Umanesimo e rinascimento riassunto

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Umanesimo e rinascimento riassunto

UMANESIMO = Movimento culturale sviluppatosi in Italia dalla metà del Trecento fino a tutto il Quattrocento, caratterizzato da una rinnovata centralità dell'uomo e dell'opera umana e dal recupero della civiltà spirituale e letteraria greco-latina.
RINASCIMENTO = Periodo che tradizionalmente si fa coincidere con il secolo XV e la prima metà del secolo XVI. Fioritura artistica e letteraria, nonché da un più libero sviluppo del pensiero, frutto di una nuova consapevolezza dei mezzi dell’uomo e della sua potenza. Rappresenta infatti la piena realizzazione nel campo artistico e del pensiero del rinnovamento prodotto dall’Umanesimo. La cultura del Rinascimento è propriamente una cultura di tipo classico ed idealistico.

 

Definire il periodo storico: un secolo che va dalla seconda metà del 400 (1450) alla prima metà del 500 (1550)
Nei termini Umanesimo e Rinascimento sono contenuti indizi che ci permettono di comprendere in cosa consiste il fenomeno. Rinascimento = rinascita culturale; umanesimo = centralità dell’uomo nel mondo.
Questo periodo storico può essere suddiviso in due parti: una parte che coincide con il XV secolo (1400-1499), che definiamo Umanesimo, in cui alla riscoperta della cultura classica si accompagnò a una nuova concezione del mondo: gli umanisti riscoprirono il valore dell'esistenza terrena, ponendo l'uomo al centro dell'universo. Fra Quattro e Cinquecento, invece, ebbe inizio una nuova epoca di grandissimo sviluppo delle arti, della letteratura e delle scienze: il Rinascimento, che rappresenta l’affermazione concreta del fenomeno precedente.
L’Umanesimo è un fenomeno tipico dell’Italia e della capacità artistica italiana che influenzerà l’intera Europa. Per capire questa rinascita culturale, bisogna vedere cosa succede da un punto di vista storico-economico: in questa epoca assistiamo ad un passaggio da vecchi a nuovi modelli, così che la penisola italiana viene a trovarsi al centro di un sistema economico forte all’interno del Mediterraneo. L’Italia vive una situazione particolare rispetto al resto dell’Europa: è il paese più ricco d’Europa, se non del mondo intero. Uno storico del ‘500 –Guicciardini- parlerà di periodo felice dell’Italia. Per capire come questa situazione favorevole si sia venuta a creare, bisogna fare riferimento al Basso Medioevo (Italia del ‘200): in quell’epoca l’economia era riuscita a toccare livelli altissimi, nonostante il M. sia stato un periodo di crisi. Questa ricchezza consente all’Italia di essere il paese più ricco, sia in denaro che in possibilità di scambi commerciali. Occorre ricordare che l’Italia del ‘400 è il maggior paese produttore di beni (tessuti, prodotti artigianali, con specializzazioni e tecnologie che in altri paesi non esistono). L’Italia è anche il principale paese per ciò che riguarda gli scambi finanziari: i banchieri italiani, infatti, gestiscono la maggior parte dell’economia europea. La prima città importante da ricordare a questo proposito è Genova. I banchieri genovesi, infatti, prestavano soldi e controllavano l’intera Spagna, perché ne finanziavano lo stato; Colombo parte con le caravelle messe a disposizione della regina spagnola; questo ci fa capire che tipo di rapporti c’erano tra Genova e la Spagna. Prestavano soldi anche ai portoghesi (due stati nazionali legati all’economia italiana).
