Storia Irlanda

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Storia Irlanda

DI NUOVO UNA NAZIONE ?
(8000 a.C. – 1600)

 

Nell’8000 a.C. arrivarono in Irlanda i primi abitanti dalla Scozia e dall’Inghilterra. A questi primi colonizzatori si aggiunsero altre ondate di invasori provenienti da Francia e Spagna. 
Nel 100 a.C. ci fu l’ultima ondata immigratoria che lasciò l’impronta più rilevante sul carattere irlandese: quella dei Gaeli. La società gaelico-irlandese non conobbe nessuna forma di organizzazione politica romana, essa era caratterizzata dalla frammentazione politica e dalla guerra endemica, nonostante ciò queste genti condividevano una lingua comune, un comune codice di leggi, una comune tradizione di poesia orale e di musica, una storia comune che sfumava nella leggenda. In un’epoca nella quale nessun paese costituiva una nazione nel senso moderno del termine l’Irlanda aveva una propria identità culturale che potremmo interpretare come unità nazionale, ma anche come identità nazionale che, ricordando il saggio di M. Hroch, è l’elemento chiave per analisi del processo di formazione della nazione.
Grazie all’azione di un missionario britannico-romano (432 d.C.), che più tardi sarebbe stato canonizzato San Patrizio, il cristianesimo soppiantò il paganesimo, ma in realtà era la fusione riuscita del cristianesimo con la cultura gaelica, che così conobbe una fioritura senza precedenti. 
Nel 795 l’Irlanda venne sconvolta dall’arrivo dei vichinghi, definiti “Danesi” dalla tradizione popolare ma in realtà erano norvegesi. Essi eseguirono massacri, incendi, razzie seminando il terrore. Nel 1014 un sovrano della contea di Clare, il Gran Re Brian Boru, che era riuscito ad ottenere l’Alta Sovranità, sconfisse a Clontarf un grande esercito composto da vichinghi e da irlandesi della regione di Leinster; mentre gli altri re d’Irlanda aspettarono l’evolversi degli eventi. I vichinghi divennero col tempo parte della storia irlandese e grazie ai matrimoni misti, finirono per diventare essi stessi degli irlandesi.
Il 1° maggio 1170 nell’estremità sudoccidentale della contea di Wexford, sbarcò un piccolo esercito di Normanni. Gli invasori normanni non erano uomini del re d’Inghilterra, ma di un suo vassallo, il conte di Pembroke, detto Strongbow, ed erano stati chiamati in aiuto dal re irlandese di Leinster in lotta col proprio Grande Re. Strongbow conquistò Dublino e sposò la figlia del re di Leinster succedendogli al trono dopo la sua morte. I normanni penetrarono, grazie alla loro superiorità militare, in tutta l’Irlanda, salvo l’Ulster centro-occidentale. A questo punto, però, intervenne Enrico II, re d’Inghilterra. Il suo scopo non era quello di sottomettere gli irlandesi, ma di ricondurre all’obbedienza Strongbow. Fu questo il vero inizio dell’intervento inglese in Irlanda. Anche i nuovi invasori alla fine contrassegnarono matrimoni misti, adottarono leggi e costumi dell’isola diventando “più irlandesi degli irlandesi”.
Nel 1366 uno dei primi parlamenti irlandesi, riunitosi a Kilkenny, cercò di proibire per legge la “irlandizzazione” degli inglesi nati in Irlanda. Ma il tentativo non ebbe alcun effetto. Il governo regio finì per trovarsi quasi assediato in una zona di poche centinaia di chilometri quadrati intorno a Dublino, protetta da fortificazioni, detta “the Pale”. La corona britannica non aveva alcun potere effettivo oltre il Pale, dove regnava l’anarchia.
Nel 1534 Enrico VIII decide di mettere fine all’anarchia irlandese perché la grande casata dei Fitzgerald, conti di Kildare (la casata che avrebbe dovuto rappresentare l’autorità della Corona inglese in Irlanda) era in aperta ribellione contro il sovrano. Enrico VIII decise che tutti i signori irlandesi avrebbero dovuto consegnare le loro terre alla Corona inglese, che le avrebbe restituite loro in forma di beneficio, sancendo il dominio della Corona su di esse.
Nel 1558 Elisabetta I sale al trono d’Inghilterra, vi è una rinnovata intransigenza del governo inglese nel far rispettare il proprio volere. I rappresentanti della regina in Irlanda erano inglesi appena giunti dall’Inghilterra e non più i vecchi signori anglo-irlandesi che nel passato si erano mostrati indipendenti. L’esercito della Corona era ora composto da inglesi provenienti dall’Inghilterra. Nel 1562 iniziarono una serie di guerre tra Vecchi Inglesi e nuovi inglesi appoggiati a seconda della convenienza da irlandesi favorevoli al nuovo ordine o contrari. Ma chi ne fece le spese maggiori fu la gente comune. Gli inglesi giunti di recente consideravano l’Irlanda e i suoi abitanti come una terra da conquistare e civilizzare, ma questa “civilizzazione” fu condotta con la violenza, il terrore e la paura. Col regno di Elisabetta I, per la prima volta l’Irlanda si trovava sotto l’effettivo controllo del governo inglese. Le fondamenta della tradizionale ostilità irlandese per il dominio inglese furono gettate proprio all’epoca di Elisabetta I.
Il fallimento della Riforma in Irlanda servì a legare insieme Vecchi Inglesi e irlandesi gaelici che rimanendo cattolici, acquistarono un nuovo elemento che li distingueva dai funzionari della Corona e dai coloni protestanti inglesi. La Riforma non aveva avuto successo in Irlanda per la difficile comunicazione ed informazione a causa di un territorio paludoso e privo di strade; perché il governo inglese aveva già difficoltà a imporre la legge dello stato senza doversi impegnare anche in questioni religiose;  l’imposizione del protestantesimo avrebbe potuto offrire ai sudditi irlandesi il pretesto religioso di  chiedere aiuto alle potenze cattoliche europee come la Spagna.
L’ultimo dei grandi capi gaelici irlandesi, Hugh O’Neill, che la regina Elisabetta I aveva nominato conte di Tyrone, voleva che il suo Ulster mantenesse una sua autonomia. Il suo obiettivo, l’equilibrio tra la lealtà alla regina Elisabetta e l’indipendenza dell’Ulster, era incompatibile. Alla fine l’identità gaelica di O’Neill ebbe la meglio. Alleatosi con il suo vicino dell’Ulster, Hugh O’Donnell, il conte di Tyrone dopo aver combattuto per la regina inglese ora gli si rivoltava contro.
Nel 1598 a Yellow Ford, O’Neill inflisse una clamorosa sconfitta a un esercito inglese comandato dal cognato di Hugh. Alla vigilia di natale del 1601 O’Neill, O’Donnell e gli spagnoli che arrivarono in aiuto del conte di Tyrone furono sconfitti nella battaglia di Kinsale dalle forze inglesi. Fu la fine dell’Irlanda gaelica. O’Neill fece atto formale di sottomissione alla Corona e ottenne il perdono.

 

NON CI ARRENDEREMO MAI !
(1600 – 1700)

 

Nel 1603 Giacomo I sale al trono e si rafforza il predominio inglese in Irlanda e in particolare nell’Ulster. Nel 1606 avvenne un insediamento privato organizzato da alcuni coloni scozzesi protestanti nella penisola di Ards. Questo insediamento protestante sulla costa orientale dell’Ulster divenne la testa di ponte attraverso la quale singoli coloni scozzesi si introdussero nell’Irlanda del Nord. I nuovi coloni scozzesi si distribuirono in tutto l’Ulster. La grande maggioranza dei coloni nell’Ulster era di origine scozzese e non inglese, vale a dire che si trattava non di anglicani ma di presbiteriani. 
Il 4 settembre 1607 una nave francese issò l’ancora e salpò da Rathmullen portando verso un volontario esilio gli ultimi capi gaelici che tentarono di ribellarsi al dominio inglese: Hugh O’Neill, conte di Tyrone e di Rory (erede di Hugh O’Donnell) conte di Tyrconnell. La fuga dei due conti colse di sorpresa  gli inglesi. O’Neill abbandonò l’Irlanda perché si era reso conto che ormai sarebbe stato signore dell’Ulster solo di nome. Il conte era continuamente sottoposto alle angherie dei funzionari inglesi che, tra l’altro, ostacolavano la religione cattolica ed esigevano tributi in cambio del permesso di praticarla. O’Neill arrivò a temere per la sua stessa vita.
Le terre dei due conti che costituivano gran parte dell’Ulster dopo la loro fuga furono incamerate dalla Corona che cercò di usarle per un sistematico tentativo di trapiantare in Irlanda coloni provenienti dall’Inghilterra e dalla Scozia. Si trattò della cosiddetta Colonizzazione dell’Ulster, pianificata dal governo inglese tra il 1608 e il 1610, c’erano già stati episodi analoghi che però erano falliti. Ma stavolta il progetto di colonizzazione (anche se il pensiero prevalente era che si trattasse di una “civilizzazione”) si differenziava per l’ordine di grandezza, per la volontà di far tesoro dell’esperienza e per la disponibilità di capitali assicurata da alcune compagnie commerciali della City di Londra. La Irish Society, la società che si assunse la responsabilità della colonizzazione cambiò il nome della contea di Derry in Londonderry.
Il piano era quello di redistribuire tutta la terra della contea di Derry a coloni inglesi e scozzesi, che non avrebbero potuto avere degli affittuari irlandesi; una piccola parte della contea sarebbe stata affidata a soldati, i quali invece avrebbero potuto avere affittuari irlandesi. Un’altra parte di territorio sarebbe andato agli irlandesi che avrebbero pagato alla Corona il doppio della rendita annua pagata dai coloni.  Comunque le finalità politiche dell’operazione non furono raggiunte infatti non si riuscì a colonizzare in maniera uniforme le contee con una popolazione protestante proveniente dalla Gran Bretagna, ma il risentimento degli irlandesi gaelici e cattolici non fu per questo minore: essi si ritenevano i legittimi proprietari di tutto il territorio. I protestanti si sentivano insicuri e dovettero trasformare le loro fattorie in fortezze e vigilare continuamente sulla loro ricchezza. La colonizzazione dell’Ulster da parte dei protestanti inglesi e scozzesi progredì gradualmente ma vigorosamente. L’Ulster, che era in precedenza la regione più compattamente gaelica e cattolica, si trovava ora ad avere una popolazione mista, con interessi e credi religiosi contrapposti. 
Il 23 settembre 1641 si verificò una grande ribellione di irlandesi gaelici e cattolici i quali, pur proclamandosi a gran voce fedeli alla Corona, in realtà si batterono con ferocia per recuperare le terre che erano state loro sottratte. La ribellione era diretta contro i nuovi coloni in tutto il territorio irlandese, ma poiché era nell’Ulster che la colonizzazione era stata più profonda, fu qui che ebbe le conseguenze più gravi. Ciò che rese la ribellione così sconvolgente per i protestanti furono le notizie sulle atrocità che accompagnarono lo scoppio dell’insurrezione. In base ad alcune testimonianze risulta che i capi dei ribelli irlandesi si comportarono umanamente verso i loro prigionieri e pare che le atrocità non fossero parte di una politica deliberata quanto il risultato dell’indisciplina. È comunque incontestabile che durante la prima fase della ribellione del 1641 nell’Ulster vennero effettivamente perpetrati molti atti di brutalità contro i coloni inglesi e scozzesi. La rivolta del 1641 ebbe un’importante ripercussione sulla situazione generale dell’Irlanda: gli interessi dei due gruppi di cattolici irlandesi, i gaelici e i Vecchi Inglesi, vennero sempre più a coincidere ed essi si unirono nella ribellione. 
Nell’agosto 1649 sbarcò sull’isola Oliver Cromwell, l’uomo che avrebbe approfondito il solco tra protestanti e cattolici. Egli sferrò il primo colpo a Drogheda, l’azione di Cromwell fu spietata, l’ordine di uccisione fu limitato ai soli soldati ma di fatto furono coinvolti anche donne e bambini, nessun prete cattolico fu risparmiato. Gli ufficiali si arresero ma vennero passati a fil di spada. Cromwell considerava il massacro di Drogheda una vendetta per le atrocità commesse dai cattolici durante la ribellione del 1641, ma gli abitanti di Drogheda non avevano preso parte alla rivolta e del resto la città era sempre stata all’interno dei confini del Pale. L’esercito di Cromwell si diresse vittorioso verso il sud. La città di Wexford venne presa d’assalto, furono massacrati 2000 persone tra cui vi erano anche donne e bambini. Dopo la presa di Wexford, Cromwell emanò un editto draconiano col quale vennero distribuite le terre dei cattolici irlandesi agli inglesi e gli irlandesi furono costretti ad andarsene in un’altra provincia nella parte occidentale dell’Irlanda. 
Quando al trono salì il cattolico Giacomo II (1685), i cattolici pensarono fosse giunto il loro momento, infatti Giacomo II nominò dei cattolici ad alte cariche dello stato in Irlanda e un parlamento irlandese (dominato dai cattolici), revocò le espropriazioni di terre effettuate da Cromwell. A Londonderry cominciò a spargersi la voce che i cattolici irlandesi fedeli a Giacomo II e ostili a Guglielmo d’Orange (Guglielmo III) stavano attaccando e massacrando i protestanti come era accaduto nel 1641. Quando la tensione era ormai al culmine, giunse la notizia che sarebbe stata inviata nella città una guarnigione cattolica fedele al re Giacomo II per sostituire la precedente. Di fronte a questa situazione i cittadini di Londonderry si divisero fra coloro che erano favorevoli all’ingresso nella città della guarnigione e chi non lo era. La decisione ufficiale fu quella di accogliere la guarnigione. A questo punto tredici apprendisti artigiani si impadronirono delle chiavi della città e il 7 dicembre 1688 sbatterono le porte di Londonderry in faccia al comando delle truppe di re Giacomo II. L’assedio della città da parte delle forze di Giacomo II ebbe inizio solo qualche mese più tardi. Quando Giacomo II in persona si presentò sotto le mura della città, il comandante protestante della guarnigione si dichiarò favorevole alla resa, ma venne immediatamente esautorato dai cittadini e dovette abbandonare la città travestito da soldato semplice. La vita della città all’interno delle mura del castello iniziò a farsi dura, si moriva di fame e per le malattie. Nel giugno 1689 venne sparato dalla guarnigione regia un proiettile di mortaio non esplosivo in quanto esso recava un piccolo foro sulla punta che conteneva una lettera comunicante le condizioni di resa. Il proiettile si rivelò comunque esplosivo per la storia successiva dato che la decisa risposta degli assediati fu: “Non ci arrenderemo mai!”. Nel luglio 1689 le navi inglesi di ancora nel Foyle, che erano state fermate dal blocco navale predisposto dalle truppe di Giacomo II, forzarono il blocco stesso e risposero vigorosamente al fuoco di artiglieria nemico riuscendo a passare e ad approdare al molo sotto le mura della città coi tanto attesi rifornimenti. L’assedio di Londonderry era finito. Nel 1690 Guglielmo d’Orange sbarcò sull’isola sconfisse Giacomo II. 

