Cartoni animati tra oriente e occidente

Cartoni animati tra oriente e occidente

 

 

 

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Cartoni animati tra oriente e occidente

 

 

CARTONI ANIMATI TRA ORIENTE E OCCIDENTE

Daniela Cardamone*

Abstract

Il cartone animato rispecchia la visione del mondo, i valori, le regole della cultura di chi li produce, proprio perché risente del background culturale, sociale e religioso del suo animatore. Mettendo a confronto le filosofie delle tre grandi produzioni seriali di cartoni animati – Walt Disney, anti-disneyani e Sol Levante – emergono tre modi differenti di intendere la vita, oltre che tre diversi stili di animazione. Il cartone animato è per sua natura un prodotto artistico specifico di una cultura, ma è altresì un prodotto interculturale che non conosce confini di spazio né limiti di tempo. Il mondo dei cartoni ha infatti la straordinaria capacità di favorire l’incontro tra Oriente e Occidente e il confronto e il dialogo tra culture molto distanti tra loro.
Cartoon reflects world view, values and customs of the cartoon maker’s culture as it conveys cultural, social and religious background of the producer himself. Comparing the way of thinking of the three most important cartoon makers - Walt Disney, anti- disney and Sol Levante – appear three different ways of looking at life, as well as three different animation styles. Cartoon is, because of its own nature, an artistic product typical of a culture, but at the same time, it is an international product with no space boundaries or time limits. In fact cartoon’s world can facilitate considerably the possibility of contacts between the peoples to the East and West and more, it can facilitate a comparison and a dialogue between cultures so far apart.
Parole chiave: cartoni animati, Disney, anime, antidisneyani, Occidente/Oriente.

Key word: cartoons, Disney, anime, antidisneyani, West/East.

 

Introduzione

Se fiabe, leggende e storie, sono state da sempre gli strumenti con cui una  società ha tramandato se stessa definendo di volta in volta il bene e il male, il giusto e l’iniquo attraverso eroi e valori, anche oggi non può essere trascurato il ruolo svolto dai cartoon nella trasmissione di tradizioni culturali alle nuove generazioni. Per quasi tutti i bambini la tv ha da tempo sostituito le fiabe con racconti moderni creando, da un lato, il fenomeno della globalizzazione per cui tutti vedono e sentono le stesse cose nello stesso periodo della loro vita e, dall’altro, l’omogeneizzazione: «i tele-eroi sono cioè frutto di una sintesi tra più culture e di una mediazione culturale che ne definisce comportamenti,
modelli e stili di vita reinventati a partire da segmenti propri di ogni ambito culturale»1. Se è vero che i cartoni sono espressione di un ambiente, di un’etnia, di un popolo, è altresì vero che sono spesso concepiti e realizzati in un’ottica universale2  al fine di raggiungere la più vasta clientela. Posto che i gusti, il senso dell’umorismo, il modo di divertirsi non è lo stesso in tutti i paesi, ci sono però delle caratteristiche comuni a tutti i bambini3 che consentono di creare un codice unico in grado di coinvolgere chiunque. Il cartone animato è per sua natura un prodotto artistico multiculturale che contiene una pluralità di identità, ritmi, codici, linguaggi, ambientazioni, musiche, ma è altresì un
prodotto interculturale che non conosce confini di spazio né limiti di tempo in quanto fusione delle diverse culture. La stessa nascita dei cartoni è il risultato di secoli di scoperte e di studi sul movimento e sulla proiezione, le cui tappe più significative furono, solo per citarne alcune, gli spettacoli di ombre dell’Antico Egitto o della Cina,
la lanterna magica di padre Kircher, il fantascopio di Robert, il thaumatropio di Paris, il fenakistoscopio di Plateau4, il théatre optique di Reynaud. Il disegno animato nasce ufficialmente in Francia grazie alla creatività di Emile Cohl ma diventa ben presto oggetto di attenzione da parte di tante case di produzione americane, europee, nipponiche.


* Dottoressa in Scienze dell’Educazione presso il Dipartimento di Scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali dell’Università di Messina.
1  V. ONGINI (2001), La scuola dei Pokemon, in E. PASETTI (2002) (a cura di), Un mondo di cartone,
Junior, San Paolo, Bergamo, 200610, pp. 23, 24.
2  Cfr. E. PASETTI (2002), L’universo dei cartoni animati, Unicef, Roma, p. 11.


 

 

Da Oriente a Occidente: alcuni esempi di cartoni animati attraverso un percorso geografico e transculturale

La maggior parte dei cartoon rispecchia la visione del mondo, i valori, le regole della cultura di chi li produce. Ogni cartone animato contiene una ben precisa ideologia e «un suo peculiare corredo di valori»5, esso è portatore di un messaggio: trasmette contenuti, veicola significati, propone modelli e comportamenti da imitare, stili di vita, comunica qualcosa al piccolo telespettatore. È chiaro quindi che il cartone animato  non
è mai neutro, ha un punto di partenza biografico preciso ed è fondato – essendo figlio del background culturale, sociale e religioso del suo animatore – sull’esperienza personale e sociale di ciascun autore. Ogni animatore sceglie di trasferire un preciso messaggio, e lo fa attraverso molteplici linguaggi, in primis il linguaggio delle  immagini, dei disegni, dei colori; tutto è intessuto nei minimi particolari, niente  è lasciato al caso: i tratti grafici dei personaggi (sguardi, espressioni), le ambientazioni, le inquadrature, i primi piani, il movimento più o meno rapido delle immagini, i rumori e le musiche di sottofondo (usate per creare uno specifico clima emotivo: suspense, tensione, commozione), insieme ai dialoghi e alla trama, collaborano a trasmettere l’anima del cartone entrando in contatto con la parte più profonda: le emozioni. Qualsiasi prodotto creativo non può quindi non avere a che fare con l’immaginazione, la fantasia o la cultura di chi lo crea.
Mettendo a confronto le filosofie delle tre grandi produzioni seriali di cartoni animati – quella di Walt Disney, quella degli studi americani non disneyani e quella del Sol Levante – emergono le rappresentazioni di tre modi differenti di intendere la vita oltre a tre diversi stili di animazione.



