Leggende indiane

Leggende indiane

 

 

 

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Leggende indiane

La cattura del Sole - L'uomo del ghiaccio  Sono qui riportate due narrazioni mitiche:la prima riguardante la cattura del sole secondo i Chipewyan che spiega l'origine dell'alternanza regolare dei giorni e delle stagioni,la seconda trattante la rappresentazione delle stagioni attraverso credo Cherokee in modo allegorico secondo cui i fenomeni naturali appaiono simbolicamente rappresentati dai protagonisti.  C'erano una volta un fratello e una sorella che vivevano da soli nella foresta, procurandosi il cibo con la caccia e la pesca. Ogni giorno la sorella si recava nel bosco e sistemava,ben tesi fra gli alberi,i lacci per catturare la selvaggina.  Fagiani pernici,lepri bianche e perfino linci,erano le sue prede. Un giorno i due cominciarono ad accorgersi,non senza preoccupazione ,che le giornate andavano sempre più accorciandosi e le notti si succedevano ad intervalli di volta in volta più ravvicinati. Il Sole scompariva solo per un attimo:non faceva in tempo a spuntare ad Oriente che spariva ricadendo sul disco terrestre verso Sud-Ovest lì dove si trova la bocca della Terra. I due erano atterriti poiché avvertivano che la terra andava raffreddandosi e, di quel passo,ogni forma di vita si sarebbe estinta. Decisero perciò di provvedere e, dopo una lunga discussione escogitarono un piano per costringere il Sole a compier l'intero suo giro.  Il giorno seguente la sorella si recò nuovamente nella foresta;questa volta legò tra le cime degli alberi più alti i lacci più lunghi e resistenti che aveva con sé; quindi riprese la via di casa. Quando ritornò nel bosco a controllare la sua trappola vide sulla cima di un abete la figura tonda del Sole che, preso al laccio, era divenuto violaceo e stava per soffocare. Invano il Sole tentava di liberarsi, ma più si agitava, più il laccio lo stringeva.  La ragazza avvertì subito il fratello e, insieme, accorsero per impadronirsi dell'astro ormai preso in trappola. Allora il Sole, temendo per la sua vita, li supplicò dicendo: "Lasciatemi andare, vi prego.
Se mi risparmiate la vita, prometto che prolungherò la mia corsa, allungherò le giornate e diffonderò di nuovo luce e vita sulla Terra". A questo patto lo lasciarono andare. Ed è da allora--così si dice--che il Sole compie nel cielo il suo intero giro e lo si vede risplendere a lungo sulla volta celeste. Un grigio giorno d' autunno nella fitta boscaglia alcuni arbusti secchi presero fuoco; le vampate si levarono improvvise e la fiamma si attaccò ad un altissimo pioppo. L'albero cominciò a bruciare e presto arse del tutto, finché il fuoco scese nelle radici; quando l'albero fu incenerito,si formò una grande buca nel terreno. A mano a mano che ardeva, la fossa si allargava sempre più e le rosse lingue di fuoco lambivano gli orli di quel buco così profondo. La gente del luogo si spaventò temendo che que rogo era inestinguibile. Perchè era sceso ormai troppo in profondità e nessuno sapeva cosa fare. Finalmente qualcuno disse che l'unico che poteva spegnere quel fuoco era l'Uomo del Ghiaccio, che viveva su nel Nord nella sua casa di ghiaccio. Decisero allora di inviare alcuni messaggeri alla sua ricerca. Dopo un lungo cammino, gli uomini giunsero alla dimora dell'Uomo del Ghiaccio. Era molto vecchio con lunghi capelli bianchi raccolti in due trecce che scendevano fino a terra. I messaggeri fecero la loro ambasciata; allora egli disse: "Si,io posso aiutarvi a spegnere il fuoco"e cominciò a disfare le sue trecce. Poi,quando i capelli furono tutti sciolti,ne prese in mano un be ciuffo e lo batté sull'altra mano;subito un soffio di vento si levò, accarezzando le guance dei messaggeri. Una seconda volta batté i capelli contro il palmo della mano ed ecco una pioggia sottile cadere leggermente dal cielo. Per la terza volta batté i capelli contro la mano aperta e subito cominciò a cadere la grandine; e quando li batté per l'ultima volta,candidi fiocchi di neve cominciarono a cadere e sembravano uscire dalla punta dei suoi lunghi capelli bianchi. "Ed ora tornate al vostro villaggio"; disse l'Uomo del Ghiaccio. "Sarò da voi domani".  I messaggeri tornarono subito a casa e qui trovarono la gente ancora raccolta intorno a quel gran pozzo in fiamme. Il giorno dopo,mentre tutti erano intenti a guardare atterriti e impotenti il fuoco,un forte vento levò all'improvviso da Nord ed essi capirono che l'Uomo del Ghiaccio stava arrivando. Ma quel vento alimentò ancora di più le fiamme,che divamparono fin sulla sommità della grande buca. Poi cominciò a cadere una sottile pioggia,ma quelle piccole gocce d'acqua non avrebbero certo estinto il colossale incendio,anzi sembrava che le fiamme avvampassero ancora di più.  All'improvviso la pioggerella divenne un violento e fitto temporale: l'acqua veniva giù dal cielo copiosamente; scrosciando al suolo ed incanalandosi nella buca ardente,spegnendo le fiamme,ma producendo enormi nuvole di vapore e fumo. La gente scappò via in cerca di un riparo quando un impetuoso turbine spinse la pioggia fin nei più remoti anfratti ardenti del pozzo.  Infine,sui tizzoni ancora ardenti,cadde un abbondante strato di grandine e neve. Ormai il fuoco era spento;nemmeno un fil di fumo emergeva dal profondo pozzo. Quando la tempesta cessò,la gente tornò sul luogo e,con meraviglia,vide che al posto della buca in fiamme c'era adesso un grande lago.  Ancora oggi si dice che avvicinandosi alla superficie del lago si può udire uno strano rumore scoppiettante,come un crepitìo di tizzoni ardenti.

