Dalla crisi di fine secolo al ministero Giolitti

Dalla crisi di fine secolo al ministero Giolitti

 

 

 

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Dalla crisi di fine secolo al ministero Giolitti

Fra depressione economica e repressione politica.  I tumulti di Milano e il regicidio di Monza.

I fatti di Milano del 1898

La sconfitta di Adua (1896) provoca la fine della carriera politica di Crispi..  Gli succede il marchese di Rudinì, che rinuncia ad ulteriori acquisizioni coloniali, ma attua una politica antisocialista a antianarchica.  In Italia c’è un momento di crisi economica , che provoca, tra l’altro, il rincaro del pane. La situazione è tesa, il governo prende provvedimenti contro le principali forze di opposizione, socialisti, anarchici, cattolici.  A Milano scoppiano gravi disordini e il generale Bava-Beccaris spara a cannonate sulla folla.

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Il ministero Pelloux

Una parte dell’opinione pubblica approva la repressione e auspica una interpretazione più rigida  dello Statuto, estendendo le prerogative del re.  Di questo si fa interprete S. Sonnino, che pubblica, nel 1897, il celebre articolo Torniamo allo Statuto.  Si auspica un governo forte.  Umberto I nomina primo ministro il generale Pelloux, che, nel 1899, presenta alle camere delle leggi eccezionali (ad es. limitazione della libertà di stampa).

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L’opposizione alla svolta autoritaria

Radicali e socialisti fanno ostruzionismo contro le leggi proposte da Pelloux.  Questo atteggiamento provoca le simpatie di una parte dell’opinione pubblica.  Pelloux è infatti sconfitto nelle elezioni del 1900.  Umberto I nomina un “governo di riconciliazione”, presieduto da G. Saracco.
Il 29 luglio 1900 Umberto I muore ucciso in un attentato a Monza, gli succede Vittorio Emanuele III.

 

Il ministero Giolitti - Zanardelli

Giolitti e lo stato come mediatore del conflitto sociale

Il nuovo re nomina primo ministro Zanardelli, espressione della sinistra moderata.  Ministro degli Interni è Giolitti, già presidente del consiglio nel 1892-3.  Giolitti è convinto che lo stato debba fare opera di mediazione nei conflitti sindacali e che un miglioramento delle condizioni salariali e normative dei lavoratori sia utile, incrementando i consumi,  alla società nel suo complesso.  Ritiene inoltre indispensabile ricercare la collaborazione del movimento sindacale e del partito socialista.

 

Lo sviluppo del sindacalismo operaio

Dopo la caduta del governo Pelloux, il movimento sindacale si era rapidamente sviluppato.  Nelle città vengono fondate le camere del lavoro (che raggruppano i sindacati) e nelle campagne si diffondono leghe e cooperative.  Giolitti comprende che non è possibile non fare i conti nello stesso tempo con le forze sindacali e con i maggiori gruppi industriali.
Nel 1903 diventa presidente del consiglio e ricoprirà questa carica quasi ininterrottamente fino al 1913.  Uno dei primi atti politici di Giolitti è l’offerta di un ministero a Turati, leader del socialismo italiano.

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Una grande operazione trasformistica

Giolitti e l’evoluzione riformista del Psi

L’obiettivo di Giolitti è di favorire una evoluzione riformista del Psi, assicurandone il consenso al governo.  Giolitti concepisce una ardita operazione trasformistica: guadagnare allo stato liberale l’appoggio del proletariato agricolo e industriale del Nord.  Turati rifiuta l’invito di Giolitti.  Il rifiuto è anche motivato dalla situazione interna del Psi, diviso tra l’ala riformista (Turati, Kuliscioff, Treves), l’ala revisionista e quella massimalista (Labriola, Ferri).

 

Fra clientelismo e riformismo

Giolitti non ha alle spalle un vero e proprio partito organizzato, ma deve contare su maggioranze costituite di volta in volta, attraverso un gioco di compromessi.  Per questo Giolitti si serve anche di mezzi  disinvolti, come utilizzare i prefetti per manovrare i risultati elettorali, il ricorso a brogli elettorali, guadagnare il voto di singoli parlamentari (i cosiddetti ascari) in cambio di favoritismi per i loro collegi.  Questo gli vale l’appellativo di ministro della malavita.  Giolitti attua anche una politica di forme sociali, come le pensioni di invalidità e vecchiaia, la tutela del riposo festivo, la regolamentazione del lavoro femminile e minorile, le assicurazioni contro gli infortuni.  Si adopera inoltre per la nazionalizzazione delle ferrovie.

