La rivoluzione francese

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La rivoluzione francese

Gli antefatti
Durante il lungo regno di Luigi XV (1723-74) la situazione economica della Francia era andata progressivamente peggiorando: la guerra e i crescenti bisogni della vita di corte (Versailles) richiedevano l’imposizione di continue tasse. Per accrescere il gettito delle imposte e contenere il deficit di bilancio, il governo era ricorso a manovre finanziarie assai pericolose: concessione di alti tassi d’interesse sui prestiti dei cittadini, indiscriminata vendita di uffici pubblici, alterazioni del valore della moneta, riduzione arbitraria dei debiti dello Stato (bancarotta). Tutto questo perché le classi privilegiate (nobiltà e clero) erano riuscite, per interi decenni, a bloccare ogni provvedimento fiscale che estendesse anche a loro il peso tributario.  Le tasse erano prevalentemente pagate dai contadini e dalla borghesia. Nelle campagne il diritto di proprietà spettava ancora quasi interamente alla Corona, alla nobiltà e al clero. I contadini non erano più servi della gleba, come nel Medioevo, perché disponevano della libertà personale, però, non essendo proprietari di nulla, erano costretti a versare al clero le decime (cioè una parte dei prodotti dei campi), pagavano imposte e gabelle regie, erano obbligati dallo Stato a prestazioni di lavoro gratuite (corvées) per la costruzione di strade e caserme, ecc. Gli stessi nobili li obbligavano a pagare tasse sul commercio al minuto, pedaggi per l’uso di strade e ponti, tributi in natura, in denaro, in corvées. La borghesia si era arricchita notevolmente, ma non aveva alcun potere politico. Solo una piccola parte s’era procurata titoli nobiliari ereditari mediante l’acquisto degli uffici pubblici. Le piccole aziende manifatturiere si erano trasformate in opifici di vaste dimensioni. La ricchezza dovuta ai commerci, all’industria, alle società per azioni e agli istituti bancari aveva indotto la borghesia a chiedere la fine del regime del privilegio di clero e nobiltà, la libera disponibilità della terra, la piena libertà dei commerci (senza vincoli doganali e corporativi).

La rivoluzione
L’incapacità della monarchia (Luigi XVI) a dirigere dall’alto le istanze di rinnovamento dei ceti borghesi (dispotismo illuminato) rese inevitabile la convocazione degli Stati Generali, non convocati dal 1614 (non avevano potere legislativo ma solo consultivo). Il ministro delle finanze Necker si batté perché la borghesia (Terzo stato) mandasse all’Assemblea più delegati di quanti non potessero disporre nobiltà e clero messi insieme, di contro alla consuetudine che prevedeva invece, per ogni circoscrizione elettorale, la designazione di un candidato per ciascun ordine sociale. Nell’Assemblea la borghesia propose che il voto non fosse dato per ordine ma per testa (per avere la maggioranza) e che i lavori non si svolgessero in camere separate secondo gli ordini, ma in un’unica assemblea (per affermare la parità sociale dei delegati). Di fronte al rifiuto di nobiltà e clero, la borghesia si costituì in Assemblea Nazionale, proclamandosi rappresentante della volontà nazionale (giugno 1789).
La maggioranza dei delegati del clero, che provenivano da parrocchie rurali, decise di unirsi alla borghesia. Il re fece chiudere la Camera delle riunioni, ma il Terzo stato si trasferì in una sala adibita dalla Corte al gioco della pallacorda, giurando di riunirsi finché la Costituzione non fosse stabilita (Giuramento della Pallacorda). Il re ingiunse agli eletti di sciogliersi e di tornare a riunirsi l’indomani separatamente nelle sale assegnate a ciascun ordine. La borghesia non obbedì. Evitando di usare la forza, il re invitò clero e nobiltà a unirsi alla borghesia: l’assemblea così si proclamò Assemblea Nazionale Costituente.
Sospinto dagli aristocratici, Luigi XVI licenziò Necker e ammassò truppe mercenarie svizzere e tedesche nei pressi di Parigi. Il popolo di Parigi rispose occupando la Bastiglia, cioè la prigione per i condannati politici, simbolo dell’autorità assoluta del monarca. Il popolo creò nuovi organi di governo (a Parigi) e di difesa (la Guardia Nazionale, capeggiata da La Fayette, che già aveva combattuto a fianco degli insorti americani). L’esempio di Parigi viene seguito da altre città, che considerano la Costituente come l’unica vera fonte d’autorità. Nelle campagne si diffonde la “Grande Paura” dei nobili, che vedono le loro proprietà saccheggiate o espropriate dai contadini. Nell’agosto ‘89 l’Assemblea dichiara abolito il sistema feudale (corvées, decime), anche se vincola questa abolizione all’indennità che i contadini devono pagare ai nobili per le proprietà requisite.
L’atto di morte dell’ancien régime viene ratificato con la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino.
Principi fondamentali:

  • sovranità popolare,
  • diritti di libertà (opinione, stampa, religione, riunione),
  • uguaglianza giuridica,
  • tutela della sicurezza personale e della proprietà individuale.