 

ACCHIAPPASOGNI

Il “dreamcatcher “o “acchiappasogni “è un oggetto sacro per i nativi d’america ,ed è molto diffuso, lo si è visto in tanti film o nei negozi ora vanno di moda, ma sappiamo quello che realmente rappresenta???? Il suo vero scopo???? Qui di seguito vi sono riportate tre leggende riguardanti il dream catcher viste da tre diverse tribu’,i lakota, i cheyenne e infine i chippewa

 

IKTOME E LA LEGGENDA DEL DREAM CATCHER SECONDO LA CULTURA LAKOTA

 Nei tempi antichi, quando il mondo era giovane, un vecchio uomo-medicina si trovava sulla cima di un monte ed ebbe una visione. Iktome, grande maestro di saggezza ma un po’ briccone, gli apparve sotto forma di ragno e gli parlo’ in una lingua sacra. Disse al vecchio lakota dei cicli della vita, di come iniziamo a vivere da bambini passando dall’infanzia all’eta’ adulta, e alla fine diventiamo vecchi e qualcuno si prende cura di noi come se fossimo diventati un’altra volta bambini, cosi’ si completa il ciclo. Mentre parlava Iktome il ragno prese all’anziano un cerchio che aveva con lui, era un cerchio di salice al quale erano attaccate delle piume e delle crine di cavallo abbellite da perline e c’erano anche attaccate delle offerte sacrificali. Prese il cerchio e inizio’ a tessere una rete all’interno, mentre tesseva continuava a parlare e disse: “in ogni periodo della vita vi sono molte forze, alcune buone e altre cattive, se ascolterai le forze buone queste ti guideranno nella giusta direzione, ma se ascolterai quelle cattive andrai nella direzione sbagliata e questo potrebbe danneggiarti. Dunque, queste forze possono aiutarti oppure, possono interferire con l’armonia della natura”. Mentre il ragno parlava continuava a tessere nel cerchio la sua tela, quando fini’ di parlare Iktome consegno’ all’anziano il cerchio con la rete e disse: “ la ragnatela è un cerchio perfetto con un buco nel centro, utilizzala per aiutare la tua gente a raggiungere i loro obiettivi, facendo buon uso delle idee, dei sogni e delle visioni. Se crederete in WAKAN TANKA, la rete tratterrà le vostre visioni buone, mentre quelle cattive se ne andranno attraverso il buco centrale”. L’anziano uomo-medicina racconto’ questa sua visione alla sua gente e da allora i lakota ritengono l’acchiappasogni un oggetto sacro e lo appendono all’entrata dei loro tepee per filtrare i sogni e le visioni. Quelli buoni sono catturati nella rete e quelli maligni scivolano nel buco centrale e scompaiono per sempre

 

