Storia indiani

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Storia indiani

INDIANI, FUORI ...!!!!

1868, Generale Sherman: "Meglio buttarli fuori al più presto possibile, e non fa
molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio o uccidendoli".
Generale Sheridan "… l'unico indiano buono che io conosca è l'indiano morto"

E NELLE PRATERIE AMERICANE  INIZIÒ L'ECCIDIO DEL POPOLO ROSSO

  "… se permetteremo anche a solo 50 indiani di rimanere dovremo far proteggere ogni treno, ogni cantoniera, ogni gruppo di
  persone che lavora alla ferrovia. In altre parole, 50 indiani "ostili" possono
  tenere in scacco 3000 soldati. Meglio buttarli fuori al più presto possibile,
  e non fa molta differenza se ciò avverrà mediante l'imbroglio da parte dei
  commissari per gli affari indiani o uccidendoli".
generale William T. Sherman

  "… Voi siete munito di pieni poteri per attuare la sistemazione definitiva
  delle tribù indiane nomadi su territori ad esse graditi e porle pacificamente
  sotto il controllo dei funzionari a ciò incaricati dal Dipartimento per gli
  Affari Indiani".
Presidente degli   Stati Uniti, Ulysses S. Grant,   1871

  "Io… farò in modo di ridurre ciascuno di loro alla fame più nera se gli
  indiani non vorranno lavorare... " agente per gli indiani Ute, 1878

 

La guerra delle colonie contro gli indiani  si svolgerà sull'arco temporale di circa un secolo, dalla   fine del 1700 al 1890, anche se l'insediamento europeo nei territori che   avrebbero poi costituito il nucleo di partenza della nuova nazione americana risale a un paio di secoli prima.
La penetrazione verso i territori dove vivevano le tribù
indiane iniziò già da quei tempi, ma in termini commerciali più che di
occupazione vera e propria e i rapporti col popolo rosso si mantennero in
accettabili equilibri.

  Comunque l'equilibrio fra uomini bianchi e uomini rossi si mantenne fino
all'ultimo decennio del 1700; la fine della guerra per l'indipendenza delle
colonie inglesi dalla madrepatria e la nascita della nuova nazione. La nuova nazione americana, terminato   il periodo dell'edificazione, cercava uno sviluppo
territoriale e questo non si poteva realizzare che verso Ovest.

  Ciò che si perpetrò contro gli indiani non fu solo l'eliminazione fisica degli individui che compongono   il gruppo etnico, ma anche l'eliminazione di tutti quei fattori che costituiscono l'identità stessa di un popolo .

 
Fu con la nomina a Presidente proprio di quel generale  Andrew Jackson, avvenuta nel 1829, che la politica americana avrebbe iniziato  a mostrare il suo metodo violento nei confronti dei pellirosse. Uno dei primi atti del
neo presidente fu l'emanazione del "Removal Act" che era, nella sostanza,
null'altro che l'ordine di deportazione di cinque "nazioni indiane", i Creek,
i Choctaw, i Chicasaw, i Cherokee e i Seminole dalla neo acquisita Florida, al
di là del Mississippi, nella regione dell'odierno Oklahoma, che sarebbe in
seguito divenuta il "territorio indiano".
Il Capo Falco Nero riuscì ad   organizzare una ribellione corale che tenne in scacco per oltre tre mesi le   truppe federali.
Per la cronaca, in questi fatti d'arme si distinse un giovane capitano, che
avrebbe ancora fatto parlare di sé: si chiamava Abramo Lincoln.
La prima guerra indiana mostrò anche il fianco debole delle forze armate degli Stati Uniti, che pur ben equipaggiate ed addestrate, avevano dovuto combattere per  tre mesi per  avere ragione di un gruppo di selvaggi.