 

DUE NAZIONI ?
(1700 – 1845)

 

All’inizio del Settecento vennero emanate delle leggi anticattoliche con le quali fu stabilito che un cattolico non poteva ricoprire incarichi pubblici ed elettivi, votare, arruolarsi, esercitare l’avvocatura, acquistare della terra, prendere terra in affitto per un periodo superiore ai trentuno anni e poteva lasciare in eredità quella che possedeva solo se i figli diventavano protestanti. I parroci, e soltanto loro, potevano officiare solo se registrati presso le autorità. I religiosi regolari erano banditi per legge. Banditi erano pure vescovi e arcivescovi, in teoria ciò significa l’estinzione della chiesa cattolica in quanto più nessuna ordinazione sarebbe stata possibile, ma la chiesa cattolica non si estinse perché le leggi riguardanti la religione furono di fatto applicate con molto minor rigore. Accanto ad una severità ufficiale vi era una tolleranza ufficiosa; la ragione era semplice: la chiesa cattolica godeva dell’appoggio della grande maggioranza della popolazione e per sopprimere la chiesa si sarebbe dovuto sopprimere la popolazione stessa. Il superamento di questo ostacolo rafforzò la chiesa stessa e il suo legame con la grande maggioranza della popolazione irlandese la quale vide nella chiesa l’unica organizzazione in grado di rappresentarla. Oltre alla Chiesa cattolica, c’era la rete di società segrete rurali che durante la seconda metà del Settecento era riuscita a esercitare un efficace e spietato contropotere nelle campagne. Però la loro sfera d’azione rimase confinata alle questioni agricole in ambito locale, senza quasi mai entrare nella sfera politica propriamente detta. 
Può apparire paradossale che la questione nazionale irlandese fu sollevata dai protestanti irlandesi. Questa classe dirigente protestante creò una propria cultura e avanzarono la pretesa, in qualità di irlandesi, di essere considerati dall’Inghilterra una nazione a sé stante, dotata di pari dignità. E questa fu la prima espressione di un moderno nazionalismo irlandese, una espressione protestante. Fu un nazionalismo di coloni. (CFR Saggio sul Nazionalismo). Nel 1782 un avvocato che guidava il Partito dei patrioti, riuscì a strappare al governo inglese una Dichiarazione d’Indipendenza che, almeno sulla carta, toglieva al parlamento di Westminster il diritto di legiferare sulle questioni interne irlandesi. Dal punto di vista costituzionale Irlanda e Gran Bretagna vennero ad essere considerati due regimi distinti, anche se uniti nella persona del sovrano. Ma di fatto l’indipendenza irlandese si rivelò un binario morto.
Sotto l’influenza della Rivoluzione francese venne costituita la Società degli Irlandesi Uniti, una società radicale con un duplice obiettivo: la riforma parlamentare e l’unificazione dei cattolici e dei protestanti in un’unica nazione. Nel 1796 tale società, che non era riuscita a farsi ascoltare dal governo e a conquistare le simpatie della gente, si trasformò in una vera e propria società segreta che perseguiva finalità ancora più radicali, da raggiungere anche col ricorso alla violenza.
Il 21 dicembre 1796 a Bantry Bay gettò l’ancora una flotta d’invasione francese piena di soldati repubblicani reduci dai trionfi riportati in Europa dal più grande esercito rivoluzionario mai visto. I francesi erano giunti in Irlanda su richiesta della Società degli Irlandesi Uniti per appoggiarli nel loro tentativo di portare a termine una rivoluzione che avrebbe unito cattolici e protestanti in un’unica nazione repubblicana. Ma le pessime condizioni atmosferiche della baia, il vento, le piogge ostacolarono l’avanzata dei francesi i quali alla fine decisero di fare vela verso la Francia e di rinunciare all’iniziativa. 
Dopo questo fatto il governo inglese fece intervenire l’esercito nei confronti della Società degli Irlandesi Uniti con brutalità ed efficacia, effettuando perquisizioni e arresti alla ricerca di armi e informazioni. Il gruppo dirigente cercò nuovamente di riorganizzare una rivolta nell’intero paese, contando su un immediato aiuto francese. La Società degli Irlandesi Uniti però venne nuovamente scompaginata grazie al lavoro degli informatori della polizia. Quasi tutta l’intera direzione nazionale venne arrestata durante una retata. 
Nel giugno 1798 nella contea di Wexford scoppiò una ribellione innescata sembra dalla disperata decisione presa dagli abitanti di un villaggio di non sopportare più passivamente le angherie dei soldati inglesi dopo che il governo regio rinforzò il presidio militare in quanto venuto a conoscenza di un possibile sbarco dei francesi nel porto di Wexford. Un prete si mise alla testa dei contadini, ma la ribellione ebbe più il carattere di una sollevazione locale che di una insurrezione nazionale. Inizialmente i rivoltosi ebbero la meglio, commisero delle atrocità verso i protestanti, anche donne e bambini, che avevano catturato. La mancanza di strategia da parte dei ribelli fu la causa del loro fallimento. A meno di un mese dall’inizio della rivolta, i ribelli furono sconfitti. Dopo la vittoria le truppe governative si abbandonarono per qualche tempo a un massacro di ribelli sbandati. 
Anche se la legislazione anticattolica era stata abrogata e i cattolici avevano finalmente ottenuto il diritto di voto, l’esito delle rivolte aveva dimostrato che l’Irlanda era divisa in due distinte comunità confessionali: la cattolica e la protestante. Quest’ultima cominciò a pensare a se stessa sempre meno in termini di nazione protestante e sempre più in termini di semplice classe dominante irlandese che aveva bisogno, per proteggere i propri interessi, dell’aiuto dell’Inghilterra.
Nel 1800 fu varato l’atto di Unione che abolì il parlamento irlandese e unì, a partire dal 1° gennaio 1801, i regni d’Inghilterra e Irlanda. Inizialmente avversato dai protestanti e accettato dai cattolici, in seguito, con il consolidamento dell’Unione, i protestanti lo videro come garanzia della loro posizione privilegiata e i cattolici si convinsero della necessità di abolire l’Unione. Il moderno nazionalismo irlandese, un’invenzione dei protestanti, finì per essere una causa cattolica con alcuni simpatizzanti protestanti.
Nel 1803 a Dublino Robert Emmet ideò quella che doveva essere una rivolta per affermare gli ideali della Società degli Irlandesi Uniti ma che si trasformò in tumulti di strada. Il suo piano era ambizioso: conquistare il castello di Dublino come segnale per scatenare l’insurrezione armata di tutto il paese. Emmet aveva previsto di dare l’assalto al castello con 2000 uomini, ma di fatto ne raccolse solo un’ottantina che, armati di picche e schioppi, si mossero nella notte di domenica 23 luglio 1803, guidati dallo stesso Emmet armato di sciabola. Emmet, sconvolto dal fatto che il suo tentativo di dar vita a una repubblica irlandese stesse degenerando in una rissa sanguinosa contro il procuratore generale, abbandonò il progetto e riuscì a restare nascosto per un mese, prima di venire catturato, processato e giustiziato. Il suo discorso dal banco degli imputati, destinato a renderlo immortale nella storia dell’Irlanda, contiene questa frase:
Non lasciate che nessuno scriva il mio epitaffio… Solo quando il mio paese prenderà il suo posto nel consesso delle nazioni, solo allora potrete scrivere il mio epitaffio.
La morale che i cattolici dovevano trarre dai fallimenti delle loro ribellioni era chiara: avevano bisogno di una guida politica. Daniel O’Connell si mise a capo di questa guida meritandosi l’attributo di Liberatore perché ha liberato la grande maggioranza della popolazione irlandese dalla sua irrilevanza politica. Si impegnò inoltre per l’Emancipazione cattolica, ovvero la soppressione di ciò che rimaneva delle discriminazioni giuridiche ai danni dei cattolici. La principale di queste discriminazioni riguardava l’impossibilità per un cattolico di sedere in parlamento a meno che non prestasse un giuramento col quale rinnegava alcuni dogmi fondamentali della chiesa cattolica. Per raggiungere questo obiettivo, O’Connell fondò l’Associazione Cattolica (1823), una potente organizzazione di massa. Una caratteristica fondamentale del movimento fu la sua larga base democratica. Era nato qualcosa di analogo ai moderni partiti politici, con un’impronta clericale assai forte.  Nel 1828 O’Connell decise di presentarsi in una delle più famose elezioni della storia irlandese. Grazie all’aiuto della sua associazione O’Connell vinse trionfalmente. Essendo cattolico, O’Connell non poteva naturalmente occupare subito il seggio che aveva conquistato, ma quando si presentò di nuovo e vinse, il governo si piegò di fronte alla minacciosa ma disciplinata pressione dell’opinione pubblica irlandese. Grazie a O’Connell, per la prima volta, l’opinione pubblica dei cattolici irlandesi si era tradotta in una forza politica. Nel 1840 O’Connell fonda la Società per la revoca dell’Atto di Unione ripristinando i diritti del parlamento irlandese. Egli pensava non a una separazione ma a una stretta collaborazione fra due regni, ciascuno con un corpo legislativo, uniti simbolicamente dalla figura di un unico monarca. L’argomento col quale O’Connell sperava di convincere l’opinione pubblica inglese era quello che il riconoscimento dell’Irlanda come nazione, anziché incoraggiare i tentativi di separazione dall’Inghilterra, li avrebbe messi a tacere per sempre. O’Connell che da una parte era contrario alla violenza popolare, dall’altra raccolse enormi folle di disciplinati e ordinati sostenitori (i cosiddetti Monster Meetings), lasciando intravedere cosa sarebbe potuto accadere se quei sostenitori così numerosi non fossero stati anche così disciplinati, era un modo per fare pressione sul governo inglese. L’obiettivo della revoca dell’Unione era però ancora lontano. Quando il governo decise di proibire un altro meetings, O’Connell cedette. Egli e i suoi più stretti collaboratori vennero condannati a un anno di prigione per cospirazione, anche se la sentenza venne annullata dalla Camera dei Lord. Morì nel 1847. 

 

LA GRANDE CARESTIA
(1845 – 1848/49)

 

Tra il 1845 e il 1849 avvenne in Irlanda la Grande Carestia, vi fu chi la considerò, per l’impatto che ha avuto sul popolo irlandese, come qualcosa di analogo alla soluzione finale perpetrata dalla Germania nazista contro gli ebrei. Fu una forma di genocidio architettata dagli inglesi ai danni del popolo irlandese.
Nell’isola le famiglie dei contadini, che erano la maggioranza, vivevano soltanto di patate, in quanto il raccolto di cereali doveva essere venduto per poter pagare l’affitto della terra. Nel settembre 1845 ci si accorse che le patate erano avariate e inutilizzabili sia dagli uomini che dal bestiame. La causa reale fu un fungo allora sconosciuto che provoca la comparsa di macchie nere sulla parte superiore delle foglie e di un muco biancastro su quella inferiore, questo muco contiene le spore che il vento, la pioggia o gli insetti trasportano su altre piante. Una volta che il fungo si è stabilito su una pianta, il tubero sotto terra comincia ad annerirsi per poi marcire inesorabilmente. La situazione si faceva grave man mano che l’epidemia si diffondeva. Il governo inglese, ordinò all’autorità di polizia di inoltrare un rapporto settimanale sull’andamento del raccolto delle patate e insediò una commissione d’inchiesta scientifica governativa. Questa dichiarò solennemente la propria impotenza di fronte al flagello. 
Nel novembre 1845 il governo inglese prese tre importanti decisioni: 1) aveva ordinato in America un grande quantitativo di mais da inviare via mare in Irlanda per essere venduto a basso prezzo tramite i magazzini governativi; 2) aveva insediato a Dublino una Commissione per organizzare gli aiuti, furono date alla gente opportunità lavorative per guadagnare il denaro necessario per comprare il cibo; 3) furono abolite tutte le tariffe protezionistiche sul grano importato nel Regno Unito di Gran Bretagna e Irlanda per abbassare così il prezzo del pane.
Entro il febbraio 1846 l’epidemia aveva raggiunto ogni angolo dell’Irlanda e i tre quarti del raccolto di patate erano andati perduti. Inoltre aveva fatto la sua comparsa il tifo e la dissenteria praticamente su tutta l’isola.
Il mais non venne immediatamente venduto, ma il governo aspettò l’eccessivo rialzo dei prezzi di mercato. Solo quando i poveri erano ridotti alla disperazione, il governo ordinò l’apertura dei depositi e la vendita di mais in tutta l’Irlanda. I carri che trasportavano farina, mais, grano, orzo e avena delle rendite padronali vennero attaccati. Un altro problema era che la Commissione per gli aiuti si stava muovendosi con molta lentezza. In realtà in Irlanda vi era disponibilità di ogni tipo di cibo eccetto le patate, in quanto tutti gli altri raccolti avevano dato risultati eccellenti, l’unico problema era che gli affamati non potevano permettersi l’acquisto di questi generi alimentari.
Le workhouse irlandesi, che erano degli ospizi nei quali i poveri dovevano lavorare in cambio del mantenimento, potevano ospitare 100.000 persone. Per legge, queste istituzioni non potevano dare nessuna forma di aiuto alle persone all’esterno, e le condizioni di vita al loro interno erano mantenute intenzionalmente dure per scoraggiare l’afflusso di fannulloni. Per le altre persone il governo aveva sempre pensato che la responsabilità maggiore nell’alleviare la miseria degli irlandesi poveri dovesse ricadere sui proprietari terrieri. Il comportamento dei proprietari fu però molto diversificato: chi svolse un ruolo attivo nei comitati locali, chi prese iniziative individuali a favore dei loro fittavoli, chi non fece niente e chi giunse anche al punto di scacciare dalle loro terre i poveri affamati che non erano più in grado di pagare i canoni d’affitto.
Fiducioso in un buon raccolto per il 1846 il governo decise di chiudere i depositi dove ancora restava del mais, non ne ordinò dell’altro per quelli ormai vuoti e limitò il programma di lavori pubblici. Quando già si manifestarono le prime avvisaglie del probabile fallimento anche del nuovo raccolto il nuovo governo inglese decise di riorganizzare il programma di opere pubbliche della stagione precedente. Questa volta però i proprietari terrieri avrebbero dovuto pagare tramite imposte locali la maggior parte degli interventi. I rigidi controlli burocratici ritardarono l’attuazione dei lavori pubblici. 
Il governo costretto dagli avvenimenti e dalla realtà, decise di modificare la sua politica e di acquistare del mais da vendere a basso prezzo in Irlanda. La decisione arrivava però troppo tardi, cominciarono a giungere le prime notizie di morti per denutrizione, la gente cadeva “letteralmente al suolo per lo sfinimento”. I salari dei lavori pubblici erano bassi, il peggio era che essi non venivano nemmeno pagati e la mancanza di compenso portava a non comprare gli alimenti causando la morte di migliaia di persone. Il solo responsabile era il governo britannico, ma in Inghilterra erano convinti che gli irlandesi stessero esagerando la gravità della crisi.
Durante il 1847 la febbre tifoidea si propagò lungo le strade percorse dalla gente in fuga dalle zone occidentali più colpite dalla carestia e diventando popolarmente nota come “la febbre della strada”. Col diffondersi del tifo il tasso di mortalità fra preti e medici era particolarmente alto perché erano coloro che stavano a più diretto contatto con i moribondi e i cadaveri. Le morti si moltiplicavano sempre più rapidamente. Le coscienze degli inglesi cominciavano a essere turbate. Sotto la pressione di alcuni eventi sconvolgenti, il governo rivoluzionò la sua politica. Fu deciso di procedere alla distribuzione gratuita di minestre e altri alimenti di prima necessità mediante cucine da campo. Venne posta fine al sistema dei lavori pubblici. Gradatamente il sistema delle razioni cominciò a funzionare fino a quando, nella prospettiva di un buon raccolto, il governo decise di porre termine alla distribuzione gratuita del cibo. Nello stesso tempo venne approvata una nuova Legge sui poveri che consentiva alle workhouse di distribuire cibo agli uomini validi in cambio del loro lavoro e concedeva a queste istituzioni di dare aiuto anche ai non residenti. Il finanziamento dell’operazione sarebbe stato sostenuto da imposte locali; però chi possedeva almeno un decimo di ettaro di terra non ne avrebbe avuto alcun diritto. Questa disposizione spinse molti contadini a disfarsi della poca terra che avevano, poiché preferivano abbandonare la terra che avevano per poter essere accolti negli ospizi pubblici. La situazione si faceva sempre più grave, agricoltori prima benestanti, anch’essi rovinati dalla pressione fiscale, finivano per diventare ospiti delle workhouse. 
Questa crudele realtà sfuggiva alle autorità di Westminster, convinte che per l’Irlanda si fosse fatto tutto ciò che si poteva fare. Una via d’uscita oltre alla morte fu l’emigrazione massiccia, verso gli Stati Uniti, ma le condizioni di vita a bordo delle navi erano talvolta altrettanto tragiche di quelle che gli emigranti avevano lasciato dietro di sé. I posti di terza classe erano spaventosamente affollati e mal areati, le febbri dilagavano, l’acqua e il cibo erano scarsi e i servizi igienici molto carenti.
Durante l’autunno e l’inverno del 1847-1848 i contadini furono scacciati dalle terre in numero sempre crescente e i cadaveri giacevano insepolti per giorni nelle città. All’inizio dell’autunno 1848 l’Irlanda ricevette il colpo di grazia: l’intero raccolto di patate era infettato. Il 1849 sarebbe stato l’anno più terribile di tutti. L’unica inevitabile conclusione politica a cui si arrivò fu che in futuro l’Irlanda avrebbe dovuto poter gestire da sé i propri affari. 