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Lo sciopero nazionale del 1904

Nel 1904, in seguito ad alcuni scontri tra manifestanti e forza pubblica, la camera del lavoro di Milano indice uno sciopero generale, che ha un effetto controproducente.  Le elezioni anticipate volute da Giolitti ridimensionano infatti il partito socialista.  Aumenta il numero dei deputati filogovernativi, alcuni eletti anche con i voti dei cattolici, in seguito a una parziale deroga del non expedit voluta da Pio X, in seguito al rischio di una troppo rilevante affermazione socialista e alla dura repressione anticattolica seguita ai fatti di Milano del 1898.

 

 


 

2. Giolitti, un’epoca


Il lungo ministero Giolitti e il rilancio dell’attività riformistica

Sviluppo economico ed evoluzione sociale

Nel corso di un “lungo ministero” (1906-1909) Giolitti porta al culmine la sua influenza sulla società italiana.  Vengono presi provvedimenti in materia di contratti di lavoro, di nazionalizzazione delle linee telefoniche private.  La lotta alla disoccupazione viene portata avanti con la realizzazione di grandi opere pubbliche (traforo del Sempione, acquedotto pugliese).  Nasce la Confederazione generale del lavoro (sindacato), gli imprenditori costituiscono la Confederazione generale dell’industria.  Si registra un aumento dei salari.  Quando Giolitti riduce dal 5 al 3,5 % gli interessi sui titoli di stato, i risparmiatori che ne chiedono la restituzione è esiguo, segno della fiducia  nella politica di Giolitti, che ottiene anche il pareggio del bilancio. 

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Il decollo economico italiano …

Lo sviluppo industriale

Giolitti riesce ad assicurare all’Italia una crescita economica senza precedenti, nel periodo che prenderà il nome di “età giolittiana”.  C’è soprattutto uno sviluppo dell’industria e del commercio, è il periodo del primo decollo economico italiano.  Ad es., fra il 1898 e il 1914, la produzione di energia elettrica aumenta di cinque volte.  Le industrie siderurgica, meccanica e chimica si diffondono anche al sud.  Nascono le prime industrie automobilistiche, Fiat (1899), Alfa Romeo, Lancia.  L’industria laniera e cotoniera si sviluppa anche grazie alle sovvenzioni e commesse statali.

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Il settore terziario

Nel periodo dal 1900 al 1910 raddoppiano le esportazioni e le importazioni.  Lo squilibrio della bilancia dei pagamenti è compensato dalle rimesse degli emigranti e dall’industria turistica.  La rete stradale si estende e aumentano i collegamenti su rotaia.  I 18 mila chilometri di ferrovie vengono poi nazionalizzati.  Si sviluppa il sistema bancario e soprattutto tre istituti di credito, la Banca Commerciale, il Credito italiano e il Banco di Roma.

 

Una società meno povera

Lo sviluppo economico comporta un generale miglioramento del tenore di vita di vasti strati sociali.  L’aumento dei salari e della produzione rendono disponibile un maggior numero di beni di consumo.  Nella vita sociale entrano alcune importanti novità, ad es. il cinema.  Si diffonde poi il gioco del calcio e il ciclismo diventa uno sport di grande popolarità.  Gli stessi miglioramenti si registrano, nello stesso periodo, anche in altri paesi europei.  L’età giolittiana è anche funestata da una grave sciagura nazionale, il terremoto di Messina (1908), che causa un elevatissimo numero di morti.

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… e i suoi esclusi

Lo squilibrio fra industria e agricoltura

Alla crescita della produzione industriale non corrisponde però una crescita della produzione agricola.  Aumentano le colture industriali, ad es. la barbabietola da zucchero, ma non quella dei cereali, le cui le importazioni, nel periodo dal 1900 al 1913, raddoppiano.

 

Questione meridionale ed emigrazione

Uno squilibrio di sviluppo economico si registra anche tra il Nord e il Sud, per cui la grande massa dei contadini meridionali risulta di fatto esclusa dal generale miglioramento dell’economia del paese.  Una valvola di sfogo è costituita dall’emigrazione.  Solo nell’anno 1913 ci sono 873.000 emigranti (nel 1900 erano stati 300.000).