 

  Intanto g li Apache Mimbreno si trovarono all'improvviso il loro territorio, l’ Arizona,  invaso da  diecine di migliaia di cercatori d’oro, con l'immancabile codazzo di giocatori, prostitute, parassiti e trafficanti d'ogni tipo; gli indiani riuscirono a   mantenere comunque rapporti tranquilli con i bianchi, pur non capendo bene   cosa facessero.  Quando tentarono di ribellarsi i soldati gli si opposero duramente.

 

  Mentre accadevano questi avvenimenti, nelle Grandi Pianure la vita e le usanze
degli indiani non sembravano minacciate. Nella prima metà del XIX secolo tra
uomini rossi e uomini bianchi si era avviata una sorta di convivenza "quasi
pacifica", basata principalmente sull'attività commerciale e i traffici che i
due gruppi intrattenevano. Gli scontri armati erano stati di scarso rilievo;
del resto, pareva ancora che lo spazio a disposizione fosse talmente tanto.
Continuavano invece gli scontri tribali, inizialmente quasi inavvertiti dai bianchi, che avevano   preso a disturbare sempre più sia lo sviluppo dei traffici, sia i movimenti  dei coloni .
I reparti dell'esercito avevano percorso,
nel decennio tra il 1830 e il 1840, a più riprese le Grandi Pianure,
suscitando l'ammirazione dei pellirosse, che ne apprezzavano l'armamento,
l'equipaggiamento, il colore delle uniformi e che non avevano mai cercato lo
scontro con i grossi coltelli, come da loro venivano chiamati i soldati di
cavalleria, armati di sciabola.

  Il primo incidente grave fu generato da un motivo quanto mai futile: un Sioux
Minneconjou aveva ucciso una malandata vacca per prendersene la pelle.
Gli indiani offrivano 10 dollari, il colono ne pretendeva  25. Un tenente del Forte si recò allora al campo Sioux per arrestare   l'uccisore della vacca, con una scorta di 32 soldati. L'ufficiale uccise con un colpo di pistola il capo. Gli indiani avevano reagito e non uno  solo dei soldati aveva salvato la vita.

  Era il primo sangue versato da soldati americani e l'opinione pubblica aveva
chiesto a gran voce vendetta. In una successiva spedizione, nell'estate del
1855, un reparto di 1300 soldati aveva attaccato e distrutto un villaggio di
Brulè, uccidendo 86 indiani. Ad una conferenza di pace, tenuta nella primavera
dell'anno successivo, gli indiani avevano infine promesso di consegnare
l'uccisore della vacca.

  L'IMPERO AMERICANO COSTRUITO
PORTANDO VIA LA TERRA AGLI INDIANI

 

  La scoperta di pochissimo oro alle sorgenti del fiume Arkansas, nella
primavera del 1858, aveva scatenato una nuova corsa all'oro, che aveva poi
conosciuto un penoso riflusso, quando si era palesata l'inconsistenza dei
giacimenti scoperti.

 

A metà ‘800 la giovane nazione americana si
apprestava a una feroce lotta interna (1861-65): l'attacco sudista alle truppe nordiste,  asserragliate a Forte Sumter, nella Carolina del Sud, segnò, il 12 aprile del  1861, l'inizio di quattro anni di guerra civile, che avrebbe contrapposto gli
stati del Nord, Unionisti, agli stati Confederati del Sud.
Le operazioni militari di maggior rilievo
non interessarono mai le "Grandi Pianure", che erano totalmente sotto il controllo dell'Unione,   l'interesse era quello di mantenere la massima tranquillità tra popolazione e   indiani, per non turbare il flusso di rifornimenti provenienti da quei   territori.

  Negli  Stati del sud gli indiani si trovarono nel mezzo della guerra
e vi parteciparono, schierandosi decisamente con la Confederazione. Le cinque
nazioni indiane (Creek, Choctaw, Chicasaw, Cherokee e Seminole) che poco più
di trent'anni prima avevano subito il Removal Act, la deportazione dalla
Florida, presero le armi contro il governo di Washington, con la promessa di
tornare nelle loro terre d'origine in caso di vittoria delle armi del Sud.
gli Apache fecero terra bruciata degli insediamenti  dei bianchi, che dovettero abbandonare ogni cosa, le fattorie, le miniere, persino le città.