NUVOLA FRESCA E LA LEGGENDA DEL DREAM CATCHER SECONDO LA CULTURA DEI CHEYENNE

 Molto tempo prima della venuta dell’uomo bianco, in un villaggio cheyenne viveva una bambina il cui nome era Nuvola Fresca. Un giorno la piccola disse alla medre, Ultimo-Sospiro-della-Sera,:” quando scende la notte, spesso arriva un uccello nero a nutrirsi, becca pezzi del mio corpo e mi mangia finche’ non arrivi tu, leggera come il vento e lo cacci via. Ma non capisco cosa sia tutto questo”. Con grande amore materno Ultimo-Sospiro-della-Sera rassicuro’ la piccola impaurita “le cose che vedi di notte si chiamano sogni e l’uccello nero che arriva è soltanto un’ombra che viene a salvarti” Nuvola fresca rispose: “ma io ho tanta paura, vorrei vedere solo le ombre bianche che sono buone”. Allora la saggia madre, sapeva che in cuor suo sarebbe stato ingiusto chiudere la porta alla paura della sua bimba, invento’ una rete tonda per pescare i sogni nel lago della notte, poi diede all’oggetto un potere magico: riconoscere i sogni buoni , cioè quelli utili per la crescita spirituale della sua bambina, da quelli cattivi, cioè insignificanti e ingannevoli. Ultimo-Sospiro-della-Sera costruì tanti dream catcher e li appese sulle culle di tutti i piccoli del villaggio cheyenne. Man mano che i bambini crescevano abbellivano il loro acchiappasogni con oggetti a loro cari e il potere magico cresceva, cresceva, cresceva insieme a loro… Ogni cheyenne conserva il suo acchiappasogni per tutta la vita, come oggetto sacro portatore di forza e saggezza.

 NOKOMIS E LA LEGGENDA DEL DREAM CATCHER SECONDO LA CULTURA DEI CHIPPEWA

 Un ragno stava tranquillamente tessendo la tela nel suo angolo, vicino al luogo dove Nokomis, la nonna dormiva. Ogni giorno Nokomis guardava il ragno all’opera , preso a tessere la sua ragnatela. Un giorno mentre lo osservava, entrò suo nipote:” Nokomis.iya!” gridò il ragazzo, vide il ragno, fece un balzo, prese una scarpa e si lanciò verso la ragnatela. “NO Keegwa”, sussurrò la vecchia, “non ucciderlo”. Il ragazzo si fermo’ e chiese: “Nokomis, perché proteggi quel ragno?” La vecchia sorrise ma non rispose. Appena suo nipote se ne andò, il ragno si avvicinò alla vecchia donna e la ringraziò per avergli salvato la vita. Le disse: “per molti giorni mi hai osservato mentre tessevo e facevo oscillare la mia tela, hai ammirato il mio lavoro. Poiché mi hai salvato la vita, ti offrirò un dono in cambio.” Sorrise con quel sorriso speciale che hanno i ragni e si allontanò tessendo mentre si muoveva. Subito la luna si avvicinò gentilmente alla finestra e illuminò la rete con un magico raggio argentato. “Vedi come sto tessendo?” disse Nokomis il ragno “guarda e impara, ogni rete catturerà i brutti sogni, solo i sogni buoni passeranno dal piccolo buco centrale, questo è il mio dono per te. Usalo per ricordare soltanto i bei sogni, quelli cattivi rimarranno senza speranza imprigionati nella rete”.In queste tre leggende di tre tribù diverse abbiamo visto come l’acchiappasogni è entrato nella cultura dei nativi, queste leggende sono diverse tra loro anche l’uso tecnico ha delle differenze tra le diverse tribù ma possiamo vedere che è ritenuto da tutti un oggetto sacro e che serve per filtrare i sogni, nella cultura lakota i sogni buoni sono catturati nella rete mentre quelli cattivi scivolano attraverso il buco, nella cultura dei chippewa i brutti sogni rimarranno intrappolati nella rete e quelli buoni passano attraverso il buco, in quello cheyenne non è specificato. Questa contrarietà che c’è tra lakota e chippewa ci fa vedere come l’acchiappasogni è un oggetto sacro destinato per filtrare i sogni ma come è stato introdotto in maniera diversa tra le diverse tribù.