3  Cfr. Ivi, p. 19.
4  Cfr. P. ZANOTTO (1968), I disegni animati, Radar, Padova, p.13.
5 M. MALCHIODI (2009) Forme, stili, valori, personaggi, in M. MALCHIODI (2009) (a cura di), Valori di cartone. Esperienze e personaggi dell’animazione televisiva, Link Ricerca, Milano, p. 28.


    • Walt Disney

 

Walt Disney, uomo romantico, ottimista e con una visione goliardica della vita, creava i suoi personaggi semplicemente “per il piacere di recar piacere” agli spettatori: buffi e quasi sempre simpatici, per lo più bambini o animali antropomorfizzati che popolano un mondo fantastico, essi giocano e comunicano la loro straordinaria soddisfazione nel giocare6. Egli disegnava spesso ambientazioni agresti, che ricordano  i
luoghi della sua infanzia, in cui il ritmo della quotidianità è più lento e lo stile della vita più semplice e genuino. Distingueva nettamente nel carattere, nelle qualità, nei modi di fare e di parlare i personaggi buoni da quelli cattivi: «i buoni sono buoni-buoni, i cattivi sono cattivi-cattivi»7. Il buono, inoltre, nei cartoni disneyani, anche se attraversa difficoltà e subisce ingiustizie, reagisce sempre con pazienza e mansuetudine perseverando nella sua integrità che lo premia con il lieto fine: per Disney, «la morale regna sovrana»8, ciò che conta è essere buoni d’animo perché il bene è alla base di tutto e alla fine trionfa sempre sul male.
Per quanto riguarda l’aspetto grafico, il cineasta non pensava in termini di figure  in movimento, ma in termini di attori disegnati. Egli aveva la straordinaria capacità di fare esprimere ai personaggi non solo le emozioni palesi, ma anche quelle sottintese, e perfino quelle nascoste. La sua animazione riusciva a svelare la faccia oscura del nostro esprimerci lavorando sulla mimica facciale, sulla gestualità, sulle azioni dei personaggi, cosciente del fatto che a far comprendere il carattere della gente non sono i discorsi ma gli sguardi, i comportamenti, il colore delle guance, il ritmo del passo. Ogni  personaggio doveva avere un carattere, un modo di muoversi consono al suo aspetto e alla sua psicologia, un corpo in cui ossa, muscoli e giunture fossero al loro posto. «Il disegno animato non era per lui l’interpretazione del mondo reale, ma era un mondo reale in caricatura»9.
In novant’anni di attività, la Walt Disney ha prodotto oltre 1600 film doppiati in più di quattordici lingue10. Con i suoi cartoon, il grande cineasta hollywoodiano ha inteso rivolgersi alla più vasta clientela, attribuendosi il merito di aver divulgato ad ogni livello sociale motivi e temi che altrimenti sarebbero rimasti patrimonio di pochi. Dagli anni Novanta inoltre gli studios disneyani iniziano a cimentarsi in una serie di cartoni ambientati in culture lontane, mirando così alla conquista di un’audience planetaria11. In questa tipologia di cartoni, la Walt Disney ha cercato di ricreare paesaggi,  ambientazioni e atmosfere tipiche di ogni singolo paese rappresentato, talvolta ispirandosi a scenari realmente esistenti, talvolta reinterpretando in chiave soggettiva tradizioni e culture “altre”. Ecco alcuni esempi.

      • Alladin (1992), ambientato nella città di Agrabah, in un Oriente ricco di suggestioni visive12, nasce come un omaggio alla cultura araba provocando invece accese proteste da parte degli arabi per l’immagine negativa e stereotipata



6 Cfr. S. SPINI (1997), I cartoni animati: attraenti, ma non innocenti, in «Scuola materna», LXXXIV, 10 aprile 1997, N. 14, p. 11.
7   M.  PELLITTERI   (1999),  Mazinga  nostalgia.  Storia,  valori  e  linguaggi  della  Goldrake  generation,
Castelvecchi, Roma, p. 76.
8 Ibidem.
9  G. BENDAZZI (1988), Cartoons. Il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio, Venezia, p. 88.
10  Cfr. P. ZANOTTO (1966a), Disegni e pupazzi animati di ieri e di oggi, Arti grafiche Scalia, Roma, p. 25.
11  Cfr. E. PASETTI (2002), L’universo dei cartoni animati, cit., p. 18.
12 Cfr. D. V. SIMION (2009), voce “Aladdin”, in Id. (2009), Il dizionario dei cartoni animati, Anton, Torino, p. 11.


che ne emerge. Uno dei gioielli architettonici più apprezzati dell’India nonché uno degli edifici più famosi al mondo, il Taj Mahal, sembra sia stata la fonte di ispirazione per il Palazzo Reale del Sultano13. Come si può notare dalla figura 1, entrambi gli edifici (parte superiore ed inferiore dell’immagine) hanno elementi simili perché sono una combinazione di islamico, persiano, ottomano, turco e
stili architettonici indiani.