Il 1862, a causa delle uccisioni e delle rapine
commesse dalle tribù indiane, segnò l'avvento di quella che fu chiamata, a
ragione, "politica di sterminio". In quello stesso anno, evidentemente segnato
dalla malasorte, si spezzò anche l'equilibrio tra uomini bianchi e uomini
  rossi nel Nord. Per molte  necessità gli indiani di questa regione si appoggiavano alle agenzie   costituite dal governo come previsto da alcuni trattati di pace (rifornimenti di cibi, bestiame, oggetti d’artigianato).
Ma a Piccolo  Corvo, e garante di pace con i popoli rossi
del Minnesota, da tempo giungevano troppe lamentele dalle tribù, che
invocavano il suo intervento: mercanti disonesti anziché consegnare agli
indiani le merci concordate con il governo le trattenevano per poi rivenderle
a prezzi esorbitanti; bianchi degenerati seducevano o violentavano donne
Sioux, facendo aumentare a dismisura le nascite di sanguemisti, che erano
ormai divenuti una macchia per il buon nome dei Sioux.

  Il mercante concessionario del servizio governativo, Andrew J. Myrick, che di
quelle provviste aveva già fatto commercio, si era limitato a rispondere
sogghignando ai capi Sioux: "… se i vostri sono affamati, per quello che me ne
importa possono mangiarsi l'erba della prateria". Era la goccia che fa
traboccare il vaso. I Sioux, come era loro abitudine, non avevano risposto
nulla.

  Il mattino di domenica 17 agosto 1862, come a un segnale convenuto, lungo
tutto il Minnesota bande di guerrieri Sioux si lanciarono all'attacco degli
insediamenti dei bianchi, uccidendo, rapinando e bruciando ogni cosa. Il
giorno successivo fu il turno del villaggio dell'agenzia, e il mercante Myrick
fu ucciso per primo.
Contro i  guerrieri Sioux, armati in modo disorganico e non tutti provvisti di armi da  fuoco, dovette intervenire il colonnello Henry H. Sibley, con una forza di
1.600 uomini.

 Si concludeva così nel peggiore dei modi il 1862 per gli indiani delle Grandi
Pianure. I bianchi trassero da questi eventi la convinzione che non era
possibile fidarsi dei pellirossa, nemmeno dopo lunghi periodi di pacifica
convivenza e che solo la forza poteva risolvere la questione indiana. Gli
indiani a loro volta si sentirono sempre più oppressi da una razza di invasori
che non solo non rispettavano la parola data né i trattati stipulati, ma
imprigionavano i guerrieri, li giudicavano e li condannavano in base a leggi
per loro incomprensibili e sconosciute.

  Intanto in Arizona si era confermato che c'era oro in abbondanza. Per garantire maggior sicurezza ai  cercatori che affluivano, il generale nordista Carleton disponeva, per   il dipartimento militare del Sud Ovest, "l'uccisione di ogni Apache adulto di   sesso maschile, dovunque trovato e indipendentemente dal fatto che la sua   tribù fosse o non fosse in guerra".
Per le donne e i bambini Apache non veniva
ordinata esplicitamente l'uccisione, limitandosi l'ordine a prescrivere che
essi potevano essere catturati.

 

  Toccò poi ai Navajo sentire il peso della "politica di sterminio". Per loro
fortuna fu mandato a combatterli il colonnello Kit Carson, leggendaria figura
della frontiera, uomo valoroso che conosceva gli indiani, li combatteva, ma
mantenendo fede all'etica militare. Carson andò a scovare i Navajo nel loro
stesso territorio, il nord est dell'Arizona; se avesse eseguito gli ordini
avrebbe dovuto sterminarli; fece invece un gran numero di prigionieri, che
avviò alla riserva di Bosque Redondo, sul fiume Pecos, dove aveva già
confinato gli Apache Mescalero, anch'essi in teoria da uccidere tutti, in base
agli ordini del generale Carleton. Kit Carson era estremamente popolare e
questo gli permise di disattendere, senza conseguenze, gli ordini di massacro.

