Crisi del dopoguerra in italia e fascismo

Crisi del dopoguerra in italia e fascismo

 

 

 

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Crisi del dopoguerra in italia e fascismo

LA CRISI DEL DOPOGUERRA IN ITALIA

L’Italia uscì vittoriosa dalla 1^ guerra mondiale, ma con profonde ferite, rappresentate dai numerosi caduti e dagli invalidi. Sotto il profilo economico ci furono diverse problematiche:

  1. Debito pubblico, accumulato per finanziare la guerra;
  2. Inflazione, con conseguente svalutazione della lira;
  3. Disoccupazione, a causa della riconversione delle fabbriche.

La guerra, d’altra parte, aveva stimolato la modernizzazione delle imprese industriali, soprattutto nel campo meccanico, siderurgico e chimico, ma la ricchezza che ne derivò non fu equamente distribuita tra la popolazione, ed avvantaggiò solamente gli imprenditori e gli speculatori.
Per questo motivo si ebbe una forte intensificazione delle lotte operaie, in concomitanza con quelle contadine, che aiutarono lo sviluppo dei sindacati e delle organizzazioni cattoliche. Vi furono scioperi ed occupazioni delle terre, ma il governo tollerante aiutò i lavoratori ad ottenere importanti conquiste:

  • Gli operai ebbero un aumento salariale e la giornata lavorativa di otto ore;
  • I contadini ottennero aumenti e l’imponibile di manodopera, ovvero un limite minimo di assunzioni, oltre che una parziale redistribuzione della terre.

Il proletariato agricolo e industriale non era, però, l’unico ceto a soffrire per le conseguenze della guerra; i ceti medi, come studenti, impiegati ed ex ufficiali, provavano un acuto disagio, in quanto furono pesantemente colpiti dall’inflazione, non ricevettero alcuna agevolazione. A questi risentimenti, inoltre, si univa l’avversione al socialismo e il timore di una rivoluzione di matrice bolscevica.

La parola d’ordine che unificò tutti questi risentimenti fu “vittoria mutilata”. L’Italia, infatti, non si era vista riconoscere dagli alleati tutti i territori promessi, come la città di Fiume, prevalentemente italiana. Su questa base, i nazionalisti presero l’occasione per cominciare una violenta polemica contro il governo, fino ad occupare Fiume proclamandone l’annessione all’Italia. La questione fu poi risolta da Giolitti con il Trattato di Rapallo firmato con la Jugoslavia, nel quale Fiume venne proclamata stato indipendente. Avendo i nazionalisti rifiutato questo trattato, Giolitti fece sgomberare la città con la forza.

Durante le elezioni del 1919 il Partito Socialista ebbe il maggior numero di voti, ma anche il Partito Popolare, che presentava un programma che ribadiva punti fondamentali della dottrina cattolica come l’interclassismo, e la libertà di insegnamento. Purtroppo, le divisioni interne, democratici cristiani e clericali conservatori nei cattolici, e massimalisti e riformisti nei socialisti, minavano la forza delle organizzazioni popolari. Una divisione che emerse gravemente durante l’occupazione delle fabbriche operata da operai di Milano, Torino e Genova in risposta alla chiusura degli impianti da parte degli imprenditori. Giolitti rifiutò di usare la forza, convinto che il movimento si sarebbe indebolito da solo dopo la chiusura dei prestiti dalle banche, e così fu, ma dal punto di vista politico ebbe riscontri molto negativi, e diede l’inizio al declino delle lotte operaie che nel cosiddetto “Biennio rosso”, spaventarono inutilmente media e alta borghesia.

IL FASCISMO AL POTERE

Il “movimento dei fasci di combattimento” fu fondato a Milano nel 1919 da Benito Mussolini, socialista espulso dal partito per la sua posizione interventista. Avvicinatosi al nazionalismo, Mussolini fonda il “Popolo d’Italia”, attraverso il quale attua agitazione politica. Il programma iniziale dei fasci era estremamente repubblicano e anticlericale, ma si trattava di un programma intriso di demagogia; alle elezioni il risultato ottenuto dai fascisti fu alquanto deludente. Il successo degli anni successivi dipenderà molto dall’uso della violenza come arma politica: dapprima nelle campagne, dove le squadre fasciste, formate da ex combattenti, studenti, disoccupati, iniziarono ad assaltare tipografie, circoli e cooperative. Le “camicie nere” erano finanziate dai proprietari terrieri (agrari), che le utilizzavano per contrastare il movimento contadino l’espansione dei socialisti, ma ben presto il fenomeno diventò anche urbano, appoggiato da numerosi imprenditori. Ciò consentì a Mussolini di diventare padrone delle piazze e delle campagne, imponendo con la forza il fascismo.

Nella classe dirigente liberale maturò sempre più l’idea di un’alleanza con il fascismo, per risolvere la crisi politica del paese e per sconfiggere le sinistre, nell’errata convinzione che sarebbe stato possibile emarginare o ricomprendere Mussolini nel sistema delle istituzioni parlamentari. Fu così che alle elezioni del 1921 i fascisti ottennero 31 seggi, che fecero la differenza nel fragile equilibrio maggioritario liberale, ormai appeso ad un filo; ciò aumentò il peso politico e l’ascesa dei fascisti, facilitata anche dalle divisioni interne del partito socialista, che si scisse per ben due volte.