 

Vecchi e nuovi privilegi

Il progresso industriale e delle colture industriali è favorito dalle sovvenzioni pubbliche.  Giolitti attua pertanto una politica protezionistica, accordando favoritismi e privilegi ai grandi trusts, e assicurando cospicue commesse statali (ferrovie, armamenti, navi …) all’industria meccanica e siderurgica.  Questa politica del governo consente inoltre agli imprenditori di concedere miglioramenti salariali.  Nell’Italia centro-settentrionale si costituiscono numerose leghe e cooperative, che concorrono agli appalti pubblici.  Questo vasto fenomeno favorisce la tendenza ad una evoluzione riformistica del Partito socialista e della Cgl.

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Regioni e ceti esterni allo sviluppo

Non partecipano a questa trasformazione dell’economia i grandi latifondi dell’Italia del Sud.  Molti intellettuali meridionali di orientamento liberale (G. Fortunato, F. Saverio Nitti, G. Salvemini) mettono in luce gli effetti negativi della politica protezionistica di Giolitti.  Anche la piccola borghesia ha motivi di malcontento, avvertendo una diminuzione del proprio prestigio sociale, a vantaggio delle aristocrazie operaie e della nuova élite imprenditoriale.  Ci sarà pertanto, anche in molti ambienti intellettuali, un diffuso antigiolittismo.

 

La nascita di un’opinione pubblica nazionale e l’avvento del giornalismo moderno.

Collezioni economiche e diffusione dei giornali

Tra fine ottocento e inizio del novecento si crea in Italia un’opinione pubblica nazionale.  A questo fenomeno contribuiscono i sindacati e i partiti di massa, come quello socialista, dotati di una vasta e capillare organizzazione.  Cresce inoltre un’editoria e un giornalismo a vasta tiratura.  Già negli ultimi anni dell’ottocento si era diffusa una pubblicistica destinata a un vasto numero di lettori, grazie all’iniziativa di editori (Sommaruga) e giornalisti (Scarfoglio).  Nel novecento però il fenomeno è più massiccio.  Hanno grande successo le collezioni economiche dell’editore Sonzogno, alcuni quotidiani raggiungono una vasta tiratura, come il Corriere della Sera, organo della borghesia imprenditoriale lombarda e l’ Avanti !, organo dei socialisti.  Il quotidiano comincia ad assumere un aspetto moderno, non più semplice raccolta di notizie d’agenzia e commenti politici, ma anche cronache di avvenimenti, corrispondenze dall’estero, articoli di carattere culturale (terza pagina). 

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3. La cultura dell’Italia giolittiana fra accademia e avanguardia


L’eredità del positivismo

 

I segni di continuità con la cultura ottocentesca

Nella cultura è ancora pesante l’eredità del positivismo, ad es. nella criminologia di Lombroso, nella filosofia di Ardigò.  Negli studi letterari prevale ancora il metodo storico.  Grande è la fama di G. Carducci.

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Socialismo umanitario, accademismo figurativo, pedagogia di massa

In politica ha un notevole seguito il cosiddetto socialismo umanitario, a cui sono sensibili due scrittori di grande fama, Pascoli e De Amicis.  Nelle arti figurative prevale ancora il realismo ottocentesco, la cui espressione più importante furono i macchiaioli toscani.  Nelle arti applicate una vasta produzione artigianale risponde al gusto liberty.  In architettura prevale uno stile eclettico.
Una rappresentazione ironica di questo clima sociale e culturale si ha nel fortunato  Giornalino di Giamburrasca di Vamba (Luigi Bertelli).

 

L’avventura delle riviste: “vociani” e nazionalisti

Soffici a Parigi

Nell’arte italiana si preparano grandi novità.  Ne  è simbolicamente rappresentativo il viaggio che, nel 1900, quattro giovani pittori italiani compiono a Parigi, con il proposito di sprovincializzare la propria formazione culturale.  Uno di questi è Ardengo Soffici, che farà conoscere all’Italia  Rousseau il Doganiere, Rimbaud, Picasso, Braque.

 

“La Voce”

Soffici scrive sulla rivista “La Voce”, fondata a Firenze da G. Papini e G. Prezzolini, reduci da un’altra importante rivista, “Il Leonardo”.  Alla “Voce” collaborano personaggi di svariato orientamento culturale e politico, come G. Amendola, G. Salvemini, S. Slataper, B. Croce, P. Jahier, G. Boine, B. Mussolini.  Il motto di molti collaboratori della rivista era “questa Italia non ci piace”.  Si trattava ovviamente dell’Italia giolittiana, di cui denunciavano l’arretratezza, l’inefficienza e, a volte, la corruzione. 

