Storia Olanda

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Storia Olanda

Il centro dell’economia-mondo europea nel XVII secolo: l’Olanda.

  • La repubblica delle Sette Province Unite

La Repubblica delle Sette Province Unite - di cui l’Olanda è la più importante e per questo ha finito per dare il suo nome a tutto l’insieme - nacque nel 1579, quando nel corso dell’insurrezione contro la dominazione spagnola, i Paesi Bassi si divisero in due parti: le province del Sud rimaste fedeli alla Spagna, le sette province del Nord divenute indipendenti. La guerra con la Spagna durò a lungo, finì, di fatto, all’inizio del’600, ma la Spagna riconobbe formalmente l’indipendenza dell’Olanda solo alla fine della guerra dei trent’anni nel 1648.
L’Olanda era una repubblica di mercanti, nella quale il diritto a governare derivava dal successo negli affari e non dai titoli di nobiltà. Il governo era molto sensibile agli interessi dei ceti imprenditoriali e svolgeva una politica estera che tendeva a difendere il commercio olandese in ogni parte del globo. Le sette province avevano una larga autonomia e lo stato era gestito con i criteri di una società per azioni che mira alla produzione di un profitto sempre maggiore. La libera circolazione delle idee, lo sviluppo tecnologico e scientifico era favoriti e l’Olanda divenne ben presto un rifugio sicuro per chi era perseguitato nella sua patria.

Lo sviluppo commerciale

Nel corso dei decenni intorno al 1600 gli olandesi erano diventati la prima potenza mercantile del Baltico, sostituendosi alle città tedesche dell’Hansa; erano comparsi inoltre con forza nel Mediterraneo, spodestando definitivamente il dominio veneziano.
Ma il caso più clamoroso d’espansione olandese fu nell’oceano Indiano, compiuto dagli olandesi ai danni dei portoghesi.

La Compagnia riunita delle Indie orientali.

Nel 1602 i mercanti olandesi crearono la Compagnia riunita delle Indie orientali su iniziativa del governo, che le diede il monopolio dei commerci ad est del Capo di Buona Speranza e ad ovest dello Stretto di Magellano, nonché l’autorizzazione a costruire fortezze, compiere azioni militari e stipulare trattati con altri stati. La Compagnia cominciò una vera e propria guerra commerciale contro le basi portoghesi, inglesi e spagnole: nel volgere di pochi anni si insediò stabilmente nelle Molucche, a Ceylon, a Giava, dove nel 1619 fondò la città di Batavia, e poi in India, nel Borneo e a Formosa. Nel 1640, quando il Giappone chiuse tutti i propri porti agli occidentali, gli Olandesi furono gli unici a cui venne concessa una base commerciale, nell’isoletta di Deshima, nella baia di Nagasaki. A metà del XVII secolo la Compagnia aveva quasi annientato l’impero commerciale portoghese e ad avere il monopolio del commercio delle spezie: cannella, chiodi di garofano, noce moscata e macis (così viene chiamata la buccia della noce moscata). Inoltre controllava il commercio delle porcellane cinesi, molto apprezzate in Europa.
Ai portoghesi rimaneva solo la base di Goa, in India e di Macao, in India, in piena decadenza.
Inoltre, già dal 1623, la Compagnia olandese si era installata nell’Africa australe, fissando basi commerciali e militari al Capo di Buona Speranza.
In America settentrionale gli olandesi possedevano la colonia di Nuova Amsterdam (la futura New York) e in quella meridionale la colonia della Guyana olandese e, per un breve periodo, anche parte delle coste nord est del Brasile.
La Compagnia olandese non si limitava a portare ad Amsterdam e in Europa i prodotti dell’Estremo Oriente, ma si accaparrò, scavalcando i concorrenti asiatici, anche una parte consistente dei traffici interni all’Asia sudorientale, scambiando, per esempio, le spezie di Giava e di Sumatra con i tessuti di cotone e di seta indiani o con le porcellane cinesi; i profitti così ottenuti riducevano di molto la necessità di importare metalli preziosi dall’Europa per saldare i pagamenti.
Insomma, a metà Seicento non esisteva più un ramo mediterraneo del commercio delle spezie, con il suo centro a Venezia. L’apertura della rotta olandese verso l’Indonesia aveva avuto conseguenze rivoluzionarie: i traffici arabi verso il golfo Persico e il mar Rosso erano praticamente scomparsi e i veneziani, che non trovavano più pepe da acquistare ad Alessandria e nei porti di Siria, avevano dovuto cominciare a rivolgersi ad Amsterdam.