Un altro centro economico-finanziario è Firenze: i banchieri prestano i loro soldi alla corona francese. Un’altra città italiana da ricordare è Venezia, che controllava il commercio internazionale della seta e delle spezie (provenienti dall’India e dalla Cina), e ambiva a controllare il Mediterraneo (specie l’Adriatico) e le coste del Mare Egeo. C’erano inoltre: il Regno aragonese (con dinastia spagnola-catalana), con capitale Napoli, importante per gli scambi tra il Mediterraneo orientale e quello occidentale, scalo commerciale superiore anche a quello di Venezia; la città di Roma, dove risiedeva il papa, dopo che, alla fine del Trecento, il papato era tornato a Roma da Avignone. In questo periodo il papa ha un ruolo più politico che religioso, è una sorta di re, un capo di stato, non ha più ambizioni teocratiche (dominare l’Europa con il potere religioso). L’ultima città importante per la produzione e gli scambi commerciali era Milano, città ricchissima, governata dai Visconti prima e dagli Sforza poi. Occorre capire che ci troviamo in una situazione molto florida per l’Italia, con varie città che possono essere considerate il centro politico-economico dell’Europa. Questi centri economico-politici forti impediscono all’Italia di unificarsi, di dare vita ad uno stato nazionale, di avere un centro unificante con una periferia debole, come accadeva nel resto dell’Europa. Il processo di unificazione spagnola, ad esempio, poté avvenire, perché in Spagna c’erano territori poveri che non opposero resistenza alla Reconquista spagnola (la reconquista fu il periodo che va dal 700 circa al 1469, anno dell’unificazione della Spagna, durante il quale i principi cristiani riuscirono a sconfiggere i Mori –ovvero gli Arabi islamici- che nel corso dei secoli si erano insediati nel territorio spagnolo, e ad unificare i territori conquistati). L’unico territorio a resistere fu l’Andalusia, ovvero la parte meridionale della Spagna, posta di fronte al Marocco. È un processo che dura secoli (dal X fino al XV secolo). La Reconquista fu promossa da due piccoli regni che riuscirono a restituire alla Spagna il volto del cristianesimo: il regno di Castiglia e il regno di Aragona. Agli Arabi da quel momento rimasero solo  le città dell’Andalusia (Siviglia, Cordoba e Granada).
L’atto che unificò i due regni spagnoli fu il matrimonio tra la principessa di Castiglia (Isabella) e il principe di Aragona (Ferdinando II), avvenuto nel 1469. La Spagna non aveva però territori ricchi, capaci di opporre resistenze in caso di conquiste da parte di altri, e questo facilitò l’unificazione.
Una delle ragioni per cui l’Italia non riuscirà ad unificarsi prima del 1861 sarà proprio il fatto che vi saranno a lungo vari centri forti sia economicamente che politicamente.
Mentre in Spagna manca la ricchezza di vari centri capaci di monopolizzare la scena sociale, in Italia accade l’esatto contrario. Lo stesso discorso riguarda il Portogallo, che diventa stato nazionale ancor prima della Spagna. Nessuno aveva mire nei suoi confronti e nulla perciò gli impedì di diventare stato nazionale.
L’Italia conosce una serie di guerre nel ‘400 tra le varie città, che le fanno mutare la propria natura politica. Fra il Trecento e Quattrocento la “democrazia” dei comuni scompare lentamente e le grandi città si trasformano in signorie che daranno vita ad un’intensa opera di conquista del territorio circostante. A Firenze c’è la signoria De Medici. In questo periodo ci troviamo di fronte a guerre di annessione (cioè di conquista) e non di difesa. Le città più importanti che combattono tra loro sono: Milano, Venezia, Firenze e Napoli (Genova verrà poi conquistata).
Chi sono i soggetti che combattono le guerre? Se nel Medioevo combattevano i cittadini, perché la guerra era per loro uno strumento di affermazione della propria identità e della propria libertà, nel Quattrocento, invece, si perde la partecipazione attiva dei cittadini e compaiono forme di combattimento che prevedono l’u      tilizzo di truppe mercenarie (= soldati pagati per l’occasione). Quando i soldati si rendono conto di non guadagnare abbastanza o che la battaglia è persa, vanno da un’altra parte. Tali truppe avranno un ruolo centrale nella frantumazione dell’Italia.