 

  Ma il suo comportamento fu l'eccezione che conferma la regola e la "politica
di sterminio" venne adottata anche nel grande territorio del Nord Ovest, dove
il 29 novembre 1864 sul Sand Creek, un piccolo corso d'acqua che si getta
nell'Arkansas, nell'angolo sud orientale del Colorado, si consumò uno degli
eventi più infami, passato alla storia appunto col nome di "massacro di Sand
Creek". In questa zona si era accampata per l'inverno la tribù di Cheyenne di
capo Pentola Nera.

  Occorsero diversi anni, e il sacrificio di un gran numero di vite umane,
perché un uomo più illuminato di altri, il presidente Ulysses Grant (il
vincitore della guerra di secessione), cercasse di avviare una politica meno
disumana, anche se, come vedremo, ciò si concretò comunque nella distruzione
del popolo rosso, attuata non più con mezzi bellici, ma con la cancellazione
delle tradizioni, degli usi, del modo di vita; in una parola, con la
cancellazione dell'identità.

  Il 9 aprile 1865, domenica, ad Appomattox Court House, un villaggio della
Virginia settentrionale, il generale Lee, comandante dell'esercito
  confederato, si arrendeva al generale Grant, comandante dell'esercito
unionista. Era la fine della guerra di secessione e la nazione americana,
risolto il nodo della sua unità, poteva ora riprendere il suo sviluppo,
incentrato sulla colonizzazione definitiva della parte occidentale.
Già   durante il periodo di guerra, nel 1862, era stato emanato l'Homestead Act, la legge che offriva ai pionieri le terre dell'Ovest, alla sola condizione di
occuparle e lavorarle.
fu costituito un nuovo corpo
dell'esercito, gli U.S. Volunteers, i Volontari degli Stati Uniti, destinato
esclusivamente all'impiego contro gli indiani dell'Ovest.
la ripresa dei lavori per le ferrovie
intercontinentali, allo scopo di collegare la costa dell'Atlantico con quella
del Pacifico.

La lotta dei popoli rossi assunse sempre
di più quei caratteri di orgogliosa disperazione che hanno gli uomini fieri
della propria libertà, quando sanno di combattere una battaglia persa, in cui
resta però da salvare un bene più prezioso della ricchezza e della stessa
vita: la dignità.
Da parte dei bianchi la politica nei confronti degli indiani si sarebbe
realizzata con tre principali mezzi: l'esercito, che, come abbiamo già visto,
risolto il problema della secessione confederata, aveva ora un solo nemico da
combattere, i pellirossa; lo sterminio dei bisonti, che sconvolgeva le basi
stesse dell'economia primitiva degli indiani delle pianure, gettandoli
nell'indigenza; e infine, come vedremo, il confinamento nelle "riserve", dove
l'indiano era costretto a un nuovo tipo di vita, a credenze religiose per lui
incomprensibili, alla rinuncia alle proprie tradizioni; dove, in una parola,
lo si annullava come realtà sociale e culturale distinta da quella del bianco.

 

  In un consiglio tenuto il 2 gennaio 1865 sullo Cherry Creek, un fiumiciattolo
affluente del Republican, nell'angolo nord occidentale del Kansas,
contrariamente alle usanze secondo le quali nessun conflitto veniva mai
iniziato nei mesi invernali, si era deciso di dare inizio ad una serie di atti
di guerra per vendicare l'infame attacco del Sand Creek. Tra i capi guerrieri
che avevano preso questa decisione alcuni sarebbero diventati famosi: Nuvola   Rossa, Naso Aquilino e soprattutto Toro Seduto.