Fig. 1

      • Un altro capolavoro Disney, Il Re Leone (1994), ambientato, a quanto pare, in Kenya, precisamente nella zona dello Serengheti in cui c’è una roccia  che ricorda moltissimo Pride Rock14 (fig. 2), mette in evidenza alcuni aspetti della cultura africana, in particolare kenyota. I nomi dei personaggi infatti hanno un significato in swahili: “Simba” significa “leone”, “Rafiki” significa “amico”. “Hakuna matata”, espressione ricorrente nel cartone, è un tipico detto kenyota

che vuol dire “senza problemi”.


Fig. 2

      • Pocahontas (1995), ambientato nella natura selvaggia della Virginia del Seicento15, rivolge l’attenzione agli indiani d’America ed invita al rispetto delle minoranze. La mitica protagonista lotta per salvare il suo popolo, la pace e la bellezza della natura (fig. 3).



13 Cfr. <https://apah.wikispaces.com/Disney+and+Its+Hidden+Art+History+References>.
14 Cfr. <http://www.lg-travel.it/curiosita-dal-mondo/i-luoghi-reali-del-mondo-delle-favole/>.
15 Cfr. D. V. SIMION (2009), voce “Pocahontas”, in Id. (2009), Il dizionario dei cartoni animati, cit., p. 423.



Fig. 3

      • Mulan (1998), cartone ispirato ad un’antica leggenda cinese16, è concepito per far breccia nel mercato asiatico e cinese in particolare, di solito impermeabile ai prodotti animati occidentali17. Vi sono pertanto espliciti riferimeni alla storia dell’arte cinese. Tra i tanti, salta agli occhi il camminare della protagonista attraverso una porta a forma di cerchio (porte che si trovano spesso in tutta la Cina in quanto considerate simbolo di perfezione, unità e unicità)18 (fig. 4).

 



Fig. 4
In ogni film d’animazione, la Disney non si limita soltanto a ricreare i luoghi originari d’ambientazione ma si preoccupa di curare le caratteristiche grafiche ed estetiche dei personaggi al fine di contestualizzarli e di rappresentare attraverso di essi i “modi di sentire” delle società nei diversi periodi storici. Ogni “principessa Disney”  (fig. 5) presenta uno stile differente e un outfit tipico della propria cultura e del periodo storico in cui vive. Ciascuna ha inoltre una peculiare fisionomia, dei lineamenti (forma del viso, forma degli occhi, espressione, acconciatura) e un modo di parlare e di atteggiarsi che mettono in risalto caratteristiche storico-culturali ben definite lanciando dei messaggi ben precisi.


16  Cfr. D. V. SIMION (2009), voce “Mulan”, in Id. (2009), Il dizionario dei cartoni animati, cit., p. 388.
17  Cfr. E. PASETTI (2002), L’universo dei cartoni animati, cit.,  p. 18.
18      Cfr.     D.     MOYER,    Disney    and    Its   Hidden   Art     History   References,     giugno     2014,    in
<https://apah.wikispaces.com/Disney+and+Its+Hidden+Art+History+References>.



1937         1950       1959      1989      1991        1992     1995       1998      2009      2010       2012     2013
Fig. 5

Biancaneve (1937) incarna il tipo di donna che la società degli anni Trenta predicava: premurosa, umile e sottomessa, il suo più grande talento è fare le faccende di casa, e cucinare la crostata di mele. La principessina si presenta con lineamenti arrotondati e tratti molto infantili, a voler mettere in risalto la sua natura ingenua, fragile e indifesa.
Cenerentola (1950), bellissima ragazza, paziente, solare e un po’ sfortunata, finisce per fare da serva nella sua stessa casa. L’unico conforto che le resta sono i suoi sogni; essa incarna la sognatrice per eccellenza, la quale riuscirà sì a realizzare i suoi “desideri chiusi in fondo al cuor” ma solo grazie ad un intervento esterno. Anche Cenerentola si presenta con un viso rotondo, caratteristica che la rende più fanciullesca che sensuale.
Aurora (1959) è la tipica ragazza romantica, crede nel vero amore e il suo unico desiderio è innamorarsi19. In questo personaggio femminile i lineamenti cominciano a cambiare e si intravedono segni grafici che mettono maggiormente in risalto la femminilità: viso leggermente più allungato, zigomi più pronunciati, nasino all’insù e  un corpo più sinuoso.
Ariel (1989) è la principessa che porta una ventata di cambiamento nel modello femminile finora rappresentato da Disney: impulsiva, caparbia, curiosa e creativa, sogna l’amore e la libertà, in nome dei quali infrange le regole disubbidendo al padre e realizzando così il suo scopo di conoscere il mondo degli umani. In lei sussistono due nature, Ariel è infatti metà sirena e metà umana, e sembra rappresentare quel tipo di donna a metà strada tra la dolce Biancaneve e l’intraprendente Merida. La seducente e peperina sirenetta è caratterizzata da lunghi capelli rossi e grandi occhi azzurri.