Bears Belly, Capo CHippewa
I FORTINI DEI BIANCHI

Contrariamente a quanto si può pensare, gran parte dei forti costruiti nell'Ovest americano intorno al XIX secolo non presentavano la fortificazione esterna costituita da un’ alta palizzata di tronchi d'albero.I primi esempi di forti costruiti nell'Ovest erano solitamente caratterizzati da un modesto numero di capanne di fango e tronchi; si trattava, pertanto, di strutture abbastanza improvvisate, in quanto sia la mancanza di materiale, sia le difficoltà dei trasporti e l'ostilità degli indiani rendevano difficile la costruzione di opere più sofisticate.Quando i soldati si stabilivano in un luogo considerato strategico per la costruzione di un forte, prima di tutto provvedevano alla sistemazione dei viveri e delle munizioni in un luogo protetto, poi cercavano un luogo riparato per custodire i cavalli (nel caso fosse un reparto di cavalleria), e solo in un secondo momento provvedevano alla realizzazione degli alloggi, il più delle volte di fortuna, per la truppa.I forti cinti da palizzate e fortificate con torrette agli angoli e le feritoie per i fucili fanno la loro prima comparsa solo durante i secoli della "vecchia frontiera" o nelle regioni montagnose e rocciose come protezione dagli attacchi degli indiani nascosti negli anfratti naturali.Nelle grandi pianure, invece, l'ottima visuale data dalla morfologia del suolo rendeva superfluo l'uso di palizzate come recinzione. Generalmente, in questo caso, un'area recintata era prevista all'interno del forte per proteggere le merci e le provviste dai frequenti furti dei soldati o degli indiani presenti nei pressi del forte.In base alla grandezza e alla funzione del forte, oltre alle baracche per le truppe e per gli ufficiali, potevano esserci altre costruzioni adibite ad edifici amministrativi, magazzini, officine, depositi dei vivandieri, abitazioni dei sottoufficiali sposati con le lavandaie che prestavano servizio nel forte.Secondo la politica dell'esercito americano, la presenza di forti dislocati nei territori indiani doveva garantire una sorta di pace armata ai nativi dei dintorni che, in realtà, almeno nei primi tempi, non curavano affatto la presenza di tali costruzioni.Solo successivamente, anche per la presenza di mercanti, iniziarono ad avvicinarsi ai forti per gli scambi e per cercare del cibo: dal momento che la maggior parte delle agenzie indiane sorgeva nelle vicinanze di una postazione militare, infatti, alcuni gruppi di indiani si insediarono stabilmente a fianco dei forti, mendicando dai soldati o dall'agente indiano razioni di cibo. Ben presto si svilupparono veri e propri villaggi di nativi "deculturalizzati", completamente incapaci di provvedere a se stessi, nello stesso tempo relegati ai margini della società degli uomini bianchi.La vita all'interno di un forte sperduto in luoghi isolati era tutt’altro che confortevole: gli alloggi, costruiti con legname o mattoni, erano spesso infestati da tarantole e millepiedi, sovraffollati e sporchi, senza stanze da bagno né sufficiente acqua per lavarsi, nonostante il regolamento prevedesse almeno un bagno a settimana.Il generale Sherman affermava che potevano definirsi forti così come forti possono essere chiamati i villaggi dei cani della prateria.La giornata all'interno del forte iniziava alle 5:30 del mattino; alle 6:15 c'era la prima esercitazione che consisteva nel mantenimento dell'ordine e della disciplina; alle 7:30 ci si dedicava ai lavori abituali di manutenzione e riparazione o al taglio della legna, alle 8:30 si montava di guardia. I lavori pomeridiani iniziavano alle 13:00; alle 16:30 c'era l'esercitazione del pomeriggio e alle 18:00 il suono del tamburo annunciava l'ora del rancio.I soldati avevano molto tempo libero da trascorrere nell'ozio, questo causò sempre numerosi problemi nel mantenimento dell'ordine all'interno del forte.Qualche volta ai soldati erano concessi piccoli svaghi come il gioco delle carte, il canto, ecc. Nelle postazioni più grandi era possibile assistere a veri e propri spettacoli organizzati da suonatori ambulanti, o venivano attrezzate biblioteche per la lettura.Ma la piaga maggiore che affliggeva la vita nelle guarnigioni di frontiera era costituita dall'alcolismo. Quando nel 1881 fu proibita la vendita dell'alcool all'interno dei forti per cercare di arginare il problema, l'apertura di saloons al di fuori delle proprietà militari non fece altro che innalzare il tasso di consumo di alcool; in più nei locali la presenza di prostitute causò il diffondersi di malattie veneree tra i militari.
Al contrario di quanto ci è stato tramandato dall’epopea cinematografica, durante tutta la storia del West, furono poche le fortificazioni prese d'assalto dagli indiani.I nativi, infatti, non consideravano la conquista di una postazione fissa una vittoria e solitamente combattevano solo se le condizioni sembravano loro favorevoli: per un popolo abituato alla guerriglia, infatti, l'assalto di un forte era considerato un'azione altamente pericolosa, che avrebbe causato la morte di numerosi uomini. I guerrieri indiani oltre che combattenti erano prima di tutto padri di famiglia, e procacciatori di cibo per tutta la tribù. La perdita in battaglia di molti uomini sarebbe stata una sciagura per il destino della tribù e un'infamia per i capi responsabili della vita dei loro uomini.Durante la conquista del West l'esercito degli Stati Uniti o le imprese commerciali che trafficavano con gli indiani finanziarono la costruzione di numerosi forti dislocati su tutto il territorio americano. Alcuni forti sorgevano presso le agenzie indiane al fine di controllare le tribù; ben presto accanto ad alcuni forti sorsero vere e proprie città.