Amsterdam come centro d’afflusso e smistamento di merci.

Nel’600 l’Olanda importava

Legno dalla Norvegia, dalla Svezia, dalla Germania;
Ferro dalla Svezia e dalla Germania;
Grano dalla Prussia e dalla Polonia;
Pesce secco dalla Norvegia;
Vino dalla Francia, dalla Spagna e dal Portogallo;
Olio e frutta mediterranea dalla Spagna e dal Portogallo.
Zucchero dalle Antille e dal Brasile;
Spezie dall’Indonesia.

Queste merci erano spesso riesportate in altri paesi.

Una delle caratteristiche di Amsterdam è l’enorme concentrazione e ammasso di merci: i magazzini della città rigurgitano di tutti i tipi di prodotti possibili.
L’abbondanza sempre disponibile di merci e di denaro è una delle ragioni della superiorità di Amsterdam che, stoccando e accumulando la mercanzia, riesce a determinare il prezzo di tutte le derrate di cui governa la distribuzione. L’abbondanza della riserva di merci di cui la città dispone le permette di controllare i flussi e di dirigere l’orchestra dei prezzi europei.
Lo stoccaggio e il deposito, imposti fra l’altro dalla lentezza delle comunicazioni e dall’irregolarità della circolazione, sono il cuore della strategia economica olandese; gli olandesi detengono un monopolio, quello del deposito delle merci.

 

L’impetuoso sviluppo economico di Amsterdam e dell’Olanda può essere evidenziato anche dal rapido accrescimento della popolazione.

 

 Aumento demografico e forte densità della popolazione urbana.

La crescente prosperità delle Province Unite, nel secolo XVII, è intimamente legata all’aumento della popolazione, ed in particolare della popolazione urbana: "un milione di abitanti nel 1500, due milioni nel 1650 (dei quali quasi un milione nelle città)", secondo Braudel. L’Olanda era, nel secolo XVII, la regione europea più densamente popolata e con la maggiore concentrazione urbana. Sembra che Amsterdam abbia visto triplicare la sua popolazione tra il 1560 e il 1622 e quadruplicare in un secolo, oltrepassando i 200.000 abitanti. Le Province Unite costituiscono il primo paese in cui la popolazione urbana oltrepassa, in numero, la popolazione rurale, facendo sì che i settori secondario e terziario fossero più importanti del settore primario.
Questo aumento sfolgorante della popolazione si deve, in larga parte, all’emigrazione, conseguenza dell’attrazione esercitata dalle città delle Province Unite sugli abitanti dei paesi vicini, e principalmente, la migrazione di borghesi e artigiani dal sud verso il nord dei Paesi bassi.

 

Agricoltura, aringhe e ……balene

Le Province Unite, visto il poco territorio disponibile, avevano puntato sulla produttività dell’allevamento e dell’agricoltura.
L’agricoltura era particolarmente produttiva, grazie ad un ampio uso di concime animale e alle sapienti tecniche di rotazione delle colture. Un ruolo importante lo avevano le piante tintorie (per tingere i tessuti) e campo in cui le Province Unite non avevano concorrenti.
Un’altra importante fonte di ricchezza erano le aringhe: affumicate e salate alimentavano tutte le popolazioni del Mar Baltico e del Mare del nord. Alla pesca delle aringhe si era aggiunta quella delle balene che facevano convergere verso Amsterdam tonnellate di olio.
Ma il vero strumento della grandezza olandese era la flotta, che da sola equivaleva all’insieme delle flotte europee. A partire dal 1570 i cantieri navali olandesi avevano creato uno straordinario naviglio mercantile, fatto di navi robuste, di grande portata e tecnologicamente all’avanguardia, tanto che venivano esportate all’estero, perfino in Spagna e a Venezia.
Lo sviluppo e la grandezza di Amsterdam hanno avuto origine dal collegamento che le sue navi assicuravano tra l’area economica settentrionale e l’area atlantica.

