Fine della grande alleanza

Fine della grande alleanza

 

 

 

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Fine della grande alleanza

Ricostruzione e Guerra Fredda

Fine della grande alleanza.

Tra il gennaio e il luglio del 1945 una serie di avvenimenti aveva cominciato ad aprire delle crepe nella grande alleanza antinazista. L'intervento dell'URSS negli affari interni della Romania, della Polonia e della Bulgaria che aveva portato alla costituzione in quei paesi di governi filosovietici rientrava nella logica del compromesso raggiunto nella conferenza di Yalta; ma, ora che avevano acquisito uno strumento militare di inaudita potenza quale la bomba atomica, gli USA potevano assumere il ruolo di contestatori della politica sovietica che nel 1944 non era stato loro possibile svolgere.
Dall'altra parte, per i sovietici, il controllo dell'Europa orientale rappresentava la garanzia indispensabile contro un eventuale attacco dei paesi capitalisti e l'accerchiamento capitalistico.
Nella conferenza di Potsdam, gli alleati si trovarono divisi su molti problemi e, se da una parte esistevano gravi preoccupazioni causate dal dinamismo sovietico nell'Est europeo, dall'altra le preoccupazioni non erano minori per il drastico intervento inglese in Grecia e per la scarsa considerazione nella quale erano tenute le opinioni sovietiche riguardo all'Italia.
Seguì la sistemazione provvisoria della Germania, che fu divisa in quattro zone di occupazione, con l'intesa che l'apparato industriale tedesco sarebbe stato controllato e messo in condizioni di non produrre più materiali che avessero potuto trovare impiego bellico.
Nell'estate del '45 gli americani erano rappresentati dal nuovo presidente Truman, una pausa per consentire lo svolgimento delle elezioni in Inghilterra. Il risultato di queste elezioni portò al governo i laburisti, sicché nella seconda fase della conferenza gli inglesi non furono più rappresentati da Churchill, ma dal nuovo premier Clement Attlee.
Gli interessi della Gran Bretagna non potevano consentire un diverso atteggiamento dagli obiettivi territoriali e politici i quali non avevano nulla a che vedere con le prospettive interzionalistiche del comunismo in quanto tale.
L'URSS non era soltanto la "patria del socialismo", ma era anche uno stato il quale, inevitabilmente, aveva (al pari dell'Inghilterra e degli USA) degli interessi e degli obiettivi permanenti, e corrispondentemente impiegava, per conseguire i suoi fini, mezzi e metodi "tradizionali" che emersero nella conferenza di Parigi del '46.
Una serie di diktat imposero mutamenti territoriali e pagamenti di pesantissime indennità a titolo di riparazione. Il paese più colpito fu l'Italia, che fu privata di tutte le colonie, dovette cedere alcuni territori (Briga e Tenda) alla Francia ed altri (Venezia Giulia) alla Jugoslavia e fu obbligata a una riparazione di 330 milioni di dollari. Una questione assai grave fu quella di Trieste, per la quale si arrivò alla costituzione di un territorio libero diviso in due zone amministrative, controllate rispettivamente dagli angloamericani e dagli jugoslavi: la città poté tornare all'Italia nel 1954 in seguito ad un diretto accordo italo-jugoslavo.
La Polonia dovette cedere all'URSS le zone della Bielorussia e della Ucraina che le aveva strappato nel 1921; la Germania dovette cedere alla Polonia i territori a est dei fiumi Oder e Neisse. Da un punto di vista territoriale, l'URSS trasse dalla pace notevoli vantaggi: oltre ai territori ceduti dalla Polonia (corripondenti sostanzialmente a quelli assegnatile dall'accordo russo-tedesco del 1939), essa riacquistò i territori baltici (Estonia, Lituania, Lettonia), ebbe la Bessarabia, la Bucovina settendrionale e l'istmo di Carelia.

