i loro colpi da una stessa zona del campo, ma possono anche (a seconda della posizione del pallino) spostarsi dall’altra sponda. In gara, il termine sono i 400 punti: potrebbe sembrare un punteggio che richiederebbe ore, ma si tenga presente che i birilli sono di più e i punti anche (punteggio massimo nel caso in cui con un qualsiasi colpo si abbatta solo il rosso). Se, caso rarissimo, dopo i passaggi delle palle non rimane in piedi neanche un birillo, si dice che si è “fatto (o bevuto) goriziana” e la partita finisce lì. Da molti ritenuto un rifugio per sghettari e strapazzoni, la goriziana presenta un proprio campionato, proprie finali e un proprio fascino. A me non piace.    

FOLLA – Esclusiva della specialità “goriziana”, si verifica quando con la propria palla non si colpisce per prima la palla gialla. La folla comporta punti bevuti (ricordiamo che nella goriziana, come nel biliardo normale, i punti bevuti non si scalano ai propri, ma si regalano all’avversario, felice)…

SUPERSpeciale “AMARCORD”

Il trascorrere del tempo, si sa, ammanta tutte le cose di quell’aura mitica che le rende “indimenticabili”, “uniche”, “irripetibili”. Ed è così anche per le cose del biliardo, molte delle quali sono state semplicemente rivoluzionate nel breve volgere di un decennio.
Abbiamo già visto che al CAMPIONATO ARCI si è prima aggiunto, per poi sostituirlo a poco a poco, quello della FIBIS. E con questo i mitici BILIARDI CON LE BUCHE sono stati sostituiti da quelli internazionali. E così i punti di seconda sono diventati doppi, le partite si sono accorciate, i ladri (vedi “sghettari”) hanno iniziato a circolare a piede libero.
Ma non solo! Vi ricordate come si segnavano i punti fino a non più di dieci anni fa? Ve la ricordate la mitica STECCA? I 25 punti ad ogni giro di stecca, appunto, in modo che una delle prese per il culo più diffuse era “non ti faccio neanche girare la stecca”?
E quando si era costretti a SEGNARE, ossia tenere i punti anche scrivendoli su un foglietto apposito? Lo scrivano era quasi una professione, con gente che segnava anche quante bocciate si facevano, i punti d’acchito, ecc. E quando i due totali non coincidevano, perché magari chi scriveva si era addormentato?
Ma torniamo alle priorità dei bigliardi con le buche. Le bocciate, quel tempo tutte di braccio, erano classiche, non c’era “ritorno”. E la mitica BOCCIATA DI SFACCIO (data partendo da una posizione la cui perpendicolare è più vicina al castello di quella della palla/pallino che si colpisce), con pallini attaccati al castello, era diffusissima. Oggi quasi scomparsa (il cicciotto spopola e tra l’altro mediamente i pallini si mettono più lontani dal castello), l’ho rivista essere usata copiosamente solo recentemente, al Gabs Acli di S.Angelo di Gatteo; cito questo luogo non perché abbia ricevuto qualche cachet ma perché, in un panorama di sale-biliardo proprio stile Arci (tuguri degni neanche di una partita a dadi), è questo un esempio di sala ampia e silenziosa, dove è un piacere giocare.
Ma torniamo ai ricordi. E quei pallini altissimi da bocciare di rimessa? Oggi, piuttosto, striscini, calci e similari… E la palla che, beffarda, lenta lenta si avvicinava alla BUCA e ci finiva dentro, rendendo inutile magari una bella bocciata? “Busa!” chissà quante volte l’avrete pronunciato, augurandovi che la palla o il pallino ci finissero proprio, in buca!
E cosa diciamo, poi, dello SBOCCO? Del pallino che, scagliata verso la buca (magari una delle due laterali) a tutta velocità, prendeva lo sbocco e si intraversava sul castello, facendo una strage? “Sbocco di merda”, “sboccaccio”, “sbòc de’ càz”: tutti sfoghi che tutti abbiamo pronunciato, almeno una volta!
E poi mi piace ricordare le terribili bocciate a SCHIANTASPONDE, che se venivano dritte c’era il 12 assicurato! Tra i violenti della storia del biliardo, ricordo qui il mitico “S’centa spòndi” dell’Ottoclub di Gambettola (ora non più esistente). Questo individuo si presentava con capello lungo e stivaloni da cow-boy in punta (mancava solo lo sperone incorporato), e già era tutto un programma. Poi cacciava delle mine in bocciata che era meglio spostarsi da davanti al biliardo (una volta le pale uscivano davvero, dal panno)…
Una curiosità, poi, a sfidare ancora la memoria. C’era nel vostro bar, tra le alternative alla pallosa partita, il “TIRA TIRA”? Una roba ibrida che non mi ricordo neanche più che regole aveva…

Alcuni personaggi, per finire. Iniziamo dall’uomo che, per fama e signorilità, meriterebbe una voce a sé: De Cesari, all’anagrafe Loris De Cesari. Storico dirigente e commentatore televisivo dalla dizione proverbialmente perfetta, lo inserisco nell’Amarcord in segno di rispetto e riconoscenza per quello che ha fatto nei tempi difficili delle origini della Fibis. Ma la sua presenza, soprattutto alle finali di Cervia, con la competenza e l’autorità che tutti gli riconoscono, è imprescindibile. Anzi, come direbbe lui, “impresindibile”.  
E poi gli arbitri, parte insostituibile delle gare e delle finali (quando li vedi, tutti in tiro, schierati tra i biliardi). Mazza, Faccani, Sorrentino, Ravaglia, Maldini: a chi non è mai capitato di pronunciare uno di questi, storici cognomi!
E i fenomeni. Cito a vanvera, in ordine sparso e a casaccio, i miti dei miei primi anni sul tappeto: “Juri”, “Cico”, “Furia”, “Zoffolino”, “Alex”, “Mazza”. Giocarci contro? Beh, ci si poteva far male. Ma è parlandoci, con un campione, che si avverte con chi si ha a che fare: un vero fenomeno non lo è solo sul biliardo, ma anche prima e dopo la partita e i più casalinghi. Ed ora i miti del mio bar, il Gabs Settecrociari:  “Marino”, “Oscar” “Gianca”, “Franz”, “Ragno”, “Gallo”, “Pino”. Eccolo il padre di noi tutti, il grande “CAVALIERE”, al secolo Giuseppe Armuzzi detto “Pino”: un maestro di stile “fuori e dentro” la partita cui tutti i giocatori, non solo nel nostro bar, devono qualcosa. Un vero signore del biliardo.
Infine, proprio per ultimo, tengo per me, solo per me, il ricordo a cui sono più legato. Quando, ormai vent’anni fa, comparvero al Bar di Settecrociari due biliardi, e c’erano ad accoglierli quattro amici poco più che dodicenni. E quando, per tante estati, i biliardi (Bat, Sam, Pollo: vi ricordate le partite di sotto?) furono quasi solo cosa loro, nostra, con le palle che volavano fuori e spaccavano le mattonelle... Quando tutte le sere si faceva la partita e io non vincevo mai… Quando l’anno si apriva con il mitico “Doppio di Natale”…

Grazie, Amici! Grazie, Biliardo!

 

Fonte: http://www.fibisromagna.it/doc/1599Doc_2097.doc

Sito web da visitare: http://www.fibisromagna.it

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