Rivoluzione industriale e antico regime

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Rivoluzione industriale e antico regime

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Alla fine del Settecento l’Inghilterra creò un nuovo sistema di produzione che avrebbe definitivamente stravolto i ritmi e i processi del lavoro tradizionale e si sarebbe diffuso in buona parte d’Europa. Nasceva così la rivoluzione industriale. Ai successi produttivi si associavano gravi problemi sociali. Abituale era l’impiego di donne e bambini, in condizioni di miseria e degrado. In questo scenario iniziavano a svilupparsi i primi movimenti di protesta. La rivoluzione industriale fu un processo economico che non si consumò in un solo giorno. Ci volle infatti almeno mezzo secolo perché in Inghilterra si dispiegasse il sistema di fabbrica, e quasi un secolo perché esso diventasse visibile in altre parti d’Europa. Sostanzialmente l’Inghilterra fu il primo paese moderno della storia, già in gran parte nelle mani di una ricca borghesia, e con un’agricoltura fortemente innovativa,che aveva liberato dal lavoro dei campi un esercito di contadini, lo aveva spinto nelle città. Nasceva così una nuova classe sociale, quella degli operai. In Inghilterra, la rivoluzione industriale portò borghesi e operai a maturare presto la coscienza dei rispettivi interessi, e ad anticipare trasformazioni e lotte che avrebbero attraversato la storia dei due secoli seguenti.