  1. Cosa si intende con il termine intellettuale?

Intellettuale non è semplicemente chi produce cultura e sapere, ma chi attraverso il sapere interviene nella società per modificarla. Gli intellettuali non si occupano dell’arte fine a se stessa, ma soprattutto della diffusione della cultura; questo significa che il loro operato, per essere tale, deve avere anche ricadute sociali. L’intellettuale per eccellenza in questo senso è Dante, perché coniuga il suo operato artistico con l’impegno politico. Oltre a fare arte, dunque, gli intellettuali si interessano anche del mondo che li circonda e l’arte assume compiti di natura civile e sociale. (cfr. B. Brecht: tempi bui questi, in cui anche parlare di alberi è un delitto perché per troppo tempo si è fatto silenzio –a proposito del silenzio durante la seconda guerra mondiale-). Nell’Umanesimo la figura dell’intellettuale è particolare, perché sebbene il rapporto con i potenti sia di dipendenza, tuttavia si configura come innovativo. Nel ‘400 e poi di più nel ‘500 e ‘600, infatti, assistiamo alla comparsa di forme di governo e di potere  in cui la borghesia assume il punto di vista e il modo di vivere e di intendere il potere tipico della nobiltà: molti borghesi arricchiti divengono non a caso signori di importanti centri urbani (signorie). I borghesi assumono il ruolo di governanti e legittimano il loro potere con l’idea che ormai sono diventati nobili, cioè hanno acquisito caratteristiche tipiche della nobiltà (ad esempio comprando titoli nobiliari); per legittimare il loro potere si circondano poi di artisti che usano come strumento di consenso (consenso = governo che deve essere accettato da tutti). Nel ‘400 i potenti supportano e favoriscono la ricerca artistica e scientifica, garantendo libera espressione agli artisti che gravitano attorno alla loro corte. Lo scopo è duplice: da un lato, la presenza degli artisti a corte serve a giustificare agli occhi dei sudditi la loro supremazia; dall’altro, la produzione culturale serve a veicolare stili e modi di vita che si vogliono diffondere. Tale fenomeno va sotto il nome di “mecenatismo”.

  1. Che cosa si intende con il termine “mecenatismo”?

È un tipo particolare di rapporto che si instaura tra gli intellettuali e gli uomini di potere. Il termine viene da Mecenate, nobile romano che nell’età augustea (44 a. C. – 17 d. C.) fu incaricato dall’imperatore, in quanto suo consigliere, di istituire un circolo culturale. Mecenate riuniva nella sua villa i principali poeti e artisti dell’epoca, allo scopo di elevare la qualità della produzione artistica e culturale di Roma, ma anche per promuovere e creare consenso intorno all’imperatore Augusto. Mecenate provvedeva al mantenimento di questi artisti, cui garantiva libertà di espressione, pur con i limiti dettati dalla necessità di non dispiacere all’imperatore o criticarne l’operato. Questo fenomeno ricompare in età umanistica: in questo periodo nascono le “corti”, nelle quali i signori (o principi) si circondano di artisti che vivono all’interno delle corti, mantenuti dai principi stessi così da garantire loro la possibilità di sviluppare liberamente la propria arte (cfr. Raffaello: studia la vita!; cfr. Michelangelo – quando dipinge la Cappella Sistina viene mantenuto dal Papa), creando al contempo intorno a sé il consenso di cui hanno bisogno. Ciò vale soprattutto per la corte medicea: Lorenzo De Medici (il Magnifico), promotore di un cenacolo di artisti (poeti, pittori, artisti, filosofi) a Firenze, utilizzava l’arte per tenere sotto controllo la produzione culturale a lui contraria. Va tenuto presente, infatti, che il passaggio dal ‘300 (età dei Comuni) al ‘400 (età delle signorie) da un punto di vista politico non è indolore, perché una parte dei cittadini non accettava di essere governato da un solo uomo, per cui chi governava aveva bisogno di conquistarsi l’appoggio di tutti. Il consenso si creava sia imponendosi con la forza sui ribelli, ma soprattutto attraverso la persuasione, e la comunicazione letteraria e artistica servivano proprio a diffondere messaggi e idee tra i cittadini. Tuttavia, se è vero che i principi si servono degli artisti per creare consenso, è anche vero che nel ‘400 questi ultimi sono ancora generalmente liberi, perché hanno la possibilità di esprimersi senza censure. Nel corso del tempo vedremo che alcuni artisti non saranno mai completamente assoggettati al potere.