L'Organizzazione delle Nazioni Unite  (ONU) era stata auspicata sin dal 1941-42 e venne concretamente progettata nel 1944 in una conferenza tenuta a Dumbarton Oaks (presso Washington). Infine, nel 1945, un'assemblea di 50 stati elaborò lo statuto definitivo in una riunione tenutasi a San Francisco. L'esperienza negativa della società delle nazioni indusse ad accettare realisticamente la preminenza delle grandi potenze (USA, URSS, Inghilterra, Francia e Cina) alle quali venne affidata la maggiore responsabilità nel mantenimento della pace e del regolamento delle controversie internazionali. Mentre nell'assemblea generale le decisioni sarebbero state prese a maggioranza in seno al consiglio di sicurezza, formato dalle cinque grandi potenze più sopra ricordate, in qualità di membri permanenti, e da altri sei membri eletti ogni due anni dall'assemblea generale, sarebbero state prese con il consenso unanime dei membri di diritto. In tal modo ognuna delle cinque grandi potenze avrebbe potuto praticamente esercitare un diritto di veto.
Tra le divergenze degli alleati una materia particolarmente scottante era quella per il controllo dell'energia nucleare.
Dalla diffidenza alla rottura - Le diffidenze emerse a Potsdam e accentuatesi durante tutto il 1946 divennero aperta rottura all'inizio del 1947, allorché le elezioni tenutesi in Polonia segnarono una grave sconfitta per il partito contadino e la ripresa della guerriglia comunista in Grecia assunse un andamento assai dinamico.
Nel 1945, in seguito agli accordi di Yalta, il partito contadino, intorno al quale gravitavano anche gruppi conservatori, era entrato a far parte del governo polacco di unità nazionale costituito a Lublino.
Nell'elezioni del 1947 il "blocco antifascista" riportò una strepitosa affermazione e che  il capo del partito contadino Mikolajczyk contestò il risultato elettorale dichiarando ch'esso era stato truccato dalla polizia, e fuggì quindi all'estero. Fosse o non fosse del tutto infondata l'accusa, destò comunque un'enorme impressione che si sommò alle preoccupazioni per la vitalità dimostrata dai comunisti greci i quali operavano nel nord del paese e ricevevano aiuti da jugoslavi, albanesi e bulgari. Nel marzo 1947 le truppe inglesi furono ritirate dalla Grecia, per il peso finanziario ch'esse rappresentavano per l'economia nazionale britannica e gli USA si incaricarono di sostenere finanziariamente e militarmente il pericolante governo di Atene.
La "dottrina Truman" La politica estera statunitense subì una brusca sterzata, che fu sancita dall'enunciazione della cosiddetta "dottrina Truman", secondo la quale gli USA avrebbero appoggiato "i popoli liberi che lottavano contro i tentativi di sapraffazione da parte di minoranze armate o di pressioni esterne" e li avrebbero aiutati a conservare le libere istituzioni contro ogni tentativo di instaurazione di "regimi totalitari" ; nella realtà, per gli USA si trattava di attuare un "contenimento" (containment) di quelle che venivano definite le" tendenze espansionistiche russe", per l'URSS si trattava di respingere quelle che veniva considerata un'imminente aggressione capitalistica.
Il Piano Marshall (1947) -  A metà del 1947 il segretario di stato americano George Marshall enunciò un piano di aiuti economici all'Europa. La formulazione del piano Marshall rispondeva ad esigenze di carattere economiche e di carattere politico. I paesi europei, dopo le grandi distruzioni della guerra, avevano bisogno di tutto, ma non avevano i mezzi per pagare; gli USA avevano, d'altra parte, necessità di collocare su mercati esteri la grande eccedenza della loro produzione.
Fino al 1947, l'UNRRA (Amministrazione delle Nazioni Unite per l'assistenza e la ricostruzione), avevano finanziato i sussidi di emergenza ai singoli paesi. Il piano americano aveva però importanti risvolti politici. In primo luogo, come la "dottrina Truman" scavalcava l'ONU, così il piano Marshall formalmente abbandonava il sistema di aiuti economici sotto il controllo internazionale; in secondo luogo, esso rappresentava un'occasione per i paesi dell'est europeo di conseguire una autonomia rispetto all'URSS, la quale non intendeva affatto rinunciare al loro controllo.
Il Cominform - Il piano Marshall rappresentava, a giudizio dei russi, il tentativo di sventare il crollo dell'economia americana che essi ritenevano imminente e dal quale attendevano una grossa crisi in tutto il mondo capitalistico. L'URSS non solo respinse la proposta americana, ma indusse i paesi dell'Europa orientale a seguire il suo esempio. Il piano Marshall venne accettato da sedici paesi e la contromisura sovietica fu la costituzione d'un "Ufficio d'informazione" tra i partiti comunisti europei (Cominform), il cui scopo era di assicurare non solo uno stretto collegamento tra i singoli partiti comunisti e il partito comunista bolscevico, ma anche un coordinamento dei singoli partiti fra loro 'per una pace stabile, per una democrazia popolare".
"Democrazia popolare", la classe operaia, deteneva il potere dei partiti comunisti.
La polizia stalinista - La direzione centralizzata realizzata con il Cominform si concretò in una netta subordinazione dei partiti comunisti alle direttive del partito comunista sovietico, che essi seguirono supinamente, e la lotta per la democrazia popolare si sviluppò con una serie di colpi di forza che liquidarono le opposizioni e indussero i partiti socialisti a farsi assorbire da quelli comunisti. Già nel 1948 questa operazione era conclusa con l'appoggio degli elementi socialisti di "sinistra", per i quali il nemico stava unicamente a destra e doveva essere sconfitto ad ogni costo: il prezzo della vittoria non contava, anche se esso era costituito dall'affossamento della democrazia operaia nelle spire dello stalinismo.
Le grandi riforme di strutture poste in atto nell'Europa orientale ebbero luogo tutte prima del 1948. Ovunque furono attuate profonde riforme agrarie e si procedette alla nazionalizzazione delle imprese industriali.

Le due Europe - Dopo il 1947-48 fu una situazione di guerra fredda. La paura del comunismo da una parte, e la paura di un attacco capitalistico dall'altra caratterizzarono gli opposti schieramenti.
Se l'Europa orientale vide l'instaurazione di regimi di fattura staliniana, l'Europa occidentale non vide il sorgere di regimi autoritari di destra, ma fece l'esperienza di governi moderati, costituiti da coalizioni di centro che certo sorsero a difesa dell'ordine "borghese", ma garantirono la libertà tradizionali per tutti, anche per i loro avversari, e presiedettero all'opera di ricostruzione che ebbe rapido sviluppo.

