Italia nel medioevo

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Italia nel medioevo

Nel 568 un nuovo popolo germanico, muovendo dalla Pannonia, forzava la tenue difesa bizantina e conquista va parte dell'Italia entrando dalle Alpi orientali e scendendo rapidamente verso il Sud. I Longobardi, guidati da Alboino, stabilirono la loro capitale a Pavia e fondarono due importanti ducati a Spoleto e Benevento. La città campana, ribattezzata dai romani dopo la vittoria su Pirro, rappresentava il fronte più avanzato delle conquiste italiche dei longobardi e, sotto la guida di Zottone, si caratterizzò subito come ducato indipendente. Così, a meno di quindici anni dalla conclusione della "guerra gotica" la Lucania, ancora prostrata, si preparava a subire le mire espansionistiche di Zottone, un vero e proprio arrembaggio contro cui nulla poterono le deboli guarnigioni bizantine. Gli exercitales beneventani oltrepassarono l'Ofanto e in men che non si dica, con la loro proverbiale violenza, stabilirono presidi a Pescopagano, Ruvo, Vietri, Satriano, in val d'Agri e, convergendo verso nord, occuparono Venosa e strinsero l'assedio ad Acerenza che, stavolta, ben poca resistenza potè opporre al nuovo nemico. In questo modo i paesi lucani entrarono a far parte del Ducato di Benevento, agli ordini del riottosissimo Zottone che la storia tristemente ricorderà per la distruzione di Montecassino.
I Longobardi non riconoscevano nè temevano l'autorità dell'Impero d'Oriente; diversa la religione, diversi gli ordinamenti, unica autorità era quella del Duca, sorretto da un'assemblea in cui solo gli arimanni possedevano capacità giuridica, in una società che riconosceva il valore più alto all' uomo d'armi. Servi e schiavi, invece, appartenevano all'ultimo anello della catena sociale che non gli riconosceva alcun diritto. Alla confisca della terra i longobardi fecero seguire gli assalti ai beni delle chiese e delle comunità monastiche, alle quali si impose la presenza di sacerdoti ariani, decisione che provocò la fuga di gran parte dei religiosi. Cadute in disgrazia le strutture ecclesiastiche, che costituivano ormai un punto di riferimento privilegiato per le comunità locali, è facile immaginare la desolazione che avvolse in quegli anni il paese, perseguitato da una insanabile carestia e dalla peste. I Longobardi del resto pare non avessero grandi iniziative in agricoltura in quanto privilegiavano una cerealicoltura senza mezzi nè concimi, affidata esclusivamente al tradizionale riposo della terra. Si diffuse invece molto l'allevamento di equini, suini, bovini e ovini, come nel costume di un popolo avvezzo a cibarsi di molta carne e formaggi.
Poche sono le testimonianze pervenuteci in merito all'esistenza di botteghe artigiane locali relative al VI-VII sec; molto interessante è una "forma" per il lavoro a foglia rinvenuta a Ruvo, che confermerebbe una certa vitalità artigiana in un'area di diretta influenza longobarda. Ma aldilà di queste brevi e frammentarie informazioni, possiamo dire che nel primo periodo di invasione longobarda, ovvero fino alla redazione dell'Editto di Rotari del 643, l'Italia rimase un paese "incapace di scrivere"; le tenebre calarono su quasi un secolo di storia, lacerando qualunque segno di continuità con il passato.
Alla morte di Zottone, avvenuta nel 592, la guida del Ducato di Benvento fu affidata al valoroso Arechi. Ma nonostante questa data coincidesse con la conversione al cattolicesimo del nuovo sovrano longobardo Agilulfo, al contrario, e forse per meglio sottolineare l'indipendenza del suo Ducato, Arechi non si convertì mai, anzi mantenne inalterara la priorità del culto ariano assumendo però una posizione di grande tolleranza nei confronti delle diverse entità religiose presenti in Lucania. Fu infatti neutrale nei confronti degli ebrei, che in gran numero e sin dall'antichità vivevano a Venosa ed in altre zone della regione e accolse, parte di quegli ebrei scampati all'imposizione del Battesimo promulgata da Eraclio nei territori dell'Impero d'Oriente.