 

Il centro dell’economia-mondo europea nel XVIII secolo: l’Inghilterra.

Vengono proposti una serie di testi che mettono in evidenza:
a) la posizione di svantaggio economico e commerciale in cui si trova l’Inghilterra rispetto all’Olanda nel corso di tutto il Seicento;
b) il rapido sviluppo commerciale inglese nel ‘600 e nel ‘700;
c) la trasformazione in senso capitalistico della sua agricoltura;
d) il ruolo fondamentale del commercio triangolare nell’economia inglese;
e) il conflitto commerciale e militare tra Olanda e Inghilterra;
f) la nascita della monarchia costituzionale inglese.

LE INIZIATIVE COMMERCIALI INGLESI

La prima comparsa degli inglesi sulle grandi rotte commerciali oceaniche era avvenuta con la guerra da corsa (una forma di pirateria autorizzata dallo stato) contro i convogli spagnoli nell’Atlantico; negli ultimi anni del Cinquecento, poi le navi britanniche si erano aperte la via verso l’oceano Indiano e la Compagnia inglese delle Indie orientali era stata creata già nel 1600, con due anni di anticipo sugli olandesi.
Anche la Compagnia inglese aveva ricevuto dalla Corona il monopolio dei commerci inglesi nella stessa zona in cui operava la compagnia olandese. Ma i capitali e la flotta di cui disponevano all’inizio gli inglesi erano molto inferiori a quelli degli olandesi, che per tutto il XVII secolo conservarono la preminenza nel commercio con l’Estremo Oriente. Nel XVIII secolo i rapporti di forza si modificarono progressivamente a favore degli inglesi, che con la Guerra dei Sette Anni (1757-1763) stabilirono la loro egemonia sull’India.
Anche nel settore tessile, gestito dai mercanti imprenditori secondo il sistema a domicilio1, l’Inghilterra occupava solo il secondo posto.
I tessuti inglesi avevano bisogno di essere esportati per subire alcune operazioni finali come la tintura, nella quale gli artigiani dei Paesi Bassi avevano una solida esperienza. Erano così gli olandesi a trarre il maggior profitto dalla vendita dei tessuti britannici in Germania e nei Paesi che si affacciavano sul Baltico, controllando le due operazioni decisive per l’aumento di valore del prodotto, che erano la tintura e il commercio.
Fornita però di solide basi agricole, nella seconda metà del 1600 l’economia inglese si avviò a raggiungere e poi superare quella olandese.

nota:
Così chiamato perchè l’operaio lavorava a casa: l’imprenditore gli consegnava il telaio e il filo, e ritirava il prodotto finito.

 

 

L’ evoluzione del commercio inglese

LO SVILUPPO DI UNA NUOVA AGRICOLTURA

L’Inghilterra fu il paese europeo dove si verificarono le maggiori innovazioni agricole nel corso del 1700, tanto che si parla di una vera e propria rivoluzione agraria: essa si basò su un nuovo sistema di rotazione delle culture, su uno stretto rapporto tra agricoltura e allevamento del bestiame e sull’invenzione di nuove macchine che resero più facile il lavoro dei campi. Fra queste macchine ci furono la macchina seminatrice, costruita da Jethro Tull nel 1700, l’aratro triangolare, brevettato nel 1730, che consentiva di rivoltare le zolle con un aratro tirato da due soli cavalli e guidato da un solo uomo, mentre con l’aratro tradizionale erano necessarie dalle due alle quattro coppie di buoi e due uomini per aratro. Per quanto riguarda la rotazione, invece di lasciare a riposo un terzo del terreno, lo si coltivò a legumi, che arricchivano il terreno con azoto e a foraggio, come il trifoglio, per alimentare per gli animali, il cui numero aumentò notevolmente. Avere più animali significava non solo avere più carne e latte, ma anche più letame per concimare il terreno.