 

I PRODI FENIANI
(1848 – 1867)

 

Nell’estate 1848 William Smith O’Brien, protestante di elevata classe sociale che era stato membro del parlamento di Westminster e capo della “Giovane Irlanda”, una società che predicava l’unità tra i cattolici e protestanti in un comune sentimento nazionale, si trovò a guidare una rivolta armata dei contadini nella contea di Tipperary contro gli inglesi, su di lui fu emesso un ordine di arresto e quando un gruppo di volontari della milizia governativa si diresse verso il villaggio di Ballingarry per eseguirlo si trovarono di fronte delle barricate e un gran numero di persone; i governativi allora si ritirarono temporaneamente nella fattoria di pietra grigia poco fuori il villaggio, per valutare il da farsi. O’Brien con un gruppo di contadini armati si diresse verso il distaccamento dei miliziani governativi. Dopo un tentativo fallito di O’Brien di indurli alla resa, la folla si diresse verso di loro e i miliziani fecero partire una scarica di fucileria contro di essa. La sparatoria durò a intermittenza per circa un’ora. Arrivò un altro gruppo di miliziani a levare l’assedio. O’Brien e i suoi cercarono scampo nella campagna. Questa rivolta è nota come la battaglia dell’orto della vedova MacCormack (proprietaria della casa).
Fu da questo episodio che trasse origine il movimento feniano. Uno dei luogotenenti di O’Brien, James Stephens, un giovane protestante, era fuggito a Parigi ed entrò in contatto con società segrete radicali e rivoluzionarie. Stephens, tornato dalla Francia, viaggia per tutta l’Irlanda, in gran parte a piedi, per sondare il potenziale rivoluzionario del paese. Trovò quello che definì un generale malcontento che non sarà difficile incanalare verso un’insurrezione. Il 17 marzo 1858 (giorno di San Patrizio) a Dublino, egli con pochi altri cospiratori fondarono la società segreta nota col nome di Fratellanza Repubblicana Irlandese allo scopo di fare dell’Irlanda una repubblica democratica indipendente. Stephens era deciso a impedire che la sua organizzazione subisse infiltrazioni da parte di informatori come era avvenuto per la Società degli Irlandesi Uniti e per lungo tempo ci riuscì sorprendentemente. Nell’estate 1863, Stephens iniziò a pubblicare un proprio giornale, l’Irish People, che, pur non oltrepassando il limite della legalità, sosteneva che la causa dell’indipendenza nazionale doveva essere perseguita anche con mezzi diversi dalla lotta parlamentare e non perdeva occasione per ricordare agli irlandesi l’esistenza di una Fratellanza Feniana (organizzazione di emigrati irlandesi) non clandestina negli Stati Uniti. All’inizio del 1865 Stephens asseriva di poter contare su 85.000 uomini organizzati nella sola Irlanda, e sperava di riuscire a ottenere armi e altri soldati addestrati dall’America. Con la smobilitazione dell’esercito dell’Unione, ex soldati cominciarono effettivamente ad arrivare, le esercitazioni di addestramento si fecero sempre più manifeste. All’interno dell’organizzazione dei feniani era però presente una spia che aveva fornito delle informazioni alla polizia; quando le attività del movimento si intensificarono, le autorità decisero di intervenire. Tutti i membri della redazione dell’Irish People furono arrestati ad eccezione di Stephens che riuscì a nascondersi, ma una mattina, tradito da un altro informatore, fu arrestato e imprigionato. Stephens con l’aiuto di due guardiani, che in realtà erano membri della società segreta, riuscì a scappare. Stephens diventato più realista, rimandò l’insurrezione. Egli però, forse per paura o forse perché riteneva i preparativi insufficienti continuò a rinviare l’insurrezione fino a quando fu deposto dal comando della Fratellanza Repubblicana Irlandese.
Kelly, colui che lo aiutò ad evadere dalla prigione, assunse la guida del movimento deciso a dare il via alla rivolta il più presto possibile. Il segnale dell’insurrezione sarebbe stato dato l’11 febbraio 1867 da un audace attacco al Chester Castle in Inghilterra, dove si sperava di trovare un grande quantitativo di armi da spedire immediatamente via mare in Irlanda. La mattina dell’11 febbraio, irlandesi armati di pistole arrivarono in treno a Chester da ogni direzione. All’una di pomeriggio giunse la notizia che il piano era stato svelato alle autorità da un informatore. Con notevole tempismo, l’operazione venne annullata. L’insurrezione fu fissata per il 5 marzo 1867. Nonostante alcuni successi locali, la rivolta dei feniani fu un totale disastro, ma ciò non impedì che essi entrassero a far parte della mitologia nazionale. Kelly riuscì a rimanere in clandestinità in Inghilterra malgrado le intense ricerche da parte delle autorità, ma l’11 settembre 1867 Kelly fu arrestato a Manchester. Una settimana più tardi, nelle strade della città il cellulare della polizia che, senza scorta, stava conducendo Kelly e un suo compagno in prigione venne bloccato e circondato da una trentina di feniani che lo stavano aspettando per liberare i due, nell’agguato rimase ucciso il sergente Brett. Essi non furono più ripresi. Per rendere giustizia della morte del sergente, tre uomini furono uccisi. Tutti e tre avevano partecipato all’attacco ma nessuno aveva sparato il colpo fatale. Per questa ragione i tre feniani passarono alla storia come “i martiri di Manchester”.
Nel dicembre 1867 nel sobborgo londinese di Clerkenwell ebbe luogo l’attentato più drammatico. Nella prigione vittoriana era detenuto un capo dei Feniani. Il tentativo di alcuni suoi compagni di liberarlo, fallì perché le autorità avevano avuto sentore del complotto. I suoi compagni eseguirono lo stesso l’esplosione aprendo una grande breccia nella prigione ma spazzando via numerose case. 

 

PARNELL
(1869 – 1891)

 

Nel 1869 per iniziativa del primo ministro inglese Gladstone, la chiesa protestante non è più chiesa di stato in Irlanda. Nel 1870 abbiamo la prima riforma agraria di Gladstone.
Verso la fine degli anni ’70 la società irlandese ricevette due duri colpi: 1) l’Europa venne sommersa dal grano a basso costo proveniente dall’America e ciò provocò un crollo dei prezzi. Il piccolo fittavolo irlandese non fu più in grado di pagare il canone d’affitto; 2) la stagione estiva particolarmente umida del 1877 inaugurò una serie di cattivi raccolti di patate. Incapaci di far fronte ai loro obblighi contrattuali, i piccoli coltivatori, cominciarono a essere sfrattati e vennero anche privati della terra sulle quali coltivavano le patate indispensabili alla loro sopravvivenza.
Nel 1879 si profilava una vera e propria carestia. La fame fu evitata solo grazie a un massiccio intervento di assistenza molto più grande di quanto non fosse stato fatto durante la Grande Carestia. Nello stesso anno un ex feniano di nome Michael Davitt cominciò ad aiutare i suoi compatrioti minacciati dalla fame e dalle espulsioni nella sua contea. Dopo aver ottenuto una riduzione del 25% dei canoni locali, Davitt intraprese una nuova campagna di agitazione su scala nazionale per ottenere la riduzione degli affitti, la fine delle espulsioni e, come obiettivo a lungo termine, il trasferimento della terra dal proprietario al fittavolo. L’intervento di un giovane deputato al parlamento di Westminster, Charles Stewart Parnell, permise a Davitt di inserire la sua azione in un contesto politico nazionale. Fu fondata un’organizzazione chiamata Lega Nazionale per la Terra (1879), di cui Parnell divenne presidente.
Lo scontro nelle lotte agrarie si faceva sempre più duro e violento sia contro i proprietari  sia contro gli affittuari che non obbedivano alle direttive della Lega. Molti esponenti di vertice della Lega per la Terra erano ex feniani che si dedicarono con tutte le loro energie alle più concrete finalità della Lega rispetto alla costituzione di una Repubblica Irlandese, convinti di gettare le fondamenta di una più matura coscienza nazionale irlandese fra i contadini e i fittavoli. Parnell diede il suo contributo alla “Guerra per la terra”, come fu chiamata, deprecandone la violenza nelle occasioni pubbliche, mentre nello stesso tempo invitava i suoi uomini ad applicare metodi quanto meno intimidatori. L’attivismo di Parnell nelle lotte agrarie gli assicurò la guida del gruppo di parlamentari irlandesi alla Camera dei Comuni. 
Il primo ministro liberale inglese Gladstone fece approvare un severo Coercion Bill che conferiva poteri speciali alla polizia e all’esercito e sospendeva alcune libertà civili. Parnell e si suoi si batterono aspramente in parlamento, obbligando la Camera dei Comuni a una seduta continua di quarantuno ore prima che il presidente la sospendesse. Nel 1880 Gladstone propose una nuova riforma agraria per l’Irlanda.  La riforma stabiliva in sostanza che il proprietario non aveva il diritto di fare quello che voleva con la propria terra e istituiva dei tribunali agrari per stabilire l’equità dei canoni a seconda delle circostanze. Garantiva anche la stabilità del conduttore sul fondo purché questi pagasse regolarmente il canone e gli conferiva il diritto di cedere la sua fattoria a un altro conduttore. La riforma venne approvata ma Parnell, pur sapendo che si trattava di provvedimenti opportuni e a lungo attesi, non poteva accettarla come una concessione da parte del primo ministro. Parnell cominciò a tenere discorsi sempre più infuocati contro il governo inglese ricordando che dietro la questione agraria vi era la questione nazionale irlandese, spinto in questo dagli ex feniani. Lo scontro tra Parnell e Gladstone divenne sempre più duro fino a quando Parnell venne arrestato e imprigionato. Da quella situazione gli derivavano solo vantaggi: per gli estremisti era diventato un martire della causa della riforma agraria, nello stesso tempo non poteva più essere considerato responsabile per le violenze crescenti. Ai fittavoli la violenza cominciò a non piacere dato che la seconda riforma agraria stava funzionando abbastanza bene, i canoni stabiliti dai tribunali agrari erano ragionevoli e il miglioramento del raccolto delle patate allontanò per il momento lo spettro di una crisi. Parnell si rivolse così a soddisfare le aspirazioni nazionalistiche irlandesi, in particolare quella della costituzione di un parlamento irlandese con sede a Dublino, che era l’obiettivo finale del suo partito. In cambio dell’impegno di Parnell a rasserenare la situazione in Irlanda, Gladstone avrebbe potuto fare altre concessioni sulle questioni agrarie e prendere in considerazione le aspirazioni nazionali irlandesi. Tra Parnell e Gladstone ebbero luogo trattative indirette mentre il primo si trovava ancora in prigione. Nel febbraio 1882 Parnell venne rilasciato sulla parola. Nel maggio 1882 Parnell venne definitivamente liberato sulla base di tacite condizioni, che divennero note come “Trattato di Kilmainham” anche se non vi fu mai nulla di scritto. Il segretario capo per l’Irlanda diede le dimissioni per protesta contro la scarcerazione. Tutto sembrava condurre a una politica di collaborazione col primo ministro liberale. Improvvisamente scoppiò un fulmine a ciel sereno che mandò a monte queste speranze. Il nuovo segretario capo per l’Irlanda (nipote acquisito di Gladstone) e il sottosegretario furono uccisi da un gruppo di uomini armati mentre attraversavano il Phoenix Park per raggiungere la residenza del vicerè. Gli uomini della banda, che vennero arrestati, processati e giustiziati, erano ex membri della Fratellanza Repubblicana Irlandese, ora riuniti in una nuova società segreta detta “gli Invincibili”. L’omicidio ebbe la conseguenza di far naufragare le speranze di ottenere la collaborazione di Gladstone sulla questione nazionale irlandese.
Le elezioni generali del 1885, che videro l’allargamento del diritto di voto anche ai braccianti, rafforzarono il partito di Parnell alla Camera dei Comuni e ne fecero l’ago della bilancia fra liberali e conservatori. In questa situazione Gladstone pensò di appoggiare una Home Rule che prevedesse un parlamento unico per tutta l’Irlanda, col potere di legiferare solo sulle questioni irlandesi e sottoposto comunque alla sovranità di Westminster, si trattava di un’autonomia dall’Inghilterra e non di una indipendenza. Nel suo intervento alla Camera dei Comuni sul Home Rule Bill del 1886 Parnell considerò definitiva la sistemazione  della questione irlandese prevista dal progetto di legge. Oltre ai conservatori, anche una parte significativa del Partito liberale si oppose all’Home Rule Bill, erano i liberali radicali seguaci di Chamberlain che formarono un nuovo partito denominato unionista che voleva l’unità dell’Irlanda all’Inghilterra, ma l’opposizione più forte provenne dai protestanti dell’Irlanda del Nord che si stavano organizzando con il sostegno dei conservatori. La Camera dei Lord, in quella fase della storia parlamentare britannica, aveva ancora il diritto di veto e tutti sapevano che, se anche la legge fosse passata alla Camera dei Comuni, essa non avrebbe avuto alcuna possibilità di ottenere l’approvazione dei Lord. Anche se lo Home Rule Bill del 1886 venne respinto dalla Camera dei Comuni a causa della defezione di parte dei liberali, il fatto che esso fosse stato presentato da un governo inglese e che fosse ormai iscritto nel programma di uno dei due principali partiti britannici costituiva già di per sé un trionfo. Quando la Home Rule Bill venne respinto dalla Camera dei Comuni, a Belfast ci furono scontri che provocarono diverse vittime. Immediatamente a questi eventi, i liberali persero il potere per sei anni.
Nel 1890 la vicenda del processo di divorzio dei coniugi O’Shea che coinvolgeva Parnell avendo con Katharine una relazione sentimentale, ebbe un effetto devastante sull’opinione pubblica irlandese cattolica. La questione era se, in un paese dove l’influenza della chiesa cattolica era così forte, un adultero poteva essere alla guida del partito che rappresentava le aspirazioni nazionali. Nel dicembre 1890 ebbe luogo una traumatica riunione del gruppo parlamentare irlandese nell’Aula 15 della Camera dei Comuni. Il clima era rovente. Alla fine della riunione dopo aver votato, l’assemblea decise di destituire Parnell. Il partito, sia in Irlanda che a Westminster, si divise tra fautori e oppositori di Parnell. Egli perse tre elezioni suppletive consecutive. La salute di Parnell peggiorò, ciò non fermò la sua attività politica ma il 6 ottobre 1891 morì per un attacco di cuore accanto a sua moglie Katharine (ex signora O’Shea).

