11 settembre 2001

11 settembre 2001

 

 

 

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11 settembre 2001

11 SETTEMBRE 2001
FATTI
La mattina dell'11 settembre 2001, 19 affiliati all'organizzazione terroristica di matrice islamica al-Qāida dirottarono quattro voli di linea americani. I dirottatori fecero intenzionalmente schiantare due degli aerei sulle torri 1 e 2 del World Trade Center di New York, causando poco dopo il collasso di entrambi i grattacieli e conseguenti gravi danni agli edifici vicini. Il terzo aereo di linea fu fatto schiantare dai dirottatori contro il Pentagono. Il quarto aereo, diretto contro il Campidoglio o la Casa Bianca a Washington, si schiantò in un campo vicino Shanksville, nella Contea di Somerset (Pennsylvania), dopo che i passeggeri e i membri dell'equipaggio tentarono, senza riuscirci, di riprendere il controllo del velivolo.
Gli attacchi terroristici dell'11 settembre causarono circa 3 000 vittime. Nell'attacco alle torri gemelle morirono 2 752 persone, tra queste 343 vigili del fuoco e 60 poliziotti. La maggior parte delle vittime erano civili di 70 diverse nazionalità
Gli attacchi ebbero grandi conseguenze a livello mondiale: gli Stati Uniti d'America risposero dichiarando la "Guerra al terrorismo" e attaccando l'Afghanistan controllato dai Talebani, accusati di aver volontariamente ospitato i terroristi. Il parlamento statunitense approvò lo USA PATRIOT Act mentre altri stati rafforzarono la loro legislazione anti-terroristica, incrementando i poteri di polizia. Le borse rimasero chiuse quasi per una settimana, registrando enormi perdite subito dopo la riapertura, con quelle maggiori fatte registrare dalle compagnie aeree e di assicurazioni. L'economia della Lower Manhattan si fermò per via della distruzione di uffici del valore di miliardi di dollari.
I danni subiti dal Pentagono furono riparati dopo un anno e un piccolo monumento commemorativo fu costruito sul luogo. La ricostruzione del World Trade Center è invece stata più problematica, a seguito di controversie sorte riguardo ai possibili progetti e sui tempi necessari al loro completamento.
CAUSE POLITICHE
Sono ancora incerte le cause principali dell’attentato alle torri gemelle ma sicuramente l’estremismo musulmano è una di queste.
Nel mondo islamico la religione ha sicuramente una posizione molto più rilevante di quella che ha nel mondo cattolico o di altri culti. Ciò ha portato il mondo islamico a uno sviluppo morale e culturale, ma ha anche causato il risveglio degli animi estremisti che credono loro compito imporre ai non musulmani la loro religione con conflitti e guerre più o meno sanguinose, sia a livello mondiale che non. Nonostante i musulmani rappresentino solo 1/5 della popolazione mondiale, sono capaci infatti di causare i 2/3 delle guerre in atto sul nostro pianeta provocando milioni di morti nel corso di secoli.
Al-Qāida è il nome di un movimento terroristico fautore di ideali riconducibili al fondamentalismo islamico, impegnato nell'organizzazione e nell'esecuzione di azioni violente e ostili sia nei confronti dei vari regimi islamici filo-occidentali, sia del mondo occidentale. È stato guidato dal miliardario saudita Osāma bin Lāden sino alla sua morte avvenuta nel 2011. I suoi atti terroristici fanno uso di attacchi suicidi e omicidi e fanno ricorso all'uso simultaneo di esplosivi su differenti obiettivi. Il gruppo di al-Qāida predica e organizza da tempo con l'obiettivo di porre fine all'influenza dei paesi occidentali su quelli musulmani. Numerosi sono gli attacchi terroristici riconducibili al gruppo di Al-Qāida tra i quali ricordiamo i più importanti, oltre a quelli del pentagono e delle torri gemelle negli USA, quello avvenuto nella metropolitana di Londra, nel Regno Unito.