In Inghilterra nasce l’agricoltura capitalistica

Alle innovazioni tecnologiche si accompagnò un altro importante elemento di cambiamento: la trasformazione dei rapporti sociali, cioè la modifica del rapporto tra proprietari e contadini.
I grandi proprietari terrieri inglesi avevano una mentalità capitalistica, cioè volevano impiegare il loro capitale in modo che la terra producesse sempre di più in modo da commercializzare il prodotto ed ottenere profitti sempre maggiori..
Per fare ciò dovevano investire molto denaro in sementi selezionate, opere di canalizzazione, attrezzi moderni e aumentare le dimensioni delle loro aziende (grande azienda capitalistica), per il pascolo e per i terreni seminati.
Decisero quindi, col sostegno del Parlamento inglese, di dividere le terre comuni (recinzioni o enclosures) che dal Medioevo venivano utilizzate da tutta la popolazione dei villaggi, in modo da poter sfruttare i loro appezzamenti in piena autonomia.
I piccoli contadini non avevano tutti i mezzi della grande azienda capitalistica; furono costretti a vendere ai grandi proprietari i loro poderi e a diventare lavoratori salariati nelle grandi fattorie o, di lì a poco, nella nascente industria

IL COMMERCIO INGLESE E IL TRAFFICO TRIANGOLARE

Secondo Adam Smith, la scoperta dell’America e il periplo del Capo di Buona Speranza sono “i due più grandi e importanti avvenimenti che ricordi la storia dell’umanità”.
L’importanza della scoperta dell’America non stava nei metalli preziosi, bensì nel nuovo e inesauribile mercato da essa offerto alle merci europee.
Uno dei principali effetti di quella scoperta fu di “innalzare il sistema mercantile ad un grado di splendore e di gloria a cui altrimenti non avrebbe potuto mai pervenire”. Essa provocò un aumento enorme del traffico mondiale.
Il Seicento e il Settecento furono i secoli del commercio, così come l’Ottocento quello della produzione.
Per l’Inghilterra quel commercio fu in primo luogo il commercio triangolare.
Nel 1718 William Wood disse che il traffico degli schiavi era “la fonte e l’origine da cui derivano tutti gli altri commerci”. Pochi anni dopo Postlethwayt descrisse la tratta degli schiavi come “principio e fondamento di tutto, motore che mette in azione tutte le ruote di una macchina”.
In questo commercio triangolare l’Inghilterra - come l’America - fornì le merci di esportazione e le navi; l’Africa la mercanzia umana; le piantagioni le materie prime coloniali.
La nave negriera salpava dalla madrepatria con un carico di manufatti. Questi erano scambiati proficuamente sulla costa africana con negri, che venivano poi venduti nelle piantagioni, con un ulteriore profitto, in cambio di prodotti coloniali da smerciare e lavorare nella madrepatria.
Man mano che aumentava il volume del commercio, al traffico triangolare si aggiunse, senza mai sostituirlo, il commercio diretto con la madrepatria e le Indie Occidentali con lo scambio diretto tra manufatti e prodotti coloniali.
Il traffico triangolare fornì perciò un triplice incentivo all’industria britannica: i negri venivano acquistati con manufatti inglesi; trasportati nelle piantagioni, essi producevano zucchero, cotone, indaco, e altri prodotti tropicali, la cui trasformazione creava nuove attività industriali in Inghilterra, mentre il mantenimento dei negri e dei loro padroni offriva un altro mercato all’industria inglese, all’agricoltura della Nuova Inghilterra e alle pescherie di Terranova.
Nel 1750 era difficile trovare una città commerciale o manifatturiera in Inghilterra che non fosse in qualche modo collegata con il traffico triangolare o con quello diretto con le colonie. I profitti ricavati costituirono uno dei principali elementi di quell’accumulazione di capitale che finanziò in Inghilterra la rivoluzione industriale.
Le isole delle Indie Occidentali divennero il fulcro dell’impero inglese, di un’importanza estrema per la grandezza e la prosperità dell’Inghilterra.
Furono gli schiavi negri a fare delle colonie dello zucchero le colonie più preziose di tutta la storia dell’Imperialismo.
Per Postlethwayt esse erano “il sostegno e la base fondamentale” delle colonie, “gente preziosa” il cui lavoro forniva all’Inghilterra tutti i prodotti di piantagione. (...)
Nel 1697 le importazioni britanniche da Barbados superarono di 5 volte in valore le importazioni complessive dalle colonie produttrici di cereali. La piccola Barbados rendeva al capitalismo britannico più della Nuova Inghilterra, di New York e della Pensylvania messe insieme (...)
Il commercio triangolare e quello ad esso collegato con le isole dello zucchero, per effetto del traffico marittimo che suscitavano, valevano per l’Inghilterra più delle sue miniere di stagno e di carbone. Erano colonie ideali. Senza di esse la Gran Bretagna non avrebbe avuto oro e argento e la sua bilancia commerciale sarebbe stata deficitaria...