 

NON AVREMO LA HOME RULE !
(1892 – 1914)

 

Riconquistato il potere nel 1892, il partito liberale poteva finalmente disporre di una maggioranza sufficiente a far approvare l’Home Rule Bill. Nell’estate del 1892 di fronte a questa eventualità si era tenuta a Belfast una grande manifestazione degli unionisti dell’Ulster. Dopo l’approvazione di una risoluzione che invitava a non prendere parte all’elezione o ai lavori di un eventuale parlamento di Dublino, il presidente dichiarò solennemente col braccio alzato: “Non avremo alcuna Home Rule!”. Gli unionisti dell’Ulster si sentivano autorizzati a ricorrere alla forza per rispondere al tradimento dei cattolici. Anche se il secondo Home Rule Bill avesse passato le tre votazioni alla Camera dei Comuni, come effettivamente accadde, la Camera dei Lord aveva ancora il potere di veto, che in effetti applicò.
Nel 1893 venne fondata la Lega Gaelica che prese esplicitamente le distanze dall’azione politica e contemporaneamente incoraggiò l’insegnamento e la diffusione della lingua irlandese che dovevano servire a ostacolare l’anglicizzazione dell’Irlanda. Anche se si proclamava apolitico, questo movimento culturale aveva in sé un ovvio potenziale politico.
Nel 1899 il giovane giornalista Arthur Griffith propose attraverso due giornali che i deputati irlandesi regolarmente eletti al parlamento di Westminster si riunissero in un parlamento a Dublino e dessero vita a un governo il quale, pur mantenendo un legame con la Corona, fosse indipendente dall’Inghilterra. L’organizzazione politica costituita da Griffith, il Sinn Fein, perse l’unica elezione suppletiva nella quale, prima del conflitto mondiale, sfidò il vecchio Partito nazionalista irlandese.
Grazie a una serie di leggi sulla proprietà della terra, i fittavoli irlandesi poterono diventare proprietari delle terre che coltivavano: lo stato acquistava le terre dai proprietari e le cedeva ai vecchi fittavoli in cambio di un’ipoteca a lungo termine che sarebbe stata estinta con versamenti annuali: compresi gli interessi, l’ammontare risultava comunque inferiore al consueto canone di affitto. 
Nel 1906 i liberali vincono le elezioni con un’ampia maggioranza e non sono costretti a concedere la Home Rule per ottenere l’appoggio del Partito irlandese.
Nel 1910 i risultati delle due elezioni generali furono praticamente identici: i liberali e i conservatori erano in numero pari e gli ottantadue deputati nazionalisti irlandesi erano l’ago della bilancia. Si formò così un governo liberale con l’appoggio dei nazionalisti irlandesi e la prima importante misura legislativa che prese fu il Parliament Act (1911) col quale fu abolito il diritto di veto della Camera dei Lord. Si aprì la strada alla Home Rule. 
Nell’aprile 1912 due giorni prima della presentazione del progetto di legge sulla Home Rule alla Camera dei Comuni, si tenne in un sobborgo di Belfast, una grande manifestazione durante la quale 100.000 persone marciarono davanti a una tribuna. Parlando dalla tribuna, il capo del Partito conservatore inglese, promise che l’aiuto dei conservatori non sarebbe mai venuto meno”. 
Il terzo Home Rule Bill, approvato nel gennaio 1913, aveva una portata abbastanza limitata, prevedendo l’istituzione di un parlamento irlandese e di un esecutivo competente per tutti gli affari interni dell’isola ma senza alcuna possibilità di intervento su quanto riguardava la Corona, la politica estera, l’esercito, la marina e le questioni fiscali. Appena la Home Rule venne approvata senza emendamenti anche dalla Camera dei Lord, il Consiglio unionista organizzò una Forza Volontaria dell’Ulster di 100.000 uomini. Essi si preparavano a combattere per ottenere che l’Ulster fosse escluso dall’ambito della Home Rule.
Di fronte a una decisa e determinata opposizione dell’Ulster, i liberali cominciarono a pensare che l’esclusione di almeno una parte delle contee dell’Ulster dalla Home Rule potesse essere un compromesso accettabile. Il capo del Partito nazionalista irlandese dichiarò di non accettare la mutilazione della nazione irlandese. Ma ormai liberali e conservatori stavano lavorando a un accordo sulla questione dell’Ulster: i nazionalisti irlandesi erano stati messi fuori gioco. In questa situazione un piccolo gruppo di repubblicani estremisti diedero vita a una nuova organizzazione per difendere l’integrità della Home Rule: gli Irlandesi Volontari.
Venne costituito un Governo provvisorio dell’Ulster pronto ad assumere il controllo della provincia. Il comandante in capo dell’esercito inglese in Irlanda si recò a Londra per chiedere cosa dovesse fare se i suoi ufficiali si fossero rifiutati di battersi contro la Forza Volontaria dell’Ulster. Gli venne detto che qualora l’esercito avesse ricevuto l’ordine di intervenire nell’Ulster, gli ufficiali originari della regione avrebbero potuto “scomparire” mentre qualsiasi altro ufficiale che avesse disubbidito sarebbe stato congedato. Al suo ritorno in Irlanda il comandante in capo chiese agli ufficiali non residenti nell’Ulster se, richiesti di intervenire, avrebbero obbedito agli ordini o se avessero preferito essere congedati: 60 ufficiali della brigata di cavalleria di stanza a Curragh, compreso il loro comandante, risposero che avrebbero scelto le dimissioni. L’avvenimento divenne noto come l’Ammutinamento di Curragh, anche se da un punto di vista tecnico non si può parlare di ammutinamento.
Nel luglio 1914 le armi provenienti dalla Germania vennero consegnate agli Irlandesi Volontari. Sulla strada per Dublino la polizia fece un tentativo per disarmare le milizie. Gli Irlandesi Volontari però sventarono il tentativo e riuscirono a dileguarsi perdendo solo 19 dei 1500 fucili che erano stati consegnati. I nazionalisti irlandesi non poterono comunque fare a meno di notare la differenza di comportamento delle autorità inglesi: nei confronti dei cattolici avevano fatto un tentativo di sequestro delle armi che erano comunque di piccole quantità nei confronti dei protestanti non fecero nulla con delle quantità di armi ben più superiore.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale ci fu la prima grande manifestazione di protesta della classe lavoratrice irlandese. 
Allo scoppio della Grande Guerra, nell’interesse dell’unità nazionale i conservatori si impegnarono a non fare pressioni per ottenere immediatamente un progetto di legge di emendamento allo Home Rule Act. In cambio il governo liberale e il Partito nazionalista irlandese si dichiararono disposti a sospendere l’immediata applicazione della Home Rule per dodici mesi oppure fino alla fine delle ostilità, a seconda di quale periodo si sarebbe rivelato più lungo. 
1916

 

Nel 1907 Tom Clarke, un vecchio feniano repubblicano, era rientrato in Irlanda dall’America e la sua tabaccheria nel centro di Dublino divenne il punto di ritrovo della minoranza estremista repubblicana che si opponeva radicalmente ad ogni forma di dominio britannico e che aveva dato vita agli Irlandesi Volontari in contrapposizione alla Forza Volontaria dell’Ulster considerando la Home Rule come una svendita degli interessi irlandesi. Attorno a questa tabaccheria giravano uomini come il giovane nazionalista dell’Ulster MacDermott, il poeta e insegnante ossessionato dalla necessità di un sacrificio di sangue in nome dell’Irlanda Patrick Pearse, l’organizzatore sindacale e socialista repubblicano che aveva già costituito un Esercito Civico dei Lavoratori (Irish Citizen Army) per proteggere i lavoratori dalla polizia durante le agitazioni sindacali e che era il più deciso a volere una Repubblica Irlandese separata dalla corona britannica, cioè James Connolly.
Subito dopo lo scoppio della guerra i capi di questo gruppo indissero una riunione per discutere quale linea d’azione tenere durante il conflitto; venne deciso di tentare una rivolta armata contro l’Inghilterra prima della fine della guerra. 
Pearse e un piccolo gruppo segreto dei Volontari Irlandesi fissarono l’insurrezione per la Pasqua del 1916. Poche settimane prima, il giorno di San Patrizio, 17 marzo 1916, gli Irlandesi Volontari sfilarono in 2000 a Dublino davanti a Pearse e ad altri ufficiali. James Connolly quel giorno condusse il suo esercito in un giro di ricognizione dei punti chiave di Dublino.
Il piano generale dell’insurrezione a Dublino consisteva nell’impadronirsi delle posizioni strategiche del centro della città per controllare le caserme, le vie d’accesso alla città, le stazioni e il porto. 
Servivano però delle armi per estendere l’insurrezione anche ad altre città. Dalla Germania nella settimana che precedette la Pasqua sarebbero arrivati 20.000 fucili con un sommergibile; su quel sommergibile c’era un’ex funzionario consolare inglese e ardente nazionalista irlandese, Casement. Egli non nutriva molte illusioni sull’aiuto tedesco e sperava, una volta sbarcato, di raggiungere i capi della rivolta per avvertirli che, se facevano dipendere tutto da quelle armi, avrebbero fatto meglio a non dare il via all’insurrezione. Nonostante tutti gli accorgimenti presi, Casement, dopo essere sbarcato su una spiaggia la mattina del venerdì santo venne quasi immediatamente arrestato e identificato. 
Quando si seppe dell’arresto di Casement e che la nave con le armi era stata affondata dall’equipaggio tedesco dopo essere stata intercettata dagli inglesi, MacNeill, capo ufficiale dei Volontari Irlandesi rifiutò di approvare l’insurrezione e mise un annuncio sul giornale della domenica, con la sua firma, per comunicare che le manovre fissate per quel giorno erano state annullate. Ne derivò una grande confusione tra le file degli Irlandesi Volontari. Pearse, Connolly e gli altri capi decisero di emanare a loro nome un ordine in base al quale le manovre previste per la domenica erano solo rinviate di ventiquattro ore e si sarebbero quindi svolte il lunedì di Pasqua. Gli uomini che si presentarono il lunedì mattina furono molto meno numerosi del previsto.  
Quando il governo inglese seppe dal servizio informazioni della Marina che  era in progetto una specie di rivolta per Pasqua e che delle armi stavano arrivando dalla Germania in loro aiuto decise di disarmare i Volontari Irlandesi e l’Esercito Civico dei Lavoratori (l’Irish Citizen Army) e di arrestarne i capi. Il castello di Dublino venne poi informato della cattura di Casement e dell’affondamento della nave che trasportava le armi. A questo punto sembrava che un’insurrezione fosse da escludersi e tale impressione fu confermata dall’annuncio fatto sul giornale dal capo ufficiale dei Volontari Irlandesi, quindi, anche se la decisione dell’arresto non venne revocata fu deciso di rimandare ogni azione al giorno dopo (lunedì di Pasqua), nella convinzione che il pericolo di una rivolta fosse passato.
La mattina del lunedì tutti gli uomini della rivolta si ritrovarono davanti alla Liberty Hall, e i vari gruppi partirono per i posti assegnati. Il grosso degli uomini si mise in marcia con Connolly, Pearse e Clarke verso il quartier generale della rivolta: la Posta Centrale in O’Connell Street. Qui i presenti, stupefatti, furono fatti uscire e rimasero ancora più sconcertati quando all’ingresso dell’edificio Pearse proclamò la nascita di una Repubblica Irlandese. Iniziarono all’interno della Posta i preparativi per la difesa dell’edificio. I ribelli avevano il controllo di molti punti del centro di Dublino e sostanzialmente rimanevano indisturbati. 
Gli inglesi avevano a disposizione immediatamente solo 400 uomini quando scoppiò la rivolta. Il principale problema degli inglesi era quello di far affluire rinforzi e di stabilire un cordone intorno al centro di Dublino, cordone che si sarebbe progressivamente stretto intorno al quartier generale dei ribelli alla Posta Centrale. Quando arrivarono i rinforzi britannici, la prima cosa che colpì i soldati inglesi fu che le donne irlandesi offrivano loro tè, biscotti, dolci, frutta e cioccolato. Nel complesso, i ribelli trascorsero la maggior parte del tempo in una condizione di vigile inattività. I ribelli trascorrevano gran parte del loro tempo a rincorrere le voci. A un certo punto alla Jacob’s Biscuit Factory, si convinsero che erano sbarcati i tedeschi, ci furono grandi festeggiamenti prima che si rendessero conto che, in realtà, non era successo niente. La stessa convinzione si era diffusa anche tra i ribelli della Posta Centrale. Correva anche voce che il resto del paese fosse insorto a sostegno della rivolta a Dublino.
Il cordone delle truppe inglesi intorno ai ribelli asserragliati nel centro di Dublino si strinse lentamente. La sera del venerdì, la Posta Centrale era ormai in fiamme. Quella sera stessa, Pearse, Connolly e Clarke e gli altri capi dell’insurrezione abbandonarono quello che era stato il loro quartier generale. La sera del sabato, tra i difensori del quartier generale dei rivoltosi cominciò a circolare la voce che Pearse si era arreso, dopo aver ricevuto un messaggio da parte del comandante delle forze inglesi a Dublino. Infatti Pearse fu condotto in prigione. Anche Tom Clarke si arrese.
A questo punto, anche se con riluttanza, anche gli altri gruppi di insorti gettarono le armi. Gli insorti vennero arrestati e portati alla caserma Richmond. Vedendo il tricolore irlandese che sventolava ancora dal portico della Posta Centrale, gli irlandesi lanciarono grida di gioia, che provocarono ulteriori maltrattamenti da parte della scorta. In più di una occasione, però, i prigionieri che venivano condotti attraverso le strade della città dovettero ringraziare le loro scorte che li difesero dalle aggressioni degli indignati cittadini di Dublino. Una volta giunti alla caserma Richmond la polizia esaminò i prigionieri, separando i capi e i più turbolenti dagli altri ragazzi. Per costoro il trattamento fu relativamente indulgente. La corte marziale fu riservata solo a pochi, la maggioranza venne spedita ai campi di prigionia in Gran Bretagna. Con questa rivolta morirono 300 civili, 60 insorti e 130 soldati britannici.
Nel giro di poco tempo furono eseguite tutte le esecuzioni dei maggiori esponenti dell’insurrezione. La gente cominciò a guardare a questi uomini in maniera diversa. Anche se disapprovava la loro azione, non poteva fare a meno di sentirsi in qualche modo orgogliosa di loro; alla fine gli insorti fecero il loro ingresso da eroi nella storia d’Irlanda.
Il Partito nazionalista irlandese preparò una risoluzione di condanna dell’insurrezione ma anche delle esecuzioni e sottolineò che ulteriori esecuzioni avrebbero avuto conseguenze incalcolabili sulla futura lealtà degli irlandesi verso la Corona britannica. I giornali e la gente la definirono “l’insurrezione del Sinn Fein” perché si sapeva così poco dei veri capi della rivolta e delle loro motivazioni; ma il Sinn Fein non aveva avuto niente a che fare con l’insurrezione.