Conseguenze

E’ accaduto tutto  in pochi minuti, ed è in pochi minuti che migliaia di famiglie hanno perso i loro cari. Magari gente che era salita sulle famosi torri di New York solo per ammirare la fantastica vista dai cento e più piani. E' triste pensare che i vigili del fuoco andavano a salvargli la vita e dopo ci hanno rimesso la loro. Nei giorni seguenti il presidente americano George W. Bush intima ai Talebani Di consegnargli Osama Bin Laden, il capo dei Talebani accusato della strage delle due torri. I Talebani e Bin Laden, invece, continuano a dichiararsi innocenti. Esattamente un mese dopo l'attentato al simbolo economico americano, il presidente Bush inizia il bombardamento a Kabul, dove risiedono le forze militari talebane, nei punti strategici per indebolirli. Purtroppo non tutti i missili hanno colpito il bersaglio e parecchi civili sono morti. Inizia la prima vera e propria guerra del XXI secolo. Ultimamente si sono anche temuti attacchi di bioterrorismo, in altre parole la diffusione da parte dei terroristi di batteri nocivi all'uomo, col pericolo di morte. Purtroppo queste preoccupazioni non sono state infondate: infatti, in Florida alla casa editrice American Media ci sono stati i primi casi di carbonchio, che per alcuni dipendenti sono stati fatali. Questa malattia è causata anche solo dal contatto per un attimo con la ormai famosa polverina bianca del virus dell'Antrace. Ormai in America è scatto l'allarme di allerta assoluta su tutti i pacchi e lettere sospette che possano contenere la polvere bianca. I casi di carbonchio si estendono anche alla Nbc e alla Microsoft. Pure in Europa si sta allerta. Sembra proprio che sia questo il contrattacco talebano agli americani, un attacco da vigliacchi che continua a colpire sempre e solo gli innocenti. Personalmente io penso che il presidente americano sia stato molto astuto nell'aspettare tutto questo tempo prima del bombardamento, in modo che si è assicurato l'amicizia e la collaborazione di tutti gli altri paesi prima di contrattaccare. Molti sostengono che, se fosse catturato, Osama Bin Laden dovrebbe morire, ma in tal caso noi faremmo il suo stesso gioco e questo non è giusto. Sostanzialmente io sono contro la guerra, ma in questo caso credo sia inevitabile, altrimenti i terroristi afgani continuerebbero a diffondere morte e terrore nel mondo.

 