LA SOCIETÀ DI ANTICO REGIME
La società del XVIII secolo precedente  alla Rivoluzione francese si basava ancora su un modello tradizionale in cui si distinguevano: gli oratores, cioè il clero, i bellatores,cioè l’ordine aristocratico, la nobiltà,  che aveva il monopolio del comando militare e del potere politico, i laboratores, cioè la classe lavoratrice: i mercanti, gli artigiani, gli agricoltori.  Si trattava di una struttura rigida in cui i ruoli erano determinati dalla nascita e nessuno poteva cambiare.
Il clero era un ordine privilegiato e disponeva di beni materiali. Al popolo il vescovo appariva molto spesso come il detentore di un potere materiale. I beni della Chiesa costituivano una proprietà inalienabile: non erano intestati a persone fisiche ma a enti ecclesiastici. Il tradizionale monopolio dell’istruzione, che il clero deteneva fin dal Medioevo, manifestava, però, segni di cedimento di fronte ai progressi della cultura laica e si presentava come un modello educativo vecchio.
La nobiltà, in tutti i Paesi, era impermeabile alle nuove idee ed ancorata ai vecchi privilegi, solo in Inghilterra si assisteva  allo sviluppo di un notevole spirito imprenditoriale presso la nobiltà agraria. Per quel che riguarda il comando militare, la sempre più frequente istituzione di eserciti permanenti affidati a militari di carriera, aveva ridimensionato il monopolio aristocratico.  Lo sviluppo delle aristocrazie mercantili e imprenditoriali avevano evidenziato una decadenza del ruolo economico della nobiltà. Si assisteva al paradosso della dipendenza economica dell’aristocrazia.
Il popolo, invece, che doveva essere l’ultimo gradino di questa società rigidamente strutturata, andava ad acquisire sempre più la consapevolezza della sua importanza sociale derivante dal suo miglioramento economico. Rappresentava, infatti, la nuova borghesia, più dinamica ed intraprendente, costituita non  solo da contadini, operai, artigiani, diseredati ma anche da ricchi rappresentanti degli affari e dell’industria. Nei paesi più avanzati, perciò, la stridente contraddizione fra ruolo economico e posizione sociale costituì un fattore di tensione. Questo avvenne soprattutto in Francia e Inghilterra.
CRESCITA DEMOGRAFICA EUROPEA
Alla metà del Settecento, la popolazione mondiale era attorno ai 700 milioni di abitanti. La densità della popolazione era differente fra i diversi continenti: l'America era pressoché spopolata, la maggioranza della popolazione era concentrata nelle colonie spagnole e portoghesi, nulla o quasi si sapeva dell'Oceania, mentre nell'Africa  la popolazione si aggirava intorno ai 100 milioni e subiva un generale calo demografico a causa degli schiavi che venivano deportati nelle colonie. L'Asia era il continente più popolato.
Dalla metà del Settecento in Europa , comunque, ci fu un notevole incremento demografico. Le aree di maggior crescita furono l'Inghilterra e l'Oriente europeo. Tra le cause della crescita della popolazione dobbiamo ricordare:l’incremento della produzione agricola, la scomparsa delle grandi pestilenze e il miglioramento delle condizioni sanitarie.
Non sappiamo per quali ragioni le epidemie di peste siano cessate. Si possono soltanto formulare delle ipotesi. La peste era stata provocata dall’emigrazione dei topi provenienti dall’Asia. È possibile che la cessazione di tali migrazioni,abbia contribuito alla scomparsa delle pestilenze. L’ultima apparve a Marsiglia dove era stata portata da una nave proveniente dalla Siria. Sebbene si sapesse che a bordo alcuni marinai erano morti di peste, la quarantena non fu osservata rigorosamente e il morbo si diffuse prima nella città di Marsiglia e successivamente in Provenza. La lezione servì: i medici e i governi si convinsero definitivamente che la malattia si diffondeva per contagio e da allora furono istaurati rigidi cordoni sanitari,per impedire al morbo di propagarsi in Europa.
La rivoluzione demografica fu resa possibile anche dai progressi nell’agricoltura, rilevanti soprattutto in Inghilterra e in Olanda sul piano della produttività e in Russia e in Polonia su quello della produzione estensiva. In questi paesi, infatti, furono messe a coltura nuove terre ed essi diventarono perciò il granaio d’Europa Nei paesi i cui l’agricoltura rimase ferma ai sistemi tradizionali di coltivazione l’incremento della produzione agricola fu inferiore a quello demografico, sicché le condizioni di vita della popolazione, soprattutto delle masse contadine, peggiorarono.
La medicina, poi, anche se non aveva ancora acquistato metodi compiutamente scientifici aveva introdotto un'azione di isolamento per evitare il contagio. Iniziarono quindi dei progressi nel settore farmaceutico, ricordiamo il  vaccino  antivaioloso del medico inglese Edward Jenner.
Altro fattore importante  per spiegare la crescita demografica fu l'aumento della natalità della sopravvivenza dei più piccoli.
SITUAZIONE ECONOMICA
La crescita demografica portò, in Europa, soprattutto nelle aree più progredite (Inghilterra,Olanda,Francia settentrionale e Lombardia) ad una elevata crescita economica,caratterizzata da alcuni fattori principali:

  • Aumento della produttività delle terre utilizzando nuovi sistemi di rotazione: dalla triennale alla quadriennale
  • Privatizzazione delle terre e scomparsa delle terre a dominio pubblico,accompagnata da una mentalità imprenditoriale agricola.
  • Nuove colture che consentivano una resa maggiore nel rapporto terra coltivata-quantità di prodotto:carote,patate,barbabietole,mais.
  • Aratura e bonifica di nuove terre.
  • Miglioramento delle tecnologie agricole, diffusione degli strumenti metallici e sviluppo della scienza agronomica.
  • L’attività agricola è più legata al commercio,grazie ai collegamenti fra città e campagna.
  • L’attività agricola è più legata alle industrie,che lavorano e trasformano i prodotti agricoli e tessili.
  • Diffusione anche nei villaggi di botteghe artigiane e di commercio,grazie ai traffici coloniali e all’importazione di prodotti molto richiesti come tè, tabacco, cioccolata.
  • Aumento del credito bancario e del supporto finanziario alle attività di commercio e impresa,anche grazie alla carta moneta.