  L'obiettivo prescelto dai pellirossa fu Julesburg, allora centro di
smistamento dei servizi postali.
La rivolta vide i
pellirossa vincitori su reparti militari sempre più numerosi, tanto da
spingere Washington a cercare contatti di pace con le tribù del Nord Ovest per prendere tempo per una spedizione punitiva.

1867 la spedizione comprendeva tra l'altro il 7° reggimento di cavalleria, da pochi mesi al comando del tenente colonnello George A. Custer, lasciò Fort Riley, per iniziare una delle più curiose campagne della storia dell'esercito degli Stati
Uniti. Infatti per quasi quattro mesi i soldati non riuscirono mai ad avere un
contatto diretto con i pellirossa che, giocando come il gatto col topo, li
precedevano o li aggiravano su territori a loro notissimi e dei quali i
militari non possedevano nemmeno carte topografiche. Il risultato fu che gli
indiani, messi in allarme comunque dai movimenti di truppe, da loro
considerati atti aggressivi, si diedero a scorrerie attaccando gli
insediamenti del Kansas e del Nebraska, distruggendo stazioni di posta e
fattorie e punzecchiando le colonne militari con continui attacchi di
guerriglia, soprattutto notturna. I reparti rientrarono stremati e frustrati.

  L'inutilità dell'azione militare spinse il Congresso a cercare di nuovo
soluzioni politiche, che si concretarono nel trattato stipulato il 28 ottobre
1867 sul Medicine Lodge Creek, nel Kansas meridionale. Con questo trattato si  

definiva il territorio indiano ristretto nei limiti dell'attuale Oklahoma,
entro il quale i pellirossa avrebbero dovuto tenersi senza sconfinare a nord,
col divieto per i bianchi di valicarne i confini per cacciare.

  La restrizione in un territorio definito segnava per gli indiani la fine della
loro vita di liberi cacciatori e guerrieri e quindi anche il trattato di
Medicine Lodge non fu altro che un incentivo a ulteriori atti di guerra. Dopo
la firma del trattato infatti seguirono altri sei mesi di scontri, che si
chiusero con l'umiliazione subita dal generale Sherman, che dovette scendere a
patti con Nuvola Rossa il quale, in cambio dell'impegno a non ostacolare la
costruzione della ferrovia Northern Pacific, che correva molto più a sud dei
territori di caccia, pretese e ottenne che le truppe abbandonassero Fort
Kearny, avamposto per la progettata penetrazione nei territori del Montana e
dell'Idaho.

  Il desiderio di rivalsa fece partire la "campagna invernale" voluta dai generali
Sheridan e Sherman e appoggiata dal governo di Washington, con lo scopo di
effettuare una spedizione punitiva.
in questa campagna si "distinse" il tenente colonnello George A. Custer, che
sul fiume Washita, nel cuore del territorio indiano, il 27 novembre 1868,
distrusse completamente una tribù, adottando la sua abituale tattica di
attaccare alle prime luci dell'alba, quando la vigilanza si attenua. Peccato
che, nell'ansia di raccogliere gloria militare, Custer non avesse controllato
chi erano con precisione gli indiani che si apprestava ad attaccare. Gli
indiani uccisi furono oltre un centinaio, contro sette caduti tra i soldati.
La tribù distrutta era quella degli Cheyenne di capo Pentola Nera, che si era
sempre tenuto ostinatamente fuori da qualsiasi conflitto e che venne ucciso
mentre al centro del campo agitava una bandiera a stelle e strisce per far
capire che lui e i suoi uomini erano "amici" dei bianchi.

  ... E IL GRANDE POPOLO INDIANO
FINI' NEI GHETTI CHIAMATI RISERVE

  George Armstrong Custer nasce il 5 dicembre 1839 a New Rumley, Ohio. Il 1°
luglio 1857 viene ammesso all'Accademia Militare di West Point; ottiene la
nomina a sottotenente il 24 giugno 1861, con la classifica di 33° su 33
cadetti.

