Tema della memoria

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Tema della memoria

 

Il tema della memoria in Midnight’s Children diSalman Rushdie

                       
Quello della memoria è un tema ricorrente nella narrativa contemporanea. Molti autori di spicco, come per esempio Roth, Thomson e Rushdie, hanno utilizzato al meglio questa tematica nei loro romanzi, rendendone la trama più intrigante e ricca di colpi di scena.
La parola ‘memoria’ sta ad indicare un processo percettivo, un accumulo di informazioni, un ricordo persistente, ma la memoria culturale, che lega ogni uomo alle proprie origini e tradizioni, è ben altro. Già nei secoli precedenti e addirittura nell’antichità, numerosi filosofi hanno affrontato la questione: basti pensare a Platone che reputava la scrittura una tipologia dell’ anamnesi, a Henri Bergson, a Marcel Proust o a Sigmund Freud.
Per essere più precisi, Bergson in Materia e Memoria ,affronta i problemi relativi all’opposizione fra corpo e spirito, che risolve con il rapporto tra “memoria-abitudine” e “memoria vera”; già questo riferimento alla memoria lascia comprendere come noti ed eccellenti scienziati o filosofi attribuiscano un’enorme importanza alla funzione mnemonica,considerata elemento fondamentale di ogni uomo.Ciò è  dimostrato dal fatto che la  “memoria vera”, in quanto durata, coincide con l’assenza di vita spirituale,e perciò con l’esigenza di una vita basata sulla concretezza.
Anche  Proust, in  À la recherche du temps perdu  affronta il tema della memoria attraverso una rivoluzione strutturale che sconvolge la forma del romanzo e rappresenta il modello delle tecniche narrative novecentesche utilizzate anche dalla Woolf, da Joyce e da Italo Svevo.
Nella sua opera Proust, sicuramente influenzato dalle teorie di Bergson , riduce alla soggettività ogni situazione o realtà oggettiva, di modo che, solo per il singolo, può diventare oggetto di recupero della memoria, all’interno di una dimensione inconscia. La memoria, stimolata occasionalmente da percezioni sensoriali esterne, è intesa come unico strumento di conoscenza che l’uomo ha a disposizione, in quanto rende ciascun individuo consapevole delle proprie esperienze passate.
La resa narrativa dei nessi tra memoria e percezione ha caratterizzato i grandi romanzi sperimentali del Novecento (da Proust a Woolf, a Joyce a Hermann Broch), ed è un  aspetto rilevante di Midnight’s Children di Salman Rushdie, in cui sono presenti tecniche e temi innovativi percepibili già dalle prime pagine, anzi, dalle prime parole.Appena uscito nel 1981 il libro ha consacrato Rushdie come uno dei migliori scrittori contemporanei in lingua inglese.
Il romanzo è ambientato in India ed ha come fulcro della storia l’anno 1947, precisamente la mezzanotte del 15 agosto, momento in cui viene dichiarata l’indipendenza dell’India e in cui avviene la nascita del protagonista e narratore Saleem Sinai che arrivato ad un certo punto della sua vita, decide di scrivere la sua storia, mentre noi lettori lo seguiamo attraverso la tessitura di una “gigantesca ragnatela” narrativa che avvolge ogni aspetto di un’India imponente e nello stesso tempo molto frammentata. In questo romanzo, quindi, oltre ai continui richiami al realismo magico, ricorre molto spesso il tema della memoria: secondo Rushdie raccontare la storia non significa creare dal nulla, bensì rielaborare un ricordo rendendolo anche nuovo:

“[…] È per questo comunque che ho mentito, per la prima volta mi sono lasciato vincere dalla tentazione di ogni autobiografo, dall’illusione che, poiché il passato esiste soltanto nei ricordi e nelle parole che si sforzano vanamente d’incapsularli, sia possibile creare eventi passati, dicendo semplicemente che sono accaduti”.-I edizione Oscar Mondatori (p.503).

Così l’autore, creando un’ampia analessi narrativa si rifà alla tradizione dei narratori indiani e orientali, con l’obiettivo di rivisitare in chiave piuttosto fantastica il cammino dell’India del Novecento. Per cui Midnight’s Children  non potrebbe mai essere definito una semplice contro-storia alla ricerca di un tempo già perduto, ma un vero e proprio studio del passato, su come questo viene ricostruito per far fronte alle esigenze del paese, usando appunto come strumento la memoria.

“[…] Trentadue anni prima del trapasso di poteri, mio nonno sbattè il naso contro la terra del Kashmir. Ci furono rubini e diamanti, ci fu il ghiaccio del futuro, in attesa sotto la pelle dell’acqua. Ci fu un giuramento: non inchinarsi mai né davanti a un dio, né davanti a un uomo. Il giuramento creò un vuoto, che sarebbe stato temporaneamente riempito da una donna nascosta da un lenzuolo perforato. Un barcaiolo che aveva un tempo profetizzato dinastie annidate nel naso di mio nonno, lo traghettò rabbioso attraverso il lago. Ci furono proprietari terrieri, ciechi e lottatrici. E ci fu un lenzuolo in una stanza buia. Quel giorno cominciò a formarsi la mia eredità: l’azzurro del cielo, del Kashmir che gocciolò negli occhi di mio nonno; la  lunga sofferenza della mia bisnonna, che sarebbe diventata la pazienza di mia madre e l’inflessibilità di Naasem Aziz […] l’essenza spettrale di quel lenzuolo perforato, che condannò mia madre a imparare l’amore per un uomo a segmenti, e condannò me a vedere a frammenti anche la mia vita- i suoi significati, le sue strutture; e così, quando arrivai a capirla, era decisamente troppo tardi. Gli anni passano e la mia eredità cresce […]”. ( p.13).