Per far fronte al problema dell’aumento della  popolazione non bastò l’incremento della produttività ma fu necessario anche lo sviluppo di nuove colture come quelle della patata e del mais. La patata divenne il cibo dei poveri e l’economista del tempo, lo scozzese Adam Smith notò che essa avrebbe consentito di nutrire un numero di persone maggiore rispetto al frumento e agli altri cereali. Tra i cereali c’era il mais che assunse importanza in Europa ma dava svantaggi sia per i raccolti che per le qualità nutritive inferiori a quelle del frumento

LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE IN INGHILTERRA                                                  
In Inghilterra, in questo periodo si assiste ad una grande trasformazione produttiva e socio-culturale  che prende il nome di rivoluzione industriale. Varie furono le cause che la resero possibile.
L’Inghilterra, la Scozia e il Galles formavano un mercato non solo molto vasto, ma anche il più libero che esistesse in Europa e, inoltre, il mercato britannico si allargava anche alle colonie.
La società britannica era la più adatta ad accogliere una trasformazione radicale dell’economia grazie anche alle sue strutture politiche liberali. I progressi scientifici davano vita a una tecnologia molto progredita, che consentiva la costruzione di macchine perfezionate.
Non va trascurato infine il peso della potenza militare della Gran Bretagna, che le permetteva il dominio dei mari e il riparo dei suoi territori da un qualsiasi attacco nemico.
Un'altra causa favorevole allo sviluppo industriale inglese fu la particolarità del modello energetico adottato, fondato sia sull’energia idraulica sia su quella ricavata dal carbon fossile. La prima avviò lo sviluppo dell’industria tessile, la seconda diede impulso a quella metallurgica.
Nacque, così, il capitalismo industriale, favorito anche dal fatto che in Inghilterra si era già sviluppato un forte capitalismo commerciale. Le occasioni offerte ai mercanti dalla libertà di commercio potevano essere colte più facilmente dalla Gran Bretagna dove non esistevano vincoli di carattere feudale. Perciò i borghesi e gli aristocratici non compravano più le terre ma  preferirono  investire nel commercio.
L’industria nacque e si sviluppò grazie a diversi fattori: impiego di capitali, costruzione delle macchine e divisione del lavoro. In alcune manifatture, specialmente quella tessile, la divisione del lavoro era stata applicata da tempo. Con la nascita dell’industria accentrata tutte le fasi della lavorazione, si svolsero nello stesso luogo la fabbrica. Una volta concentrato il lavoro nella fabbrica, fu possibile calcolare il numero degli addetti a ogni singola fase in ragione del tempo necessario a compierla. Si ebbe così una razionalizzazione dei tempi di produzione.
Un altro elemento decisivo dello sviluppo industriale fu l’impegno delle macchine. Nel 1733 John Kay inventò il telaio a navetta volante, che rese più veloce la tessitura. Ma la filatura continuava  a essere effettuata con i vecchi sistemi. Nel passaggio della filatura alla tessitura divenuta più veloce, si verificava comunque un rallentamento della produzione. La difficoltà fu superata da James Hargreaves che inventò il filatoio meccanico. Nel 1769 Richard Arkwright inventò un nuovo filatoio, azionato dall’energia idraulica, che causò un nuovo rallentamento della produzione. La soluzione fu trovata nel 1785 da Edmund Cartwright che costituì un telaio meccanico. Lo sviluppo industriale delle città, non più lungo i corsi d’acqua, fu reso possibile dall’invenzione della macchina a vapore, ad opera di  James Watt, grazie a questa, i proprietari di fabbriche ebbero a disposizione una fonte d’energia che poteva essere installata ovunque.