19 https://it.wikipedia.org/wiki/La_bella_addormentata_nel_bosco_(film)


Belle (1991), dai tratti più aggraziati e materni, è una ragazza semplice che vive in un piccolo villaggio francese, molto intelligente, amante dei libri e della lettura, sensibile e allo stesso tempo forte e coraggiosa. Nonostante il suo nome e la sua oggettiva bellezza fisica, nel personaggio risalta maggiormente la bellezza interiore e la sua capacità di guardare oltre l’apparenza l’orrenda bestia dal cuore umano. Il personaggio di Belle sembra voler dimostrare che è possibile che bellezza, sensibilità, intelligenza e cultura possano convivere.
Jasmine (1992) è la prima principessa orientale rappresentata dalla Disney. Con i suoi lunghi capelli scuri, la carnagione olivastra, gli enormi occhi neri, lo sguardo profondo e sensuale, le sopracciglia folte e il suo bellissimo sorriso, Jasmine segna la fine del modello femminile classico disneyano. Le movenze accattivanti, il ventre scoperto (simbolo della danza orientale), la voglia di libertà e il desiderio di uscire fuori dagli schemi, indicano quanto la concezione della donna nella società sia cambiata.
Pocahontas (1995), l’unica principessa Disney ad essere realmente esistita, è uno spirito libero: selvaggia ed introversa allo stesso tempo, coraggiosa, fiera di essere un’indiana rivela un carattere forte e testardo. È una donna estremamente affascinante: alta, snella, atletica e voluttuosa, spicca immediatamente per la sua prestanza. Indossa una ridottissima tunica indiana che mette in evidenza il suo corpo statuario.
Mulan (1998), il cui personaggio è basato su una leggendaria eroina cinese, è audace ed intraprendente. Dotata di grande coraggio e determinazione, prende una rischiosa decisione che sconvolgerà il corso di tutta la storia: si arruola in un esercito di soli uomini fingendo di essere un guerriero. Forte, agile e riflessiva, è una combattente ma nello stesso tempo ha un animo dolce e sensibile.
Tiana (2009), una giovane ragazza afroamericana di diciannove anni, molto intelligente e realista, che fin da bambina ama cucinare e vuole diventare chef proprio come il papà. Nonostante una notte esprimi un desiderio sotto le stelle, Tiana lavora sodo come cameriera per poter acquistare il ristorante sognato da lei e da suo padre20.
Scopre infine che i sogni possono avverarsi anche se non sempre come ce li immaginiamo e che molto spesso le apparenze ingannano.
Rapunzel o Raperonzolo che dir si voglia (2010) è la prima principessa disneyana ad essere dotata di poteri magici: i suoi capelli e il suo canto hanno infatti la capacità di far ringiovanire. Per questo motivo viene rapita e rinchiusa in una torre, dove trascorre la sua vita fino al compimento della maggiore età. Qui, isolata, la ragazza si tiene impegnata in ogni genere di attività sviluppando così abilità in molti settori: letteratura, arte, musica e astronomia. Rapunzel infatti trascorre il tempo leggendo libri, cantando, dipingendo, spazzolando i suoi lunghissimi capelli magici e sognando il mondo esterno. È una ragazza vivace, intelligente, gentile e avventurosa, anche se un  po’ ingenua; vive sentimenti ambivalenti: da un lato il desiderio e l’eccitazione di esplorare il mondo esterno, dall’altro la nostalgia di stare nella torre “al sicuro”. Mostra di essere anche determinata, dura e coraggiosa quando cerca di realizzare il suo sogno. La decima principessa Disney indossa un abito tradizionale tedesco, composto da gonna e corpetto, ed è nota per i suoi lunghissimi capelli biondo oro (lunghi più di 20 metri), che spesso intreccia e usa per difendersi o per arrampicarsi. Graficamente si presenta


con la pelle chiara, le guancette rosse, le lentiggini intorno al naso, due grandi occhi verdi e un simpaticissimo sorriso.
Merida (2012), ribelle e contraria per natura alle tradizioni e alle educate  maniere di sua madre, detesta le regole e desidera vivere come le pare. Non sembra le piaccia molto studiare, ama la vita all’aria aperta, ha molto coraggio e notevoli capacità nel tiro con l’arco e nel cavalcare: un vero maschiaccio! Non ha intenzione di sposarsi, non sopporta l’idea di comportarsi come una principessa e non accetta che siano altri   a
decidere del suo destino21. Presenta i tipici tratti scozzesi: occhi azzurri, lentiggini e folti capelli ricci color rosso fuoco, che la madre, Elinor, non riesce a domare. È l’unica principessa Disney ad indossare un abito scuro, semplice e molto comodo e a non rispecchiare i canoni classici di bellezza e di perfezione; ha un viso acqua e sapone, uno sguardo vispo ed un’espressione simpatica e sebbene fisicamente somigli tanto a Biancaneve (il corpo senza forme) nel carattere è profondamente diversa.


Biancaneve e i sette nani                                         Merida (Ribelle – The Brave)

Elsa ed Anna (2013), le coprotagoniste di Frozen, sono due sorelle,  principessine di un fiordo della penisola scandinava. La prima, dall’aspetto incantevole  e glaciale, e dal temperamento apparentemente riservato è una ragazza dolce e sensibile ed è dotata di poteri magici: riesce con le sue mani a creare e a manipolare il ghiaccio. Questa sua capacità però è causa di vari incidenti, motivo per cui le due sorelle vengono separate da piccole. Anna, la sorella minore, ingenua, maldestra e affettuosa, ha un carattere molto spontaneo, in contrasto con quello più riflessivo e temperato della sorella. Graficamente le due protagoniste rappresentano la tipica bellezza norvegese: da un lato la sofisticata Elsa, una donna matura dai grandi occhi celesti, labbra sottili, zigomi pronunciati, guance rosee e capelli color platino; dall’altro la frizzante Anna, un’adolescente molto carina, con le sue lunghe trecce color rame, le sue lentiggini e una mimica facciale spesso buffa.