La ricostruzione in occidente - Indubbiamente il peso della potenza economica e militare americana si fece sentire. I partiti comunisti vennero sì estromessi dai governi, ma, generalmente, conservarono intatta la loro libertà di organizzazione, di azione e di propaganda; le organizzazioni sindacali non furono imbrigliate: gli uni e le altre, anzi, ebbero modo di potenziarsi e si procurarono un'esperienza destinata a influire sul loro sviluppo politico e ideologico.
La ricostruzione dell'Europa occidentale avenne all'insegna del profitto capitalistico e che essa, tra l'altro per la rapidità con cui si realizzò, portò ad una serie di squilibri, specialmente in quei paesi che - come l'Italia - passarono da una economia prevalentemente agricola a una economia industrializzata: occorre però notare che il livello e il tenore di vita della classe lavoratrice, nel suo complesso, ebbero un considerevole elevamento e che, naturalmente, tutto il tessuto sociale risultò profondamente modernizzato e con esso anche gli ideali e i costumi.
L'URSS di Stalin - Ugualmente  imponente e rapida fu la ricostruzione nell'Unione Sovietica, la cui produzione industriale, alla fine delle ostilità, aveva già raggiunto e, in certi settori, superato il livello d'anteguerra. Lo sviluppo maggiore si ebbe nel settore siderurgico che conferì a Stalin un immenso prestigio.
Il sistema staliniano, la cui bontà pareva confermata dalla vittoria militare, venne rafforzata e divenne in ogni settore il metro di paragone: in esso ogni libertà di espressione era rigorosamente abolita senza compromessi, ma la Russia sovietica, sia pure a un gravissimo prezzo, era divenuta la seconda potenza industriale del mondo e nel 1949 era in grado di produrre anch'essa la bomba atomica rompendo il monopolio nucleare americano.
I comunisti al potere in Cecoslovacchia (1948) - La Cecoslovacchia era l'unico paese dell'Europa centro-orientale che nel periodo delle due guerre mondiali si era sviluppato nel senso di una moderna democrazia. Sino al 1947 la collaborazione tra socialdemocratici e comunisti fu lealmente attuata e la vita del paese si svolgeva nei termini di una reale libertà. Nel febbraio 1948 alcuni gruppi del fronte nazionale si ritirarono dal governo per provocare la crisi, gli operai furono mobilitati e, conniventi la polizia e l'esercito comandato dal generale Svoboda, il presidente della repubblica Benes fu indotto a dare l'incarico di formare un nuovo ministero al comunista Gottwald. Il clima politico cecoslovacco mutò radicalmente e in tutto il paese si scatenò un'ondata di arresti e di violenze, pertanto, la democrazia cecoslovacca era finita.
La Jugoslavia fuori dal Cominform - Nella prima metà del 1948 si aprì in seno al Cominform una crisi gravissima, che si concluse con l'espulsione della Jugoslavia. Qui il maresciallo Tito rifiutò di adeguare in tutto e per tutto la politica del paese alle direttive sovietiche. L'esperimento che egli conduceva si concretava in una "via nazionale" al socialismo, la quale pur non mettendo minimamente in discussione la formula della democrazia popolare (della quale, anzi, gli jugoslavi erano i più accesi sostenitori), non intendeva subordinare la politica economica e in parte la politica estera del paese agli interessi dello stato sovietico. Da ciò, la condanna pronunciata da tutti gli altri partiti comunisti europei contro i loro compagni, i quali vennero incolpati di "deviazionismo", cioé di non seguire la dottrina marxista-leninista nell'interpretazione tutt'affatto ortodossa che si identificava con la pratica stalinista, e bollati come agenti dell'imperialismo.
I processi di Stalin e di McCarthy - L'autonomismo jugoslavo divenne contagioso tanto da scatenare un'epurazione in grande stile in tutti i partiti comunisti dell'Europa orientale. Molti leader comunisti vennero accusati d'essere stati da sempre dei traditori, degli agenti prezzolati dei servizi segreti delle potenze capitalistiche, e furono condannati a morte. Lo stalinismo estinse, implacabile ogni superstite barlume di democrazia operaia nell'est europeo. Questi fatti determinarono nel resto dell'Europa e negli Stati Uniti una accentuazione della psicosi anticomunista: negli Stati Uniti, il senatore Joseph McCarthy montò una vera e propria campagna diffamatoria che istericamente colpì intellettuali, uomini politici, alti funzionari, accusandoli di cospirazione antiamericana; ma, alla fine, l'opinione pubblica reagì a questa gazzarra che calpestava i fondamentali diritti dei cittadini.
Le due Germanie - La guerra fredda ebbe particolare influenza sul problema dell'assetto della Germania, anzi si può dire che tale problema fu uno dei nodi principali  del dissidio che condusse alla spaccatura dell'Europa e del mondo in due blocchi.
Divisa in zone d'occupazione, la Germania si trovò ad essere campo di due diverse politiche. Mentre i sovietici, nella propria zona, avviarono prontamente una serie di riforme di struttura procedendo alla socializzazione delle imprese industriali e a una limitata confisca delle grandi proprietà agricole, gli altri occupanti, dopo aver messo sotto sequestro i complessi industriali maggiori, si resero conto che le pesanti decisioni prese a Yalta e a Potsdam sull'avvenire della Germania non erano facilmente realizzabili e soprattutto non erano convenienti. Nella seconda metà del 1947 le zone occupate dall'Inghilterra, dagli Usa e dalla Francia vennero ammesse a godere dei benefici del piano Marshall, e alla fine dello stesso anno nella zona sovietica un " congresso del popolo tedesco" riconobbe le frontiere orientali. Ormai l'integrazione delle due zone nei due blocchi procedette rapidamente.