Mussolini, a questo punto, decise di trasformare il movimento fascista in un vero e proprio schieramento politico, il Partito Nazionale Fascista. Il nuovo programma del partito è molto lontano da quello originario, ed enuncia:

  • Uno stato forte;
  • Limitazione poteri del parlamento;
  • Esaltazione della Nazione;
  • Divieto di sciopero;
  • Privatizzazione di ferrovie e telefonia.

Mussolini, inoltre, dichiarò di abbandonare l’obiettivo della repubblica all’interno del suo programma; decisione che impressionò molto positivamente il re.
Nel 1922, Mussolini realizzò la cosiddetta “marcia su Roma”: riorganizzò le squadre nella milizia fascista, e il 28 ottobre dello stesso anno colonne di fascisti entrarono nella capitale senza incontrare resistenza di alcun genere. Mussolini, che attendeva a Milano il compiersi degli eventi, il 30 ottobre venne convocato dal re, il quale gli diede l’ordine di formare un nuovo governo, il primo governo Mussolini, che portò al crollo delle istituzioni liberali.

I fattori del successo fascista furono principalmente:

  • L’appoggio della borghesia agraria e industriale;
  • Il successo presso i ceti medi;
  • La crisi del sistema politico liberale;
  • Il disegno di utilizzare il fascismo per ridimensionare la sinistra;
  • Debolezza e divisioni all’interno del movimento socialista.

Il percorso iniziato da Mussolini, che stava lentamente avviandosi verso la dittatura, fu caratterizzato da alcuni momenti significativi:

  • La nuova legge elettorale maggioritaria, con la quale i fascisti andarono alle elezioni del ’24 (presentando il cosiddetto listone);
  • Il delitto Matteotti, l’esponente socialista rapito e assassinato da una squadra fascista;
  • La secessione dell’Aventino, successiva al delitto Matteotti, che non produsse alcun risultato politico significativo.

IL REGIME FASCISTA

Il progetto politico di Mussolini mirò alla fascistizzazione dello stato e della società civile, cioè alla subordinazione al potere fascista delle istituzioni, della pubblica amministrazione e di tutte le forme della vita associata. Il punto di partenza per questa trasformazione furono le “leggi fascistissime”:

  • Il capo del governo è responsabile solo davanti al re;
  • Il parlamento non poteva discutere le leggi senza il consenso del governo;
  • Soppressa la libertà di associazione;
  • Fuori legge tutti i partiti eccetto quello fascista;
  • Chiusi i giornali antifascisti;
  • Controllo severo sulla stampa (vedi veline);
  • Istituito il Tribunale speciale per la difesa dello stato, formato dalla milizia fascista.

Questi provvedimenti abolirono la libertà democratica, e ogni dissenso fu duramente represso.
La funzione puramente formale del parlamento si evidenziò ulteriormente con la legge elettorale del 1928, la quale prevedeva che l’elettore potesse dire solo “sì” o “no” a una lista di 400 candidati scelti dagli organi supremi del fascismo.
Da questo momento, Mussolini si poté dedicare alla disciplina del partito, trasformandolo in una struttura burocratica e gerarchica, in quanto le squadre non erano più necessarie, grazie a:

  • Tribunale speciale;
  • Milizia;
  • Polizia segreta (OVRA).

Organo supremo del partito era il Gran Consiglio del Fascismo, presieduto da Mussolini e formato da grandi esponenti del regime. Il Gran Consiglio rimase di fatto l’unico organo in cui era possibile una dialettica politica: sarà proprio il Consiglio, infatti, che nel 1943 destituirà Mussolini.

Sul piano sindacale, il fascismo abolì ogni libertà di contrattazione, abolì le commissioni interne (rappresentanti dei lavoratori), e proibì lo sciopero per legge. Inoltre, trasformò i sindacati in corporazioni, aggregazioni di persone che facevano parte della stessa categoria di lavoro, gestite direttamente da un apposito ministero.

Negli anni 30, il fascismo assunse sempre di più le caratteristiche di un regime totalitario, e alla repressione dei dissidenti si affiancò la mobilitazione del consenso popolare. Un punto fondamentale di questa strategia fu il controllo dell’informazione, che si ottenne:

  • Proibendo la stampa antifascista;
  • Creando ente radiofonico;
  • Creando ente cinematografico (istituto Luce)

Attraverso il Ministero della cultura popolare si posero sotto controllo tutti gli aspetti della vita culturale degli italiani; l’iscrizione al partito divenne obbligatoria per i dipendenti pubblici, ma anche per ottenere impieghi e promozioni. Furono istituite anche diverse organizzazioni di massa per educare la gioventù ai valori fascisti (figli della lupa, balilla), che svolgevano attività ricreative, ginniche, assistenziali, comprendenti delle componenti femminili. Grande diffusione ebbe anche il dopolavoro, che organizzava il tempo libero dei lavoratori.

