Alessandro Volta la pila e biografia

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Alessandro Volta la pila e biografia

La Pila di Volta

Volta giunse alla scoperta della Pila dopo innumerevoli esperimenti, stimolato anche dal vivo desiderio di controbattere l’affermazione di Galvani secondo cui esisteva un’elettricità animale (disputa Galvani -Volta).
Lo scienziato comasco intuì che, predisponendo tanti contatti metallici, il fenomeno elettrico sarebbe cresciuto proporzionalmente all’aumento dei contatti metallici e tutto il potenziale elettrico che viene posto in libertà ad ogni contatto si sarebbe manifestato in uno solo.

La Pila a colonna

Predispose, quindi, coppie di dischi di zinco e di rame e, per far convergere l’elettricità dei contatti in un solo punto, fece in modo che fra una coppia e l’altra vi fosse un mezzo di comunicazione, attraverso il quale il fluido elettrico potesse passare per concentrarsi nei punti estremi dei vari contatti.
Alla fine di dicembre del 1799 realizzò un apparato costituito da molte di queste coppie metalliche sovrapposte a colonna e interpose ad esse dei dischetti di cartoncino imbevuti d’acqua salata. Tra le due estremità della colonna, terminanti una con lo zinco e l’altra con il rame, si sviluppava elettricità (che si manifestava con piccole scintille) quando si mettevano tra loro in contatto o venivano toccate.

La costruzione dell’apparecchio descritta da Volta stesso

"Mi procuro qualche dozzina di piccole piastre tonde o dischi di rame, di ottone o meglio di argento, su per giù di un pollice di diametro… e un numero uguale di dischi di stagno, o molto meglio di zinco della medesima forma e della stessa grandezza, dico all’incirca perché non è richiesta rigorosa precisione: tanto la grandezza che la forma sono arbitrarie, ma dobbiamo fare attenzione che si possano disporre comodamente gli uni sugli altri, in forma di colonna. Inoltre preparo un gran numero di dischetti di cartone, o di pelle, o di qualsiasi altro materiale spugnoso capace di assorbire e di ritenere acqua o altro liquido e rimanerne imbevuto.
Per la buona riuscita dell’esperimento queste rondelle o dischi, che chiamerò dischi inzuppati, li faccio un po’ più piccoli dei dischi o piatti metallici, affinché interposti a questi nel modo che dirò, non sporgano fuori.
Avendo tutti questi pezzi in buono stato, i dischi metallici ben collocati e secchi, e quelli non metallici ben inzuppati di semplice acqua, o, molto meglio, di acqua salata, asciugato il tutto quanto basti perché non sgoccioli, non rimane che disporli adeguatamente e la disposizione è semplice.
Dispongo dunque orizzontalmente come base qualunque tavolo e su di esso un piatto metallico, ad esempio di argento, su di esso un disco di zinco quindi uno inzuppato, poi un altro di argento e sopra uno di zinco ed ancora un disco inzuppato. Continuo così, nella stessa maniera, accoppiando un piatto di argento con uno di zinco, e sempre nello stesso senso, cioè a dire, sempre l’argento sotto e lo zinco sopra, o viceversa, secondo come iniziato, e interponendo a ciascuna di queste coppie un disco inzuppato, e continuo sino a formare con parecchi di questi strati una colonna che possa sostenersi senza crollare.
Se giungo ad innalzare una colonna di circa 40 di questi strati o coppie di metalli sarà già sufficiente non solo a caricare un condensatore con un semplice contatto al punto di far scoccare la scintilla, ma anche a colpire, con uno o più piccoli colpi, le dita con le quali si toccano le estremità (sommità e piede) della colonna, colpi più o meno frequenti a seconda della frequenza con la quale si ripetono questi contatti, e ciascun colpo somiglia alla leggera scossa provocata da una bottiglia di Leida, caricata leggermente. […]
Per ottenere quelle leggere scariche da questo apparecchio, che ho descritto e che è ancora piccolo per dare grandi effetti, è necessario che le dita, con le quali si toccano contemporaneamente le due estremità, siano inumidite, al punto che la pelle, la quale altrimenti non sarebbe una buona conduttrice, sia ben bagnata.
Ancora, per una riuscita più sicura, e per ricevere scosse notevolmente più forti, occorre far comunicare, per mezzo di un grosso filo metallico, il piede della colonna, cioè il disco di fondo, con l’acqua di una vaschetta, o tazza, abbastanza grande per potervi immergere due o tre dita o tutta la mano mentre si toccherà la testa od estremità superiore (uno degli ultimi dischi della colonna) con l’altra mano ben umida e che stringe fortemente un a lamina metallica.
[…]
Questa intima ed estesa aderenza dei dischi imbevuti è molto importante, mentre i dischi metallici di ciascuna coppia possono essere in contatto tra di loro anche in pochi punti, purché il contatto sia diretto. Questo fa vedere che anche se il contatto tra i metalli è solo in qualche punto, è sufficiente per il libero passaggio di una corrente elettrica mediamente forte essendo essi buoni conduttori.
[…]
Gli effetti del mio apparecchio (le scosse che si avvertono) sono considerevolmente più sensibili in misura che sia più alata la temperatura ambiente, quella dell’acqua dei dischi imbevuti che fanno parte della colonna, e della stessa acqua delle bacinelle, perché il calore rende l’acqua più conduttrice".
In questo apparecchio, però, si verificava l’inconveniente che i dischetti imbevuti si essiccavano in tempo relativamente breve.

La Pila a corona di tazze

L’inconveniente fu risolto sostituendo ai dischetti delle tazze contenenti acqua salata o acidulata, in ognuna delle quali erano immersi due elettrodi, uno di rame e l’altro di zinco. Gli elettrodi si susseguivano sempre nello stesso ordine e erano collegati da una catena di archi bimetallici di uguale natura.
"Si dispone una serie di tazze o coppe, di qualsiasi materiale, esclusi i metalli: tazze di legno, di scaglia, di terra, o meglio di cristallo (piccoli bicchieri per bere o ciotole, sono i più adatti) pieni a metà di acqua pura o meglio salata; le si fanno comunicare una con l’altra per mezzo di ponti bimetallici, nei quali un’estremità che pesca in una delle tazze è di rame rosso o giallo, o meglio di rame argentato; l’altra, che pesca nella tazza che segue, è di stagno, meglio di zinco.
[…]
I due metalli che formano gli archi sono uniti in qualsiasi modo al di sopra delle parti immerse nel liquido, che devono toccare con una superficie sufficientemente estesa e pulita, è quindi opportuno che la lamina sia di un pollice quadrato, o molto poco inferiore; il rimanente dell’arco può essere più stretto, sino ad essere un semplice filo metallico. Può anche essere di un terzo metallo, differente dai due che pescano nel liquido delle tazze.
Una serie di 20, 40, 60 di queste tazze collegate in questo modo e disposte sia in linea retta sia linea curva, ripiegate in tutti i modi, formano il nuovo apparecchio che, alla fine, nella sostanza è la stessa cosa dell’altro a colonna".

 

Fonte: http://jervo.altervista.org/appunti/Fisica/LaPiladiVolta.doc

Sito web da visitare: http://jervo.altervista.org

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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