La Repubblica Federale di Germania - Nelle regioni occupate dagli "occidentali" nacque nel 1949 la Repubblica Federale Tedesca  con capitale Bonn.
Le principali forze politiche della Germania occidentale si rivelarono la unione cristiana-democratica, con a capo Konrad Adenauer, e il Partito Socialdemocratico Tedesco guidato da Kurt Schumacher. L'Unione cristiano-democratica era sì l'erede del vecchio Centro, ma non aveva più alcuna base confessionale; i socialdemocratici si liberarono presto del vecchio bagaglio ideologico e programmatico. Il peso politico di queste due forze risultò abbastanza equilibrato: oltre a esse, erano presenti il partito liberale, il partito comunista e un gruppo conservatore.
La Repubblica Democratica Tedesca - Nella zona d'occupazione sovietica, sempre nel 1949, fu costituita la Repubblica Democratica Tedesca  con capitale Pankow (una località del circondario della parte orientale di Berlino).
Già nel 1946 nella zona d'occupazione sovietica i partiti comunista e socialista si erano fusi formando il SED (Partito Socialista Unificato Tedesco) e la sanzione della volontà popolare alla creazione del nuovo stato venne ottenuta con votazioni su lista unica, a scheda aperta. Le condizioni di questa parte della Germania erano molto diverse da quelle delle tre zone occidentali. Essa, prima dello smembramento del paese, dipendeva nel settore industriale della Ruhr e dell'alta Slesia: separata da queste due regioni (la prima delle quali era venuta a far parte della Repubblica Federale mentre l'altra era stata annessa alla Polonia), si venne a trovare in una difficile situazione, aggravate dalle confische di attrezzature industriali e dalla fermezza con la quale gli occupanti pretesero il pagamento delle riparazioni.
Sin dal 1945 furono attuate riforme di struttura come in tutto l'est europeo: nazionalizzazione delle imprese industriali e limitazione delle proprietà terriera.
La rivolta operaia di Berlino - La politica economica del governo comunista si orientò, com'era ovvio, soprattutto verso il rafforzamento dell'industria pesante a scapito dell'agricoltura e della produzione di beni di consumo.
La ristrutturazione dell'economia tedesco-orientale avenne pertanto a prezzo di gravi sacrifici che determinarono, nel 1953, una sollevazione operaia che, iniziatasi a Berlino con uno sciopero generale, si estese rapidamente alle altre città industriali. La rivolta venne repressa dalle truppe sovietiche con la forza e fu questa la prima volta che le forze armate del più grande paese "socialista" dovettero sparare sugli operai.
La sollevazione diede però i suoi frutti perché la politica economica venne parzialmente corretta. Nel complesso, nella Germania orientale il ritmo di sviluppo industriale fu più rapido che nella Germania occidentale; notevolmente inferiore risultò invece il ritmo dell'accrescimento del reddito.
Il Comecom - In tutti i paesi dell'est europeo l'industrializzazione era una necessità economica e politica, e venne attuata in base a dei piani che prevedevano come premessa, la nazionalizzazione delle imprese e la corrispondente collettivizzazione della agricoltura secondo il modello sovietico.
Tali piani furono coordinati tra loro da uno speciale organismo chiamato Comecom e si posero traguardi molto ambizioni e di ardua realizzazione per obiettive difficoltà, aggravate dal rallentamento dello sviluppo dell'agricoltura seguito alla forzata collettivizzazione. Nel complesso, tuttavia, in tutti questi paesi l'industrializzazione venne realizzata con successo: quando però, nel 1952-53, si verificò che i traguardi fissati non erano raggiungibili, furono incolpati i dirigenti locali, che a loro volta scaricarono la responsabilità sui dirigenti periferici. Solo dopo la morte di Stalin si cominciarono a correggere questi errori che avevano progressivamente provocato il distacco della classe lavoratrice dai partiti che intendevano rappresentarla e guidarla.
Il "Patto Atlantico" (1949) - Nel 1948, la frattura dell'Europa era già una realtà politica ed economica; a una serie di alleanze tra i singoli paesi dell'est e l'URSS facevano riscontro un'alleanza franco-britannica, un'unione doganale tra Belgio, Lussemburgo e Olanda (Benelux), e un più vasto collegamento politico, economico e militare, denominato Unione Europea Occidentale, formato da tutti e cinque questi paesi. Nel 1949 quest'alleanza venne ampliata e integrata col Patto Atlantico, mediante il quale dieci stati europei (tra cui l'Italia) e due del continente americano (USA e Canada) si collegarono - come si legge nel preambolo del trattato - per "salvaguardare la libertà dei popoli, il loro retaggio comune e la loro civiltà, fondati sui principi della democrazia, le liberà individuali e la prevalenza del diritto".
Il clima della guerra fredda e la obiettiva dinamica della politica internazionale, era rappresentata dal fatto che esistevano due potenze egemoni su scala mondiale: USA e URSS. Gli Stati Uniti, nei confronti dell'Europa, avevano ereditato la funzione che era già stata dell'Inghilterra, cioè quella di impedire la formazione di una egemonia continentale.
Il processo di integrazione europea - A questo collegamento militare seguirono alcuni tentativi - più o meno riusciti - di integrazione politico-economica dei paesi europei. Si fece un gran parlare di Stati Uniti d'Europa, vagheggiando la formazione di una forza che avesse un'autonoma capacità politica di costituire una terza grande potenza. Per ottenere ciò, i singoli paesi avrebbero dovuto rinunciare a una parte della propria sovranità nazionale, si sarebbero dovuti creare degli organi che non fossero l'espressione dei governi, ma dei popoli europei, si sarebbe dovuta unire tutta l'Europa. Questo non era possibile per diversi motivi perché una larga aliquota dei popoli europei era schierata su posizioni diverse seguendo le direttive dei partiti comunisti e socialisti. L'europeismo trovò così una realizzazione soltanto parziale, a livello governativo. I paesi dell'Europa occidentale continentale diedero vita prima all'OECE (organizzazione europea di cooperazione economica) per la gestione degli aiuti forniti dal piano Marshall, nel 1948; poi, nel 1951, alla CECA (comunità europea del carbone e dell'acciaio) per il coordinamento della produzione e dei prezzi del carbone e dell'acciaio del Benelux, della Repubblica Federale Tedesca, della Francia e dell'Italia; infine, nel 1957, al MEC (comunità economica europea, ovvero mercato comune europeo) e all'EURATOM (comunità europea per l'energia atomica). Il MEC sarebbe stato realizzato attraverso una progressiva riduzione delle tariffe doganali tra i paesi della comunità, lo stabilimento di una tariffa doganale comune nei confronti dei paesi non appartenenti alla comunità, l'apertura progressiva delle frontiere ai movimenti di capitali e di mano d'opera.
NATO e " Patto di Varsavia" - Si cercò anche sì creare una comunità europea di difesa (CED), ma essa avrebbe implicato un'autorità militare sovranazionale e il riarmo della Repubblica Federale tedesca; nonostante le pesanti pressioni statunitensi, il progetto fu bocciato dall'assemblea nazionale francese, e in sua sostituzione venne creata l'Unione europea occidentale  della quale venne a far parte l'Inghilterra ('54). Questi accordi rientravano nel quadro della più vasta organizzazione militare già creata dal Patto Atlantico: la NATO (organizzazione del trattato dell'Atlantico del nord). Al Patto Atlantico e alla NATO, tra il 1951 e il 1954, vennero ammesse anche la Grecia, la Turchia e la Germania Federale.
Anche i paesi del blocco facente capo all'URSS si collegarono in una comune alleanza militare, stipulando, nel 1955, il Patto di Varsavia , che anche formalmente rappresentò una risposta all'ingresso nella NATO della Repubblica Federale tedesca, valutato - nella prospettiva comunista - come un nuovo incentivo al pericolo di guerra.
La guerra in Corea (1950) - In verità il pericolo di un conflitto di vaste proporzioni fu rappresentato negli anni '50 dallo scoppio della guerra in Corea che, per un momento, sembrò dover provocare in estremo oriente il passaggio dalla guerra fredda alla guerra vera e propria.
Nel 1945, russi e americani avevano occupato il paese, il quale, secondo gli accordi di Yalta e di Potsdam, avrebbe dovuto esser reso indipendente: la linea di divisione delle due zone di occupazione correva lungo il 38° parallelo. Ma sia i russi sia gli americani cercarono d'integrare la Corea nella rispettiva sfera d'influenza, sicché vennero a formarsi due governi, uno filo-comunista e l'altro conservatore e fortemente autoritario.
Nel giugno 1950, le truppe nord-coreane invasero la Corea meridionale. La Corea del nord venne dichiarata dall'ONU paese aggressore e gli USA furono autorizzati a prestare aiuto ai sud-coreani. In un primo tempo l'avanzata nord-coreana fu impetuosa e rischiò di buttare a mare le forze avversarie, ma, in seguito, l'arrivo di nuovi contingenti americani ristabilì la situazione. A settemre il generale Mac Arthur obbligò gli aggressori a ritirarsi sino al 38° parallelo e cercò di spingersi più a nord. Intervennero allora reparti "volontari" della Cina popolare, che costrinsero americani e sud-coreani alla ritirata e occuparono Seul. Il fronte si stabilizzò intorno alla linea di demarcazione tra le due Coree e un'iniziativa sovietica per l'apertura di un negoziato aprì la strada a una soluzione politica del conflitto, che fu aspramente osteggiata dal governo sud-coreano, ma venne alla fine raggiunta per la fermezza degli USA e per la mediazione dell'India e della Cina popolare. Una guerra periferica per fortuna localizzata era costata altri due milioni di morti.