Del resto non fu mai proposito di Arechi quello di adottare la "chiesa-stato" quale strumento di potere, motivo che invece, di li a poco, avrebbe animato secoli di conflitti sul territorio italico, richiamando in causa tutti i malumori mai sopiti del rapporto fra Oriente ed Occidente, di cui nuovi sovrani si sarebbero fatti scudo per vincere le loro battaglie politiche e conquistare, insieme alla fiducia del Papa di Roma, l'Italia.
Con i Longobardi la Lucania scompare in quanto circoscrizione territoriale, in quanto al suo posto subentrano vari gastaldati: Venosa, Acerenza (che conta fra le sue contee anche Potenza), Latiniano (che comprende Marsico ed è esteso fino al Pollino), Lucania (il territorio a sud del Sele con al centro Paestum) e Laino (che comprende la valle del Mercure e quella del Lao). In posizione dominante verso la valle del Melandro viene eretta Satriano, sede vescovile dalla metà del IX secolo, mentre Tricarico, Montescaglioso e Montepeloso (in una posizione dominante fra le valli del Bradano e del Basento), assurgeranno al ruolo di città. I tre centri situati sulla Gravina furono unificati e cinti di mura con il nome di Mateola (Matera) e, sul Tirreno, vennero fortificate Malatei (Maratea) e l'isola di Dino.

Anche l'unità politica dei Longobardi fu presto minacciata da problemi religiosi e dai contrasti fra ariani e cattolici che si acuizzarono fortemente in seguito alla morte di Rotari, l'autore del celebre Editto che costituì il primo codice di legge longobarde. Approfittando delle diaspore interne ai longobardi, Costante II, Imperatore di Bisanzio cercò di tessere alleanze e di riconquistare i territori perduti in Italia, ma benché fosse riuscito a raggiungere il gastaldato di Acerenza, fu costretto ad abbandonare il campo poiché, come racconta Paolo Diacono nella sua Historia Langobardorum: "Argentia sane propter munitissimam loci positionem capere minime potuit".
A provocare l'ennesimo scompiglio, di lì a poco, sarebbe arrivato il provvedimento con cui l'Imperatore d'Oriente ordinava di distruggere le "sacre icone", motivo che determinò la definitiva insubordinazione di Papa Gregorio III nei confronti tanto del Basileus quanto del Patriarca di Costantinopoli. In nome della Sancta Respublica Romanorum, sancita nel Concilio del 731, l' "Occidente" espresse la sua decisa condanna nei confronti degli iconoclasti e sancì, quale unica autorità ecclesiastica e politica, quella del Papa di Roma.
Scampati alla furia iconoclasta, molti Basiliani ripararono in Italia e, in gran numero, risalendo la costa ionica, approdarono in Lucania lungo le valli dell'Agri e del Sinni. La loro influenza sulla ripresa dell'economia di vaste zone della regione, soprattutto fra il IX e l'XI secolo, sarà estremamente rilevante. I Basiliani si adoperarono molto in opere di bonifica e nel ripristino di attività agricole e di trasformazione di materie prime in prodotti alimentari, svolgendo inoltre una grande opera di divulgazione di fede tra un popolo fortemente provato da secoli di guerre, carestie e sacrilegi.
Fra l'VIII ed il IX secolo anche le comunità cattoliche avevano cominciato a riorganizzarsi; nel 761 Senualdo era vescovo di Grumento mentre, pochi anni dopo, Leone saliva sulla Cattedra di Acerenza; nell'826 Balas era Vescovo di Potenza mentre Venosa dovette attendere fino a dopo l'anno mille per la nomina di Pietro.
I successori di Liutprando, il re longobardo che distolto dall'idea di conquistare Roma donò a papa Gregorio Magno i territori del Lazio che formarono il primo nucleo dello Stato della Chiesa, non mantennero gli stessi buoni rapporti con il Papa e tornarono a minacciarne l'autonomia. Stefano II, per difendersi, ricorse allora all'aiuto dei Franchi che stavano dominando la scena politica nel nord dell'Europa, aprendo un nuovo orizzonte di conflitti sul territorio italico. Prima Pipino e poi Carlo spensero definitivamente le mire espansionistiche dei Longobardi che, a partire dall'anno 774, videro la loro egemonia sulla penisola relegata al solo Ducato di Benevento. Arechi, in cambio del controllo sul Ducato, aveva promesso al re Carlo di disarmare le proprie fortezze, fra cui rientrava la roccaforte di Acerenza. Ma questo non avvenne, poiché Arechi impiantò sì i cantieri ma in funzione di un ampliamento e rafforzamento delle sue difese, ora minacciate da vicino dalle scorrerie dei saraceni, provenienti dalle coste meridionali e già arroccati ad Anglona, dopo aver sottratto la valle del Crati al controllo longobardo.
Mentre nella notte di Natale dell'anno 800, Leone III incoronava Carlo Magno imperatore del Sacro Romano Impero, ricostituendo in un certo senso l'unità politica d'Occidente, dopo la morte di Arechi i Longobardi si disputavano selvaggiamente la successione. I pretendenti erano Sichenolfo e Radelchi che, pur di raggiungere l'obbiettivo, si allearono con i generali saraceni i quali, ovviamente, ben poco preoccupati delle discendenze longobarde, ne approfittarono per estendere i propri domini.
Apollafar, al servizio di Radelchi, si spinse nel Latiniano e poi nel metapontino dove costruì un campo fortificato sul colle ove sorgerà Tursi; successivamente, edificata la roccaforte sulle montagne di Pietrapertosa, i saraceni occuparono Tricarico ma non riuscirono ad espugnare Potenza. La disputa fra i due pretendenti, mentre l'egemonia musulmana era cresciuta a dismisura, si concludeva con la divisione dell'antico Ducato in due circoscrizioni, sotto la supervisione di Lotario, succeduto al trono del Sacro Romano Impero nell'843.