 

 

MICHAEL COLLINS E I BLACK AND TANS
(1917  –  9 luglio 1921)

 

Tra i molti capi ribelli che popolano la storia irlandese, solo uno può essere considerato un vero rivoluzionario: Michael Collins. Egli fu una specie di Lenin irlandese. Fece parte del gruppo che stava nel quartier generale alla Posta Centrale e di conseguenza venne successivamente internato in un campo di prigionia nel Galles settentrionale, poi rilasciato insieme ai suoi compagni a Natale del 1916.
Collins creò un’efficiente rete della Fratellanza Repubblicana Irlandese e riuscì a stabilire una rete di contatti con ogni parte del paese e ad avere informazioni su simpatizzanti appartenenti alla polizia che avevano aiutato alcuni nazionalisti nei guai dopo l’insurrezione del 1916. 
Un gruppo che comprendeva sia repubblicani militanti come Collins, sia sostenitori del non violento Sinn Fein di Arthur Griffith, presentò come candidato alle elezioni suppletive del febbraio 1917 il padre di un uomo giustiziato dagli inglesi per la rivolta del 1916. La sua vittoria stupì l’Irlanda. Nel maggio 1917, in un’altra elezione suppletiva lo stesso gruppo presentò come candidato un insorto e anche questa volta ottenne un sorprendente successo nei confronti del partito parlamentare. Eamon De Valera, il più anziano fra i capi del 1916 non condannati a morte, si presentò come candidato alla terza elezione suppletiva del 1917 sostenuto dall’apparato di Collins. Un sostegno importante venne anche da parte del clero cattolico. 
Nel settembre del 1917 un un eminente collaboratore di Collins nella Fratellanza Repubblicana, era stato arrestato per affermazioni sediziose. Morì in prigione mentre stava facendo lo sciopero della fame. Collins trasformò il suo funerale in una grande manifestazione nazionalista.
La guerra stava andando male, il governo cominciò a prendere in considerazione la possibilità di estendere la coscrizione obbligatoria all’Irlanda, tale minaccia colpì profondamente i nazionalisti irlandesi di tutte le tendenze. I Volontari Irlandesi e il Sinn Fein lanciarono una petizione contro la coscrizione obbligatoria che ottenne moltissime firme raccolte in manifestazioni di massa. Il governo alla fine lasciò cadere il progetto.
Nel dicembre 1918 si svolsero le prime elezioni generali dopo nove anni e in questo arco di tempo le liste elettorali erano radicalmente mutate: gli aventi diritto al voto erano triplicati e comprendevano ora le donne sopra i trent’anni e gli uomini a partire dai ventuno. Il risultato delle elezioni fu una vittoria schiacciante del Sinn Fein. Vari fattori favorirono questa vittoria: difficoltà del partito parlamentare a riconquistare consensi e trovare candidati; indeterminatezza del suo programma politico; soprattutto i brogli elettorali organizzati dai sostenitori del Sinn Fein. Il vecchio Partito nazionalista parlamentare era stato praticamente annientato e il Sinn Fein conquistò quasi i tre quarti dei seggi irlandesi. Molti degli eletti erano ancora agli arresti ma gli altri si riunirono a Dublino come Dail Eireann, il parlamento illegale irlandese, e proclamarono la repubblica irlandese indipendente e sovrana. Il governo inglese non si oppose dato che proclamare l’indipendenza non significava averla.
A questo punto nel gennaio 1919 si depose una speranza nel presidente americano Woodrow Wilson durante la Conferenza di pace a Parigi che fu però delusa. A metà 1919 de Valera si recò a New York per cercare di ottenere l’appoggio degli Stati Uniti ma raccolse solo denaro a sostegno della causa repubblicana e il pubblico riconoscimento per la Repubblica d’Irlanda, che era il suo primo obiettivo non arrivò. 
A una riunione della direzione del Sinn Fein, Collins espose quella che a suo avviso era l’unica politica possibile: per l’Irlanda è preferibile un periodo di disordine generale che il protrarsi della situazione attuale. Contro quei poliziotti che Collins considerava pericolosi e ostili fu scatenata una campagna di terrore. Nel giro di un anno vennero uccisi venti poliziotti e più di altri venti furono feriti. Egli stesso in quel periodo conduceva una doppia vita: era ministro delle Finanze del parlamento/governo irlandese e nello stesso tempo dirigeva e organizzava le attività dell’Irish Repubblican Army, l’IRA. Collins anche se era ricercato dalla fine del 1919 raramente ricorreva a travestimenti e percorreva tranquillamente le strade di Dublino in bicicletta, fidando nell’efficienza della sua rete di informatori e sulla sua scorta di uomini di fiducia.
Il 15 marzo 1920 il sindaco di Cork, un acceso nazionalista, venne ucciso da una banda di uomini mascherati in abiti civili, ma erano poliziotti della Royal Irish Constabulary che avevano deciso di passare alle rappresaglie. Gli uomini della banda parlavano con un accento inglese,  infatti i rinforzi per la Royal Irish Constabulary venivano arruolati in Inghilterra. A causa dell’aumento delle forze di polizia le tradizionali uniformi verde bottiglia non erano disponibili in numero sufficiente e alcune delle nuove reclute ricevettero alcune parti della loro uniforme di colore kaki. Gli venne allora affibbiato il soprannome di una famosa razza di cani, i Black and Tans. Questi, non erano una forza speciale. Poco dopo venne creata una speciale forza ausiliaria anch’essa reclutata in Inghilterra, in genere tra i reduci della Grande Guerra, la loro audacia e la loro aggressività compensavano l’esiguità del numero. Alla fine del 1920, il confronto tra il Sinn Fein che cercava di istituire una Repubblica Irlandese Indipendente e il governo britannico era degenerato in una guerriglia permanente tra due gruppi sempre più sanguinari, i “Tans” (Black and Tans + Forza Ausiliaria) e l’IRA. Ovviamente la brutalità e la spietatezza dei metodi dei Black and Tans e degli Ausiliari non poteva non identificare il popolo irlandese con questa Repubblica Irlandese. Oltre a uccidere singoli individui, l’IRA sabotava le strade per bloccare e attaccare, le forze di sicurezza inglesi, distruggeva i ponti e in generale cercava di bloccare le comunicazioni inglesi in tutta l’Irlanda. L’incendio delle case era diventata una normale forma di rappresaglia poliziesca. Tra il novembre 1920 e il giugno 1921 vengono eseguite 24 sentenze capitali nei confronti dei membri dell’IRA. I conflitti a fuoco rendevano la vita difficile per i civili.
Il 21 novembre 1920 ci fu la prima “Domenica di sangue” irlandese del XX secolo. La giornata cominciò alle nove del mattino quando Michael Collins riuscì a scovare il nascondiglio di alcuni agenti clandestini inglesi a Dublino, alcuni dei quali si facevano passare per sostenitori del Sinn Fein; quattordici di questi agenti vennero uccisi dagli uomini della sua squadra. Quel pomeriggio era prevista un’importante partita di calcio, ad un certo punto dal fondo del campo partì una raffica di mitra e dei colpi di fucile, tredici persone vennero uccise. Come ulteriore rappresaglia per le uccisioni della mattinata, due militanti dell’IRA che erano stati arrestati dalla polizia la notte precedente e un innocente sostenitore del Sinn Fein vennero assassinati nel posto di polizia del Castello di Dublino.
Il mese dopo le forze dell’ordine inglesi incendiarono il centro della città di Cork per vendicare un’imboscata nella quale erano caduti undici Ausiliari, inoltre
cercarono di impedire ai vigili del fuoco di raggiungere il luogo dell’incendio e arrivarono al punto di tagliare gli idranti di quelli che erano riusciti ad avvicinarsi. Simili azioni cominciarono a suscitare imbarazzo in Inghilterra e riprovazione nel mondo; il Partito liberale fece pressione perché si arrivasse a una soluzione politica. Ma le parti si trovavano ancora in una situazione di stallo.
Alla fine di maggio del 1921, l’IRA incendiò la Dogana di Dublino, in quel momento il più importante centro amministrativo inglese in Irlanda. Gli Ausiliari e le altre forze di polizia arrivarono mentre l’edificio era avvolto dalle fiamme ma riuscirono a circondare i militanti dell’IRA che nel frattempo avevano iniziato a sparare, due militanti dell’IRA vennero uccisi e gli altri dovettero arrendersi. La più grande operazione dell’IRA si era conclusa con un disastro.
Sul piano politico il 9 luglio 1921, de Valera e altri rappresentanti del Sinn Fein e dell’IRA si incontrarono con i rappresentanti inglesi. Due giorni dopo venne concordata una tregua. D’improvviso la violenza finì, lasciando tutti increduli.

 

LA GUERRA CIVILE (giugno 1922 – maggio 1923)
(9 luglio 1921 – 1924)

 

Il 6 dicembre 1921, dopo mesi di estenuanti negoziati tra la delegazione irlandese guidata da Michael Collins e Arthur Griffith da una parte e il governo inglese dall’altra, venne siglato a Londra un accordo che prese il nome di Trattato anglo-irlandese. In base al Trattato, ventisei delle trentadue contee irlandesi ricevettero lo stesso statuto costituzionale che il Dominion del Canada aveva a quel tempo, con un proprio esercito, una propria marina e il totale controllo degli affari interni ed esterni, pur continuando a far parte del Commonwealth e rimanendo legate da un giuramento di fedeltà alla corona. Il nuovo stato pertanto non si sarebbe chiamato “Repubblica d’Irlanda”, come aveva chiesto l’IRA, ma “Stato Libero d’Irlanda”.
Le altre sei contee entro un mese dalla ratifica del Trattato dovevano decidere liberamente se far parte o meno dello Stato Libero d’Irlanda. Esse, che avevano una maggioranza protestante, decisero di non farne parte adottando il principio di autodeterminazione delle sei contee. Ma il Trattato aveva anche riconosciuto il principio dei nazionalisti irlandesi secondo il quale l’Irlanda era un unico paese. In questo sta il conflitto d’interpretazione: quale dei due principi doveva prevalere, quello dell’autodeterminazione delle sei contee o quello dell’unità dell’isola. Comunque sia, una clausola prevedeva che, se le sei contee avessero optato per l’autoesclusione, dovesse essere istituita una Commissione per la rettifica dei confini con il compito di definire la frontiera tra le due zone “secondo il desiderio degli abitanti”. 
Un altro aspetto del Trattato era il giuramento di fedeltà al re, per molti repubblicani questa era un’autentica eresia. Così, mentre la gente comune in Irlanda accolse il Trattato con sollievo e gratitudine poiché poneva fine a due anni e mezzo di orrori e lasciava gran parte dell’Irlanda libera dal governo di Londra dopo secoli, l’IRA si divise in due e la maggioranza dei militanti considerò l’accordo come un tradimento.
De Valera, capo del “governo” repubblicano che aveva negoziato con Londra per il Trattato, era rimasto a Dublino. Aveva conferito alla delegazione pieni poteri, ma con l’ordine di non firmare alcun accordo definitivo senza prima riferirne i termini a Dublino. Durante l’ultima notte di negoziati, però, sottoposti alle pressioni del primo ministro Lloyd George, che riteneva l’accordo assolutamente improrogabile, i plenipotenziari irlandesi avevano firmato senza neppure una consultazione telefonica con Dublino. De Valera si dissociò dal Trattato e la divisione dell’IRA ebbe quindi un riflesso nella divisione tra i capi politici nazionalisti. Il Dail Eireann, dopo una serie di laceranti dibattiti, ratificò il Trattato, sia pure con una maggioranza risicata.
Nel febbraio 1922 a Belfast ci furono 138 morti e in una sola notte vennero uccise 30 persone. I cattolici cominciarono a cercare scampo a sud. L’IRA fece quanto possibile per proteggere i nazionalisti cattolici e Collins venne a trovarsi in una posizione ambigua: da una parte riforniva di armi gli esponenti dell’IRA nell’Ulster che erano contrari al Trattato; dall’altra doveva contrastare la loro opposizione nel nuovo Stato Libero. Nell’aprile del 1922 i capi della fazione contraria al Trattato occuparono e stabilirono il loro quartier generale nei Four Courts di Dublino. Anche il paese nel suo complesso diede il suo assenso al Trattato nelle prime elezioni generali che si tennero nel nuovo stato nel giugno 1922.
Il 22 giugno 1922 il consigliere per la sicurezza del capo del governo nordirlandese, venne ucciso da due uomini dell’IRA sulla porta della sua casa a Londra. Il governo inglese si convinse erroneamente che l’ordine dell’assassinio fosse partito dal quartier generale di Four Courts e fece pressioni affinché Collins prendesse provvedimenti. In caso contrario il Trattato sarebbe stato abrogato. Dopo qualche giorno di esitazione, Collins, diede agli uomini di Four Courts venti minuti per arrendersi, di fronte al loro rifiuto cominciò a cannoneggiarli con due cannoni presi a prestito dagli inglesi. Poiché le uniche munizioni a disposizione erano inadatte a colpire gli edifici, ci vollero due giorni per piegare i difensori. La guerra civile irlandese era cominciata, tra quella parte dell’IRA che aveva accettato di entrare a far parte dell’esercito del nuovo stato e coloro che vi si opposero. Dopo otto giorni di combattimenti a Dublino, durante i quali 60 persone vennero uccise e altre 300 ferite, i repubblicani dovettero arrendersi. I capi e altri alti dirigenti dell’IRA vennero imprigionati. In altre parti dell’Irlanda però la fazione dell’IRA contraria al Trattato era forte e riuscì a tenere la città di Cork. Poiché le comunicazioni nell’Irlanda meridionale erano ancora rese difficili dai repubblicani (presto chiamati “irregolari”), Collins inviò a Cork le forze dello Stato Libero via mare. La città di Cork venne conquistata facilmente all’inizio di agosto del 1922. Una settimana dopo la presa di Cork, l’Irlanda venne scossa dalla notizia che Arthur Griffith, appena cinquantenne, esaurito dal troppo lavoro era morto per un attacco di cuore. Ma il peggio doveva ancora arrivare: a Cork alle 19,30 della sera del 22 agosto 1922 il convoglio nel quale stava viaggiando Collins, trovò degli ostacoli posti per bloccare la strada. Un gruppo di “irregolari” aveva aspettato per tutto il giorno. Non appena il convoglio si fermò, cominciò la sparatoria. Mezzora dopo Collins era morto.
Il nuovo primo ministro irlandese, William Cosgrave, intraprese una legislazione d’emergenza che venne presentata e fatta approvare dal Dail. Quando i dirigenti repubblicani stabilirono che ogni membro del Dail che aveva votato per le leggi d’emergenza doveva essere ucciso a vista, il governo dello Stato Libero prese quattro membri del gruppo catturato a Four Courts cinque mesi prima e li fece uccidere senza processo. La decisione aveva ottenuto l’assenso di tutti i membri del governo.
Nel maggio 1923 poco dopo la 77a esecuzione, De Valera, la cui influenza politica era tornata a crescere in coincidenza con il tracollo militare dell’IRA, emanò (con l’assenso dell’IRA) l’ordine di “deporre le armi”. Lo Stato Libero chiese quindi al governo inglese l’istituzione della Commissione per la rettifica dei confini prevista dal Trattato. Il governo inglese venne immediatamente a trovarsi in una situazione imbarazzante, dato che James Craig, il primo ministro dell’Irlanda del Nord, rifiutò di prendervi parte e furono costretti a nominare un rappresentante per l’Ulster oltre al loro rappresentante. In questa Commissione si trovarono di fronte obiettivi contrastanti: uno, quello inglese, aspirava a semplificare i confini e quindi a consolidare la giurisdizione del governo del Nord; l’altro, quello irlandese, aspirava a modifiche sostanziali del confine annettendo allo Stato Libero le contee di Tyrone e di Fermanagh, aventi una forte popolazione cattolica e nazionalista. Dopo un intero anno di inutili discussioni, il rappresentante irlandese si dimise quando la prevedibile maggioranza dei due terzi della Commissione decise che sarebbero stati fatti solo degli aggiustamenti di minore entità. La questione restò aperta, questo accordò costituì la legittimazione della divisione dell’Irlanda.