Quando la Disney nei suoi film usa determinate caratteristiche fisiche per rappresentare le donne (occhi grandi, seni eleganti, fianchi strettissimi, piedi piccoli)
«lancia il seguente messaggio: per essere una principessa non basta solo essere coraggiose, ma bisogna avere degli specifici canoni di bellezza, spesso irraggiungibili»22. Inoltre, il prototipo di donna che la Disney presenta nei suoi cartoni,  a parte qualche eccezione (Mulan e Merida), incarna lo stereotipo tradizionale: donne

21 https://it.wikipedia.org/wiki/Ribelle_-_The_Brave
22< http://www.giornalettismo.com/archives/1241995/disney-ed-il-corpo-delle-donne/>.


che attendono, per essere felici, di essere conquistate da un uomo bellissimo, ricco e talentuoso.
Ma anche tanti cartoni23 televisivi rivolti ad un pubblico di bambine presentano un ritratto della figura femminile molto stereotipato, in cui le protagoniste, giovani, belle, vanitose, estete (esageratamente attente a trucco e parrucco) sfoggiano abiti succinti e provocanti e mettono in mostra il loro fisico perfetto e sensuale (fig. 6).Non
male come modello per tante ragazzine!...


Winx Club                                                            W.I.T.C.H.
Fig. 6

Mentre molto spesso, lo stereotipo maschile prevede personaggi tutti muscoli e potenza, che sono «costantemente impegnati in azioni di violenza no-stop»24 per salvare  il mondo dalla distruzione (fig 7). Eroi ambigui che incorporano le caratteristiche dell’antieroe e che all’occorrenza dimostrano sì di saper fare trionfare il bene, ma per
mezzo della vendetta e dell’omicidio. Secondo quanto afferma lo psicanalista Bruno Bettelheim, il bambino si identifica nell’eroe e proietta tutto se stesso in un  personaggio: se questo personaggio è buono, allora il bambino decide che anche lui vuole essere buono25; allo stesso modo se l’eroe è un ladro, un prevaricatore e un violento, il bambino vorrà essere come lui, assumendone così tutta la negatività.



Dragon Ball                                                                   Naruto
Fig. 7


23  Winx Club, Totally spies, Bratz, Mermaid Melody, Mew Mew amiche vincenti, W.i.t.c.h.
24      Cfr.    G.    BIANCO    (2010),    La    metamorfosi    dei    supereroi,    in    «Città    Nuova»,    p.    1 in
<http://www.cittanuova.it/contenuto.php?testoricerca=cartoni+animati&v=Cerca&MM ricerca=ricerca&TipoContenuto=articolo&idContenuto=27868&origine=ricerca&name=1>.
25  Cfr. B. BETTELHEIM (1976), Il mondo incantato, tr it. Andrea D’Anna, Feltrinelli, Milano, 1977, p. 15.


 

    • Lo stile antidisneyano

Lo stile disneyano, unico ed inconfondibile, riuscì a sbaragliare la concorrenza fino agli inizi degli anni Quaranta, quando si affermarono altri studios d’animazione che, divertendosi a protestare artisticamente contro Disney e i suoi personaggi tutti curve e cerchi, si orientarono in direzione opposta al fine di liberare il cartone dal cliché disneyano. Prime fra tutte, nel 1941 nacque la “United Production of America” (UPA), sotto la guida di Stephen Bosustow; i personaggi della UPA, uomini e non bambini, vivono nella realtà contemporanea, a differenza di quelli disneyani che popolano un mondo fantastico. Il suo personaggio più celebre fu Mister Magoo, che rappresentò una novità: essere umano, adulto, pieno di caratteristiche somatiche e psicologiche non “graziose”, miope come una talpa, voce gracchiante, testa calva, un brontolone testardo che si caccia sempre nei guai, dai quali però riesce sempre a districarsi in maniera molto
buffa26. Questo cartone servì per volgere in caricatura certi atteggiamenti, certi difetti e certi tic dell’odierna società americana.



Mister Magoo
Fig. 8

Nello stesso periodo anche la Warner Bros, avvalendosi della creatività di personalità come Tex Avery e Chuck Jones, reagì al linguaggio e alle tematiche disneyane creando uno stile burlesco e forsennato, costellato da incongruenze fisiche e innaturali, in cui il versante di una montagna nella scena finale risultava essere un telefono o il sole risultava appeso al cielo tramite una corda. Nacque così un nuovo stile.
Se Disney ha dato al cartone animato il valore della magia fiabesca, Chuck Jones ha realizzato una serie di animazioni che ha leggi fisiche proprie dove i personaggi, frenetici e pazzerelli, non si fanno mai male, non muoiono mai, ove l’irreale si fonde, in maniera eccezionale, al reale, e ove non vi è mai un vero e unico protagonista positivo. Non c’è un buono e un cattivo, ma piuttosto un furbo e un “fesso”, un vincitore e un perdente, ma senza drammi. Jones utilizza e incrementa fortemente le espressività facciali dei suoi personaggi fino all’esasperazione, fino a farci credere a veri sentimenti provati dalle sue creazioni scaturite dalla matita (la mascella che precipita a terra, gli occhi che fuoriescono dalle orbite, la lingua che dall’interno della bocca si estende lunghissima a terra, e così via); in tal modo essi restano nel nostro cervello come immortali e non sensibili al dolore. La Warner Bros diede alla luce un vero e proprio