La Costituente si preoccupò non solo di convogliare le forze popolari contro i ceti privilegiati, ma anche d’impedire che queste forze potessero dirigere il corso della rivoluzione. Venne perciò introdotto il principio della separazione dei poteri dello Stato:

    • quello esecutivo spettava al re, che aveva il diritto di veto, col quale poteva bloccare per 4 anni le decisioni dei rappresentanti eletti;
    • la borghesia si riservava l’assoluta preminenza nella funzione legislativa;
    • fu approvato il sistema monocamerale (cioè senza una Camera Alta da riservare alla nobiltà);
    • viene sancito il criterio censitario come condizione per l’esercizio dei diritti politici (solo i cittadini, cioè i maschi con almeno 25 anni di età, che pagassero un’imposta diretta pari a 3 giornate lavorative, potevano votare ed essere eletti).

Il re rifiutò l’abolizione dei diritti feudali, la suddetta Dichiarazione e la Monarchia costituzionale, ma una folla affamata si recò a Versailles per costringerlo ad approvvigionare la capitale, a ratificare le decisioni della Costituente e a trasferire la corte a Parigi. Questa parte di popolazione venne sempre più definendosi come Quarto Stato o Sanculotti, e i due circoli politici che esprimevano di più le sue esigenze erano i giacobini e i cordiglieri.
Intanto la Costituente, per fronteggiare la grave situazione finanziaria, prese la decisione d’incamerare i beni degli ordini religiosi a favore del demanio statale. L’esecuzione della vendita dei latifondi ecclesiastici fu affidata ai Comuni, ma siccome l’operazione era lunga e complessa, e l’erario aveva bisogno di soldi, l’Assemblea autorizzò il Tesoro ad emettere dei titoli di stato (assegnati) col valore di cartamoneta, garantiti dai beni espropriati. In tal modo chi comprava gli assegnati si sentiva strettamente legato agli esiti della rivoluzione. L’Assemblea inoltre abolì il clero regolare, trasformò quello secolare in funzionari stipendiati dallo Stato mediante la Costituzione civile del clero, la quale prevedeva il principio elettivo per tutti i gradi della gerarchia ecclesiastica, senza diritto di conferma canonica da parte del papa. Il clero si divise in due parti: costituzionali e refrattari (questi ultimi favorevoli al papa, che condannò sia la Dichiarazione che la Costituzione del clero).
Luigi XVI, dopo essere stato costretto a ratificare la Costituzione del clero, decide di fuggire dalla Francia, ma alla frontiera belga viene riconosciuto e arrestato. Il sistema della monarchia costituzionale entra in crisi: il re passa per un traditore della nazione, fomentatore di guerra civile e alleato delle potenze straniere antifrancesi.
Cordiglieri e giacobini ne approfittano per rivendicare maggiori poteri in seno all’Assemblea, la quale però al Campo di Marte (Parigi) fa sparare sulla folla, sospende la libertà di stampa e di riunione. L’Assemblea (ove dominano i girondini) cerca di superare la paralisi del movimento democratico in 3 modi:

  • fa credere all’opinione pubblica che la fuga del re era un rapimento tramato da controrivoluzionari;
  • si scioglie, trasformandosi in Assemblea Legislativa, eletta a suffragio censitario (impedisce a tutti quanti avevano fatto parte della Costituente di poter partecipare anche alla Legislativa);
  • dichiara una guerra preventiva all’imperatore d’Austria e Prussia.

Alla guerra contro Austria-Prussia si giunse per tre ragioni:

  • fame e disoccupazione dilagavano nel Paese;
  • gli ambienti di corte erano convinti che la Francia rivoluzionaria ne sarebbe uscita sconfitta;
  • gli ambienti rivoluzionari volevano esportare all’estero i loro principi politici.