Nel Principato di Salerno, riconosciuto a Sichenolfo, confluivano i gastaldati di Acerenza (per la media parte), di Latiniano, di Laos, di Lucania e di Conza, mentre solo la restante parte del gastaldato di Acerenza, la regione del Vulture, rimaneva nel Principato di Benevento. Ancora una volta divisa, nel corso del IX sec. la Lucania prestava il fianco agli assalti dei saraceni, in un contesto di grande miseria in cui le coltivazioni erano minacciate dai bruchi e dalle lacustre, e un maggio di frumento costava otto soldi, poco meno del prezzo pagato per uno schiavo.
I nuovi principi Longobardi non erano in grado di fronteggiare l'avanzata musulmana, ancorchè dissidi interni ne limitavano ulteriormente la capacità offensiva. I saraceni infatti riprendevano Taranto e poi proseguivano verso l'interno conquistando Matera e Tursi; da questo avamposto si spinsero fino a Venosa senza però riuscire ad espugnare Acerenza. Nonostante tutto, i ducati longobardi riuscirono a conservare, come nella tradizione, una loro immutata autonomia politica; e solo così si comprende come quando Ludovico II impose una norma discriminatoria nei confronti degli ebrei, nei territori di Salerno e Benevento questa non venne assolutamente applicata. Gli ebrei, infatti, continuarono a vivere liberamente a Venosa, a Lavello, a Gravina e a Matera, svolgendo le proprie attività commerciali, come si evince dalle iscrizioni funerarie della Collina della Maddalena a Venosa.