26  Cfr. G. BENDAZZI (1988), Cartoons, cit., p. 181.


bestiario di successo creando personaggi con tipici caratteri psicologici: Porky Pig27 (1935), un maialino balbuziente, grassoccio e del tutto incapace; Daffy Duck28 (1937), un papero nero e isterico, pazzo ma pieno di iniziative; Bugs Bunny29 (1938), il coniglio più amato al mondo, con una carota perennemente in mano, dall’accento newyorkese con qualche battuta texana, una camminata sicura (balla come Fred Astaire); Titti e Silvestro30 (1942), il primo un canarino dai tratti teneramente infantili e dai grandi occhi azzurri che maschera un carattere subdolo e spesso feroce, il secondo un gatto che non brama altro che mangiarlo e fa uso di doppiezze e meschinità per raggiungere il suo scopo; Wile E. Coyote31 (1949), un coyote che pensa di essere un genio e si serve di  ogni mezzo per catturare il Road Runner32, uno struzzo velocissimo che sfreccia per le strade del deserto emettendo un suono di clacson: il “beep-beep”. Questi sono solo alcuni dei personaggi della Warner, protagonisti di vicende assurde, esagerate, violente. Allievi di Tex Avery furono i mitici Hanna e Barbera che nel 1940 riscossero un  enorme successo presso il pubblico con il loro Tom e Jerry33: storia dell’eterno amore- odio fra un gatto e un simpatico topolino; questi due autori furono straordinari nel trovare una via completamente nuova e diversa dell’animazione, a cominciare dal fatto che Tom e Jerry non parlavano mai, agivano soltanto e, inoltre, durarono negli anni senza subire grosse variazioni (fig. 10).



Tom e Jerry
Fig. 10

Tutti gli studios d’animazione concorrenti della Disney hanno un unico grande protagonista, lo scontro tra i personaggi: Braccio di Ferro combatte contro Bruto, Bugs Bunny contro Daffy Duck, Wile E. Coyote contro Beep-beep, Silvestro contro Titti, Tom contro Jerry, e così via.
Inoltre, nei cartoni vengono rappresentati soprattutto gli aspetti negativi della vita, in uno sfondo ironico e sarcastico, per poter “ridere di essi”; utilizzando personaggi fortemente aggressivi (Braccio di Ferro, Titti e Silvestro) che si divertono a condursi in un’irrefrenabile antagonismo in una dimensione totalmente irreale e fortemente creativa, senza regole da rispettare, niente da chiedere al proprio destino, nessun mondo da


27 Cfr. M. GIUSTI (1993), voce “Porky Pig”, in Id. (1993), Dizionario dei cartoni animali. Gli straordinari personaggi del mondo dell’animazione, Garzanti, Milano, p. 328.
28  Cfr. Ivi, p. 113.
29  Cfr. Ivi, p. 70.
30  Cfr. Ivi, p. 408.
31  Cfr. Ivi, p. 420.
32  Cfr. Ibidem.
33  Cfr. Ivi, p. 397.


costruire ma il “nostro” mondo da mettere a nudo. Sono i perdenti ad essere esaltati, personaggi che, come Wile E. Coyote, Silvestro, Daffy Duck, nonostante i disastrosi fallimenti, non si perdono mai d’animo. Il messaggio è chiaro: ciò che conta nella vita non è sempre vincere, ma avere la costanza di lottare senza arrendersi mai!

 

    • I nipponici

Decisamente diversi sono i motivi dominanti della cultura giapponese: la vita come sofferenza, la competizione, la lotta, la violenza, il sacrificio, un forte senso del dovere e la pressione sociale. Tutti i cartoni giapponesi, traggono ispirazione fondamentalmente dalla tradizione dei manga (letteralmente “schizzi, “disegni satirici”), considerati in estremo Oriente arte nobile, equiparati alla letteratura, con uno stile di disegno   essenziale   e   generi   narrativi   sconfinati:   dalla   fantascienza    all’erotico,
dall’horror all’umorismo. Questo aspetto, per gli anime34, è un dato inconfutabile: i fumetti   manga  infatti  servono  da  sceneggiatura  predeterminata,  che  consente      di
eliminare buona parte del lavoro creativo di ideazione della storia, fornendo già uno storyboard, un character design e una produzione di scenografie35. L’animatore nipponico rappresenta negli anime tematiche, filosofie, credenze, ambientazioni e ideologie tipiche della sua cultura e del suo paese. In particolare, salta agli occhi il valore assegnato all’anziano, al maestro e ad un lungo periodo di preparazione per superare  le  prove.  Prevale  l’idea  del  potere  e  del  dominio  rappresentate  in chiave
collettiva e non individuale. Ricorre spesso il tema della trasformazione, tipico delle religioni orientali (dalle trasformazioni dei robot a quelle delle maghette); differenze evidenti sono anche la gestualità e la mimica dei personaggi e una maggiore  disinvoltura nell’affrontare temi che sono tabù, non appropriati ad un pubblico giovane36.
Se per i produttori americani i cartoni animati sono cose per cui ridere o sorridere, in cui i personaggi non hanno problemi seri, vitali, la produzione giapponese sceglie di mostrare ai ragazzi un’altra fetta di mondo rappresentando nei propri disegni animati  la
«pesantezza dell’infanzia»37. Gli anime infatti si propongono di sovvertire in modo ironico i clichés culturali per i quali l’eroe è buono al cento per cento, è nobile, adulto e intelligente; in essi i capovolgimenti sono comuni e riguardano l’asse uomo/donna, bambino/adulto, buono/cattivo38. Nei cartoni nipponici i protagonisti sono quasi sempre orfani e la figura dei genitori ha poco valore in quanto, a differenza della cultura occidentale, si pensa che i figli debbano essere lasciati soli affinché imparino che con il sacrificio e la rinuncia ci si rafforza nello spirito e nella disciplina verso sé stessi e il proprio paese. Questa mancanza è compensata dalla figura del “maestro”, una guida
spirituale che indirizza i giovani allievi verso la maturità. I protagonisti sono ragazzi spesso soli, in perenne  competizione, che non vogliono condividere le    loro emozioni:


34 La parola anime è l’abbreviazione di animeshon, ovvero la storpiatura giapponese del termine inglese animation e si riferisce specificamente ai disegni animati di origine nipponica, sia quelli televisivi che quelli cinematografici. Cfr. D. V. SIMION (2009), Parliamo il “cartonese”, in Id. , Il dizionario dei cartoni animati, cit., p. I.
35 Cfr. <http://www.treddi.com/forum/topic/23171-levoluzione-del-cartone-animato/>.
36 Cfr. L. MADDII - IRRE Toscana (2001), Son Goku alla ricerca del nonno Sun Wu Kong, in E. PASETTI (2002) (a cura di), Un mondo di cartone, Junior, San Paolo, Bergamo, 200610, p. 73.
37  S. SPINI (1997), I cartoni animati… cit., p. 12.
38  Cfr. M. PELLITTERI (1999), Mazinga nostalgia…, cit., pp. 43-44.


espressione, questa, di una tendenza all’individualismo e alla solitudine, in contrapposizione alla gioiosa coralità dei tradizionali prodotti Disney. I mondi in cui questi personaggi vivono le loro avventure sono pieni di sopraffazione: la violenza sembra l’unico linguaggio attraverso il quale è possibile comunicare, picchiare gli altri è questione di sopravvivenza e, anche se gli eroi sono paladini del bene, si permettono qualunque comportamento perché per loro “il fine giustifica i mezzi”.
Per quel che concerne gli anime sportivi, il messaggio principale è che la vita è dura e occorre combattere per realizzare i propri desideri. In essi sono trasmessi molti concetti chiave dell’etica orientale: il sacrificio, il raggiungimento di un obiettivo indipendentemente dal prezzo da pagare, l’abnegazione, il lavoro di squadra, il valore dell’individuo. Da un lato, viene data importanza al gioco di squadra e alla solidarietà, dall’altro, si evidenziano le aspirazioni all’eccellenza sportiva da parte dei protagonisti.
In tema di linguaggio non va trascurata la particolare simbologia grafica degli anime. Il segno più caratteristico è dato dal modo di rappresentare gli occhi, spesso molto grandi o comunque preponderanti rispetto al resto del viso, la cui ragion d’essere va ravvisata nella maggiore resa espressiva (fig. 11).


Lamù                                                       Goku
Fig. 11

I personaggi, con gli occhi a mandorla ma non troppo, con nasi a punta, filiformi o a patatina, corpi molto tozzi o slanciati, non esistono in natura, ma sono a metà strada  tra Oriente e Occidente, figure destinate ad accontentare milioni di bambini di razze e culture diverse39. La frequente ripetizione dei medesimi fotogrammi nelle varie scene, dettata dalla necessità di economizzare sui disegni, ha determinato delle tecniche di ripresa ed escamotage registici tipici della cinematografia dal vero che procurano allo spettatore un effetto di dilatazione o arresto temporale e particolari stati d’animo40.


39  Cfr. Ivi, p. 227.
40  Cfr. Ivi, p. 232.


Dal punto di vista del disegno, gli anime rappresentano tratti rigidi  e standardizzati per cui ad una data emozione corrisponde sempre la stessa espressione. In questi cartoni le emozioni non sono manifestate attraverso la mimica dei gesti o l’espressione del viso, ma sono spiegate da una voce narrante41 rendendo più difficile, per il piccolo spettatore che non riesce a sentire cosa stia realmente provando l’eroe,
l’identificazione con i personaggi. Frequente è inoltre l’uso dei flashback, dei flashforward (es. la dinamica delle partite interminabili di Holly & Benji) e delle metafore visive: fascio di luce per esprimere potenza, linee cinetiche per esaltare i movimenti e indicare direzione e velocità dell’oggetto, resa iperbolica dei gesti per aumentare il pathos, diversità di colori e di sfondi per caratterizzare la scena, e tutta una serie di espedienti grafici tipici dei fumetti, spesso utilizzati in chiave comica, quali la
goccia di sudore per l’imbarazzo o la tensione, la bolla dal naso per esprimere un sonno profondo, i riflessi stellati negli occhi per esprimere determinazione e fierezza (fig. 7)42.



Fig. 12

Particolare risalto è sempre stato dato all’elemento musicale, fino a creare delle idols virtuali attraverso la realizzazione di cd-audio delle colonne sonore delle serie più famose, libere da una mera funzione di riempimento scenico e ascoltabili anche al di fuori della visione del cartone; tutto ciò ha dato l’avvio ad un business senza eguali in tutto il mondo. Per quanto riguarda i rumori, i più caratteristici sono quelli robotici e di fantascienza i quali, in quanto evidenziazioni auditive di un avvenimento visivo, caratterizzano la scena (una trasformazione di Daitarn 3 da astronave a robot non è la stessa cosa se l’audio viene eliminato). Le voci, anche nei doppiaggi, rispettano le tonalità ed il timbro della lingua nipponica ricca di esclamazioni, di sillabe secche, di espressioni come “ooh?”, “eeh?”, “coosa?” pronunciate da personaggi stupiti o adirati, di tante urla in segno di rabbia o di vendetta, o dei “dannazione!” e “maledizione!”   per
sottolineare la grande tensione emotiva di un momento della vicenda43. Anziché puntare sul grazioso e fondarsi sulla musica e sugli intermezzi cantati e ballati, come quelli americani,  i  cartoni  animati  giapponesi  preferirono  un  montaggio  rapido, un’azione
mozzafiato, la descrizione di mondi chimerici, non disdegnando la violenza44.