 

DALLO STATO LIBERO ALLA REPUBBLICA
(1925 – 1949)

 

La costruzione del nuovo stato avvenne sotto la guida di dirigenti come William Cosgrave, presidente del Consiglio e Kevin O’Higgins, ministro degli Interni. Una nuova forza di polizia, la Guardia Civica, ristabilì progressivamente l’ordine. La vita riprese il suo corso abituale dopo gli sconvolgimenti della guerra civile.
Due gruppi decisero di proseguire la lotta. Un gruppo, formato dai superstiti dell’IRA decise di riorganizzarsi e di continuare a battersi per lo stesso obiettivo, una repubblica indipendente dall’Inghilterra che comprendesse l’intera Irlanda. L’altro gruppo, quello di Eamon De Valera, proponeva un approccio più articolato e non violento.
Le misure antiterrorismo rendevano difficile la possibilità per l’IRA di tornare sulla scena da protagonista. Alcuni dell’IRA avrebbero voluto imprimere alla loro attività un nuovo orientamento ideale sulla linea del socialismo nazionalista, ma la mistica repubblicana egemonizzava il pensiero degli uomini dell’IRA al punto che tendevano a considerare qualsiasi preoccupazione socio-politica soltanto una distrazione dall’obiettivo principale. I militanti dell’IRA di orientamento socialista cercarono per anni di orientare l’IRA in questa direzione, ma senza successo. Ma l’IRA era incapace di conquistare un ruolo politico. 
Le elezioni del maggio 1923 mostrarono che un numero non trascurabile di irlandesi stava dalla parte di De Valera, dal momento che vennero eletti 44 repubblicani, che costituivano un terzo dell’assemblea. Questi deputati però non presero il loro posto nel Dail dato che, da buoni repubblicani contrari al Trattato, rifiutarono di prestare allo Stato Libero il giuramento di fedeltà alla corona. Il governo dello Stato Libero aveva fatto arrestare durante la campagna elettorale De Valera quando questi era uscito dalla clandestinità. Pur eletto con una maggioranza schiacciante, egli venne tenuto in prigione per un anno. Dopo essere stato rilasciato riprese i suoi attacchi al governo, accusandolo di tradimento degli ideali repubblicani. De Valera e i suoi compagni persistettero nel rifiuto di prestare giuramento nel Dail.
Nel 1926 de Valera aveva riorganizzato i suoi sostenitori in un nuovo partito politico,  che prese il nome di Fianna Fail, i Guerrieri d’Irlanda. Ma anche la nuova formazione si autoescluse dall’azione politica rifiutando di prestare il giuramento per accedere al Dail, privando così i suoi sostenitori della possibilità di tentare democraticamente l’applicazione del loro programma politico. La gravità del problema si manifestò chiaramente nelle elezioni generali del 1927, quando il Fianna Fail ottenne quasi lo stesso numero di seggi del partito governativo. Il successo sarebbe stato anche probabilmente maggiore se molti potenziali elettori del Fianna Fail, giudicato sprecato un voto dato a un partito che comunque non avrebbe avuto rappresentanti in parlamento, non avessero preferito votare per il Partito laburista.
De Valera e alcuni altri deputati, a questo punto, si presentarono al Dail e cercarono di entrare; venne chiesto loro di prestare il giuramento di fedeltà, ma essi rifiutarono e venne chiusa loro la porta in faccia. I deputati allora lasciarono precipitosamente la sede del Dail e De Valera, dal primo piano del suo quartier generale, si rivolse alla grande folla che si era radunata nella strada affermando con parole accese di non volersi prestare a un falso giuramento.
Il 10 luglio 1927 il ministro degli Interni, venne assassinato sulla porta di casa da attivisti dell’IRA. In un momento critico per la giovane democrazia irlandese, De Valera venne mandato nuovamente al Dail. Si presentò con i suoi in aula per prendere posto e anche questa volta il cancelliere chiese loro di prestare giuramento. De Valera dichiarò fermamente che non stava affatto giurando e allontanò la Bibbia. A fianco di questa c’era il registro delle firme dei deputati che avevano prestato giuramento: De Valera vi scrisse il suo nome e questo venne ritenuto sufficiente. Finalmente l’Irlanda aveva un sistema democratico bipartitico funzionante, in cui uno dei due partiti chiedeva l’abolizione del giuramento di fedeltà.
Le dichiarazioni parlamentari di alcuni dirigenti del Fianna Fail che si distinguevano per la loro ambiguità potevano essere apprezzate anche dai militanti dell’IRA. Dopotutto, IRA e Fianna Fail condividevano lo stesso obiettivo repubblicano e il cambiamento della Costituzione, anche se il Fianna Fail si proponeva di perseguirlo con metodi legalitari.
Il Fianna Fail dunque si presentò alle elezioni generali del febbraio 1932 fiancheggiato dall’IRA e l’influenza dell’IRA nelle strade e nei seggi elettorali fu probabilmente decisiva per assicurargli lo stretto margine con cui ne uscì vincitore. Gruppi di attivisti dell’IRA durante la campagna elettorale si presentavano alla porta degli elettori per invitarli minacciosamente a votare i candidati del Fianna Fail. L’IRA organizzò anche brogli elettorali. Nel 1933 questi metodi non furono necessari perché De Valera e il Fianna Fail ritornarono al potere con un numero anche maggiore di seggi e poterono disporre, grazie anche all’alleanza con i laburisti, di una consistente maggioranza parlamentare. Sarebbero rimasti al potere per sedici anni. Non ci fu nessun tentativo di colpo di stato. Il passaggio di consegne dal partito vincitore della guerra civile agli sconfitti di ieri avvenne in modo democraticamente esemplare.
De Valera e i suoi sostenitori si misero subito all’opera per attuare il programma che avevano proposto e per modificare l’assetto costituzionale dello stato. Il giuramento di fedeltà alla monarchia inglese venne tolto dalla Costituzione, il ruolo del Governatore Generale fu ridotto ai minimi termini, le annualità agrarie (i versamenti ipotecari che i contadini irlandesi effettuavano al ministero delle Finanze inglese per diventare proprietari delle terre che coltivavano) vennero arbitrariamente sospese, il che diede origine a una guerra economica e tariffaria con la Gran Bretagna. L’unico punto sul quale non ci furono progressi fu quello delle sei contee dell’Irlanda del Nord.
I militanti dell’IRA fatti imprigionare da Cosgrave furono rilasciati. Agli uomini dell’IRA vennero offerte posizioni nell’esercito. Nel 1934, ai militanti dell’IRA che avevano combattuto nella guerra civile venne riconosciuto il diritto alla pensione.
Ma i problemi maggiori per il governo del Fianna Fail sarebbero venuti proprio dall’IRA. Nessun governo geloso della propria autorità poteva tollerare a lungo che l’IRA facesse una continua, esplicita esibizione di autonomia con pubbliche sfilate in armi ed esercitazioni. Quando de Valera chiese all’IRA la consegna delle armi e la sospensione delle sfilate militari, l’IRA rifiutò a meno che de Valera promettesse in cambio di trasformare entro cinque anni lo Stato Libero in una Repubblica. A questo punto a de Valera non rimaneva altra scelta che dichiarare l’IRA illegale. Questo provvedimento segnò l’inizio di un dissidio che si fece sempre più aspro fra l’ala politica dei repubblicani rappresentata dal Fianna Fail e i duri e puri della vecchia guardia dell’IRA . 
L’inefficacia delle proprie azioni e la pressione delle misure del governo, giunsero al punto di provocare una divisione dell’IRA in diverse correnti: i radicali di sinistra abbandonarono l’IRA per la sua indifferenza per le questioni sociali; vi era poi la divisione tra i militanti che volevano portare l’attacco contro le contee del Nord per coinvolgere de Valera e quelli che volevano colpire gli inglesi in Inghilterra. 
Nel 1937 De Valera varò la nuova Costituzione che dava al nuovo stato il nome di EIRE e reclamava per esso la sovranità sull’intera isola, nelle sei contee settentrionali il suo effettivo esercizio doveva considerarsi solo temporaneamente sospeso. Un altro articolo della Costituzione riconosce “la particolare posizione” della chiesa cattolica in quanto religione “della grande maggioranza dei cittadini” anche se non veniva “istituita” come religione ufficiale. La Costituzione del 1937 fece dell’Irlanda una repubblica in tutto e per tutto tranne nel nome.
Il governo inglese non solo accettò di buon grado l’entrata in vigore di questa Costituzione ma nel 1938 concluse con de Valera un accordo in base al quale dichiarava conclusa la guerra economica e rinunciava ai diritti militari su alcuni porti irlandesi, che la Gran Bretagna vantava in base al Trattato.
L’Irlanda riuscì a mantenere la propria neutralità per tutta la Seconda guerra mondiale e questa neutralità costituì la prova migliore della propria realtà di nazione indipendente. 
De Valera fu presidente per sedici anni. Nel 1948 il pendolo elettorale oscillò nuovamente e de Valera e il Fianna Fail vennero sostituiti da una coalizione che comprendeva il partito degli eredi del governo precedente a quello di De Valera. 
Nel 1949 il nuovo governo espletò l’ultimo adempimento costituzionale e dichiarò formalmente l’Irlanda una repubblica: in teoria tutta l’Irlanda, in pratica le ventisei contee meridionali. Ottiene anche il riconoscimento da parte della Gran Bretagna che però contemporaneamente si impegna a garantire l’autodeterminazione dell’Irlanda del Nord.

 

STORMONT
(6 dicembre 1921 – 20 marzo 1972)

 