 

Fort Robinson
Si calcola che per tutto l’Ottocento nel territorio degli Stati Uniti fossero presenti più di un centinaio di forti, di questi alcuni ebbero breve vita, altri sono attivi ancora oggi, come Fort Apache nella Riserva Apache di San Carlos in Arizona; Fort Bliss a El Paso in Texas; Fort D.A. Russell presso Cheyenne nel Wyoming; Fort Grant a Bonita, Arizona e Fort Leavenworth in Kansas. Altri ancora sono rimasti nella storia, come Fort Laramie nel Wyoming, attivo dal 1849 al 1890, dove venne firmato il trattato del 17 settembre 1851 tra il sovrintendente agli affari indiani D.D. Mitchell e i commissari straordinari nominati dal presidente degli Stati Uniti da una parte e dall’altra i capi tribù delle nazioni indiane dei Dakota, Cheyenne, Arrapaho, Crow, Assinaboine, Arrickaras. Sempre a Fort Laramie un secondo trattato venne concluso il 29 aprile 1868 e proclamato il 24 febbraio 1869 con i Sioux Brulè, Oglala, Miniconjou, Hunkpapa e Blackfeet. Fort Robinson nel Nebraska, in servizio dal 1874 al 1948 è, invece, tristemente famoso per il massacro di Cheyenne nel 1878 qui rinchiusi in attesa di essere trasferiti in Oklahoma dal governo. I Cheyenne di Coltello Spuntato furono lasciati letteralmente morire di fame dal capitano Wessells, che ordinò la progressiva riduzione delle razioni di cibo fino a sospenderle del tutto. Ma i Cheyenne, decisi a morire come guerrieri piuttosto che di stenti, reagirono attaccando la guardie; durante lo scontro alcuni riuscirono a fuggire ma molti di loro persero la vita, soprattutto donne e bambini. A Fort Robinson, nel 1877 Cavallo Pazzo fu catturato dalle guardie e accoltellato a morte dal soldato William Gentles della compagnia F del 14° Fanteria.