 Le conseguenze della tragedia dell’11 settembre furono numerose dal punto di vista militare, politico, economico e sociale (soprattutto psicologico, con numerose persone vittime di attacchi di panico, e sanitario: l’area nei dintorni del World Trade Center, a New York era altamente tossica, per il collasso delle Torri ed il fumo sprigionato dagli incendi, che rilasciarono nell’aria metalli, amianto e gas altamente nocivi).
Militarmente gli Stati Uniti intrapresero con gli alleati occidentali e con il consiglio di Sicurezza dell’Onu la guerra in Afghanistan, vinta militarmente in breve tempo spazzando via in poche settimane il regime talebano che proteggeva Bin Laden ed Al Qaeda, ma rivelatasi foriera di enormi difficoltà successive (la missione non è ancora terminata: i talebani portano tuttora a segno numerosi e sanguinosi attentati, e la democrazia muove i primi, fragilissimi, passi con enorme fatica). Un indubbio successo dell’amministrazione Obama è stata l’uccisione, a maggio del 2012 del leader di Al Qaeda, Bin Laden; un successo che come ricordato dallo stesso Obama, non significava affatto guerra finita.
Dopo l’Afghanistan, fu la volta dell’Iraq, ma stavolta Bush (in alleanza con la Gran Bretagna di Blair, la Spagna di Aznar e numerose altre nazioni; noi mandammo i soldati a guerra finita), non si fermò all’impasse del Consiglio di Sicurezza, ed intraprese una guerra fuori dalla legalità internazionale. Gli Usa invasero l’Iraq di Saddam Hussein, ma, come in Afghanistan, vinta la guerra (e catturato il dittatore), non riuscirono a “vincere la pace” impantanandosi, come fecero, in una guerriglia durata anni e che sarebbe costata forti perdite americane in vite umane (incalcolabili le perdite irakene) ed anche dal punto di vista economico, come recentemente ricordato dal reverendo Jesse Jackson alla Convention democratica della settimana scorsa. Bastonata dalle guerre nel mondo islamico, l’America (che intanto, proprio per cambiare pagina, votò Obama nel 2008) mutò approccio, limitandosi ad appoggiare le guerriglie di opposizione, che hanno dato vita alla “primavera araba”, contro i regimi autoritari al potere da decenni: una mossa rischiosa, perché, con tutti i loro difetti, Ben Alì in Tunisia, Mubarak in Egitto, e, sia pur meno affidabile, Gheddafi in Libia, garantivano stabilità ed erano regimi non certo ostili all’Occidente (America e soprattutto Israele, Stato che ora rischia di rimanere isolato nello scacchiere mediorientale); diverso il discorso in Siria ma questa è un’altra storia.
Sull’economia, le conseguenze furono il peggioramento della situazione già difficile a livello americano, difficoltà che si sarebbe esportata a livello mondiale.
Dal punto di vista politico, la guerra in Iraq portò malissimo a Bush, il quale perse in poco tempo tutti gli alleati che lo avevano affiancato in quell’avventura: lo spagnolo Aznar, nel 2004; il polacco Miller, nel 2005; l’italiano Berlusconi, nel 2006; la maggioranza parlamentare in entrambi i rami del Congresso, nel 2006 e l’inglese Blair, nel 2007, determinando così l’isolamento dell’Amministrazione che solo pochi anni prima, all’indomani dell’11 settembre, aveva visto coagulare intorno a sé l’alleanza politica e militare di tutto l’Occidente e la solidarietà anche di Paesi tradizionalmente lontani.
Danni alle industrie e all'economia
II danno principale registrato alle infrastrutture finanziarie è stato sicuramente il blocco del sistema di comunicazione interna della Bank of New York, principale istituto bancario d' America che ha dovuto cercare di improvvisare un sistema di recupero dei dati contenuti nel cervellone elettronico posizionato a pochi blocchi dal World Trade Center. Ma non è tutto. Nel corso dell'attentato sono andati in frantumi le attrezzature del sistema di contrattazioni della Borsa di Wall Street mentre il panico collettivo si riversava sui sistemi di pagamento elettronico mandando in tilt i bancomat di mezzo mondo.
Sul fronte dei listini azionari la chiusura forzata delle borse americane nella giornata dell'11 settembre per una settimana ha contribuito a limitare il crollo delle quotazioni.
Se gli Usa hanno risentito fortemente in termini finanziari dell'attentato terroristico, le cose non sono andate meglio a migliaia di chilometri di distanza. Da Londra a Milano, da Francoforte a Ginevra, le Borse europee hanno registrato un crollo senza precedenti.
Indebolimento degli Stati Uniti
Gli Stati Uniti non hanno mai, in tutta la loro storia, subito un attacco più diretto e profondo sul proprio territorio. La popolazione americana ora prova l'incertezza di chi si scopre attaccabile e la paranoia di chi non sa quando e da dove potrà giungere il prossimo attacco. Questa guerra psicologica era evidentemente uno degli obiettivi di Al Qaeda. indubbiamente mettere in luce tale vulnerabilità è uno degli obiettivi centrati dall'attacco. Questo attacco ha avuto anche conseguenze positive nell'animo degli americani, ha infatti provocato una grande determinazione negli stessi e destato una certa inquietudine in tutti i paesi occidentali, sensibili agli attacchi terroristici, avviando anche un movimento di inasprimento di pene e energie utilizzate per lo studio e il contrasto del terrorismo. La più che ovvia - ma ponderata e soprattutto approvata dall'ONU - reazione militare degli USA ha di fatto dissolto il regime Talebano in Afghanistan, distruggendo la maggior parte delle strutture di Al Qaeda e prendendo il controllo dell'area geografica da cui il gruppo terrorista ha da sempre raccolto adesione, sostegno e rifugio. Nel complesso, gli usa sembrano aver assorbito in maniera efficace l'attacco, mentre Al Qaeda ci ha, di fatto, rimesso in tutti i campi.