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Due “compagni di strada”: Croce e Gentile

Alla voce collaborano due pensatori che eserciteranno una determinante influenza nella cultura italiana della prima metà del novecento, Benedetto Croce e Giovanni Gentile.

 

Corradini e i nazionalisti

Papini e Prezzolini  avevano per qualche tempo collaborato al “Regno”, rivista dei nazionalisti italiani, fondata da Enrico Corradini.  Sul movimento agiscono anche suggestioni  straniere, come la narrativa di R. Kipling e il movimento politico d’oltr’Alpe Action  française.  I nazionalisti italiani vedono però in Crispi un punto di riferimento, riprendono tematiche antiparlamentaristiche, rivendicano un espansionismo coloniale.  Corradini avrà l’appoggio di alcuni gruppi industriali, interessati alle commesse statali sugli armamenti, e del poeta Gabriele d’Annunzio.

 

Fra avanguardia ed eversione: futuristi e sindacalisti

Dal manifesto di Marinetti all’arte futurista

Nel 1909 F. T. Marinetti pubblica sul quotidiano francese “Le Figaro” il manifesto del futurismo, una delle avanguardie artistiche del novecento, che inneggia, contro la cultura ufficiale, al progresso scientifico e tecnologico, per cui “un automobile in corsa … è più bello della Vittoria di Samotracia”.  Il canone estetico del futurismo sta nel movimento, nel combattimento, nella lotta, i poeti cantano “l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo e il pugno”, in politica si esaltano “le grandi folle agitate dal lavoro … il militarismo, il patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore”.

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I discepoli italiani di Sorel

Una  forza di opposizione a Giolitti è costituita non solo dall’ala massimalista del movimento socialista, ma anche dai seguaci italiani di Sorel, che teorizzava lo sciopero generale come azione rivoluzionaria.  Nasce il sindacalismo rivoluzionario italiano, che ha in A. Labriola uno dei suoi principali esponenti.  Giolitti deve fare i conti con queste forze di opposizione, in una situazione economica resa difficile dalla crisi internazionale del 1907.

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4. Apogeo e fine del sistema giolittiano


Il ritiro di Giolitti e i ministeri Sonnino e Luzzatti

Una radicalizzazione del conflitto sociale

Nel 1908 i sindacalisti rivoluzionari scatenano uno sciopero ad oltranza dei braccianti della pianura padana.  L’agitazione è sconfessata dai socialisti e dalla Cgl e repressa dalla forza pubblica.  I grandi gruppi industriale, usciti rafforzati dalla crisi del 1907, anche in seguito all’assorbimento di imprese minori in difficoltà, tentano in modo più evidente di subordinare la politica del governo ai propri interessi.  In seguito a queste difficoltà, termina il “grande ministero” di Giolitti  (1906-1909).  Gli succedono i governi Sonnino (1909-1910) e Luzzatti (1910-1911).

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Il grande rientro di Giolitti e la guerra di Libia

Il rilancio dell’iniziativa riformatrice

Riassunta la guida del governo, Giolitti riprende la sua politica riformatrice.  Rinnova ai socialisti l’invito, non accolto, a entrare nel governo, destina maggiori fondi all’istruzione elementare, istituisce il monopolio statale delle assicurazioni sulla vita, attua, nel 1912, una riforma elettorale che introduce il suffragio universale maschile.

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Gli obiettivi dell’impresa libica

Giolitti modifica la sua condotta in politica estera attuando la conquista della Libia, dopo essersi assicurato il preventivo consenso francese e britannico.  Sono favorevoli all’impresa i nazionalisti e alcuni gruppi finanziari.  L’impresa è facilitata dalla situazione critica dell’impero ottomano, di cui la Libia fa parte.

 

Un conflitto inizialmente popolare

La conquista della Libia ottiene un certo appoggio anche da parte dell’opinione pubblica.  Al Sud è diffusa la convinzione che la nuova colonia possa assorbire la manodopera che normalmente si indirizza verso l’emigrazione.  Anche per questi motivi appoggiano l’impresa il poeta Pascoli, il sindacalista rivoluzionario A. Labriola, la corrente moderata del partito socialista (Bissolati  e Bonomi).  Decisamente contrari la maggioranza dei socialisti (Turati) e alcuni radicali (Salvemini) che ritengono la Libia uno “scatolone di sabbia”, privo di interesse economico. 