L'Italia nella Guerra Fredda

Panorama politico (1945) - In Italia, nel 1945, quattro grandi partiti: il Partito Comunista, il Partito Socialista Italiano di Unità Proletaria, la Democrazia Cristiana e il Partito d'Azione oltre ai partiti di minore consistenza quali il Partito Liberale e il Partito Repubblicano.
Il Partito Comunista, alla testa del quale era Palmiro Togliatti, non aveva intenzione di organizzare una rivoluzione proletaria: la presenza delle truppe anglo-americane nel paese la rendeva praticamente impossibile, e la visione stessa del leader, che occupava nel movimento internazionale comunista una posizione di centro, difesa tenacemente ed avvedutamente conservata, conduceva ad una impostazione politica abbastanza originale che consisteva nel concepire l'ascesa del proletariato al potere attraverso una via diversa da quella classica leninista, e basata, invece, su una conquista della maggioranza nell'ambito delle rinnovate istituzioni democratiche.
Al fondo della politica togliattiana permaneva la concezione di una guida della classe operaia esercitata per delega dal Partito Comunista il quale, a sua volta, non poteva svolgere un'azione veramente autonoma rispetto alle direttive sovietiche.
Più complessa la posizione del Partito Socialista, che traeva la sua forza da una tradizione sostanzialmente riformista (Turati, Matteotti) la quale aveva bisogno sì di un aggiornamento, ma necessitava anche di un chiarimento di fondo: quello sul valore da dare alla democrazia tradizionale che il leninismo aveva criticata come ingannevola illusione. In altre parole, occorreva precisare se fosse lecito e conveniente sacrificare tutto all'idea dell'unità politica della classe operaia, la quale, nella formulazione di Lenin, prevedeva la guida unica d'un partito comunista e una subordinazione di tutti i partiti comunisti alle direttive sovietiche.
La posizione del Partito d'Azione, che era una formazione composita nella quale confluivano elementi socialisti, radicali e democratico-liberali, aveva il pregio di un notevole vigore morale e intellettuale che criticava le impostazioni tradizionali della democrazia prefascista ma non aveva rispondenza tra le masse.
La Democrazia Cristiana era l'erede del partito popolare italiano: la sua idea-forza consisteva nell'opposizione al materialismo marxista, nella tradizione cattolica, nella apertura sociale; mentre la sua forza politica affondava le sue basi in una concezione interclassista e nell'appoggio massicio del clero. La Democrazia Cristiana si presentava come una formazione democratica, popolare, antifascista, a tendenza moderata, capace di riscuotere un largo consenso, proprio in virtù di queste sue caratteristiche, in seno a larghi strati urbani e contadini.
I primi governi dopo la liberazione  - Dopo la liberazione i CLN espressero un governo presieduto da Ferrucio Parri, del partito d'azione, che ebbe breve durata e si trovò a fronteggiare una situazione veramente difficile. La produzione industriale era ridotta a 1/4 di quella del 1938, quella agricola a poco più della metà, il deficit del bilancio statale era pauroso; il costo della vita era aumentato di 18 volte, mentre i salari industriali erano saliti di solo 6 volte. Nel dicembre 1945, al governo Parri subentrò un governo presieduto dal democristiano Alcide De Gasperi, che, pur formato dai partiti del CLN, rappresentò una svolta in direzione moderata.
Il referendum istituzionale (2 giugno 1946) - Tra la fine del 1945 e il giugno 1946 fu al centro del dibattito politico il problema istituzionale, cioè la scelta tra una forma di governo monarchica o repubblicana. Chiamato alle urne il 2 giugno del 1946 il popolo italiano si espresse con una maggioranza di poche centinaia di migliaia di voti (54%) a favore della Repubblica. I Savoia furono esiliati.
Le prime elezioni politiche (giugno 1946) - Nelle prime elezioni amministrative, tenutesi sempre nel giugno 1946, emersero i rapporti di forza tra i partiti: a uno schieramento social-comunista si contrapponeva la Democrazia Cristiana che ebbe il 32,5%, il Partito Socialista il 20,7%, il Partito Comunista il 19%; il Partito d'Azione non ebbe che 9 seggi e i Liberali 41.
Le elezioni del 1946, sancendo il passaggio dell'Italia dalla forma di governo monarchica a quella repubblicana, diedero vita a una assemblea costituente e alla formazione di un ministero, sempre presieduto da De Gasperi, del quale entrarono a far parte democristiani, socialisti, comunisti e repubblicani.
La costituzione repubblicana - L'Assemblea Costituente, presieduta sino al gennaio 1947 dal socialista Giuseppe Saragat e poi dal comunista Umberto Terracini, procedette alla formulazione di una costituzione che entrò in vigore con il 1° gennaio del 1948. Essa fu il frutto di un ben dosato compromesso tra le maggiori forze politiche.
1) "L'Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro" (art.1);  2) Tutti i cittadini sono uguali dinnanzi alla legge "senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali" (art.3); 3) L'Italia ripudia la guerra come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali (art.11); 4) A titti viene garantita la libertà personale, di domicilio, di riunione, di manifestare con ogni mezzo il prorpio pensiero, di costituire associazioni purché queste non perseguano "anche indirettamnte, scopi politici mediante organizzazioni di tipo militare" (artt.13-21); 5) "L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento", e la scuola è aperta a tutti (artt.33 e 34); 6) "L'organizzazione sindacale è libera" (art.39) e "Il diritto di sciopero si esercita nell'ambito delle leggi che lo regolano" (art.40); 7) La legge garantisce la proprietà privata, che tuttavia può essere espropriata, dietro indennizzo, per motivi di interesse generale (art.42); 8) Il diritto di voto personale, libero e segreto è riconosciuto a tutti i cittadini maggiorenni senza distinzione di sesso, che possono rivolgere petizioni al parlamento e accedere ai pubblici uffici (artt.48-51); 9) Il parlamento si compone della camera dei deputati e del senato, che esercitano collettivamente il potere legislativo ed eleggono in seduta comune, unitamente a tre delegati per ogni regione, il presidente della repubblica. Questi nomina il presidente del consiglio dei ministri, il quale forma il governo che deve avere il voto di fiducia delle camere (artt.70-94); 10) Dietro richiesta di 500.000 elettori o di cinque consigli regionali è indetto il referendum  per abrogare in tutto o in parte una legge, purché questa non abbia carattere tributario o di bilancio e non concerna le amnistie o le ratifiche di trattati internazionali; 11) Infine, "La Repubblica si riparte in Regioni, Province e Comuni".
Lo stato e la chiesa nella costituzione - " Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale ". All'approvazione di questo articolo si poté arrivare per l'atteggiamento del Partito Comunista che non volle rompere coi cattolici e intese tutelare l'unità del movimento operaio che si era concretata da poco nella creazione della Confederazione Generale Italiana del Lavoro (CGIL).