La risposta statunitense agli attentati dell'11 settembre

La risposta dell’amministrazione Bush

In 189 anni di esistenza gli Usa non avevano mai subito attacchi sul loro territorio. Colpiti al cuore, gli Usa si sentirono insicuri e privi di difese e tentarono di reagire impostando una nuova politica estera. Da allora la percezione delle relazioni con i vicini meridionali cambiò.
Pochi giorni dopo l’attacco i ministri degli esteri dei paesi latinoamericani definirono l’attacco dell’11 settembre un colpo sferrato contro tutti gli stati americani. Dichiararono che ogni nazione che aveva sottoscritto l’accordo di Rio nel 1947 si sarebbe impegnata a garantire assistenza agli Usa e avrebbe usato ogni misura per catturare estradare e punire chiunque avesse preso parte agli attacchi. Il trattato del 47 tornava ad essere il fondamento della difesa collettiva. La solidarietà interamericana fu rafforzata dalla firma nel 2002 della Convenzione Interamericana contro il Terrorismo.
Gli attacchi contribuirono a rafforzare i poteri della presidenza sia in politica estera sia in ambito interno. Durante i periodi di pace quando la nazione non ha a che fare con un nemico evidente ogni occupante dell’Ufficio Ovale fa fatica ad adottare politiche aggressive o innovative. I problemi interni tendono a prendere il sopravvento su quelli esterni. La capacità del presidente di convincere le componenti sociali a sacrificare i loro interessi in nome di un obiettivo più importante e in grado di coinvolgere l’intera nazione è limitato.
Una volta che gli Usa furono attaccati Bush riuscì a ribaltare tale status. Il Congresso divenne più cooperativo, l’esecutivo guadagnò più influenza sul potere legislativo e la politica estera balzò al primo posto dell’agenda dell’amministrazione.
All’inizio la risposta americana agli attacchi si concentrò su Al Qaeda e il governo dei talebani in Afghanistan rei di aver dato ospitalità a Bin Laden. Con un nemico come il terrorismo islamico, non associato a un particolare stato o territorio, minacciare una risposta massiccia, magari nucleare contro un soggetto evanescente e disperso sull’intero globo non avrebbe avuto senso.
Bush usò il termine “asse del male” per indicare nazioni come Iran, Iraq, Corea del Nord considerate come possibili minacce di attacchi contro gli Usa tramite armi di distruzione di massa e contigue con il terrorismo fondamentalista.
Dopo gli attacchi a sorpresa giapponesi contro le forze armate statunitensi del 41 Washington aveva sempre deprecato l’eventualità di attaccare senza preavviso un’altra nazione. Gli Usa infatti pur disponendo di un potere immenso non avevano nessun diritto di imporre la loro visione del mondo ma avrebbero agito per sostenere tutti quei paesi che avrebbero compiuto le scelte giuste per i loro popoli.
Le dichiarazioni di Bush furono codificate nel documento NSS2002 (National security council 2002).
Dopo l’11 settembre, i temi della sicurezza e della lotta al terrorismo balzarono al primo posto nelle priorità di Washington.
Per combattere il terrorismo Washington preferì instaurare rapporti diversi con le esistenti democrazie latinoamericane. Prima degli attacchi, l’amministrazione Bush avrebbe voluto concludere un accordo sull’immigrazione con il Messico per permettere il libero afflusso di lavoratori messicani negli Usa e regolarizzare milioni di lavoratori latinos già residenti. Ma la nuova minaccia terroristica costrinse Washington a rafforzare i controlli alle frontiere per prevenire futuri attacchi.
Qualche progresso ci fu ma non nella misura che Fox si attendeva. Bush esentò sia il Messico sia il Canada in quanto cofirmatari dell’accordo Nafta dalle nuove tariffe sull’acciaio che si preparava ad imporre. Poi firmò con Fox un accordo per migliorare le misure di sicurezza nelle oltre 2.000 miglia di confine comune e si accordò per alcune misure volte a facilitare lo scambio commerciale.
Se le relazioni con il Messico furono oggetto di tensioni dovute all’attacco alle torri gemelle e la nuova ossessione statunitense per la sicurezza dei confini, quelle con la Colombia beneficiarono della nuova attenzione statunitense a simili tematiche. Prima dell’11 settembre l’unico modo per il presidente di ottenere dal Congresso aiuti militari per permettere alla Colombia di combattere le guerriglie marxiste della Farc e dell’Eln era affermare che sarebbero serviti per la guerra alla droga e al narcotraffico.  Senza una minaccia globale alla sicurezza, tali informazioni sarebbero state considerate solo un problema interno alla Colombia. Gli eventi dell’11 settembre permisero a Bush di includere le Farc e l’Eln nella guerra al terrorismo.
L’elezione di Uribe alla presidenza della repubblica nel 2002 facilitò tale inclusione delle formazioni paramilitari marxiste.
Uribe aveva perso ogni speranza del processo di pace avviato con le guerriglie del predecessore Pastrana. Decise di migliorare la capacità di reazione dell’esercito e della polizia per affrontare con più efficacia le forza antigovernative. Uribe annunciò che le forze armate avrebbero agito per prevenire gli attacchi dei terroristi marxisti ottenendo da Washington incrementi di aiuti militari.
Insieme allo sviluppo dei temi di sicurezza, la NSS2002 ridiede nuova enfasi anche al miglioramento delle relazioni economiche e commerciali tra Usa e nazioni latinoamericane. Il commercio era più di una questione di efficienza economica, era uno strumento per sostenere i valori della società occidentale.
Il punto di partenza per assicurare il successo del progetto era il Cile. Il paese andino era il primo che aveva iniziato a stipulare accordi bilaterali per abbattere le tariffe e liberalizzare i commerci e il tipo di trattato che gli Usa avrebbero dovuto concludere nel 2002 doveva diventare il modello da seguire per il più generale accordo di libero commercio delle americhe o Ftaa. Ma per far ciò Bush doveva ottenere la Tpa.