L’Atto di Navigazione

Per incrementare la flotta ed incoraggiare la navigazione di questa nazione si stabilisce che nessun bene o merce qual che sia potrà essere importata o esportata nelle o dalle terre, isole, piantagioni o territori in proprietà o possesso di Sua Maestà in Asia, Africa o America su nave o navi, vascello o vascelli che non siano navi o vascelli che appartengono veramente e senza frode unicamente agli abitanti di Inghilterra, e Irlanda, e che non siano costruiti o appartengano a qualcuna delle dette terre, isole, piantagioni o territori, in proprietà o in possesso di pieno diritto, e sulle quali il capitano e tre quarti almeno dei marinai non siano inglesi, sotto pena della cattura e della perdita di tutte le merci e i beni importati ed esportati come anche della nave o vascello con tutti i suoi cannoni, mobili, equipaggiamenti, munizioni e apparecchi.

(dall’Atto di navigazione del 1660.)

nota:
l’atto di navigazione fu emanato per la prima volta nel 1651 dall’Inghilterra sotto il governo Cromwell e ribadito nel 1660

Il conflitto tra Olanda e Inghilterra visto da Colbert

 

[...] delle quattro maggiori nazioni europee che ora commerciano nelle Indie, cioè i Francesi, gli Inglesi, i Portoghesi e gli Olandesi, i Portoghesi sono stati a lungo soli padroni di questo commercio, dopo aver sottomesso al loro dominio tutte le isole dell’Asia e posto diversi stabilimenti considerevoli in tutte le coste dell’Africa, della Persia, delle Indie, della Cina e del Giappone, e che questa grande potenza è notevolmente diminuita dopo che gli Olandesi hanno introdotto il loro commercio in quei medesimi paesi [. .]
Gli Olandesi sono ora padroni di tutte le isole e anche di tutti i paesi produttori di spezie, e il loro impegno a conservarsi questo commercio è tale che essi distruggono e spopolano tutti i paesi che ne possono produrre [...1 E se il loro impegno giunge fino a questo punto, lo oltrepassa senz’altro quando tende a scacciare, potendolo, tutte le altre nazioni e rendersi padroni di tutto [...].
L’aumento a cui si mira del commercio inglese, deve avvenire perciò per mezzo della diminuzione del numero delle navi di un’altra nazione [...]. Si deve dunque concludere necessariamente che l’Inghilterra non può trovare una possibilità di maggior lavoro per le navi dei suoi sudditi o di aumentarne il numero, se non per mezzo di una diminuzione delle navi olandesi.
Si aggiunga che il commercio cagiona, in guerra e in pace, una lotta continua tra tutte le nazioni europee, per decidere quale fra loro deve averne la parte maggiore.