  1. Chi erano gli aristocratici del ‘400?

Erano borghesi arricchitisi che cominciavano ad assumere stili di vita diversi, simili a quelli dei nobili (comprando ad esempio titoli nobiliari – i Medici erano banchieri e mercanti che poi divennero signori di Firenze; in Europa la borghesia invece prende le distanze dalla nobiltà).

Cosa ricordare:

  1. Nel 400/500 c’è il fenomeno del mecenatismo (saper spiegare cos’è);
  2. l’arte di questo periodo non risente eccessivamente del controllo del potere e i signori non si permettono di dare indicazioni su cosa gli artisti devono fare, tranne casi isolati, in cui  verrà toccato il punto nevralgico del potere; solitamente incentivano la ricerca artistica e scientifica.
  3. Difficilmente in questo periodo ci troviamo di fronte a problemi di censura da parte del potere.
  4. La questione degli spazi: nel Rinascimento viene meno il luogo fisico della città, luogo delle relazioni, degli incontri, degli scambi commerciali ed anche culturali. È vero che l’artista dell’Umanesimo è libero, a tal punto che il potere viene influenzato dall’arte stessa (cioè si “umanizza”). Tuttavia, in questo periodo cambia il luogo in cui si produce la cultura: dalla città si passa alla corte. La produzione artistica nasce all’interno della corte, in uno spazio definito, circoscritto e solitamente autoreferenziale (= che rinvia a sé stesso, che non è rivolto ad altri che a sé stesso). Questo significa anche che diverso è il valore attribuito alla cultura: la cultura non è di tutti né si rivolge a tutti. Nell’Umanesimo ci troviamo di fronte ad una cultura che, avendo come luogo di produzione la corte, diventa di natura aristocratica, escludendo in maniera inconsapevole la grande tradizione popolare. A partire dall’età umanistica si assiste alla divaricazione tra cultura bassa e a alta e tra lingua letteraria e lingua d’uso. Tale divaricazione esclude di fatto la strada e la piazza come luoghi di produzione culturale. Lo scarto che si crea dipende dal fatto che il soggetto promotore della produzione artistica non appartiene più al popolo, si è separato da lui, anche se spesso fa propri gli strumenti della cultura popolare (cfr.  ad esempio Lorenzo il Magnifico che usa la ballata –di origine popolare- per i suoi componimenti). Lo scarto rispetto all’epoca di Dante e dei Comuni è evidente. Da un lato, la Divina Commedia faceva proprie tutte le conoscenze del tempo e non poteva essere interpretata senza tener conto della struttura sociale in cui Dante viveva; il poeta si proponeva di dare dignità proprio alla lingua popolare, dimostrando che l’opera era destinata a tutti, e questo era il risultato di un processo di natura democratica in cui si fondevano la cultura nobile e quella popolare. Dall’altro, venendo meno la città, venne meno anche l’idea che ci potesse essere una produzione artistica che fosse specchio della società nella sua interezza. Lo spazio in cui ad esempio si troveranno ad operare Boccaccio e Petrarca non sarà più la città (com’era per Dante), perché i Comuni stanno scomparendo (non a caso la peste diventerà per Boccaccio anche il simbolo della fine di un’epoca); sarà al contrario uno spazio fittizio, utopico, ideale, che entrambi individueranno nella scrittura.  Al termine dell’epoca di crisi rappresentata dalla scomparsa dei Comuni, durante l’Umanesimo assistiamo alla ricomparsa di uno spazio fisico, la corte appunto, che rappresenterà l’inizio della separazione tra il luogo in cui si realizza la produzione culturale (la corte stessa) e la gente che vive in quel luogo (il popolo). Se prendiamo  ad esempio Lorenzo il Magnifico vediamo che egli fa propria tutta la tradizione popolare (cfr. Quant’è bella giovinezza…, in cui usa i metri popolari), pur non appartenendo al popolo che ha prodotto la struttura della ballata. Questo segna l’inizio della separazione tra intellettuali e popolo che caratterizzerà la scena politica e culturale dei secoli successivi, quando non ci sarà più alcun rapporto tra il popolo e gli intellettuali: la produzione letteraria si rivolgerà solo ad una porzione minima della società, perdendo la sua natura democratica.
  5. Problema del codice di comunicazione (lingua): nei primi 50 anni del ‘400 gli Umanisti rifiutano il volgare come lingua letteraria e recuperano il latino. Verso la metà del ‘400 ricompaiono forme letterarie che utilizzano la lingua volgare, la quale però risulta estremamente raffinata, ovvero depurata dei termini ritenuti non adatti ad una lingua letteraria. L’esito è la nascita di una lingua letteraria parlata e compresa da pochissime persone. Gli umanisti, eliminando la lingua d’uso (cioè la lingua parlata nella vita di tutti i giorni) dalla lingua volgare, impongono una lingua letteraria artificiale e attuano per primi una netta divaricazione tra lingua d’uso e lingua letteraria, tra lingua del popolo e lingua degli intellettuali.
  6. Organizzazione del territorio che si riflette sulla produzione culturale: se il centro di potere si trova separato, isolato dal centro cittadino (ad es. un castello in collina circondato dalle foreste), il rapporto tra chi vive a corte e chi vive al di fuori si presenta come fortemente gerarchizzato. Se, invece, il signore si trasferisce dal suo castello per vivere a contatto con i cittadini, all’interno del centro urbano, significa che il rapporto con la popolazione è cambiato, si è fatto più prossimo. Di conseguenza, il tipo di cultura che si diffonderà sarà di tipo orizzontale (= rivolta anche al popolo) e la lingua parlata sarà la lingua della piazza. Se poi nel tempo sulla piazza viene costruito un palazzo, sede del potere e residenza del signore di turno, il rapporto con il popolo cambia ancora: la cultura si allontana di più dal popolo, si fa più aristocratica, anche se non si è ancora separata totalmente dalla piazza. Tuttavia, il centro non è più la piazza, bensì il palazzo che è nato sulla piazza. L’organizzazione dello spazio incide notevolmente sul rapporto che si instaura tra la cultura, promossa dal potere, e il popolo.