Nel 2002 Bush ottenne tale autorità e potè concludere i negoziati con il Cile insieme ad accordi simili con Giordania e Singapore.
A dieci anni dall’evento rimane difficile sottovalutare l’impatto degli attentati terroristici dell’11 settembre 2001 sulla politica interna ed estera degli Stati Uniti.
Il cambiamento, per molti aspetti radicale, si dispiegò su tre ambiti principali. Innervata da un discorso scopertamente e orgogliosamente nazionalista, la politica estera dell’amministrazione Bush si fece più assertiva e unilaterale. Alla sfida del terrorismo, gli Stati Uniti risposero con una campagna globale che indusse a riporre la promessa iniziale di Bush di ridurre gl’impegni internazionali degli Usa, abbandonando il globalismo del decennio precedente. L’obiettivo divenne quello di attivare un processo di trasformazione dell’ordine internazionale, a cominciare da quel teatro mediorientale dove i compromessi politici e geopolitici dei decenni precedenti non apparivano più tollerabili. La condizione necessaria per promuovere questa politica globale e interventista ci porta alla seconda conseguenza dell’11 settembre: la decisione - contraria agli intenti originari di Bush e del suo segretario della difesa Donald Rumsfeld - d’intraprendere un massiccio processo di riarmo, che negli otto anni della presidenza Bush avrebbe portato il bilancio del Pentagono da circa 310 a 670 miliardi di dollari. Le armi, infatti, avevano un ruolo fondamentale nella strategia post 11 settembre: servivano non solo nella campagna antiterroristica, ma anche per rovesciare regimi autoritari, come quello di Saddam Hussein, e attivare processi di modernizzazione e democratizzazione ritenuti indispensabili per garantire la sicurezza degli stessi Stati Uniti. Infine, a questa azione internazionale corrispose un maggiore impegno nella lotta al terrorismo all’interno degli stessi Stati Uniti. Questo impegno si concretizzò con una legge - il Patriot Act - approvata nell’ottobre del 2001 col solo voto contrario del senatore democratico del Wisconsin, Russel Feingold. Il Patriot Act, che con alcune modifiche fu rinnovato nel 2006, accresceva la possibilità per varie agenzie federali di monitorare comunicazioni telefoniche, postali ed e-mail, rimuoveva restrizioni all’attività d’intelligence negli Stati Uniti e, soprattutto, garantiva ampia discrezionalità nel trattamento di immigrati sospettati di avere legami con organizzazioni terroristiche. La legge, e la filosofia che vi sottostava, ripropose un dilemma antico quanto gli Stati Uniti stessi: il problema - in tempi di pericolo, percepito e reale, per il paese - di conciliare libertà e sicurezza, protezione degli Stati Uniti e dei loro cittadini e preservazione delle libertà fondamentali e dei diritti costituzionali.
Questa reazione all’aggressione terroristica dell’11 settembre si rivelò in ultimo contraddittoria e impraticabile. Gli interventi militari in Afghanistan e, soprattutto, in Iraq smentirono le ottimistiche previsioni dell’amministrazione Bush sulla possibilità di usare lo strumento militare per esportare democrazia e promuovere ambiziose operazioni di nation-building. I costi umani e materiali dei due conflitti - che ad oggi hanno causato circa 6000 vittime tra i soldati statunitensi - divennero inaccettabili per l’opinione pubblica statunitense. Le alte spese militari, combinate con significativi tagli alle tasse e a tassi di crescita più bassi rispetto agli anni Novanta, alimentarono deficit e debito. I metodi della campagna globale contro il terrore - fatti di incarcerazioni arbitrarie, ripudio delle convenzioni internazionali e utilizzo di metodi prossimi alla tortura - alimentarono l’indignazione e l’ostilità dell’opinione pubblica mondiale e di una parte, per quanto minoritaria, di quella statunitense.
Il doppio consenso - interno e internazionale - di cui la principale potenza mondiale abbisogna per condurre un’efficace politica estera andò progressivamente in frantumi. L’elezione di Barack Obama nel 2008, e lo straordinario entusiasmo che essa ha generato fuori dagli Stati Uniti, può essere anche letta in questa chiave e certo ha contribuito a riattivare il soft power di cui storicamente godono gli Usa, riportandone la politica estera sul binario di un cauto e pragmatico internazionalismo. Il successo dell’operazione che ha portato all’eliminazione di Osama Bin Laden ha inoltre rafforzato Obama in un momento di particolare difficoltà per la sua amministrazione. Molte contraddizioni però rimangono. Obama ha deciso di alzare la soglia dell’impegno in Afghanistan, ma oggi una larga maggioranza degli americani sono contrari al proseguimento dell’operazione e chiedono un rapido disimpegno. La crisi economica e l’impressionante deterioramento dei conti pubblici ha reso ancor meno popolare l’idea che gli Usa debbano avere un ruolo di leadership della comunità internazionale. Al contempo, però, una maggioranza dell’opinione pubblica statunitense non giudica negativamente alcuni degli aspetti più controversi della campagna contro il terrorismo di Bush e ne chiede la prosecuzione (stando ai sondaggi, il 65% degli americani rimangono per esempio contrari alla chiusura del carcere di Guantánamo e al trasferimento dei prigionieri in carceri statunitensi). A un mondo che chiede un maggior impegno degli Stati Uniti, da realizzarsi attraverso la loro partecipazione a organizzazioni internazionali e fora multilaterali, corrisponde pertanto oggi un’America riluttante sia a sostenere politiche estere globali e interventiste, sia a rientrare pienamente nella comunità internazionale, accettandone norme e vincoli.