 

La scissione socialista (1947) - Tra il 1946 e il 1948 i due fatti più salienti della politica estera e interna italiana furono la firma del trattato di pace e la scissione del Partito Socialista.
Sin dal 1945, in seno al Partito Socialista Italiano di unità proletaria, il dibattito attorno al problema dei rapporti coi comunisti era particolarmente accanito e alcune correnti vagheggiavano addirittura una fusione dei due partiti per costituire un partito unico dei lavoratori senza credere in una funzione autonoma d'un partito socialista che presentasse al paese un programma di democrazia socialista nel quale il fondamentale presidio della libertà di tutti, e nel quale anche fosse realmente garantita quella democrazia operaia che lo stalinismo aveva distrutta nell'URSS e andava strozzando sul nascere nei paesi dell'est europeo. Su questo problema i socialisti si scissero all'inizio del 1947: nacque così, per iniziativa di Giuseppe Saragat, il Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, orientato in direzione dei socialdemocratici, al quale aderirono circa la metà dei socialisti democratici all'assemblea costituente. A dirigere il Partito Socialista d'Unità Proletaria (che mutò il proprio nome in quello di Partito Socialista Italiano) restò uno dei più popolari e prestigiosi uomini politici italiani: Pietro Nenni.
La DC rompe con le sinistre - La crisi socialista offrì a De Gasperi l'opportunità di rompere la collaborazione con i partiti di sinistra e di costituire un ministero democristiano con la partecipazione di Carlo Sforza e di Luigi Einaudi, che assunsero rispettivamente le cariche di ministro degli esteri e di ministro del bilancio; dopo la costituzione del Cominform, si formò un nuovo governo di centro al quale parteciparono la democrazia cristiana, il partito liberale, il partito liberale, il partito repubblicano e il nuovo partito socialista dei lavoratori italiani.
Il fronte popolare (1948) - Comunisti e socialisti, concordi nell'opposizione al piano Marshall, si presentarono alle elezioni del 1948 collegati in un fronte democratico popolare. Gli avvenimenti di Praga ebbero un peso determinante e tutta la campagna elettorale si svolse all'insegna del dilemma tra libertà e dittatura.
Comunisti e socialisti non offrirono una seria alternativa al piano Marshall, né furono in grado di fornire persuasive garanzie che dopo la loro eventuale vittoria non sarebbe successo in Italia quello ch'era successo in Cecoslovacchia: l'elettorato si orientò pertanto su posizioni moderate, votando massicciamente per la democrazia cristiana che conquistò la maggioranza assoluta ottenendo 12 milioni di voti e 306 seggi alla camera dei deputati contro i 183 del fronte popolare.
La politica "centrista" di De Gasperi - Dalle elezioni del 1948 uscirono polverizzati i partiti minori, dal momento che solo il Partito Socialista del Lavoratori Italiani ottenne una certa affermazione conquistando 33 seggi. Il successo democristiano fu conseguito certamente sulla base della paura del comunismo, ma fu anche dovuto all'appoggio massiccio della chiesa e di tutte le organizzazioni da essa dipendenti.
Questi elementi furono immediatamente chiari a De Gasperi, che ben comprese come i 12 milioni di voti ottenuti dal suo partito non fossero tutti voti democristiani, né indicavano un orientamento conservatore per una larga base popolare e interclassista e una posizione di centro che cercava un collegamento che, nella situazione d'allora, rappresentavano la sinistra moderata e la destra non reazionaria.
De Gasperi pertanto non costituì un governo della sola Democrazia Cristiana, ma un ministero di coalizione tra democristiani, socialdemocratici, liberali e repubblicani, che pur non avendo vita facile, riuscì comunque a governare il paese con risultati positivi.
La scissione sindacale (1948) - Nel luglio 1948 un esaltato attentò la vita del leader comunista Togliatti: in tutto il paese si determinò un clima insurrezionale soprattutto per iniziativa delle organizzazioni periferiche dei partiti di sinistra e della CGIL che volevano riovesciare la situazione creatasi dopo il voto dell'aprile. La fermezza dei poteri dello stato e il senso di responsabilità degli organi centrali comunisti, socialisti e sindacali frenarono questo pericoloso avvio all'azione di piazza. La ripercussione più importante fu la rottura dell'unità sindacale che da tempo andava maturando. Altro motivo di lacerazione fu la battaglia per l'adesione al Patto atlantico nella quale le sinistre ricorsero al metodo dell'ostruzionismo parlamentare, che del resto era previsto dal sistema e dalla pratica democratica.
La ricostruzione - La ricostruzione dell'economia italiana presentava problemi assai gravi. Alla fine del conflitto la produzione agricola raggiungeva solo il 55% di quella del 1938 e la produzione industriale solo il 25% ed era in atto un vasto processo di inflazione che colpiva soprattutto i lavoratori a reddito fisso. I primi governi non potevano ignorare le richieste di adeguamento salariale, né potevano fare a meno di aumentare la spesa pubblica. I prezzi all'ingrosso, nell'autunno del 1947, raggiunsero il livello più alto; ma a partire dalla fine dello stesso anno una serie di provvedimenti presi dal ministro del bilancio Einaudi cominciò a sanare la situazione: fu ristretto il credito e contenuta la spesa pubblica, ottenendo così una buona stabilità della moneta, e alla fine del 1949 lo stato era in grado di effettuare investimenti non solo a scopo di ricostruzione, ma anche di sviluppo. La ripresa dell'agricoltura e dell'industria fu molto rapida e nel 1953 la produzione industriale superò largamente quella del 1938.