 Il Trattato anglo-irlandese che prevedeva la possibilità dell’uscita delle sei contee del Nord dallo Stato Libero d’Irlanda, non garantiva la loro indipendenza. James Craig, capo del governo nordirlandese, dichiarò immediatamente che non avrebbe riconosciuto le conclusioni della Commissione per la rettifica dei confini perché veniva minacciata fin dall’inizio la sopravvivenza stessa dell’Ulster.
I disordini, molto gravi, scoppiati a Belfast nell’estate del 1922 provocarono 232 morti, per la maggior parte cattolici e la fuga di migliaia di cattolici al di là della frontiera, fu il riflesso della paura provocata dalla Commissione per i confini nella gente comune di fede protestante dalla minaccia rappresentata
Le attività dell’IRA nel frattempo proseguivano, col duplice obiettivo di eliminare la frontiera tra le due Irlande e la sovranità britannica. Per i protestanti del Nord essa rappresentava un pericolo permanente. Contro questo pericolo era stata varata nel 1922 una legge che prevedeva la fustigazione e la pena di morte per il possesso di armi da fuoco.
I deputati nazionalisti eletti al parlamento nordirlandese rifiutarono di occupare i loro seggi e i direttori di scuole cattoliche rifiutarono di accettare i finanziamenti dello stato e alcuni insegnanti cattolici rifiutarono persino lo stipendio. Fu solo dopo l’abolizione della Commissione per la revisione dei confini, nel 1925, che i nazionalisti entrarono nel parlamento.
Nel 1932 il principe di Galles inaugurò il nuovo edificio del parlamento nordirlandese a Stormont, un sobborgo di Dublino. Durante tutta la vita di questo parlamento gli unionisti protestanti avrebbero battuto i cattolici in tutte le elezioni. I governanti dell’Irlanda del Nord concedevano ai loro sostenitori protestanti privilegi in fatto di posti di lavoro e di case rispetto alla minoranza cattolica. James Craig rimase primo ministro fino alla sua morte avvenuta nel 1940. 
Fu a livello locale però che prese forma quel regime che i cattolici consideravano discriminatorio e i protestanti la necessaria conseguenza del passato. La società dell’Ulster era arretrata rispetto al resto del paese: vi era il problema della disoccupazione, la situazione abitativa era precaria e l’assistenza sanitaria era in condizioni peggiori. In questa situazione ogni privilegio era ferocemente difeso suscitando un intenso risentimento da parte cattolica.
CASO DI LONDONDERRY. Londonderry costituisce l’esempio più lampante di tale politica discriminatoria. La popolazione della città di Londonderry era per circa i tre quinti composta da cattolici e nazionalisti irlandesi e per il resto unionista e protestante. Nei primi cinquant’anni di vita dello stato, nel consiglio municipale di Londonderry le proporzioni erano invertite: due quinti ai cattolici e tre quinti ai protestanti. Tale risultato fu ottenuto concentrando la maggioranza cattolica in pochi collegi elettorali di grandi dimensioni, mentre i protestanti erano sparsi in collegi di minore dimensioni ma più numerosi in modo che essi ottenessero un maggior numero di seggi. Inoltre il voto era limitato ai residenti proprietari o affittuari di una casa, molti adulti erano quindi esclusi. Inoltre vi era chi aveva diritto a più voti. I protestanti, quindi, finivano per avere più voti dei cattolici anche in termini assoluti. Tutto ciò si traduceva ovviamente in un grave svantaggio per la popolazione cattolica, soprattutto per quanto riguarda la politica abitativa. Ogni anno il consiglio comunale di Londonderry dominato dai protestanti delegava i suoi poteri in materia di politica abitativa a una sottocommissione, che a sua volta conferiva tutti i poteri al sindaco, naturalmente protestante. Poiché la concessione di una casa significava automaticamente la concessione di un diritto di voto, il sindaco faceva le assegnazioni coerentemente con la sua fede protestante in uno stato protestante. La stessa situazione di discriminazione nell’assegnazione delle abitazioni si ripeteva per i posti di lavoro.
Nei cinquant’anni successivi al Trattato la politica della Gran Bretagna fu quella di non vedere, o fingere di non vedere, quanto stava succedendo in Irlanda del Nord. Questo atteggiamento venne ampiamente ricompensato durante la Lunga Guerra, quando i protestanti manifestarono con il loro valore la gratitudine per il fatto che era stato permesso loro “di tenersi ciò che avevano”, vale a dire i loro privilegi. Quando nel 1949 le ventisei contee del sud, conosciute fin dal 1937 come EIRE, diventarono una repubblica e rivendicarono la sovranità sulle altre sei, il governo laburista di Attlee espresse la sua gratitudine all’Irlanda del Nord proclamando che le sei contee avrebbero continuato a far parte del Regno Unito finché il parlamento nordirlandese non avesse deciso altrimenti. 
La campagna scatenata dall’IRA dal 1956 al 1962, nel corso della quale vennero uccise 19 persone, non turbò eccessivamente la Gran Bretagna, ma quando i servizi televisivi fecero vedere le cose più da vicino il punto di vista inglese cominciò a modificarsi, la popolazione cattolica però non sostenne questa campagna terroristica facendo perdere di reputazione l’IRA.
Nel 1963 divenne primo ministro il capitano Terence O’Neill. Leale orangista, O’Neill era anche un uomo intelligente e sufficientemente ragionevole per capire che l’Irlanda del Nord aveva bisogno di alleggerire il clima politico. Nel 1965 egli ebbe un incontro con Lemass, primo ministro del governo di Dublino. Visitò una scuola elementare femminile cattolica. In Irlanda del Nord fatti simili parevano rivoluzionari. Questi comportamenti governativi diedero il via alle provocatorie iniziative di un ministro presbiteriano che fondò un suo Partito unionista protestante in opposizione a quello di O’Neill, costituiva un ritorno al radicalismo protestante.  
Nel 1967 nella contea di Londonderry venne fondato un movimento per i diritti civili dell’Irlanda del Nord, analogo a quello creato negli Stati Uniti da Martin Luther King; l’IRA non vi partecipò. Il 5 ottobre 1968 a Londonderry il movimento per i diritti civili tenne una marcia, malgrado il divieto di William Craig, allora ministro degli Interni. La marcia venne dispersa con inutile brutalità dalla polizia. 
Il 1° gennaio 1969, uno spezzone radicale del Movimento per i diritti civili indisse una marcia da Belfast a LondonDerry, con slogan che chiedevano lavoro, case e “un uomo, un voto”. La manifestazione non venne proibita, ma ricevette solo una protezione minima da parte della polizia. I marciatori vennero attaccati lungo la strada dalla teppaglia protestante che scagliava sassi e brandiva bastoni appuntiti. Nei filmati televisivi si vedevano uomini della polizia in divisa tra gli assalitori che si guardavano bene dall’intervenire. Nessun protestante venne arrestato. La polizia invece arrestò un’ottantina di quei manifestanti che avrebbe dovuto proteggere. 
O’Neill, che aveva annunciato un corso riformistico, indisse le elezioni generali nell’intento di rafforzare la sua politica di riforme, ma ottenne un risultato opposto a quello sperato. Nell’aprile 1969 rassegnò quindi le dimissioni e venne sostituito da un altro orangista di ceto elevato. 
In aprile si ebbero disordini ma quelli di agosto a LondonDerry e a Belfast furono gravissimi. I reparti speciali della polizia si comportarono come la teppaglia protestante, con fucili mitragliatori e bombe lacrimogine ricacciarono i manifestanti cattolici che erano armati solo di pietre e di bottiglie molotov. Il 14 agosto 1969 l’esercito inglese dovette essere schierato a LondonDerry, due giorni dopo anche a Belfast, per ripristinare la legge e l’ordine. L’opinione pubblica irlandese rimase sconvolta dalle feroci aggressioni cui furono sottoposti i cattolici di LondonDerry. Il primo ministro irlandese disse che il governo irlandese non poteva “restare più a lungo a guardare”; alcuni membri del suo governo furono coinvolti in un tentativo di rifornire di armi i cattolici del Nord per consentire loro di difendersi. Dopo questi avvenimenti erano state introdotte alcune riforme: nelle elezioni locali era stato accolto il principio “un uomo un voto”, la Londonderry Corporation era stata sciolta e i reparti speciali congedati.
Nell’inverno del 1969 l’IRA si divise in due gruppi, gli “Officials” di orientamento marxista e i tradizionali nazionalisti “Provisionals”, che si proponevano di sfruttare la nuova situazione per perseguire gli antichi ideali. Non fu difficile per l’IRA, che stava consolidando il suo stretto controllo sulle aree cattoliche di Derry e Belfast, manipolare e incanalare questi sentimenti antiprotestanti per le sue finalità nazionalistiche. L’IRA era l’unica organizzazione che i cattolici nordirlandesi avevano a disposizione. Essa assunse gradualmente la direzione dei disordini nelle aree cattoliche, soprattutto a Belfast: ebbe inizio il dirottamento di autobus, il lancio di pietre, bombe contro le forze dell’ordine. Le uccisioni a sangue freddo di appartenenti alle forze di polizia cominciarono nel febbraio 1971. I posti di polizia, gli uomini della polizia fuori servizio e le loro famiglie diventarono bersaglio di attacchi.
Il governo nordirlandese venne criticato per l’inefficienza delle forze dell’ordine e i protestanti chiesero la reintroduzione dei reparti speciali. Il primo ministro venne quindi costretto alle dimissioni dalle critiche del Concilio Unionista dell’Ulster e venne sostituito da Brian Faulkner considerato più deciso e intransigente. Nell’agosto del 1971 vennero varate leggi d’emergenza che prevedevano anche l’incarcerazione senza processo. Il livello di ferocia salì più che mai.
Non erano solo gli unionisti e le forze di sicurezza inglese a opporsi alla crescente ferocia dell’IRA: anche molti della minoranza cattolica dell’Ulster esitavano ad approvare la sua politica sanguinaria e violenta. Questa parte dei cattolici pensava piuttosto a una via democratica per ottenere il riconoscimento della propria identità e delle proprie aspirazioni. Si era effettivamente costituito un nuovo raggruppamento nazionalista, il Partito socialdemocratico e laburista fondato nel 1970 da Gerry Fitt, un “repubblicano laburista” membro del parlamento di Westminster, e da John Hume, membro dell’opposizione nazionalista e cattolica di Stormont.
Il 30 gennaio 1972 ci fu una nuova Domenica di sangue, quando 13 civili disarmati vennero uccisi dai soldati inglesi nelle strade di LondonDerry. Quest’ultimo avvenimento sollevò un’ondata emotiva anche nella repubblica d’Irlanda. Una folla di 20.000 persone attaccò l’ambasciata inglese a Dublino e la diede alle fiamme. Dopo una serie di attentati dell’IRA che causarono la morte e il ferimento di molte persone il 20 marzo 1972, il governo inglese di Edward Heath si assunse la responsabilità dell’ordine pubblico in Irlanda del Nord e pose fine, dopo cinquant’anni, all’esistenza del parlamento di Stormont. Tutti i poteri tornavano a Westminster.

 

SUNNINGDALE
(20 marzo 1972 – 27 maggio 1974)

 

Il 20 marzo 1972 il governo di Londra riprese nelle proprie mani il controllo politico dell’Irlanda del Nord. I dirigenti dell’IRA Provisional, videro nel cambiamento un’utile chiarificazione della situazione: a questo punto il nemico era solo la Gran Bretagna e “la guerra doveva continuare” e infatti continuò con l’uso indiscriminato delle autobombe. Nel 1972 prese anche avvio l’Operazione Motorman dell’esercito britannico con l’obiettivo di “annullare la capacità dell’IRA di creare terrore e violenza”, obiettivo che però non venne raggiunto. Le organizzazioni paramilitari protestanti da parte loro intrapresero una campagna di assassinii di singoli cattolici.
Anche tra i conservatori cominciava a prevalere la tesi che alla lunga la riunificazione dell’Irlanda sarebbe stata l’unica conclusione logica e che si doveva lavorare su questa premessa badando a non suscitare l’opposizione degli unionisti. Gli unionisti di tutte le sfumature erano in ogni caso poco entusiasti di essere stati privati di quei poteri di autogoverno grazie ai quali si erano sentiti al sicuro durante il mezzo secolo precedente. 
Dopo un’estate che vide il centesimo soldato inglese ucciso in diciotto mesi e il “Venerdì di sangue” durante il quale a Belfast esplosero ventisei bombe dell’IRA provocando 11 vittime e più di 130 feriti, il governo inglese nel settembre 1972 presentò un progetto. Questo esordiva con la promessa agli unionisti che nessun cambiamento sarebbe intervenuto nello status dell’Ulster senza il consenso della maggioranza dei suoi abitanti. A questo impegno seguivano però due punti che misero immediatamente in allarme gli unionisti. Il primo chiedeva che la minoranza nazionalista cattolica partecipasse “all’esercizio del potere esecutivo”; il secondo riportava l’attenzione sulla “dimensione irlandese”, intendendo con ciò il contesto dell’intera Irlanda e specificamente il nazionalismo irlandese. Nel documento si affermava: “è chiaramente desiderabile che il nuovo assetto dell’Irlanda del Nord, oltre a essere gradito agli abitanti dell’Irlanda del Nord e della Gran Bretagna, tenga conto del punto di vista della Repubblica d’Irlanda. I protestanti videro l’allusione a un “Consiglio d’Irlanda” che avrebbe dovuto occuparsi dell’armonizzazione dei rapporti tra i due versanti della frontiera.
La questione rimasta aperta era se tale armonizzazione dovesse implicare un più stretto legame politico. Tuttavia l’impegno iniziale a favore dei protestanti escludeva che si potesse decidere qualsiasi cosa scavalcandoli. La questione venne affrontata in un libro bianco del marzo 1973 con termini che non potevano non risultare sgradevoli per la tradizionale mentalità unionista. In realtà, nel libro bianco non vi era nessun impegno per un cambiamento dello status quo costituzionale. L’ultimo primo ministro dell’era Stormont, Brian Faulkner, rimase primo ministro in attesa di qualsiasi assetto costituzionale l’Irlanda del Nord si fosse data.
Un’assemblea del Concilio Unionista dell’Ulster respinse con votazione a maggioranza un tentativo di sconfessare l’appoggio che Faulkner diede al progetto presentato dal governo inglese e al libro bianco. Dal voto emerse chiaramente una frattura in seno al partito e questo era un problema serio. Inoltre la minoranza del partito, guidata da William Craig, fondò un nuovo partito che non nascose i suoi legami con l’Associazione di Difesa dell’Ulster, un’organizzazione paramilitare che si opponeva al libro bianco e al progetto inglese.
Due settimane dopo la vittoria di Faulkner nel Concilio Unionista dell’Ulster, il governo inglese propose un progetto di legge per l’istituzione di un’assemblea di 78 membri per l’Irlanda del Nord. Le elezioni si tennero nel giugno del 1973 e l’astensionismo fu elevato. Gli unionisti che almeno formalmente appoggiavano il libro bianco si presentarono come “Unionisti Ufficiali”, gli altri semplicemente come “Unionisti”. I risultati furono complessivamente un successo per Faulkner e i sostenitori del libro bianco, ma all’interno dello schieramento unionista Faulkner venne sconfitto. Dei suoi 52 seggi, solo 24 furono conquistati dagli Unionisti Ufficiali. All’interno dello schieramento unionista Faulkner era quindi in minoranza.
Tre settimane più tardi, il progetto di legge che avrebbe dovuto conferire validità costituzionale all’assemblea dell’Irlanda del Nord ricevette l’assenso reale. Si stabiliva che se c’erano “ragionevoli possibilità di creare un governo dell’Irlanda del Nord che godesse di un ampio consenso”, l’Assemblea avrebbe potuto essere dotata dal segretario di Stato di poteri legislativi, purché “fosse esclusa ogni misura discriminatoria sulla base delle convinzioni religiose o politiche personali”. Faulkner quindi intraprese dei negoziati con i nazionalisti cattolici e le altre minoranze per formare un esecutivo rappresentativo e il 21 novembre 1973 annunciò di avercela fatta. L’esecutivo sarebbe stato costituito da Faulkner stesso alla presidenza, da altri cinque unionisti, da cinque esponenti del Partito socialdemocratico e laburista (nazionalisti cattolici). 
Prima che i poteri venissero trasferiti nelle mani di Faulkner, era in ogni caso necessario adempiere al secondo punto del libro bianco, ovvero affrontare il delicato problema della “dimensione irlandese”, che riguardava sia il governo britannico sia il governo irlandese. 
Il 6 dicembre 1973 fu indetta una conferenza a Sunningdale, con la partecipazione delle delegazioni dei governi inglese, irlandese e del nuovo esecutivo nordirlandese. Il 6 dicembre era anche il 52° anniversario della firma del Trattato anglo-irlandese, ed era anche la prima occasione di incontro per i capi dei due governi con il leader dell’Irlanda del Nord dal 1925, cioè dall’abbandono da parte irlandese della Commissione per la rettifica dei confini.
I capi dei partiti estremisti unionisti vennero invitati solamente a una colazione di lavoro nella quale esprimere la propria opinione. Durante la conferenza, fu indetta a Belfast una grande manifestazione degli unionisti contrari a Faulkner per esprimere la loro opposizione alla condivisione del potere con i cattolici. Dopo quattro giorni, fu trovato un accordo per il funzionamento dell’esecutivo nordirlandese.
Fu creato il Consiglio d’Irlanda che avrebbe dovuto essere un organismo consultivo per l’intera isola, composto da trenta membri dell’Assemblea nordirlandese e trenta del Dail di Dublino. Ci sarebbe stato un Consiglio dei ministri composto da sette membri del governo del Nord e sette della Repubblica dell’Eire. Per quanto riguarda un’autorità di polizia comune per tutta l’isola, si giunse a un semplice accordo di cooperazione. 
Il governo irlandese si dichiarò disposto a sottoscrivere la garanzia che “non vi potevano essere cambiamenti nello status dell’Irlanda del Nord contro la volontà della maggioranza dei suoi abitanti. Fino a quel momento la posizione irlandese, contenuta negli articoli 2 e 3 della Costituzione della repubblica, era stata diametralmente opposta, vale a dire che il territorio nazionale consisteva “nell’intera isola d’Irlanda”, pur riconoscendo che l’autorità del Dail, provvisoriamente, non si estendeva all’Ulster. Sarebbe stato però ancora meglio per Faulkner se quei due articoli fossero stati eliminati dalla Costituzione irlandese. I ministri irlandesi che parteciparono all’incontro di Sunningdale, erano personalmente dell’opinione che quegli articoli dovessero essere abrogati, ma per questo la Costituzione richiedeva un referendum nazionale il cui esito sarebbe stato troppo incerto per correre il rischio di vanificare tutti gli sforzi compiuti a Sunningdale se il voto fosse risultato contrario. 
Pochi giorni dopo il ritorno di Faulkner, le formazioni paramilitari protestanti avevano formato un Ulster Army Council per sostenere tutti gli uomini politici unionisti che si sarebbero opposti al Consiglio d’Irlanda.
In conformità degli accordi, l’esecutivo misto entrò formalmente nell’esercizio delle sue funzioni il 1° gennaio 1974. Tre giorni più tardi l’Ulster Unionist Council votò contro il Consiglio d’Irlanda. Faulkner dovette quindi dimettersi dalla direzione del Partito Unionista e fondare un proprio partito.
Il primo ministro inglese Edward Heath indisse delle elezioni generali nella speranza di rafforzare la sua posizione negoziale con i minatori che erano scesi in sciopero. Nell’Irlanda del Nord tutta la campagna elettorale fu combattuta sulla questione di Sunningdale. Si votò il 28 febbraio 1974. Dei dodici seggi, undici andarono agli unionisti contrari a Faulkner. Gli unionisti estremisti chiesero immediatamente le elezioni per rinnovare l’Assemblea dell’Irlanda del Nord. Faulkner però aveva la maggioranza all’interno dell’Assemblea e il 14 maggio 1974 l’Assemblea respinse una mozione di sfiducia nei confronti dell’esecutivo. Il Concilio dei Lavoratori dell’Ulster proclamò immediatamente uno sciopero in tutta l’Irlanda del Nord, a Belfast esso rese quasi impossibile la vita normale del paese.
Faulkner chiese un deciso intervento del nuovo governo contro lo sciopero, ma il nuovo primo ministro non fece altro che presentare gli scioperanti come dei parassiti che vivevano alle spalle del contribuente britannico.
Lunedì 27 maggio 1974 Faulkner diede le dimissioni. Il segretario di Stato per l’Irlanda del Nord del governo inglese, prese saggiamente atto che l’esecutivo aveva cessato di esistere. L’Assemblea seguì lo stesso destino: fu sciolta e infine abrogata. Gli Accordi di Sunningdale erano da considerarsi decaduti. 