 
Solo Robespierre e pochi giacobini erano contrari, temendo che la guerra segnasse la fine della rivoluzione. All’inizio, in effetti, il conflitto fu disastroso per la Francia: esercito male organizzato, ufficiali aristocratici non disposti a combattere con impegno, tradimenti continui della corte che complottava col nemico. La prima grande sconfitta fu quella di Verdun, che ebbe come effetto le stragi di settembre nelle carceri parigine: almeno 1300 detenuti politici conservatori vennero uccisi dalla folla in tumulto. Intanto la Comune insurrezionale di Parigi obbliga la Legislativa ad arrestare il re. La stessa Legislativa convoca una nuova Assemblea, la Convenzione Nazionale, che avrebbe dovuto trasformare il Paese in una Repubblica. La monarchia era finita. La Fayette si era consegnato agli austriaci. Pochi giorni dopo il massacro di settembre vi fu la grande vittoria francese a Valmy e la conquista del Belgio. Nella Convenzione, i girondini, che rappresentavano la medio-alta borghesia progressista, conservarono il governo del Paese (sostenevano la tesi federalista); a sinistra erano i giacobini (detti montagnardi), rappresentanti della piccola borghesia: essi riusciranno a far proclamare la Repubblica una e indivisibile, ed anche a far condannare a morte il re.
Nel ‘93 la Convenzione votò la Costituzione dell’Anno I della Repubblica: per la prima volta in Europa s’introdusse il principio del suffragio universale, sopprimendo la discriminazione censitaria dei cittadini in attivi e passivi, e attribuì il diritto di voto (segreto e diretto) a tutti i francesi maschi maggiorenni, prevedendo anche l’intervento assistenziale dello Stato a favore dei ceti indigenti. Questi principi non furono però applicati perché gli eventi internazionali favorirono l’avvento di una dittatura politica. Infatti, avendo occupato Belgio, Olanda, Savoia e altri territori, la Francia si vide coalizzare contro moltissimi paesi europei: Austria, Prussia, Inghilterra, Olanda, Spagna, Portogallo, Russia, Piemonte, Stato Pontificio. La Francia deve ritirarsi un po’ ovunque. All’interno scoppia la guerra civile in Vandea: alla miseria si era aggiunta la coscrizione obbligatoria che colpiva soprattutto i contadini più poveri.
Nella Convenzione, intanto, i montagnardi imposero ai girondini leggi di emergenza:

    • attribuire alla Convenzione tutti i poteri;
    • dittatura rivoluzionaria;
    • organo collegiale di controllo sul governo (Comitato di salute pubblica);
    • Tribunale rivoluzionario;
    • politica economica rigidamente centralizzata (blocco dei salari e dei prezzi).

I giacobini, con un colpo di stato, s’impadroniscono del potere e condannano a morte 21 deputati girondini. Cala il prestigio di Danton e sale quello di Robespierre e Saint-Just. I girondini rispondono scatenando varie insurrezioni nei dipartimenti e nelle grandi città; uccidono Marat. I giacobini attuano così la politica del Terrore:  

      • contro gli accaparratori di derrate e per il controllo della distribuzione dei generi alimentari di largo consumo creano la legge del Maximum, cioè un calmiere dei prezzi;
      • viene imposto il corso forzoso degli assegnati, la cui continua emissione li aveva fortemente svalutati;
      • viene soppressa stampa dissidente, chiusi i club antigiacobini, promulgata la legge dei sospetti, giustiziata la regina, repressa rivolta vandeana e tutte le rivolte girondine.

Il governo giacobino, inoltre, eliminò il gruppo di Danton, accusato di eccessivo moderatismo, e il gruppo di Hébert, accusato di eccessivo estremismo; impose come religione di stato il culto dell’Essere Supremo; ma non riuscì a impedire il mercato nero né a garantire sufficienti salari al proletariato delle città. Le vittorie militari francesi fecero capire alla borghesia che non c’era più bisogno di una dittatura rivoluzionaria. La borghesia approfittò del fatto che i giacobini, eliminando i seguaci di Danton ed Hébert, si erano inimicati le masse popolari, per compiere un colpo di stato e rovesciare Robespierre e Saint-Just, accusati di voler imporre una tirannia personale (reazione termidoriana). La Convenzione Termidoriana abolì subito il calmiere dei prezzi e scatenò il terrore bianco contro i giacobini. Per evitare che i realisti riprendessero il potere, la Convenzione affida il governo a un Direttorio, dal quale emergerà la dittatura militare di Napoleone Bonaparte.

 

Fonte: https://sociologiaunipi.files.wordpress.com/2013/03/riassunti-storia-contemporanea-sabbatucci-vidotto.doc

Sito web da visitare: https://sociologiaunipi.files.wordpress.com

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