La " questione meridionale " Un problema ancora irrisolto fu quello dei contadini meridionali. Tra il 1943 e il 1950 si sviluppò in tutto il Mezzogiorno d'Italia un vasto movimento di occupazione di terre da parte dei contadini che ne rivendicavano le assegnazioni per migliorale le loro condizioni di vita.  Si risvegliò così l'interesse delle classi dirigenti per la "questione meridionale". Le forze di sinistra tentarono, da parte loro, di organizzare i movimenti spontanei di protesta, contribuendo a diffondere nelle campagne meridionali un ampio processo di rinnovamento democratico.
Nel 1950 il governo De Gasperi approvò una serie di provvedimenti legislativi, ai quali avrebbe dovuto far seguito una "vera" riforma agraria, che non vide però mai la luce. Il più importante fu l'espropriazione di una parte dei grandi latifondi e la distribuzione delle relative terre ai contadini. Complessivamente furono espropriati poco più di 700.000 ettari di terreno coltivabile, divisi tra circa 120.000 famiglie contadine. Si trattò dunque, di un provvedimento limitato, che lasciò fuori milioni di contadini che si videro costretti ad una vera fuga dalle campagne meridionali.
La " Cassa del Mezzogiorno " Un nuovo modo di impostare la questione meridionale fu la nascita della cassa del Mezzogiorno. Lo strumento scelto dal governo per affrontare il problema dell'industrializzazione dell'Italia meridionale fu quello dell'intervento straordinario, che si doveva attuare attraverso la "cassa del Mezzogiorno", istituita nel 1950 e che ebbe come obiettivo, in un primo tempo, la "preindustrializzazione", cioè la creazione di un ambiente economico favorevole agli investimenti da parte delle industrie private. Questi interventi anziché "addizionali" sono stati spesso "sostitutivi" di quelli di competenza delle amministrazioni ordinarie e ancor più che essi non sono stati concepiti ed eseguiti nel quadro di una politica programmata di assetto territoriale e di ristrutturazione agricola, della quale l'organo straordinario non poteva darsi carico e delle quali gli organi ordinari, istituzionalmente responsabili, non si sono in alcun modo fatti promotori. I suoi stessi successi sono serviti, per così dire, a "nascondere" il "vuoto" sempre più grave di una mancata politica di vero sviluppo economico.
Le elezioni del 1953 - Nel 1953 la coalizione di governo, per affrontare le elezioni politiche, varò, non senza gravi contrasti, una riforma elettorale. Le liste dei vari partiti potevano essere tra loro collegate ("apparentate") e se le liste apparentate avessero raggiunto nel complesso il 51% dei voti, avrebbero goduto di un "premio". Il sistema (che fu chiamato dalle opposizioni "legge truffa") non scattò perché gli elettori reagirono negativamente sia a questo espediente che sembrava mascherare la volontà di instaurare un regime, sia all'intervento aperto del clero in favore della democrazia cristiana e a danno degli stessi partiti suoi alleati.
Socialisti, comunisti e partiti di destra guadagnarono in voti e in seggi, i democristiani persero due milioni di voti e 44 seggi, e i partiti minori a essa "apparentati" ebbero perdite in proporzioni più gravi.
La ripresa della destra - Il risultato fu uno spostamento a destra dell'asse del governo, conseguente alla notevole affermazione elettorale del partito monarchico e del Movimento Sociale Italiano (MSI) che era una formazione la quale si richiamava apertamente ai principi ideologici, politici e sociali del fascismo ed era sorta nel 1946 usufruendo dei diritti di libertà che la democrazia non nega neppure ai propri avversari.
L'atmosfera politica italiana stagnò sino al 1956 quando, in seguito alle ripercussioni del XX congresso del Partito Comunista dell'URSS e ai fatti d'Ungheria, i socialisti rividero le proprie posizioni ponendo così le premesse di un loro ritorno nell'area di governo.

Gli Usa da Truman a Eisenhower

L'amministrazione Truman - L'amministrazione democratica presieduta da Truman affrontò i problemi della riconversione economica cercando di continuare la politica di intervento pubblico ch'era stata propria del new deal rooseveltiano: trovò però opposizione non solo nei repubblicani (tradizionalmente conservatori), ma anche negli ambienti democratici degli stati del sud che non condividevano la sua azione in favore della popolazione negra.
Un aumento notevole dei salari fece in modo di procurare un processo d'inflazione che poté essere fermato solo alla fine del 1949.
Ripercussioni interne della guerra fredda - Truman con la sua politica estera riscosse critiche sia a destra sia a sinistra e la sua politica interna precedette tra grandi contrasti, ma nel 1948 egli ottenne un successo clamoroso elettorale sul repubblicano Thomas E. Dewey e su Henry Wallace che, uscito dal partito democratico, aveva fondato un improvvisato partito progressista. La nuova maggioranza democratica non si mostrò tuttavia molto più liberale di quella repubblicana, anche perché si trovò a operare nel clima assai teso dei primi anni della "guerra fredda" che determinò un generale allarmismo il quale rasentò i limiti di una convulsione isterica. Gli avvenimenti prodottisi in Europa orientale e la vittoria dei comunisti in Cina furono in questi anni due fattori che incisero profondamente nella vita politica americana. Indubbiamente si trattava di fatti di enorme portata, ma le reazioni che essi provocarono oltrepassarono i limiti di una legittima preoccupazione.