 

Dai primi successi alle difficoltà della conquista effettiva

La conquista è, all’inizio, apparentemente facile.  Nell’entroterra però permane una guerriglia attuata da tribù musulmane, per cui l’Italia porta la guerra sul mare, ottenendo l’occupazione delle isole del Dodecaneso  e di Rodi e riuscendo a forzare lo stretto dei Dardanelli.  Il trattato di Losanna dell’ottobre del 1912 riconosce la sovranità italiana sulla Libia.  La resistenza antiitaliana durerà almeno fino al 1927.  L’iniziale entusiasmo però scema rapidamente, in quanto la colonia si rivela meno vantaggiosa del previsto dal punto di vista economico.  Nel congresso socialista del 1912 Bissolati e Bonomi vengono espulsi per l’appoggio dato alla guerra di Libia.

 

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L’accordo con i cattolici

Chiesa, stato e “cristianesimo sociale”

In vista  delle prime elezioni a suffragio universale Giolitti ricerca una forma di collaborazione col mondo cattolico, che stava abbandonando la posizione di chiusura verso lo stato seguita al non expedit.  Il nuovo pontefice Pio X, preoccupato dello sviluppo del movimento socialista e della politica anticlericale del governo francese, non si era opposto alla partecipazione dei cattolici alle elezioni del 1904.  Nel mondo cattolico si fa  più forte inoltre l’esigenza di un impegno politico e sociale, anche alla luce della Rerum novarum di Leone XIII.  Nella val padana si sviluppa un movimento sindacale cattolico, che dà origine  alla fondazione di leghe e di iniziative assistenziali e cooperativistiche.

 

Le tre anime del cattolicesimo italiano

Nel mondo cattolico c’erano però delle divergenze sulla questione dell’impegno politico.  Nasce il movimento politico della democrazia cristiana di don Romolo Murri, che aspira a maggiori libertà sindacali e più vaste autonomie locali.  Nell’età giolittiana il mondo cattolico italiano è diviso fra tre grandi anime, quella tradizionalista e temporalista, ostile sia al socialismo che al capitalismo; quella cristiano-democratica, che faceva capo al movimento di Murri e quella clerico-moderata, disposta alla collaborazione con lo stato liberale in funzione antisocialista.

 

Il “patto Gentiloni”

Pio X appoggia quest’ultimo orientamento, scioglie l’Opera dei Congressi, influenzata da Murri, condanna le tendenze moderniste della Lega democratica nazionale, fondata sempre da Murri.  L’attuazione del suffragio universale fa sì che si arrivi ad un’intesa  fra Giolitti e il mondo cattolico.  L’Unione elettorale cattolica, fondata da O. Gentiloni, indirizza il voto dei cattolici verso quei candidati che si impegnano a non far approvare una legge sul divorzio, a difendere l’istruzione religiosa, la scuola cattolica e le organizzazioni sociali cristiane.  Nel 1913, 228 deputati vengono eletti con l’appoggio determinante dei cattolici.  Ne consegue un allargamento delle basi sociali dello stato unitario e il contenimento del peso elettorale socialista.

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Giolitti lascia il timone

Una  maggioranza eterogenea

Giolitti può contare sull’appoggio di più di 300 deputati, l’opposizione comprende 30 cattolici, 3 nazionalisti.  A sinistra si oppongono al governo 160 tra socialisti e radicali.  La maggioranza, cospicua sul piano numerico, è però assai eterogenea al proprio interno.

 

L’abbandono di Giolitti

La situazione per Giolitti si fa più difficile.  Anche perché nel Psi prevale l’ala massimalista, della quale uno dei leader più in vista è B. Mussolini, a cui viene affidata la direzione dell’ Avanti !.  Nel giugno 1914 degli scontri fra polizia e dimostranti danno origine alla “settimana rossa”, una serie di agitazioni guidate, oltre che da Mussolini, dal repubblicano P. Nenni e dall’anarchico E. Malatesta.  Il tentativo giolittiano di coinvolgere il Psi nel governo era quindi fallito.  Già due anni prima però Giolitti aveva lasciato la presidenza del consiglio ad A. Salandra.  All’orizzonte si stava ormai profilando l’avvenimento che avrebbe cambiato il mondo, la prima guerra mondiale.

 

 

Fonte: http://gritti.provincia.venezia.it/sintesidistoria/giolitti_Cap2.doc

Sito web da visitare: http://gritti.provincia.venezia.it/

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