GLI SCOUT INDIANI

Erano Sioux, Pawnee, Apache. Ma si arruolarono, in qualità di esploratori, nei ranghi dell'esercito americano. Perché guerrieri come Coltello Insanguinato, Rush Robert e I-See-0 scelsero di aiutare i visi pallidi nella conquista delle loro stesse terre? Chi sa seguire una pista meglio di un Navajo? Chi sa decifrare i segni della prateria meglio di un Sioux o di un Pawnee? Chi è in grado di trovare una traccia attraverso un Canyon ? La risposta è semplice: nessuno. E infatti, nel corso di tutte le guerre indiane che insanguinarono la storia del West, parallelamente agli avvenimenti più noti, si sviluppò un'epopea poco conosciuta ma incredibilmente avventurosa, quella degli scout indiani al servizio dell'esercito degli Stati Uniti. Esperti "battitori" del territorio, di cui conoscevano tutti i segreti, nati e cresciuti in simbiosi con la natura, gli esploratori dalla pelle rossa fornirono ai soldati bianchi un supporto e una guida davvero eccezionali in ognuna delle campagne che la Cavalleria americana condusse contro le tribù ostili dalla fine della Guerra di Secessione in poi. Per quanto numerosi, ben armati e ottimamente equipaggiati, i militari si trovavano sperduti nei selvaggi orizzonti del Lontano Ovest, e letteralmente non sapevano come muoversi in quelle praterie o in quei deserti senza fine: dov'erano le sorgenti da cui poter attingere l'acqua? Quali erano le piste da seguire? Dove si nascondevano gli indiani ostili? Da quanti giorni era stato abbandonato quell'accampamento? A quali tribù appartenevano quelle tracce o quelle frecce?  Fra i visi pallidi, con l'eccezione di pochi e abilissimi scout come i fratelli North. Nel 1874, tra le Black Hills, le Colline Nere situate in pieno territorio Sioux fu scoperto l’oro , nonostante i tentativi del governo per impedire l'invasione della zona da parte di cercatori e coloni, a migliaia i bianchi cominciarono a infiltrarsi nelle terre indiane, infrangendo i trattati di pace esistenti. I Sioux di Toro Seduto, insieme ai Cheyenne e agli Arapaho, reagirono, attaccando isolati cercatori o gruppi di immigrati e provocando l'immediato intervento dell'esercito. Le scaramucce si trasformarono ben presto in scontri di più vasta portata e, nel giro di pochi mesi, tutti dovettero constatare che una nuova guerra indiana era scoppiata. La strategia dei generali Terry (la cui avanguardia era costituita dal 7° Cavalleria di George Armstrong Custer), Crook e Gibbon era di penetrare a fondo in quel territorio ostile e, ancora una volta, l'esercito dovette ricorrere in forma massiccia all'arruolamento di scout pellerossa. Erano Arikara, Corvi e Shoshoni, tutti nemici giurati dei Lakota (il vero nome dei Sioux), al pari di tante altre tribù delle grandi pianure, e il conflitto era un'occasione per dimostrare il proprio valore di guerrieri e per sistemare su un campo di battaglia le antiche ruggini. La colonna più forte delle tre che scesero in campo era quella di Crook, che aveva l'incarico di distruggere i campi indiani dislocati lungo i fiumi Powder e Tongue. Il distaccamento si fermò sul fiume Rosebud ad attendere gli alleati Crow e Shoshoni con i loro capi di guerra Molti Colpi, Alligatore all'Attacco, Vecchio Corvo, Cuore Buono e Corvo Sacro: quando arrivarono, essi meravigliarono subito tutti gli ufficiali bianchi per la loro bravura nel cavalcare e per la fluidità delle loro manovre. Poi furono inviati in esplorazione e ben presto ritornarono, riferendo con preoccupazione delle numerose tracce del nemico che avevano scoperto.  Crook, oltre a essere un veterano della guerra civile, era anche un soldato esperto e ragionevole, ma stavolta, nonostante la tradizionale fiducia che nutriva per le sue guide indiane, non volle ascoltare le informazioni dei suoi esploratori che lo avvisavano del pericolo: Sioux e Cheyenne, guidati rispettivamente da Cavallo Pazzo e da Uomo Bianco Zoppo,  La vittoria del Rosebud entusiasmò i Sioux e i Cheyenne, rinsaldando il legame tra le tribù e spingendo parecchie bande di guerrieri sparse per le pianure a raggiungere l'accampamento di Toro Seduto: adesso gli indiani erano forti e numerosi e, dopo la battuta d'arresto subita da Crook, erano pronti a ricevere l'attacco del 7° Cavalleria di Custer sul Little Big Horn.  La campagna susseguente alla sconfitta di custer al Little Big Horn fu l'ultima per gli scout del Battaglione Pawnee, un gruppo di scout che lasciò dietro di sé un magnifico ricordo pieno di successi, al punto di meritarsi il ringraziamento del Congresso. Avevano cominciato la loro attività per l'esercito nel 1861, a seguito della crescente pressione delle popolazioni sioux nei loro confronti, per l'acquisizione di nuovi territori di caccia: fieramente indipendenti, i Pawnee (ovvero “Popolo del Corno", come essi si definivano, per la particolare acconciatura dei loro capelli) furono costretti a scegliere tra la sottomissione a quella tribù tradizionalmente nemica e l'adeguamento all'influenza degli Stati Uniti. Scelsero quest'ultima; soluzione, e il loro odio verso i Sioux era tale che, all'inizio, si contentarono di ricevere soltanto le iuniformi e l'equipaggiamento, senza alcuna paga; l'opportunità di combattere i loro secolari nemici era una motivazione più che sufficiente. Furono messi agli ordini di due bianchi, i fratelli Frank e Luther North, esperti cercatori di piste che, in breve tempo, riuscirono a fare dei loro esploratori indigeni un reparto disciplinato ed efficiente. La prima missione del Battaglione Pawnee fu quella di rintracciare una banda di Sioux che aveva teso un'imboscata a un convoglio dell'esercito e massacrato un gruppo di pionieri. Frank North prese quarantotto uomini e li guidò in una caccia implacabile per oltre centocinquanta miglia: quando finalmente, dopo una marcia massacrante, raggiunsero la banda di indiani ostili, questi si fermarono per resistere, scambiando i Pawnee per una colonna di soldati. Accortisi che erano un gruppo di scout dalla pelle rossa, tentarono di fuggire; ma gli indiani di North furono loro addosso in un baleno e li uccisero o catturarono tutti. Subito dopo, riuscirono a scoprire un grande