Gli inventori di macchine non erano scienziati, ma artigiani. Arkwright progettò il suo filatoio meccanico verso il 1768, ma per poterlo perfezionare dovette chiedere un prestito a un suo amico. La filatura meccanica poté diffondersi soltanto nel 1785, quando il brevetto di Arkwright venne a scadere e tutti ebbero la facoltà di riprodurre il suo filatoio. I primi inventori furono anche imprenditori, infatti, quasi tutti gli uomini che costruivano macchine con le loro mani impiegavano nella fondazione di una fabbrica tutti i risparmi faticosamente accumulati. L’utilizzo delle macchine nelle lavorazioni era, però, poco accettato dagli operai che si vedevano togliere il lavoro. Il 9 ottobre 1779, presso la cittadina di Bolton, così, fu attaccato un grande stabilimento dove erano utilizzati macchinari, che furono distrutti. Ma i manifestanti non erano soddisfatti, infatti vollero distruggere tutte le macchine dell'Inghilterra e per reprimere questa violenza fu necessario l'intervento dell'esercito. In seguito, agitazioni del genere furono molto frequenti e il movimento dei distruttori delle macchine prese il nome di luddismo.
Da secoli esisteva in Inghilterra una fiorente manifattura della lana, ma gli sviluppi che diedero origine alla rivoluzione industriale si verificarono in quella del cotone. Il cotone si presentava assai meglio della lana perché le sue fibre erano più resistenti. I tessuti di cotone erano più facili non solo da produrre ma anche da smerciare, perché costavano  di meno e potevano essere acquistati anche dai poveri. Gli abiti di cotone non erano solo acquistati dai poveri ma anche dai ricchi perché erano più leggeri e perciò più adatti nei periodi caldi. 
All’ interno dell’impero inglese si creò un rapporto tra la produzione e la vendita del cotone e il commercio degli schiavi. Gli schiavi erano poi impiegati nelle piantagioni americane per produrre cotone greggio,che i mercanti portavano in Inghilterra, come materia prima per le industrie sorte in gran numero intorno ai porti.
Questo genere di commercio è definito commercio triangolare, perché si svolgeva lungo linee che sembravano costituire una sorta di triangolo, con i vertici in Inghilterra, Africa e America.
L’invenzione della macchina a vapore diede impulso allo sviluppo di altre importanti attività economiche: l’estrazione del carbone e la lavorazione del ferro.
Il carbone era stato considerato come sostituto della legna,che stava diventando sempre più scarsa per la progressiva distruzione delle foreste, e in alcune regioni inglesi,dove da secoli si sfruttavano i giacimenti carboniferi, il carbone sostituì la legna nel riscaldamento.
Verso la metà del 700,  il carbone fu impiegato al posto della legna anche negli altiforni, dove si produceva la ghisa.  In passato l’impiego del carbone non era stato possibile  perché nel corso della fusione lo zolfo in esso contenuto rendeva fragile la ghisa. Fu scoperto, poi, un procedimento che trasformava il carbone in coke privandolo dello zolfo. Il nuovo metodo però si diffuse molto lentamente.
Il binomio carbone-ferro costituì uno degli elementi fondamentali della rivoluzione industriale. Per trasportare il carbone in superficie i minatori si servivano di carrelli che scorrevano su binari di ferro. L’aumento delle miniere rese necessario maggiori quantità di ferro, che fu impiegato in quantità crescenti anche nella costruzione delle macchina.
La necessità di produrre macchine per l’estrazione del carbone e per la tecnologia industriale stimolò lo sviluppo dell’industria siderurgica Gli stabilimenti siderurgici sorsero nelle vicinanze delle miniere di carbone; furono creati grandi complessi estrattivi e siderurgici che compivano l’intero ciclo della produzione. L’incremento della produzione fu formidabile. Tuttavia l’industria siderurgica richiedeva maggiori investimenti e alti costi rispetto a quella tessile, e questo spiega il più lento sviluppo della siderurgia che si affermerà settore fondamentale della produzione solo dopo il 1830 con il boom della diffusione della rete ferroviaria.
Il battello a vapore fu l’innovazione tecnologica che interessò il settore dei trasporti e che determinò una notevole velocizzazione delle comunicazioni. Successivamente ci fu la nascita della locomotiva, macchina simbolo della nuova era dei trasporti. La novità vera e propria non consistette nel trascinamento dei carri di carbone su binari, ma che tali binari non erano più di legno ma di ferro, quindi più resistenti e affidabili. A partire dal 1790 si fecero esperimenti per impiegare il vapore nel traino dei carrelli, anche se i cavalli sarebbero restati ancora per qualche decennio il mezzo di trasporto più diffuso. Il primo prototipo di locomotiva a vapore fu costruito da George Stephenson nel 1814.