Il tessuto sociale della regione era profondamente mutato e anche i due secoli di dominazione longobarda avevano contribuito ad influenzare una cultura forgiatasi nell’ambito delle costanti mediazioni tra l’Europa barbarica e le grandi civiltà del Mediterraneo. Questa caratteriale eterogeneità di usi e costumi avrebbe favorito, anche nella lunga stagione delle persecuzioni medioevali, un radicato spirito i tolleranza nei confronti dei popoli e delle religioni. Nell’ambito della cultura, fra gli esempi d’arte più interessanti relativi all’VIII sec., vi è il ciclo pittorico della Bibbia figurata ritrovato nella chiesa rupestre del Peccato Originale di Matera; per le soluzioni iconografiche adottate e la particolare impronta stilistica, il ciclo può essere avvicinato agli affreschi della chiesa di S. Sofia di Benevento, evidenziando i caratteri di una rinnovata e forte sensibilità artistica nell’area di influenza longobarda.
Per fronteggiare l'avanzata saracena nel Sud giunse in Italia Ludovico II che, grazie all'alleanza con l'esercito bizantino, nell'inverno dell'871 sgominò la resistenza saracena di Bari. Ma proprio durante questa battaglia, pare, il Basileus Basilio I, chiarì a Ludovico II le ragioni politiche di quel conflitto, abbracciato solo per difendere i possedimenti nel Sud della penisola ai quali non avrebbe mai rinunciato, ritenendoli diretta continuazione dell'Impero d'Oriente, al di qua del Mediterraneo.
Morto Ludovico i Bizantini riconquistarono la Puglia cercando di guadagnare posizioni nel Latiniano. Contemporaneamente, però, bande musulmane saccheggiavano la Calabria e, risalendo la penisola, nell'878 occupavano Agropoli, depredando Paestum e distruggendo fin nelle fondamenta Capaccio; la stessa sorte toccherà, in val d'Agri, a Grumentum che in questo assalto spietato conoscerà la sua definitiva eclissi. I sopravvissuti alla strage ed alla deportazione si rifugeranno sul colle dove ora sorge Grumento Nova, dando vita al paese di Saponara; ma, fra l'872, data della prima distruzione, e il 1031, anno di fondazione di Castelsaraceno, dalla diaspora degli abitanti di Grumentum si origineranno molti borghi fra cui la maggior parte dei paesi oggi esistenti in quell'area della val d'Agri: Moliterno, Sarconi, San Chirico, San Martino d'Agri, Spinoso, Montemurro, Viggiano, Tramutola, Armento, etc.
Fra l'880 e l'886, approfittando della richiesta di aiuti dei principi longobardi per fronteggiare l'avanzata musulmana, i bizantini riprendono il controllo dei territori della costa pugliese e del principato di Salerno e di Benevento su cui, da quel momento, i principi longobardi avrebbero esercitato una autorità puramente formale. I bizantini intanto costruivano torri e castelli sulle alture per controllare le posizioni degli arabi, ben assestati lungo i fiumi e la costa ionica, con un presidio fortificato nei pressi di Tursi.
I principi longobardi tentarono ancora, nel corso del X sec., di recuperare i territori perduti fino a che, dopo anni di battaglie fra sassoni, longobardi e bizantini, combattute scorrazzando e depredando il solito ed incolpevole Mezzogiorno, Giovanni I Zimisce, eletto al trono imperiale di Costantinopoli, pose pace ottemperando alle richieste di matrimonio fra la principessa Teofane e l'erede al trono d'Occidente, Ottone II.
In seguito a questo "accordo" il Principato di Capua e Benevento venne riconosciuto all'Imperatore d'Occidente, mentre la Lucania orientale, la Puglia, la Calabria e la sovranità sul Principato di Salerno rimanevano in saldo possesso del Basileus Giovanni I Zimisce. In tale nuova configurazione politica la Lucania non conservava più nulla dei confini e degli ordinamenti della circoscrizione augustea: i bizantini non suddivisero il territorio in province, bensì in Temi, cosicché il gastaldato di Latiniano, la contea di Potenza, l'alta e media valle del Bradano, il Vulture e la roccaforte di Acerenza, confluirono in uno dei tre Temi del Catepanato d'Italia, che comprendeva il Tema di Langobardia, il Tema di Calabria e quello di Lucania con capitale a Tursi, sottratta ai musulmani, in posizione dominante rispetto alla rotta preferita dalle incursioni arabe. Il Catepanato rappresentava una regione posta sotto il controllo di un "supremo uffiziale", il Catapano. Ma le divisioni amministrative bizantine furono complesse e differenziate in partizioni diverse, per ognuna delle quali vi erano reggenti e cariche che mutavano nel tempo, come Stratego, Catapano, Patrizio, Protoapatario, Turmarco, e molte altre. Proprio questa complessità, secondo il Racioppi, portò all'uso di Basilico, idioma popolare molto diffuso e noto nel X sec. anche a Costantinopoli, nel quale si sintettizzavano, in un certo senso, tutte le cariche "bizantine" degli ufficiali dello stato.
A difesa dei confini orientali del Principato di Salerno, invece, il principe longobardo Gisulfo, fortificò il castello di Balvano, quello di Marsico e quello di Lauria, nei quali sostò Ottone II durante il repentino rientro seguito alla sconfitta di Capo Colonna inflittagli dai saraceni; ed è impossibile tentare per questi anni di fine millennio una descrizione storica che non sia punteggiata da guerre, saccheggi e violenze; nel 985 gli arabi, risalendo il Bradano colpivano duramente Venosa, depredando ogni cosa e trasportando in patria, lungo i fiumi, un numero infinito di schiavi. Singolare invece la vicenda di Pietrapertosa dove un certo Luca, approfittando dell'impopolarità del taurmarca del luogo, con l'aiuto dei saraceni e convertitosi all'islamismo, ottenne il comando del paese. Da questo momento e fino al 1001, il presidio arabo di Pietrapertosa, per la sua ottima posizione, costituì il caposaldo delle incursioni saracene dal Basento verso Tricarico, Tolve ed Acerenza.
Sul percorso "infuocato" che dalla costa ionica raggiungeva Bari, in quegli stessi anni i bizantini fortificavano Matera, in una fase in cui l'egemonia nel Tema di Lucania era già forte e consolidata, lasciando intravedere anche i primi segni di una certa ripresa economica, in parte incentivata dall'opera dei benedettini e dei basiliani. Poche sono le notizie riguardanti le modalità della convivenza tra questi due ordini religiosi in epoca bizantina, ci è noto però che nel 968 la sede vescovile di Tursi, caput del Tema di Lucania, venne sottoposta alla giurisdizione del vescovo greco di Otranto, insieme a Matera, Acerenza e Tricarico e che, altresì, quale avamposto della chiesa di Roma venne scelta la diocesi di Montepeloso.
Nella parte nord occidentale della regione, sottoposta alla giurisdizione longobarda, prevaleva invece il rito latino, come dimostrano gli antichi monasteri benedettini di Monticchio, Banzi e il vescovato di Potenza. Le comunità monastiche si insediarono prevalentemente in località ricche di acqua e di boschi, perlopiù poste sui massicci montuosi al riparo dalle incursioni saracene. E con l'infittirsi della presenza di fedeli presso le comunità monastiche, cresceva l'esigenza di terreni coltivabili, ricavati tramite la deforestazione che garantiva anche una certa ricchezza grazie al commercio del legname.
Tra il X e l'XI sec. le aree coltivate si estesero e si diffusero la monocoltura cerealicola, la vite e l'olivo. Fra il X e l'XI secolo, sui fianchi della Gravina di Matera, di quella di Picciano e sui terrazzamenti creati dai depositi alluvionali del fiume Bradano, sorsero diversi nuclei di chiese rupestri. In questi luoghi di preghiera scavati nella roccia si ritiravano in silenzio i Padri basiliani, ispirati ad una regola religiosa pacifica e non violenta.
Al volgere dell'anno mille la realtà etnica e politica del Mezzogiorno era estremamente frammentata; tanta la confusione sul piano delle forme istituzionali, sociali e materiali, alimentata dalle lunghe contese che avevano impegnato longobardi e bizantini, in una fase in cui gran parte degli equilibri politici del continente si giocavano sul territorio italico. La stessa chiesa cattolica d'Occidente viveva un momento difficile, tormentata dalle pressioni del mondo feudale, dal potere dei vescovi, dalle angosce dell'anno Mille e dalla difficoltà di riallacciare un contatto con i fedeli, soprattutto nell'area bizantina. E come se non bastasse, anche i "movimenti" della terra aggiungevano altra tensione e paura; nel 990 un violento terremoto (IX-X grado della scala MCS), con epicentro in Irpinia, colpì duramente la Lucania, tanto che Matera, pur così lontana dall'epicentro, subì numerosi danni.
In questa difficile e tormentata fase congiunturale, il Mezzogiorno rappresenta il nodo cruciale delle tensioni politiche europee, "scotta" e tutti vogliono possederlo ad ogni costo, e lo dimostrano i continui complotti tesi, fra la Casa regnante, la Chiesa e i Principi longobardi, nel tentativo di destituire l'autorità bizantina. Non appena scoccato l'anno Mille, infatti, una violenta rappresaglia longobarda metteva in allarme il presidio bizantino di Canne; la battaglia, combattuta nell'ottobre del 1018, fu vinta dalle forze del Catapano ma, in quell'esercito in ritirata, facevano la loro prima comparsa i cavalieri normanni.