(da J. B. Colbert, 1669)

 

La nascita della monarchia costituzionale in Inghilterra

Nel corso del ‘600 in Inghilterra ci fu un scontro radicale tra i sovrani della dinastia Stuart e il parlamento di Londra, che portò alla nascita di una nuova forma statale: la monarchia costituzionale.
I sovrani tendevano a governare in modo assoluto1, non rispettando le tradizionali prerogative del parlamento inglese e le nuove aspettative della borghesia e della gentry2 rappresentate dal parlamento. Il parlamento, invece, voleva che il re sentisse la sua opinione prima di prendere iniziative importanti come dichiarare una guerra o mettere nuove tasse.
I problemi religiosi, inoltre, complicavano la situazione: la religione ufficiale dell’Inghilterra era quella anglicana, ma tra la popolazione si erano diffuse anche altre versioni di cristianesimo, soprattutto il calvinismo; il re e la vecchia nobiltà - i lord3 - si schierarono a difesa della religione di stato, gran parte della gentry e della borghesia per una religione non gestita dallo stato.
Nel 1642 scoppiò una vera guerra civile tra il re e il parlamento; la guerra si concluse nel 1649 con la vittoria del parlamento, guidato da Oliver Cromwell, e la decapitazione del re Carlo I: la monarchia fu sostituita dalla repubblica - il Commonwealth. Fino alla sua morte, nel 1658, Cromwell governò l’Inghilterra, Scozia e Irlanda col titolo di Lord Protettore. Alla sua morte gli successe il figlio Richard, che, incapace di resistere alle opposizioni, si dimise l’anno seguente, aprendo la strada al ritorno degli Stuart. Il ritorno degli Stuart al trono però non durò molto; nel 1688, il parlamento costrinse il re Giacomo II a fuggire e chiamò al suo posto l’olandese Guglielmo d’Orange (marito della figlia di Giacomo II, Maria) che divenne re d’Inghilterra dopo aver giurato di rispettare i diritti fondamentali del popolo e del parlamento inglese.
Da quel momento in Inghilterra le libertà individuali4 furono maggiormente rispettate, e il potere fu diviso tra il sovrano e il parlamento. Nel parlamento erano rappresentate le classi più ricche della nazione.
Sia Cromwell, sia i governi successivi alla seconda rivoluzione hanno cercato di svolgere una politica estera ed economica più funzionale agli interessi del ceto imprenditoriale e commerciale, aiutando molto lo sviluppo economico dell’Inghilterra.

Note:
1. In un governo assoluto tutto il potere è concentrato nelle mani del sovrano che non deve render conto a nessuno del suo operato.
2. La gentry, sviluppatasi a partire dal Cinquecento, era formata da nobili e borghesi i quali avevano acquistato terre che gestivano secondo criteri capitalistici.3. I lord costituiscono la vecchia nobiltà legata alle tradizioni militari e alla rendita di grandissime tenute agricole non sfruttate con metodi capitalistici.
4. come quella di pensiero, di espressione, di religione, di proprietà.

Verso la rivoluzione industriale.

L’espansione del capitalismo commerciale e finanziario prepara la rivoluzione industriale

Il travolgente sviluppo dei traffici transoceanici segnò dunque l’ulteriore avanzata della borghesia.
Dal Brasile alle Antille, dai porti dell’India e della Cina le navi inglesi, olandesi, francesi scaricarono nei porti europei non più soltanto le spezie dell’Oriente (pepe, zenzero, cannella, noce moscata, zafferano), che avevano arricchito le nostre città marinare nel Medioevo, ma caffè, tè, cacao, zucchero, cioè prodotti coloniali rimasti finora sconosciuti agli europei e destinati a mutare la nostra alimentazione e le nostra abitudini di vita.
Fu importato anche il cotone greggio (soprattutto dall’America, dall’India, dall’Egitto), che per il fatto di dover essere sottoposto alle operazioni di filatura e tessitura diverrà un elemento decisivo per il trapasso dall’età dei commerci all’età della produzione industriale.
I favolosi profitti realizzati dai nuovi ceti mercantili, olandesi ed inglesi soprattutto, aprirono la nuova era della rivoluzione industriale, che si realizzerà nella seconda metà del XVIII secolo in Inghilterra, da dove passerà nel corso dell’Ottocento in Francia, in Germania e negli altri paesi europei, oltreché negli Stati Uniti d’America.