villaggio Arapaho, guidando all'attacco le truppe del generale Connor con precisione e perizia, e da quel momento non si contano più gli scontri vittoriosi che ebbero in special modo contro i Sioux. Così, nella primavera del 1869, sotto il comando del capo di guerra Toro Alto, i Soldati del Cane si accamparono sulle rive del fiume Republican, da dove partivano per i loro raid contro gli insediamenti americani, uccidendo gli uomini, portando via donne e bambini, catturando centinaia di muli e cavalli. Per l'ennesima volta, gli scout pawnee dimostrarono tutta la loro abilità e determinazione: awicinatisi all'accampamento senza farsi scoprire, riuscirono a sbaragliare i Dog Soldiers, che ebbero soltanto il tempo di uccidere due dei loro prigionieri bianchi. Quando tutti i Pawnee furono congedati, nel 1877, egli fu eletto capo della sua tribù e, dieci anni dopo, si ricongiunse con il suo vecchio comandante Frank North per un giro del Paese con lo spettacolo del Circo. Diventato un pacifico pensionato, grazie al contributo di centotrenta dollari al mese attribuitogli come giusto riconoscimento della sua attività, Rush Robert non smise comunque "Per prendere un Apache, ci vuole un Apache". Pienamente convinto di questa affermazione, il generale George Crook che gli indiani avevano soprannominato "Nantan Lupan", cioè Lupo Grigio) fu uno dei più decisi fautori dell'arruolamento di scout indigeni da utilizzare soprattutto nel Sud-Ovest, dove una continua guerriglia insanguinava i territori dell'Arizona e il confine con il Messico. Le inimicizie tra le varie "nazioni" degli indiani d'America erano un fatto radicato, quasi una tradizione naturale, sicché non destava particolare scalpore che alcuni di essi militassero come scout nelle file degli avversari (purché, ovviamente, non creassero problemi, con il loro "tradimento", ai fratelli della loro stessa tribù); per quelle genti bellicose combattere i propri nemici a torso nudo oppure indossando una giacca blu era in fondo la stessa cosa, e arruolarsi nell'esercito un modo come un altro per provare l'eccitazione della battaglia e mettere alla prova il proprio coraggio. Anche se alcuni non si rendevano minimamente conto che il loro comportamento avrebbe portato alla definitiva estinzione del loro stesso popolo, quasi tutti gli esploratori sapevano bene che la loro azione a favore del governo avrebbe avuto come conseguenza l'assoluta egemonia dell'invasore bianco su un Paese da sempre appartenuto ai nativi. Questa, del resto, secondo la loro fatalistica mentalità, era un evento forse crudele, ma inevitabile: arruolarsi, dunque, non significava vendersi al più forte, bensì semplicemente mettere a frutto le proprie capacità, accettando un destino che nessun figlio del Grande Spirito avrebbe potuto modificare.  Molti scout avevano combattuto i bianchi per anni, specialmente gli apache come Chato, Chihuahua, Dutchy e altri ancora: alcuni erano stati nelle bande di Geronimo e di Ulzana, oppure avevano guidato in proprio gruppi di guerrieri contro le truppe del generale Crook. Poi, una volta arresisi, si erano arruolati come esploratori, dimostrandosi in genere efficaci e fedeli. Soltanto qualcosa di grosso, un evento imprevedibile poteva cambiare il loro comportamento, come avvenne ad Apache Kid, che era entrato giovanissimo nel corpo degli scout comandati dalla celebre guida Al Sieber, protagonista indiscusso di tutte le guerre Apache sia contro Cochise che contro Geronimo. Il Kid (il cui nome indiano era Skibenanted) aveva raggiunto il grado di sergente, distinguendosi, tra l'altro, per il suo eroico comportamento nella battaglia di Big Dry Wash, e tutto faceva credere che il suo sarebbe stato un futuro tranquillo nei ranghi dell'esercito. Ma una notte, mentre Sieber e il comandante della guarnigione di San Carlos erano assenti, si scatenò una rissa . Ma il più grave atto di ammutinamento compiuto dagli scout Apache fu la rivolta di Cibicu Creek, avvenuta nel 1881, dopo che la situazione nel Sud-Ovest dell'Arizona era diventata esplosiva, a seguito delle predicazioni dello sciamano Nach-ay-del-Klinne. Il suo misticismo - che prediceva il ritorno degli indiani ai vecchi tempi anteriori alla venuta dei visi pallidi e la resurrezione degli antichi capi - fece colpo sull'animo degli Apache, che presero l'abitudine di ritrovarsi in grossi raduni nei quali danzavano per evocare gli spiriti dei defunti e ottenere la grazia. Questi si rese conto che i suoi esploratori erano turbati da quella missione e che correvano il rischio di essere coinvolti emotivamente dallo stregone; ma quando tentò di convincere il comandante e rimandare indietro i suoi uomini per evitare rischi, gli fu imposto di proseguire ugualmente la marcia alla testa delle truppe. Giunti sul Cibicu Creek, i soldati sorpresero lo sciamano e alcune centinaia di Apache nel pieno di uno dei loro scatenati cerimoniali; intimato ad arrendersi, Nachay-del-Klinne si lasciò arrestare senza opporre resistenza, mentre i suoi fedeli circondarono i militari tentando di liberarlo. Gli scout, in un primo momento, non intervennero, anche se sui loro volti si poteva leggere il tormento e l'indecisione tra l'istinto di seguire la propria gente e il senso del dovere. Quando, però, un soldato uccise a bruciapelo il profeta disarmato, essi non ressero più e cominciarono ad aprire il fuoco contro i cavalleggeri, che si dovettero ritirare in tutta fretta. La ribellione di Cibucu Creek non fu dimenticata e sicuramente influenzò l’atteggiamento di diffidenza del governo degli Stati Uniti verso i suoi scout apache.  Fatto sta che, dopo la resa di Geronimo, nel 1886, gli americani dimostrarono una totale e indegna mancanza di riconoscenza verso coloro che, in definitiva, avevano largamente contribuito a catturare il grande capo Chiricahua, ponendo fine a una guerra sanguinosa. Senza rispettare le proposte a suo tempo fatte dal generale Crook ne gli impegni da lui assunti all'atto della resa, il generale Miles, invece di lasciare tutti gli indiani nella riserva, ordinò la deportazione di circa settecento Apache a Fort Marion, in Florida, cioè dall'altra parte del continente.