La ricerca del consenso, spinse Mussolini a ricercare una conciliazione tra stato e chiesa, sanando l’antica frattura che si era creata in passato. L’11 febbraio 1929 Mussolini ed il Papa firmarono i Patti lateranensi, un concordato (accordo intrapreso da due persone, modificabile solo con il consenso di entrambe) in cui la chiesa riconosceva la sovranità dello stato italiano, con capitale Roma, e il governo riconosceva la sovranità della chiesa su Città del vaticano. Ora Mussolini ha guadagnato il consenso dei cattolici, circa il 90% della popolazione all’epoca.

Anche sul piano economico lo stato impose la sua presenza: soprattutto dopo la crisi del ’29, il regime attuò una politica di dirigismo economico, ovvero entrò direttamente a regolare l’economia, e utilizzando il denaro pubblico aiutò le imprese che si trovavano in difficoltà. La dimostrazione più evidente di questa politica si ebbe alla creazione dell’Istituto per la ricostruzione industriale (IRI): un ente pubblico che acquistava azioni di banche e aziende in difficoltà, sino a fare dello stato il più grande banchiere e imprenditore. All’IRI si affiancarono molti enti assistenziali come l’INPS e  l’INAIL. Lo “stato assistenziale”, utilizzava questi elementi principalmente per guadagnare consenso.

Anche nel settore agricolo lo stato realizzò interventi massicci, come la bonifica integrale e la “battaglia del grano” (che mirava a rendere l’Italia autosufficiente dal punto di vista alimentare). L’apparato industriale si sviluppò e si rafforzò, purtroppo però il divario tra il nord e il sud si fece sempre più profondo.

La politica coloniale, dopo una fase di consolidamento dei possedimenti africani (Libia, Eritrea e Somalia), riprese in grande stile negli anni ’30, anni nei quali Mussolini decise di procedere alla conquista dell’Etiopia. Perché? La decisione di Mussolini fu ispirata da diverse motivazioni:

  • Prestigio internazionale (affermare il paese di fronte al mondo);
  • Carattere economico (stimolare la produzione e ridurre la disoccupazione);
  • Politica interna (consolidare il consenso “un posto al sole”).

Nel 1935 cominciò l’invasione dell’Etiopia, e si concluse con la presa di Addis Abeba, dopo la quale Mussolini annunciò la fondazione dell’Impero dell’Africa Orientale. L’opinione pubblica internazionale, però, condannò all’unanimità l’invasione etiope. L’Italia venne così sanzionata economicamente, ma nella realtà le sanzioni vennero applicate parzialmente e abolite dopo la vittoria. Questo, però, consolidò l’obiettivo di Mussolini di guadagnare consenso al regime: durante le sanzioni, infatti, milioni di italiani donarono ”l’oro alla patria” (consegnando fedi nuziali e preziosi). In campo economico, si fece sempre più strada la politica dell’autarchia (autosufficienza di una nazione in qualsiasi campo). Fu così che l’Italia ruppe il legame con le potenze occidentali, avvicinandosi sempre più pericolosamente alla Germania di Hitler.

Il filosofo del fascismo Giovanni Gentile, nella definizione del regime, afferma che “per il fascista tutto è nello stato”, ovvero che conta solo la nazione e non più l’individuo. In effetti, il fascismo perseguì un progetto caratteristicamente totalitario:

  • Dittatura di un unico partito;
  • Culto del capo;
  • Uso della violenza;
  • Mobilitazione delle masse;
  • Controllo capillare

Ma due ragioni, tuttavia, hanno indotto a definire il fascismo un totalitarismo imperfetto:

    • rimasero attivi centri di potere come il re e la chiesa cattolica (il fascismo non divenne mai come una sorta di religione);
    • l’identificazione fra “italiano” e “fascista”, uno dei più grandi progetti di Mussolini, non si realizzò mai, nonostante gli innumerevoli sforzi del regime.

L’erosione del consenso al regime iniziò già a partire dal 1938, anche da parte dei ceti che avevano contribuito all’ascesa di Mussolini al potere, per diversi motivi come la politica autarchica, la crescente invadenza dello stato, la gestione economica prospettata verso la guerra ed il rapido avvicinamento alla Germania.
Nello stesso anno (1938), il fascismo varò le leggi razziali, leggi discriminanti nei confronti degli ebrei, che furono state create da Hitler anni prima. Al contrario degli altri paesi, però, nella cultura e nella mentalità degli italiani non esisteva una forte componente razzista e antisemita: la comunità ebraica si era infatti ben integrata. Infatti, il provvedimento raccolse il consenso di una piccola minoranza, per il resto gli italiani reagirono con perplessità o indifferenza al tentativo di Mussolini di affermare i caratteri totalitari del regime.  

 

Fonte: http://www.mlbianchi.altervista.org/il_fascismo.doc

Sito web da visitare: http://www.mlbianchi.altervista.org

Autore del testo: S.Corbelli

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