Reazioni dell'opinione pubblica statunitense

A seguito degli attacchi, l'indice di gradimento del presidente Bush salì fino all'86%. Il 20 settembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti parlò alla nazione e ad una seduta congiunta del Congresso, esponendo gli eventi del giorno degli attacchi, i successivi nove giorni di sforzi di salvataggio e ricostruzione e la sua risposta agli eventi. Anche il sindaco di New York Rudolph Giuliani ottenne un notevole gradimento a livello locale e nazionale in virtù del ruolo svolto. Molti fondi furono immediatamente aperti per assistere finanziariamente i sopravvissuti e le famiglie delle vittime degli attacchi; al termine ultimo per la compensazione delle vittime, l'11 settembre 2003, erano state ricevute 2 833 richieste dalle famiglie delle vittime. L'amministrazione Bush indicò gli attacchi dell'11 settembre per giustificare l'inizio di una operazione segreta della National Security Agency volta a «intercettare comunicazioni via telefono e e-mail tra gli Stati Uniti e persone all'estero senza mandato».
Furono riportati numerosi incidenti di molestie e crimini d'odio contro mediorientali e persone "dall'aspetto mediorientale"; furono coinvolti particolarmente Sikh, in quanto gli uomini sikh vestono un turbante, elemento essenziale dello stereotipo del musulmano negli Stati Uniti. Vi furono abusi verbali, attacchi a moschee e altre costruzioni religiose e aggressioni, tra cui un omicidi. Le principali organizzazioni statunitensi di musulmani si fecero avanti con le loro capacità e le loro risorse per aiutare ad alleviare le sofferenze delle persone coinvolte e delle loro famiglie. Oltre a notevoli donazioni di denaro, molte organizzazioni islamiche organizzarono raccolte di sangue e fornirono assistenza medica, cibo e alloggio alle vittime dell'attentato. A seguito degli attacchi, 80 000 arabi e immigrati musulmani furono registrati e le loro impronte digitali schedate in base all'Alien Registration Act del 1940. Ottomila arabi e musulmani furono interrogati e cinquemila stranieri furono detenuti secondo la Joint Congressional Resolution 107-40, che autorizzava l'uso delle forze armate «per scoraggiare e prevenire atti di terrorismo internazionale contro gli Stati Uniti».

 

Fonte: http://www.liceogalvani.it/download_file.php?id=7921

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