Gli uomini furono separati dalle donne e dai bambini e fatti salire su un apposito treno-merci, ma la cosa più sorprendente fu che, assieme ai ribelli, furono spediti in esilio anche gli esploratori Chiricahua appartenenti al 6° Cavalleria, tra i quali gli stessi scout che avevano ottenuto la resa di Geronimo insieme al tenente Gatewood, Kay-i-tah e Martine. Radunati a Fort Apache, gli esploratori furono fatti schierare sul piazzale e costretti a consegnare le armi e la divisa. Poi furono caricati anch'essi sul treno diretto in Florida, dove rimasero per ventisette lunghi anni con la qualifica di "prigionieri di guerra". Fortunatamente, non tutte le vicende degli uomini rossi in giacca blu ebbero la stessa amara conclusione: una storia a lieto fine fu quella di I-See-0, un indiano Kiowa nato nel Kansas nel 1851. Dopo essere stato uno dei più abili guerrieri della sua tribù nelle guerre contro i Comanches e gli Arapaho, si arruolò come scout a Fort Sill nel 1876, diventando portatore di dispacci per il 7° Cavalleria. Dopo aver partecipato a tutte le campagne contro i pellerossa delle pianure messe in atto in quel periodo, I-See-0 fu promosso sergente, diventando il braccio destro del suo capitano, Hugh Scott, che lo tenne sempre in estrema considerazione. Quando arrivò il momento di andare in pensione, al vecchio scout fu assegnato un alloggio ben arredato, ma egli preferì vivere in un semplice tepee come era abituato, cucinando all'aperto alla maniera degli antichi padri. Quando morì, un incredibile numero di bianchi e di indiani Kiowa e Comanche partecipò al suo funerale; la sua fama era talmente grande che, nel cimitero di Fort Sill, venne eretto un monumento funebre in suo onore, costruito a forma di punta di freccia. Sulla lapide, fu messa una piccola targa di bronzo sulla quale era scritto: "In memoria di I-See-0, sergente dell'esercito degli Stati Uniti, l'ultimo degli scout indiani di Fort Sill, leale alla sua razza e alle armi del suo paese". Un epitaffio semplice ma efficace che, in poche parole, racchiudeva il senso di un'intera, dimenticata epopea.

 

Fonte: http://www.altrestorie.org/nativi/LA%20STORIA%20DEGLI%20INDIANI%20DAMERICA

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