Arte in Basilicata. Rinvenimenti e restauri, a c.d. Anna Grelle Iusco, De Luca Editore, 1981, pg.13.

Cfr, Karol Modzelewski, op.cit., pg.31.

Ettore Ciccotti, Le origini di Orazio e la questione ebraica, Rionero, Edizioni del Centro Annali, 1990.

Sulla data della divisione dei territori longobardi, per altro incerta, vedi Giacomo Racioppi, op.cit., pg. 5.

Tommaso Pedio, op.cit., vol.II, pg. 190.

Anna lusco Grelle (a cura di), Arte in Basilicata, Matera, De Luca Ed., 1981, pg. 13.

In questa determinazione che sanciva l'appartenenza diretta dei possedimenti nel Mezzoggiorno al Basileus, ovvero all'imperatore di Bisanzio, alcuni hanno intravisto l'origine del nome Basilicatae, inteso come filiazione dei concetto di "terra del re", che per la prima volta apparirà nei documenti dell'epoca normanna. Vedi in proposito, Giacomo Racioppi, op.cit., Vol.II, pg. 19 e ss.

Ivi, vol. II, pg.20.

 

Fonte: http://www.aptbasilicata.it/fileadmin/uploads/da_basilicatanet/storia_e_cultura/storia/il_medioevo_e_i_longobardi.doc

Sito web da visitare: http://www.aptbasilicata.it/

Autore del testo: Palma Fuccella

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