LE PRIME PROTESTE OPERAIE
Le macchine a vapore liberarono le fabbriche dalla necessità di sorgere lungo i fiumi. Infatti prima risultava difficoltoso trasportare le merci dalla sua sede fino alle industrie per lavorarle. Le città industriali, chiamate così perché sorsero in prossimità delle industrie, apparvero subito molto diverse dalle altre: il paesaggio urbano era caratterizzato dal gran numero di ciminiere degli stabilimenti.
I contadini, che erano stati spinti dalla miseria o anche dal desiderio di una vita migliore ad abbandonare le campagne e a cercare un’occupazione in città, trovarono facilmente lavoro grazie al rapido sviluppo delle industrie. Ma nelle città sovraffollate non era altrettanto facile trovare accettabili condizioni di vita. Infatti il lavoro nelle città era molto duro e inoltre si lavorava per tutta la giornata e per tutti i mesi dell’anno. Le dimore degli ex contadini erano luoghi angusti resi sporchi dal fumo delle ciminiere, che si addensavano disordinatamente intorno alle fabbriche. I loro salari erano molto bassi ed inoltre donne e bambini ricevevano una paga inferiore agli uomini.  Nacquero nuove classi sociali: il proletariato, vale a dire il lavoratore salariato, che si contrappose al borghese proprietario dei mezzi di produzione (capitalista)   così  diventò sempre più evidente il divario tra proletari e capitalisti. Fu l’abbondanza di manodopera a basso costo che rese pessime le condizioni di vita degli operai,infatti erano proprio i più poveri, ovvero “quelli che si dovevano adattare” la  categoria prevalente nelle fabbriche inglesi dell’epoca. Inoltre, la suddivisione del lavoro, sostenuta da A. Smith, rese il lavoro ancora più alienante e difficoltoso.
La durezza del lavoro in fabbrica, lo sfruttamento, la mancanza di ogni tutela che colpiva soprattutto i più deboli: le donne e i bambini, fecero nascere la prima associazione politica dei lavoratori, la Corresponding Society che aveva come obiettivo la conquista del suffragio universale e il rinnovo del parlamento annualmente in modo da assicurare il controllo popolare su di esso.
Nel 1799, lo Stato inglese emanò una serie di provvedimenti restrittivi(scioglimento delle società e divieto di associazione operaia). Le Trade Unions,associazioni sindacali,dovettero operare clandestinamente prima di ottenere il riconoscimento legale nel 1824-25 e con esse l’operaio ottenne il diritto alla tutela sindacale.
Di fronte a questi movimenti la borghesia ebbe atteggiamenti differenti. I più respingevano ogni richiesta dei lavoratori, una piccola minoranza era favorevole a un moderato interessamento. I governi, dal canto loro, affrontarono i problemi legati al mondo del lavoro proletario per evitare pericolose tensioni. In Inghilterra furono emanate leggi che limitavano a 10 ore l'orario di lavoro per donne e bambini sotto i 10 anni nel 1831.
L'affermarsi del capitalismo, cui sono legati lo sviluppo dell'industrializzazione, l'incremento dei commerci, i problemi di convivenza tra borghesia e proletariato, suscitò l'interesse di molti teorici. Nacque in questo periodo la dottrina del liberismo economico per cui la libertà economica (il libero commercio) non ostacolata in alcun modo dall'autorità pubblica avrebbe portato alla realizzazione di un ordine naturale della società. Capostipite di questa corrente di pensiero fu Adam Smith. Ripresero in seguito le sue teorie David Ricardo (1772-1823), Thomas Robert Malthus (1766-1834) e John Stuart Mill (1806-1873). I principi del liberismo furono applicati dai governi nazionali per gran parte del XIX sec. Negli stessi anni iniziava a diffondersi il pensiero socialista.

 

Fonte: http://classe4ba.altervista.org/CAPITOLO_III.doc

Sito web da visitare: http://classe4ba.altervista.org/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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