LA RIVOLUZIONE DEI CONSUMI

Il mais
E’ soprattutto a partire dalla seconda metà del Seicento che il mais (granoturco) cominciò ad assumere un peso rilevante nell’alimentazione contadina, in alcune regioni spagnole e francesi, nei Balcani e nell’Italia padana. A un certo punto gli stessi contadini affiancarono il mais al frumento, per compensare i rendimenti troppo bassi e variabili del grano europeo con quelli due o tre volte superiori del granturco americano. La lunga fase di sviluppo demografico incominciata nei primi decenni del Settecento giocò ancor più a favore della diffusione di questa coltura.
Ma la scelta dei contadini era indirizzata anche dai proprietari terrieri, che lasciavano ai loro mezzadri il consumo della polenta affinché quote maggiori di terreno fossero impiegate per la produzione di frumento e quindi di pane bianco, per i consumi del mercato urbano.
In questo sensi il mais appare come una “pianta di classe”, che differenzia i consumi dei poveri da quelli dei ricchi.
Le proprietà alimentari del mais sono in effetti assai minori di quelle del frumento, sia in calorie, sia in proteine e vitamine. Prima nel Veneto, poi nel resto dell’Italia settentrionale, i braccianti poveri verranno schiacciati dall’alimentazione monotona basata solo sul mais, esponendosi sempre più ad una malattia fino ad allora sconosciuta, la pellagra, dovuta a mancanza di vitamine.

La diffusione della patata.
Più tardiva fu la diffusione di un altro prestito alimentare dell’America, la patata. Il secolo della sua irresistibile ascesa fu il Settecento.
Questo tubero, dai rendimenti assai superiori a quelli del frumento, è ancora una volta un cibo povero per i poveri, che ripete su scala geografica assai più ampia la stessa storia del mais.
I suoi risvolti tragici sono ancora posteriori e appartengono al XIX secolo, quando una serie di cattivi raccolti si trasformò in una vera catastrofe per l’Irlanda.

Dal pepe allo zucchero.
Il nuovo mondo mandò in Europa cibi energetici a basso prezzo e piante da orto come il fagiolo e il pomodoro, beni che divennero di prima necessità. Ma inviò anche prodotti legati al commercio di lusso, i più antichi dei quali erano il pepe e le spezie. L’Europa ne consumava circa 4000 tonnellate l’anno verso il 1650, quando il commercio con l’India e l’Indonesia era in mano soprattutto agli olandesi e in parte minore agli inglesi.
Dopo questa data non crebbe più; il pepe era diventato un bene di uso quasi comune e in ogni caso non serviva più ad indicare abitudini di prestigio e di lusso. Cominciava invece ad aumentare il consumo dello zucchero, che sarebbe stato rafforzato dall’avvento del tè, del caffè e del cacao.
Antico prodotto della farmacopea tradizionale, lo zucchero venne usato nel Medioevo in piccole dosi e dietro prescrizione medica.
All’inizio del Seicento Madera e le altre isole atlantiche producevano circa 3000 tonnellate di zucchero all’anno, ma presto si aggiunse la produzione delle Antille e soprattutto quella del Brasile, che verso il 1650 era arrivato da solo a 18 mila tonnellate
Intorno al 1750 i consumi europei di zucchero ammontavano a 135 mila tonnellate annue, cioè un chilo a testa.