41  Ad esempio: narrazioni vocali fuori campo, «io narrante» del protagonista.
42  Cfr. M. PELLITTERI (1999), Mazinga nostalgia…, cit., pp. 234-235.
43  Cfr. Ivi, pp. 235-239.
44  Cfr. G. BENDAZZI (1988), Cartoons…, cit., p. 574.


Mediazione culturale o perdita di identità?

 

I cartoni animati si impongono ai bambini come una cultura preconfezionata perché offrono, nel bene e nel male, un modo di vedere il mondo e dei modelli di comportamento su cui essi costruiscono la loro identità. La cultura infantile appare così sempre più globalizzata: tutti i bambini del mondo infatti crescono con gli stessi cartoni animati, le stesse storie, gli stessi racconti e gli stessi valori. Si stanno così via via mescolando (e forse anche perdendo) le specificità culturali, le tradizioni e i principi strettamente legati ad ogni cultura. In Italia, per esempio, nonostante la realizzazione di una produzione “made in Italy”, la maggior parte dei cartoni animati proiettati nei palinsesti televisivi sono d’importazione statunitense e soprattutto nipponica. Il fenomeno giapponese in Italia, definito anime boom, nasce in particolare nell’aprile del 1978. Dagli anni Settanta in poi i giovani italiani, e non solo, sono cresciuti influenzati dai cartoni animati giapponesi, ricevendo idee, valori, suggerimenti e insegnamenti ignoti alla maggior parte dei cartoon prodotti in Occidente. Attraverso gli anime passa  in maniera sottile ma efficace una visione del mondo sempre più orientale basata sui rapporti di forza, sugli stili di lotta e di combattimento delle arti marziali giapponesi. In un anime inoltre sono considerati normali dei nudi, delle sparatorie, dei baci, delle esplosioni che, invece, i cartoon americani ed europei si guardavano bene dal mostrare.
Così uno dei tanti effetti della globalizzazione è che mentre in passato venivano influenzati dalla violenza solo i bambini cresciuti in un ambiente familiare violento o in nazioni in guerra, adesso attraverso lo schermo televisivo essa viene proposta a tutti i bambini, per ore, ogni giorno45. Questo accade perché molti cartoni che vediamo oggi in Italia  sono stati creati in Giappone  per un pubblico che  ha una cultura  differente    del
disegno animato. Mentre in Italia i cartoni animati sono considerati prodotto pressoché esclusivo dei bambini (under 12), in Giappone invece molti anime sono indirizzati a una fascia over 14.

 

Conclusioni

Il mondo dei cartoni ha la straordinaria capacità di favorire l’incontro tra Oriente e Occidente e il confronto e il dialogo tra culture molto distanti tra loro. Il cartone animato infatti, più di ogni altro linguaggio al mondo, è riuscito a farsi amare nel corso degli anni da spettatori di età differenti e in parti della terra fra loro lontane. La molteplicità dei suoi linguaggi lo rende un valido e prezioso strumento che ci conduce ad una comprensione interculturale, consentendoci una diversa lettura della realtà e impegnandoci a guardarla con occhi diversi: quelli di chi è attento all’alterità, alla conoscenza e alla valorizzazione delle diversità.

 

Bibliografia

BENDAZZI G. (1988), Cartoons. Il cinema d’animazione 1888-1988, Marsilio Editore, Venezia. BETTELHEIM B. (1976), Il mondo incantato, tr it. Andrea D’Anna, Feltrinelli, Milano, 1977.
FOSSATI F. (1986), Walt Disney e l’impero Disneyano, Editori Riuniti, Roma.

45  Cfr. Ibidem.


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MADDII L. - IRRE Toscana (2001), Son Goku alla ricerca del nonno Sun Wu  Kong  in E. PASETTI (2002) (a cura di), Un mondo di cartone, Junior, San Paolo, Bergamo, 200610, pp. 73-77.
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MALCHIODI M. (2009) Forme, stili, valori, personaggi, in M. MALCHIODI (2009) (a cura di), Valori di cartone. Esperienze e personaggi dell’animazione televisiva, Link Ricerca, Milano, pp. 19-47.
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PASETTI E. (2002), L’universo dei cartoni animati, Unicef, Roma.
PELLITTERI M. (1999), Mazinga nostalgia. Storia, valori e linguaggi della Goldrake generation,
Castelvecchi, Roma.
SIMION D. V. (2009), Il dizionario dei cartoni animati, Anton, Torino.
SPINI S. (1997), I cartoni animati: attraenti, ma non innocenti, in «Scuola materna», LXXXIV, 10 aprile 1997, N. 14, pp. 10-12.
ZANOTTO P. (1966a), Disegni e pupazzi animati di ieri e di oggi, Arti grafiche Scalia, Roma. ZANOTTO P. (1968), I disegni animati, Radar, Padova.

 

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Fonte: http://cab.unime.it/journals/index.php/qdi/article/download/1222/935

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