 

DOPO SUNNINGDALE
(27 maggio 1974 – 1981)

 

Il fallimento di Sunningdale irrigidì le diverse posizioni nell’Irlanda del Nord. La grande maggioranza degli unionisti si rifiutò di fare qualsiasi concessione, sia alle aspirazioni della minoranza nazionalista cattolica, sia alla Repubblica dell’Eire. 
Nel maggio del 1975 si tennero le elezioni per un’Assemblea costituente nordirlandese. Le elezioni diedero una maggioranza decisamente contraria a ogni condivisione del potere con i cattolici e a ogni approccio “panirlandese” al problema dell’Ulster. L’inevitabile voto a favore di un ritorno al sistema maggioritario quale era in vigore all’epoca del parlamento di Stormont evidenziò l’inutilità dell’Assemblea costituente, che venne sciolta nel marzo del 1976.
La dura politica di sicurezza pubblica adottata dal nuovo segretario di Stato, unitamente a una maggiore attenzione per gli interessi economici dell’Irlanda del Nord ridussero per un certo tempo l’influenza dell’IRA. 
Il 30 marzo 1979, il portavoce per l’Irlanda del Nord, Airey Neave, fu ucciso da una bomba repubblicana irlandese. Questo fatto costituì una novità perché fu ucciso un eminente uomo politico. 
Quando i conservatori guidati da Margaret Thatcher vinsero le elezioni generali del 1979, il nuovo segretario di Stato per l’Irlanda del Nord divenne Humphrey Atkins che convocò una conferenza costituzionale per sondare le possibilità di sviluppo in questa direzione. Ma l’intransigenza delle posizioni dei partecipanti fece fallire la conferenza.
Nella Repubblica d’Irlanda gli inglesi non volevano che i nazionalisti democratici perdessero terreno nel sostegno dell’opinione pubblica cattolica a vantaggio dei repubblicani violenti dell’IRA e quindi cercarono di recuperare proprio “la dimensione irlandese”. Questa sarebbe stata la loro politica nel corso del decennio seguente (1979-1990).
Era di nuovo il momento di rivolgersi a Dublino. Entrambi i partiti politici irlandesi, il Fianna Fail e il Fine Gael, erano di tradizione repubblicana e discendevano dal Sinn Fein del primo Dail del 1919. Ma il Fianna Fail, che faceva risalire le sue origini a quei repubblicani che consideravano il Trattato del 1921 un tradimento, era il partito la cui collaborazione era maggiormente necessaria.
Margaret Thatcher era istintivamente sicura che trattare con Haughey significava andare al cuore del problema, poiché egli rappresentava una tradizione repubblicana intransigente ma politicamente realista. Il primo ministro britannico aveva fatto in modo che il vertice di Dublino fosse preceduto da una dichiarazione sul futuro costituzionale dell’Irlanda del Nord rassicurante per gli unionisti. Nel dicembre 1980, avvenne l’incontro tra Haughey e la Thatcher; si trattò di un incontro storico, il primo a Dublino tra un primo ministro inglese e un primo ministro irlandese dai tempi del Trattato. Se in termini strettamente diplomatici fu un successo, sotto l’aspetto politico non si può dire altrettanto. 
Molti unionisti erano preoccupati del più stretto legame che si profilava con l’Eire e delle interferenze repubblicane nelle questioni nordirlandesi. I piani di Haughey erano quelli di assicurare il ritiro finale della presenza militare e politica dell’Inghilterra dall’Irlanda del Nord. Il governo inglese, a suo avviso, doveva fare la sua parte contribuendo al formarsi di questo consenso e dando il suo sostegno a un’Irlanda unita. Ma gli unionisti erano pronti a non arrendersi. Questi sentimenti erano un punto fermo di cui occorreva tener conto se si voleva trovare una soluzione, insieme all’altro punto fermo, quello dell’IRA. 
La minoranza democratica del Nord formata da nazionalisti irlandesi che miravano alla riunificazione dell’Irlanda per via pacifica era disposta ad aspettare per ottenere questo risultato attraverso il normale processo democratico e il peso esercitato dalla “dimensione irlandese”. C’era però il problema che nell’Irlanda del Nord non esisteva neppure una struttura politica al cui interno questo processo democratico potesse avere luogo.
Tra la minoranza nazionalista cattolica dell’Ulster e i cattolici dell’Eire durante i decenni di separazione si erano fatalmente sviluppate delle differenze. Nel Nord il nazionalismo era diventato una necessità difensiva per chi viveva all’interno di uno stato protestante. Al Sud il nazionalismo era una specie di obbligo nostalgico, sancito dalla Costituzione e formalmente osservato dai politici, ma via via sempre meno legato alla vita quotidiana dei cittadini della repubblica.
All’inizio del 1981 i militanti dell’IRA in carcere iniziarono lo sciopero della fame lasciandosi morire. L’IRA li dichiarò subito dei martiri. Queste morti causarono una marcia di protesta all’ambasciata inglese di Dublino. La dimostrazione era stata in gran parte organizzata nell’Irlanda del Nord e si ebbe un attacco di grande violenza contro la polizia irlandese che proteggeva l’edificio. Margaret Thatcher, con la sua caratteristica ostinazione, rifiutò ogni concessione e i rapporti con il governo di Haughey a Dublino peggiorarono.

 

L’ULSTER DICE NO !
(1981 – 1994)

 

Prior, segretario di Stato per l’Irlanda dal 1981, iniziò a lavorare all’idea di una nuova assemblea elettiva cui delegare gli affari interni dell’Ulster e che “fosse accettabile ad entrambe le comunità”. La differenza stava nel fatto che questa volta l’assemblea avrebbe sviluppato i propri poteri esecutivi gradualmente, un principio che venne detto della “devoluzione progressiva”. Il progetto di legge per la costituzione dell’Assemblea venne approvato nel luglio del 1982 e le elezioni si tennero in ottobre. Il popolo dell’Irlanda del Nord era pronto a votare per eleggere un’Assemblea, ma l’Assemblea servì soltanto a chiarire che la sua maggioranza protestante non era pronta a discutere nessun cambiamento. La maggioranza degli unionisti non era disposto a condividere il potere con i cattolici. L’Assemblea venne sciolta solo nel 1986 ma aveva smesso da tempo di avere un ruolo significativo. 
Alla fine del 1982, quella che Garry Fitzgerald stesso definì la “porta girevole” della politica irlandese lo portò, in qualità di leader del Fine Gael, al potere a Dublino al posto di Haughey. Sulla questione dell’unità dell’Irlanda la sua posizione si allontanava dal dogma repubblicano. Fitzgerald, personalmente, avrebbe preferito vedere unita l’isola perché più le tradizioni cattolica e protestante entravano in contatto più avrebbero potuto giovarsi del reciproco scambio. Ma egli comprendeva che si trattava di una prospettiva piuttosto irrealistica a breve e a medio termine.
Quello che i protestanti speravano di ottenere era ovviamente un impegno alla cancellazione degli articoli 2 e 3 della Costituzione della Repubblica d’Irlanda, ovvero una rinuncia alle rivendicazioni sull’Irlanda del Nord. Fitzgerald accettò una proposta avanzata da John Hume capo del Partito socialdemocratico e laburista per un incontro da tenersi nella Repubblica, nel quale le parti in causa avrebbero esaminato congiuntamente il futuro dell’Ulster. Il forum si svolse a Dublino e durò più di un anno, ma gli unionisti non vi presero parte. Nella risoluzione finale resa pubblica nel maggio 1984 furono presentate tre opzioni: un’Irlanda unita consensualmente, uno stato federale oppure una “autorità congiunta” sull’Irlanda del Nord. Fitzgerald insistette nel dire che si trattava solo di suggerimenti e non di proposte concrete. A tutto ciò Margaret Thatcher diede una risposta in autentico stile unionista rifiutando decisamente le opzioni con un triplice “No”.
I risultati delle elezioni locali in Irlanda del Nord nel maggio del 1985 diedero nuovo impulso alla trattativa. L’Accordo anglo-irlandese fu siglato a Hillsborought Castle il 15 novembre 1985. Il primo articolo ribadiva da parte sia della Gran Bretagna che dell’Irlanda, che ogni cambiamento dello status dell’Irlanda del Nord non poteva prescindere dalla volontà della maggioranza dei suoi abitanti. Venne indetta una Conferenza intergovernativa presieduta dal segretario di Stato inglese e dal ministro degli Esteri irlandese per affrontare su base permanente gli aspetti politici, di sicurezza e giuridici riguardanti l’Irlanda del Nord e i rapporti tra le due isole. La Conferenza avrebbe avuto un segretario con sede a Maryfield presso Belfast, con un personale inglese e irlandese. Le due parti erano concordi nell’auspicare l’istituzione di un governo nordirlandese e al governo irlandese veniva concesso di utilizzare la Conferenza per avanzare proposte su come rendere compatibile tale governo con gli interessi della minoranza cattolica nell’Ulster. Gli unionisti erano imbarazzati, sconcertati, sconvolti, impauriti e confusi. Tutti e quindici i parlamentari unionisti si sarebbero dimessi e avrebbero affrontato le elezioni suppletive con lo slogan “l’Ulster dice no!” Essi raccolsero oltre 400.000 voti che avevano questo preciso significato.
Il riesplodere del conflitto armato e terroristico da ambo le parti, manifestazioni di protesta e un nuovo bagno di sangue fu il risultato dell’Accordo.
Una volta che gli unionisti si furono resi conto che l’Accordo anglo-irlandese era ormai una realtà e che la protesta non lo avrebbe cancellato, ebbe inizio una frenetica girandola di contatti tra le parti. A questo punto l’obiettivo dei lealisti era di trovare qualche forma di collaborazione col governo britannico per sostituire quell’Accordo con qualcosa d’altro. Il pendolo oscillò quindi di nuovo verso il negoziato. 
In cambio del superamento dell’Accordo anglo-irlandese, gli Unionisti Ufficiali non avrebbero avuto nulla da obiettare a definire gli accordi con l’Eire su questioni pratiche come il turismo, la pesca e le comunicazioni e, cosa ben più importante, avrebbero lasciato cadere la loro storica, intransigente opposizione a una cogestione del potere con i cattolici in una eventuale nuova Assemblea.
Era chiaro che non si poteva fare alcun progresso senza la pacificazione, ma ciò voleva dire persuadere quanti all’interno del Sinn Fein avevano influenza sull’IRA affinché la convincesse che la difesa degli interessi della nazione irlandese richiedeva la cessazione della violenza. All’inizio degli anni Novanta, Hume riprese i suoi incontri con Gerry Adams del Sinn Fein per concordare principi d’azione comuni per poi discuterne col governo irlandese e in un secondo tempo con quello inglese.
Il 15 dicembre 1993 John Major, primo ministro inglese, e Albert Reynolds, capo di un governo di coalizione dominato dal Fianna Fail, firmarono la Dichiarazione di Downing Street, risultato ultimo di questi anni di discussioni e incontri. In un certo senso fu questo l’aspetto più rilevante della Dichiarazione: per la prima volta il partito irlandese più legato alla tradizione repubblicana e nazionalista aveva accettato di farsi garante dello status dell’Irlanda del Nord affermando che “sarebbe sbagliato tentare di imporre l’unificazione dell’Irlanda in assenza del libero consenso della maggioranza del popolo nordirlandese.
Il documento riconosceva che, per evitare i fallimenti del passato era necessario trovare un difficile punto di equilibrio tra le paure degli unionisti, l’ansia dei cattolici nordirlandesi per la loro identità e la tradizione nazionalista nel suo complesso. Reynolds affermò che “nel caso di una sistemazione complessiva il governo irlandese proporrà e sosterrà degli emendamenti alla Costituzione tali da riflettere integralmente il principio del libero consenso dell’Irlanda del Nord”. La Dichiarazione di Downing Street ha riconosciuto che la tradizione unionista è quella dalla quale dipende il successo o il fallimento. La prudente, ma positiva, reazione degli Unionisti Ufficiali è una prova del successo conseguito dalla Dichiarazione stessa. Ancora più importante è stato il cessate il fuoco proclamato dall’IRA nell’agosto 1994, seguito due mesi più tardi da quello delle organizzazioni paramilitari protestanti. 

 

Fonte: Appunti personali del libro di Robert Kee, Storia dell’irlanda. Un’eredità rischiosa, Bompiani, V ediz., Milano, 1997

 

Fonte: http://digilander.libero.it/callegari/files/Storia/Storia%20dell'Irlanda.doc

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