  Gettatosi a capofitto nella guerra, l'ex cadetto indisciplinato aveva fatto
dimenticare i propri trascorsi poco onorevoli, mettendosi in luce come
ufficiale energico, instancabile e di grande coraggio personale. La guerra del
resto non è la situazione ideale per chi ha scelto la carriera delle armi? Ma
per George Armstrong Custer il destino aveva in serbo una sorpresa
formidabile: la promozione a generale, all'età di 23 anni!
Conviene qui chiarire che l'esercito dell'Unione era quasi del tutto privo di
ufficiali generali.  A questa necessità si rispose con tipico pragmatismo americano, promuovendo
gli ufficiali in servizio permanente al grado nel quale erano necessari sotto
il profilo funzionale e adottando per loro una duplice carriera
di cavalleria, richiedeva tre generali di brigata.

The boy general, il ragazzo generale, era ormai
divenuto un personaggio popolare; fu tra i quattro generali che presenziarono
alla firma della resa sudista, domenica 9 aprile 1865, nella piccola fattoria
di Appomattox Court House, quando il generale sudista Lee si arrese al
generale nordista, e futuro Presidente, Grant.
Finita la guerra, la smobilitazione dell'esercito prevedeva, oltre lo
scioglimento dei reparti non più necessari, anche il riordinamento dei quadri
degli ufficiali. Quelli che non provenivano dall'Accademia (che erano la
maggioranza) vennero congedati col grado che rivestivano alla fine del
conflitto. Custer optò per la
permanenza in servizio, tale regola significava il ritorno al grado di
capitano. Tuttavia, dati i meriti conseguiti in guerra, gli vennero concesse
due promozioni e alla data del 28 luglio 1866 fu definitivamente nominato
tenente colonnello in servizio permanente.

  Questa "retrocessione", peraltro comune a gran parte degli ufficiali rimasti
in servizio dopo la guerra di secessione, fu vissuta da Custer con un
bruciante senso di umiliazione, convinto com'era di essere in grado di
continuare a rivestire il grado di generale
Appena ripreso servizio col grado di tenente colonnello, assegnato al 7°
reggimento cavalleria, di stanza a Fort Riley, Kansas, Custer continuò a farsi
chiamare "generale" e ad indossare le stravaganti uniformi fuori ordinanza
(sulle quali non di rado apponeva i gradi di generale) che, insieme all'uso di
portare i capelli molto lunghi sulle spalle, lo avevano reso popolare tra i
volontari che aveva comandato in guerra.
E i nemici erano lì, pronti: i pellirossa. In quel periodo, come già
accennavamo, nelle regioni del Nord Ovest erano in pieno svolgimento la
rivolta dei Sioux di Nuvola Rossa e la guerriglia condotta dagli Cheyenne
guidati da Naso Aquilino.

  Nella primavera del 1874 incominciò però a palesarsi per gli indiani delle
Pianure una nuova sconvolgente realtà: le mandrie dei bisonti non seguivano
più le piste abituali e le mandrie ancora esistenti erano sempre più esigue.
Il bisonte era essenziale per la vita degli indiani delle Pianure, che
utilizzavano tutte le parti del corpo del grande animale per far fronte alle
esigenze di cibo, vestiario, armi e casa (il tipico tepee, la tenda dei
pellirossa nomadi, era costruita con le pelli di bisonte). Con grande ira gli
indiani attribuirono subito ai visi pallidi la colpa: con le strade, le
ferrovie, con la loro stessa presenza avevano di sicuro spaventato gli
animali, che avevano abbandonato gli antichi territori di caccia.

  La realtà era diversa e ben peggiore. La strage dei bisonti era in atto già da
un paio d'anni, ed ora se ne vedevano le conseguenze. Anzitutto le compagnie
ferroviarie avevano assoldato numerosi cacciatori, col preciso scopo di
procurare la carne per il vitto di migliaia di operai dei vari cantieri
disseminati nel grande Ovest; la caccia indiscriminata aveva poi fatto nascere
un nuovo lucroso commercio con il mercato dell'Est, quello delle pelli di
bisonte e delle parti più pregiate della carne, col risultato che il numero di
cacciatori, attratti da questa nuova forma di guadagno, era enormemente
aumentato.