Il fallimento della prospettiva isolazionista - Un nuovo isolazionismo che proponeva il disimpegno americano in Europa e la conduzione di una energica politica anticomunista senza l'impaccio di nessuna alleanza, facendo affidamento unicamente sul potenziale bellico nazionale. Soprattutto per le insistenze del generale Eisenhower che era a capo della Nato, l'amministrazione Truman accelerò non solo il riarmo americano; ma anche quello europeo e mantenne saldi i vincoli politici, militari e economici che legavano l'Europa agli USA con il Patto atlantico.
L'elezione di Eisenhower (1952) - La stanchezza generata dal conflitto coreano fu determinante nelle elezioni presidenziali del 1952 che videro a confronto il democratico Adlai Stevenson ed Eisenhower candidato per il partito repubblicano, il quale vinse con larghissimo consenso di voti popolari, ma con una stretta maggioranza nel congresso.
Eisenhower aveva vinto le elezioni conducendo una campagna elettorale all'insegna della rivendicazione di una più dinamica ed energica politica estera, la quale si riassumeva nel concetto che non bastava "contenere" l'avanzata del comunismo, ma occorreva restringerne l'area di espansione riguadagnando all'influenza americana le zone in cui i sovietici avevano stabilito il loro predominio. L'artefice principale di questa politica fu il segretario di stato, John Foster Dulles, il quale teorizzò la cosiddetta "politica di liberazione", ma fu nello stesso tempo un tenacissimo difensore degli interessi economici statunitensi in tutto il mondo.
La "liberazione" dei popoli "soggetti" al comunismo senza accettare un diretto confronto non solo politico, ma anche militare con l'URSS, cioè senza abbracciare la prospettiva di una guerra che, dopo l'invenzione della bomba all'idrogeno (1952), era diventava una prospettiva di folli.

Il Dopoguerra in Gran Bretagna e in Francia

I laburisti al potere - Lo sviluppo della vita politica ed economica inglese nei primi quindici anni dopo la seconda guerra mondiale vide alternarsi al potere, come di consueto, conservatori e laburisti, ma con la mancanza di una rigidezza ideologica.
Nelle elezioni del 1945, ottennero la maggioranza assoluta i laburisti, guidati da Clement Attlee, che rimasero ininterrottamente al governo sino al 1951.
La politica laburista si basò su un programma di austerità: blocco dei prezzi e dei salari, pesante imposizione fiscale, nazionalizzazioni prudenti e funzionali dei trasporti, delle miniere carbonifere, dell'industia siderurgica, realizzazione progressiva di una grande ed efficiente rete di servizi sociali per la realizzazione del welfare state  (stato di benessere) sulle orme del grande economista Keynes.
Il governo laburista avviò anche una coraggiosa politica di liquidazione dell'impero coloniale.
Ritorno dei conservatori (1951)- I conservatori vinsero le elezioni indette nell'autunno del 1951 e Churchill ritornò a capo del governo, ma non capovolse la politica attuata dai laburisti. Egli possedeva doti politiche eccezionali e poteva essere considerato un nostalgico rappresentante del mondo imperialista e vittoriano di cui era pur l'ultimo grande superstite. Il governo conservatore non solo proseguì nella politica di decolonizzazione, ma stipulò accordi con il regime repubblicano instaurato in Egitto dalla rivoluzione del 1952, regolarizzò le relazioni con l'Iran e incoraggiò la ripresa degli scambi commerciali con l'URSS. Churchill era stato il primo uomo di stato europeo a denunciare nel 1946 i pericoli rappresentati dalla politica staliniana per il mondo libero, ma fu anche il primo che, dopo la morte di Stalin, intuì che si sarebbe aperto un nuovo corso della politica russa e propose un incontro tra sovietici e occidentali cercando nello stesso tempo di temperare l'intransigenza degli USA.
Prime riforme in Francia - Le prime elezioni dopo la guerra ebbero luogo nell'autunno del 1945, dopo che un governo provvisorio, espressione dei comitali di liberazione, aveva proceduto a nazionalizzare tutta una serie di grandi complessi industriali, minerari, elettrici, finanziari e di trasporti. I risultati della consultazione elettorale videro la polverizzazione dei gruppi della vecchia destra, una forte affermazione del partito comunista, che ottenne la maggioranza relativa, e del movimento repubblicano popolare che rappresentava (come la democrazia Cristiana in Italia) la principale forza moderata.
Il breve governo De Gaulle - A presiedere il governo , formato da comunisti, socialisti e repubblicano-popolari fu chiamato il generale De Gaulle, che però si dimise dopo qualche mese. Fu elaborato un progetto di nuova costituzione che venne però bocciato dal referendum popolare; un secondo progetto trovò contrastata approvazione nonostante l'opposizione della destra e dei seguaci di De Gaulle. La collaborazione dei tre maggiori partiti fu di breve durata e finì nell'inverno del 1947, quando i comunisti furono eliminati dal governo dopo aver votato contro i crediti militari e contro il blocco dei salari.
Lo spostamento a destra - Nel 1947 l'asse politico francese cominciò a spostarsi sempre più verso destra sotto la pressione di una serie di avvenimenti: gli insuccessi nella guerra d'Indocina, l'aumento del costo della vita, le agitazioni scatenate dai comunisti contro il piano Marshall sfruttando le difficoltà dei ceti operai, le polemiche sul Patto atlantico, la concorrenza tra socialisti al governo e comunisti all'opposizione per assicurarsi la rappresentanza del ceto lavoratore, la formazione di un partito gaullista che prese il nome di Rassemblement du Peuple Francais  (Unione del popolo francese).
Nel 1950 anche i socialisti passarono all'opposizione e l'instabilità politica aumentò, e aumentò pure, dopo le elezioni del 1951, il peso delle forze di destra: una vera e propria girandola di governi di brevissima durata e uno spostamento di maggioranze su ogni singolo problema logoravano implacabilmente il tessuto politico francese.

 

 

 

 

 

Fonte: http://www.adripetra.com/DidatticaDispense/TerzoTr/Storia/II%20Dopoguerra.doc

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