L’affermazione del tè
Questa media è però troppo livellatrice: nella sola Inghilterra (10 milioni di abitanti) avveniva un terzo dei consumi europei. Un simile squilibrio si spiega facilmente se si pensa che gli inglesi consumavano il 40% del tè che le grandi compagnie portavano dalla Cina in Europa. L’affermazione del tè era stata tardiva ma travolgente: dagli inizi alla metà del ‘700 i consumi passarono da 100 a 7000 tonnellate.
Il tè era una peculiarità inglese, ma il caffè non conobbe frontiere.
Nel 500 il caffè era una bevanda tipica dei soli paesi arabi; un secolo dopo i veneziani furono i primi europei a sperimentare quello stimolante liquido nero.
Il vero centro diffusore del caffè fu Parigi, che ne lanciò in tutta Europa la moda.
Il caffè di Moka aveva fatto la fortuna dell’Arabia nel corso del ‘600 e verso la fine di quel secolo le importazioni europee erano dell’ordine di 1300 tonnellate annue.
Ma la domanda divenne ben presto maggiore dell’offerta e i mercanti europei trapiantarono le piante di caffè ovunque nel mondo, da Giava a Santo Domingo.

 

Il caffè e la cioccolata

Il tè era soprattutto una bevanda calda, aromatica e lievemente stimolante; si preparava ovunque e si prendeva in famiglia o nelle pause di lavoro.
Il caffè, secondo il modello parigino, risultò ben presto una bevanda associata al locale pubblico che prese lo stesso nome: a metà Settecento Parigi aveva qualcosa come 700 botteghe del caffè, nelle quali ci si incontrava per discutere, per confrontare le idee nuove e criticare quelle vecchie..
La cioccolata appare come bevanda tipicamente aristocratica, con uno stile adatto alle oziosità dei salotti dei nobili ed ai prolungati indugi delle nobildonne nei tepori mattutini del letto. Al di fuori della Spagna la sua diffusione sarà lenta e ristretta.

Il tabacco
Con il caffè il tabacco è il più diffuso eccitante del XVIII secolo. Il suo uso da parte degli indigeni delle Antille aveva molto stupito gli europei. E’ solo con il XVII secolo che i marinai che facevano la spola tra le due sponde dell’Atlantico cominceranno a diffondere l’uso del tabacco a Londra e Amsterdam. Fumato nelle pipe di tutte le forme e lunghezze o nelle foglie arrotolate, masticato o anche solo annusato, il tabacco avrà una diffusione rapidissima: a produzione del Brasile passò da 250 a 2000 tonnellate dal 1630 al 1670. Prima del 1750 i consumi globali supereranno le 15000 tonnellate annue.

Gli alcolici: cognac, whisky, rum
Come per lo zucchero, le origini dell’alcol rientrano nella farmacopea medievale; ma è solo nel XVII secolo che queste bevande alcoliche si aggiungeranno al vino ed alla birra.
Col miglioramento della distillazione si produssero molti distillati di vini, dalle acquaviti a poco prezzo a quelle più costose e raffinate come il cognac; la fortissima grappa ottenuta dalla vinaccia; la lunga schiera dei ricavati dai cereali: gin, whisky, vodka, e infine il distillato ottenuto dallo zucchero americano: il rum.
La diffusione dei distillati fu all’origine del nuovo dramma sociale dell’alcolismo, un grave fenomeno che nelle grandi città era espressione di povertà ed emarginazione.

La produzione di cotone
Il cotone prodotto nel Mediterraneo orientale era impiegato da secoli per produrre tessuti misti a buon mercato.
Nel seicento avvenne una svolta : fu introdotto in Europa il cotone indiano; all’inizio del settecento mezzo milione di pezze erano importate dai mercanti inglesi e circa trecentomila dagli olandesi.
Questi tessuti ebbero un incredibile successo come prodotti comuni: lenzuola, camicie, biancheria personale e fazzoletti. Costavano poco, erano facilmente lavabili e consentivano un facile ricambio di biancheria, cosa che significò una vittoria sui parassiti che abitualmente infestavano il corpo umano.

Sul manuale: Il sistema mondiale nel XVII- XVIII secolo (pag. 161-163). Es. n. 1 pag. 167 e n.4 pag. 168.

 

Fonte: https://3bcorso2012-13.wikispaces.com/file/view/Gli+imperi+coloniali+olandese+e+inglese.doc

Sito web da visitare: https://3bcorso2012-13.wikispaces.com

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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