  Il fenomeno non era sfuggito alle autorità politiche e militari, sempre
preoccupate per la soluzione della questione indiana. Il generale Sheridan,
uomo di punta nel Nord Ovest di ogni iniziativa che avesse come risultato
quello di mettere in ginocchio i pellirossa, perseguì addirittura l'obiettivo
di uno sterminio totale del bisonte, e comunque diede ai reparti dipendenti
istruzioni per concedere ogni possibile agevolazione ai cacciatori. Tra il
1872 e il 1874 i bisonti abbattuti furono circa 3 milioni e mezzo, di cui solo
150.000 uccisi dai pellirossa
Kiowa, Apache della prateria, Comanche e Arapaho si ribellarono
violentemente quando, come la classica "ultima goccia" che fa traboccare il
vaso, accadde che alcuni gruppi di cacciatori si spingessero dentro al
territorio indiano, per inseguire le poche mandrie di bisonti ancora
esistenti, oltretutto senza che i militari (che in base ai trattati avrebbero
dovuto garantire l'integrità del territorio indiano) facessero nulla per
impedirlo. La rivolta durò con alterne vicende fino all'ottobre 1874 e costò
la vita di oltre 300 bianchi.

  Restavano ancora relativamente liberi gli indiani del Nord Ovest, in quella
regione costituita dall'attuale Dakota del Nord e del Sud. Il governo
americano, con la firma del trattato di Fort Laramie, si era impegnato a
mantenere libero questo territorio, nel quale vivevano principalmente i Sioux,
e in particolare a difendere l'inviolabilità delle Black Hills, le Colline
Nere, considerate dai pellirossa luogo sacro. La vita degli indiani in quella
regione scorreva abbastanza tranquilla, con l'appoggio delle agenzie di Pine
Ridge, alla confluenza tra i fiumi Rock e Missouri, e di Standing Rock, su un
affluente del White.

La scoperta, proprio sulle Colline Nere, di grossi giacimenti
auriferi causò nel territorio il consueto assalto incontrollato di
avventurieri, minatori, cercatori più o meno dilettanti, con l'immancabile
codazzo di sfruttatori, prostitute, giocatori di professione, venditori di
whisky.
La vita dei Sioux ne rimase sconvolta; l'invasione causò la fuga degli animali
di montagna, l'orso, il cervo, l'alce, che venivano abitualmente cacciati. I
cercatori abbattevano alberi per costruire le abitazioni, si auto -
concedevano concessioni minerarie, mentre le autorità governative non erano in   grado, o non volevano esserlo, di fermare tutta quell'orda, che, in base ai
trattati, non avrebbe mai dovuto penetrare nel territorio indiano.

 

  Nuvola Rossa non voleva fare guerre inutili, sapendosi già sconfitto in
partenza, anche se era ben conscio dell'ennesimo tradimento subito dagli
indiani. Una gran parte delle tribù però non volle o non seppe comprendere le
argomentazioni di Nuvola Rossa e all'inizio dell'estate del 1875 abbandonò le
agenzie andando ad accamparsi nel bacino del fiume Powder, tra le Big Horn
Mountains e le Black Hills, nella parte più remota del territorio, dove i visi
pallidi non erano ancora giunti. E da lì gli indiani cominciarono la solita
guerriglia contro qualsiasi bianco o gruppo di bianchi tentasse di entrare
nella regione. Ai Sioux si unirono ben presto i loro tradizionali alleati, gli
Cheyenne settentrionali che, guidati dal capo Due Lune, abbandonarono in massa   l'agenzia di Red Lodge, nel Montana meridionale. Sul Powder si concentrarono
così diverse migliaia di indiani, riuniti attorno a due capi che possono
essere considerati tra i più grandi uomini della razza pellerossa nell'ora del
tramonto: Toro Seduto, capo politico dei Sioux Hunkpapa e Cavallo Pazzo, capo
di guerra della tribù Oglala.