Nel corso dei secoli i potenti si allontaneranno dal centro per isolarsi altrove: nel ‘700, ad esempio, il potere abiterà lontano dai centri urbani e di conseguenza produrrà una cultura lontanissima dal popolo, assumendo la prospettiva del palazzo e non della piazza.

  1. Le corti e i circoli al posto delle Università: l’Università era nata nel Medioevo, come luogo in cui si andava a produrre sapere che nasceva dallo scambio dialettico tra coloro che frequentavano l’Università. Le università erano luoghi di discussione, spazio principe della produzione culturale. Nell’Umanesimo, invece, le Università scompaiono: i luoghi che elaborano il sapere sono circoli chiusi, elitari, cioè destinati a pochi eletti, proprio perché nuovo è il concetto di cultura, intesa come sapere destinato a pochi.
  2. Un lingua e una letteratura nuova: l’arte umanistica elabora sia un ideale estetico diverso da quello medioevale, sia un ideale letterario/linguistico nuovo, che occorre saper riconoscere. Gli Umanisti, che non hanno più come punto di riferimento la città (e il popolo) ma la corte, utilizzeranno il volgare di Petrarca e Boccaccio e rifiuteranno la lingua “democratica” di Dante.

 

Fonte: http://www.diversamentesocial.it/pluginfile.php/158/mod_folder/content/0/Umanesimo_rinasc.doc?forcedownload=1

Sito web da visitare: http://www.diversamentesocial.it/

Autore del testo: non indicato nel documento di origine

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