Storia 1800 -1900

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I CLASSICI DELLA SOCIOLOGIA

Il periodo “classico” della sociologia è quello che comprende gli ultimi decenni dell’800 ed i primi del ‘900 ed è quello nel quale emergono i nomi più noti della storia del pensiero sociologico, dopo i “fondatori”.
Il questo periodo, a cavallo tra i due secoli, la sociologia ormai si è affermata come scienza ed ha superato i timori di essere considerata un effimero fenomeno culturale. Perciò, gli studiosi, possono dedicarsi a meglio definire i confini della loro disciplina rispetto ad altri campi del sapere ed un metodo proprio.
Oltre al problema metodologico, pure centrale, costante attenzione viene rivolta ai problemi della società industriale, della divisione del lavoro (con tutti i problemi umani da essa derivanti) e del genere di razionalità che può prevalere in tale società.

 

La “filosofia della vita” (che afferma l’impossibilità di conoscere la realtà umana e quindi la realtà storico-sociale nei suoi contenuti specifici per via meramente razionale, poichè la vita non si lascia ridurre a ragione e può essere compresa solo vivendo, ponendo così l’accento sugli aspetti emotivi e irrazionali), le correnti formalistiche neokantiane ed il marxismo, hanno un peso non indifferente nel condizionare la direzione degli sviluppi della sociologia classica soprattutto in Germania
I due momenti fondamentali della sociologia che si rifà alla cultura tedesca, sono il problema metodologico, da un lato, e la ripresa di alcuni problemi già posti dal marxismo dall’altro, seppure con intenti essenzialmente polemici (conseguenze umane dell’industrializzazione).

  • Ferdinand Toennies, ad esempio, affronta il problema del metodo sostenendo che la scienza ha anzitutto bisogno di uno schema di riferimento teorico e che i concetti che spiegano la realtà provengono dalla ragione e non possono derivare dalla realtà stessa. Egli distingue la “comunità” dalla “società” come casi ideali, fittizi, a cui on corrisponde mai esattamente la realtà sociale (anticipando, così, i “tipi ideali” di Weber, come strumento euristico, metodologico). Egli impiega in abbondanza le categorie già usate da Marx per spiegare la società borghese pur inserendole in uno schema teorico diverso da quello marxista.
  • Georg Simmel, si dedica al problema metodologico asserendo che la sociologia si differenzia dalle altre scienze sociali solo in quanto studia le “forme” della vita sociale prescindendo dai loro contenuti.  Quando affronta i problemi della società industriale, si riporta al problema della mercificazione dei rapporti, fondati sul “valore di scambio”, sulle caratteristiche della vita metropolitana, ma rifiutando la concezione della storia di Marx.
  • Max Weber, dal canto suo, si dedica a problemi metodologici rielaborando il dibattito iniziato da Dilthey, Windelband, Rickert i quali avevano colto come la scienza non potesse comprendere la società nella sua totalità ma ne dovesse studiare aspetti particolari, considerati secondo criteri di valore, come più rilevanti rispetto ad altri. Però, mentre per gli autori di cui sopra questi valori erano universali, per Weber essi sono relativi e risolve il problema dell’oggettività delle scienze storico-sociali affermando che i risultati delle ricerche, in tali scienze, sono garantiti dalla correttezza del metodo.

Anche in Weber la polemica con il marxismo è costante e ne contesta la validità assoluto, sostenendo che esso è solo un punto di vista tra i molti possibili.

La sociologia francese rappresenta invece una tradizione culturale notevolmente diversa da quella mitteleuropea.  Con Emile Durkheim essa si riallaccia al positivismo d’origine comtiana cercando di superarne i limiti più vistosi. Anch’egli, però, avverte l’esigenza di chiarire le “regole del metodo sociologico” e anche la sua sociologia va intesa, almeno in parte, come un dialogo, per lo più polemico, non tanto con la concezione materialistica della storia, quanto con il socialismo in generale (es. il corso su S. Simon). Anche Durkheim si dedica ai problemi legati alla divisione del lavoro e famosissimo è il suo studio sul “suicidio” e l’introduzione del concetto di “anomia”.

Metodo e preoccupazione nei confronti del potere che vanno assumendo le classi popolari e del diffondersi delle idee socialiste sono presenti anche nei cosiddetti “elitisti”. 

  • Gaetano Mosca, si fa assertore del metodo storico-comparativo. La sua importanza sta nell’elaborazione della sua teoria elitistica;
  • Vilfredo Pareto, è ricordato per le distinzioni tra “residui” e “derivazioni”;
  • Roberto Michels, espone la sua legge sociologica dell’oligarchia in termini assoluti e astorici; la sua importanza è nella concezione relativa alla formazione delle oligarchie.

Il principio della storicità del pensiero, trascurato da Pareto, è invece centrale nell’elaborazione teorica di Lukacs e Mannheim.

  • Giorghi Lukacs afferma che solo il proletariato, come classe sfruttata e subalterna, ha la possibilitàdi cogliere gli elementi dinamici presenti nella società e di  agire dunque come forza di trasformazione mentre la borghesia, come classe, non può trascendere l’ordine costituito ed ha una visione statica e chiusa della realtà storico-sociale. La sua difficoltà sta nel dover spiegare come mai la verità è solo del proletariato.
  •  Karl Mannheim   parte dal presupposto della sua “sociologia della conoscenza” secondo cui a diverse posizioni nella struttura socio-economica corrispondono diverse concezioni del mondo, condizionate quindi socialmente, diversi modi di interpretare la realtà.  Egli deve superare il relativismo che inevitabilmente deriva da questa sua impostazione del problema per il quale la conoscenza è sempre socialmente e storicamente relata.

L’uno e l’altro cercano di risolvere il problema lasciato aperto da Weber il quale, affermando che i giudizi di valore non potevano essere argomento di analisi scientifica ma erano solo questione di fede, aveva lasciato la politica in balia dell’irrazionale.

Un discorso  a parte va fatto per quanto riguarda la sociologia nordamericana.
La pluralità dei gruppi etnici con tradizioni diverse pone in primo piano la critica all’etnocentrismo e la conseguente proposta del “relativismo culturale” nei primi esponenti della disciplina che comunque si rifanno teoricamente all’evoluzionismo europeo. Alcuni autori, in particolare, si dedicano ai problemi derivanti da una società economicamente basata sulla libera concorrenza e, ad essi, saranno date risposte diverse da autore ad autore (Veblen, Ward, Sunmer). Altri, invece, che cronologicamente vivono nel periodo della sociologia classica europea, tutti appartenenti alla Scuola di Chicago, si dedicano soprattutto ai problemi dell’interazione, al formarsi dei significati nei rapporti, al soggetto che, attraverso un processo riflessivo reso possibile dall’interazione, diventa oggetto a se stesso. Questi autori si muovono tra sociologia e psicologia (Mead, Cooley, Thomas, Znaniecki).

 

Dalla tradizione classica non è sorta una disciplina unitaria ma un dibattito che è ormai patrimonio imprescindibile della cultura contemporanea.

 

 

 

Fonte: http://www.sociologia.uniroma1.it/users/studenti/Riassunti/Storia%20del%20P.Sociologico/I_CLASSICI.doc

Sito web da visitare: http://www.sociologia.uniroma1.it/

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