  La campagna contro i Sioux registrò subito un punto a sfavore, perché
l'elemento sorpresa mancò. Mentre i soldati si inoltravano in un territorio
pressoché sconosciuto, gli indiani erano in grado di controllarne i movimenti,
evitando, come era loro costume, lo scontro se non necessario..

  Custer aveva come principale preoccupazione quella di riportare una vittoria
che fosse soprattutto "sua"; imbaldanzito da tante facili azioni contro tribù
semi inermi, si era convinto della propria buona stella e della propria
abilità. Era solito dire che gli indiani ormai avevano paura di lui, che la
sua presenza aveva un effetto tale da demoralizzare il nemico. Con questi
presupposti Custer, che già aveva interpretato in modo molto personale le
disposizioni del suo superiore, il generale Terry, quando ebbe notizia dagli
scout che il suo reggimento era stato avvistato dagli indiani, non fu nemmeno
sfiorato dal pensiero che questi fossero pronti ad ingaggiare battaglia. Molto
più forte era la preoccupazione che i pellirossa tentassero di sganciarsi,
privandolo così dell'occasione di coprirsi di gloria.

  Era il 26 giugno 1876. Accecato dalla smania di giungere a uno scontro che
fosse "suo personale" Custer non si preoccupò di accertare la forza
dell'avversario, ordinando oltretutto l'attacco frontale su un terreno
sconosciuto. Quando si rese conto che l'accampamento individuato non era di
poche centinaia di Apache, ma di circa cinquemila indiani (di cui almeno
duemila guerrieri) era ormai troppo tardi. L'esito della battaglia del Little
  Big Horn è noto: il gruppo squadroni comandato direttamente da Custer (che
aveva suddiviso il reggimento in tre gruppi) fu completamente annientato.
Custer e 238 soldati trovarono la morte, lanciati all'attacco contro oltre
duemila pellirossa, comandati da Toro Seduto e da Cavallo Pazzo.
Lo choc causato nella pubblica opinione
dalla sconfitta e dall'uccisione di Custer fu tale da far prendere il
sopravvento in ambito governativo a quanti sostenevano la necessità di una
soluzione energica del problema indiano. E poiché la politica dello sterminio
non poteva comunque essere ripresa, si adottò subito una politica che ebbe
l'effetto non di uccidere fisicamente gli indiani, ma di distruggerli sempre
più come civiltà originale e autonoma, con i propri valori da difendere
secondo le proprie tradizioni.

  Il primo provvedimento fu la trasformazione delle agenzie in riserve, col
risultato che mentre nelle agenzie gli indiani comunque riuscivano a
conservare il proprio modo di vita, nelle riserve si imponeva loro
l'integrazione, volenti o nolenti, nella società americana. Il pellerossa che
viveva nelle riserve era di fatto anche prigioniero, non potendo varcare i
confini senza autorizzazione, rinunciando al libero esercizio della caccia,
dipendendo dagli aiuti governativi per tutto.
Gli anni che seguirono al combattimento del Little Big Horn videro ancora una
serie di guerriglie, scaramucce, ma ormai il popolo rosso, decimato non solo
dalle azioni militari ma anche dalle malattie, abbruttito dall'uso degli
alcolici, smarrito in una società che per lui restava comunque
incomprensibile, non esisteva più.

  Emblematica è la fine di Toro Seduto: la grande autorità che egli esercitava
ancora sui pellirossa era considerata pericolosa.
Toro Seduto, che per qualche tempo aveva partecipato anche allo spettacolo
circense di Buffalo Bill, col quale era in grande amicizia, morì il 15
dicembre 1890, ucciso durante il tentativo di arrestarlo operato in modo
maldestro da poliziotti

 

 

Fonte: http://parolevoci.altervista.org/materiali/INDIANI.doc

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