Non a caso, per raccontare le storie, Saleem utilizza il ricordo ,servendosi di continui flashback, mescolati naturalmente ad allusioni e al mito.

“[…] ci sono tante storie da raccontare, troppe, un tale eccesso di linee, eventi, miracoli, luoghi chiacchiere intrecciati, una così fitta mescolanza di improbabile e di mondano. Sono un inghiottitore di vite, e per conoscermi dovrete anche voi inghiottire tutto quanto. […] devo affrontare il compito di ricostruire la mia vita dal punto in cui è realmente cominciata […]”(p.10).

Non è affatto da trascurare l’ossessione di Saleem di richiamare all’attenzione del lettore il suo processo di ricreazione storica soggettiva; il protagonista ,infatti non ha altra scelta che quella di affidarsi alla sua memoria. Sin dall’inizio del romanzo si noti come il narratore coincida sia con l’autore che con il protagonista ,generalmente persone ben distinte e differenti. Proust spiegherebbe che è assolutamente normale: il protagonista deve limitarsi a registrare i fatti che emergono utilizzando il ricordo,ed esponendoli con la stessa fluidità con cui noi tutti riflettiamo,perciò senza possibilità di dare un fondamento a quello che scrive .Di conseguenza, non ci si può servire di un ordine cronologico lineare, perché i tradizionali piani temporali e spaziali, vengono sconvolti, passando durante la narrazione, continuamente dal presente al passato e viceversa, a seconda di come le idee appaiono nella mente.
Soprattutto per Rushdie, autore post-coloniale, la riflessione sul passato è un processo di ridefinizione dell’identità e di revisionismo storico, che lo impegna a riscrivere la storia dell’India; Saleem, infatti, rimane come “ammanettato” alla storia fino alla fine del racconto, che si conclude quasi con una visione profetica della sua stessa morte.
Una figura retorica dominante, che appare persistentemente in Figli della Mezzanotte e che dimostra quanto Rushdie osi sfidare il canone letterario, è l’allegoria, che dopo il 1700 non era più stata utilizzata nel romanzo moderno; forse perché soppiantata dal simbolo o perché reputata una figura troppo standardizzata. Il legame allegorico tra il protagonista e l’ India, dichiarato dall’inizio del romanzo, consente a Saleem di viaggiare con la mente, rievocando situazioni vissute personalmente e allo stesso tempo di fantasticare su un passato che non gli appartiene del tutto.
Ne è un esempio il continuo richiamo all’enorme naso di Saleem, che gli attribuisce una postura quasi elefantiaca, in ricordo del dio Ganesh, e allo stesso tempo lascia comprendere l’esigenza di “ri-mappare” la sua esperienza, sviluppatasi in uno spazio complesso: non a caso nel romanzo il viso del protagonista viene ironicamente paragonato alla faccia dell’India.

“[…] Seduti malinconici in aula: Ghiandoloso  Keith Colaco, Ciccio Perce Fishwala, Jimmy Kapadia, quello con la borsa di studio e col padre taxista, Brillantina Sabarmati, Sonny Ibrahim, Ciro-il-Grande e io. E anche altri, ma non c’è tempo per loro perché, con gli occhi che si restringono per la gioia, il matto Zagallo ci sta richiamando all’ordine.
«Geografia umana» annuncia Zagallo. […] e mi trascina, tirandomi per i capelli, davanti ai miei compagni. Sotto i loro sguardi di sollievo-grazie a Dio tocca a lui non a noi- mi contorco dolorosamente sotto le ciocche imprigionate.
«E allora rispondi tu alla mia domanda. Sai cos’è la geografia umana?». […] «Guardate ragazzi- che cosa vedete qui? Osservate, vi prego, il viso repellente di questa creatura primitiva. Che cosa vi ricorda?» e le risposte zelanti «Signore il diavolo signore». «Prego signore, un mio cugino!» «No signore un ortaggio signore non so quale.» Finchè Zagallo, urlando al disopra del tumulto: «Silenzio!Figli di babbuini! Questo oggetto che qui vedete»-uno strattone al mio naso-«questo è geografia umana! Non lo vedete?» sghignazza. «Non vedete nella faccia di questo brutto scimmione l’intera carta dell’India?».”(pp.266-267 ).

 Tutto questo spiega come quello della “mappatura” sia un problema tipico postmoderno e post-coloniale, in quanto gli autori si trovano in una condizione di disorientamento.
Il naso, quindi, rappresenta il fiuto ,grazie al quale Saleem Sinai  diventerà  spia di guerra, ma privo di Weltanschauung.Ciò sta a significare che il protagonista, grazie a questo organo sensoriale così sviluppato, si troverà avvantaggiato in alcune imprese,ma non si rivelerà mai una significativa personalità perché non dotato di una giusta visione del mondo e,continuamente in fuga dall’assurdità della vita.
Improntato su una fantastica reminiscenza, il romanzo contiene ricordi semisommersi, ma mai soppressi, accantonati nei meandri della mente del protagonista, forse a causa di una vita troppo complessa per essere ricordata totalmente. Il racconto talvolta si discosta dalla realtà storica, anche se spesso si affida alla datazione degli eventi per conferire loro credibilità.
La storia in Midnight’s Children si rivela ,infatti ricca di coincidenze, spesso poco credibili; tuttavia il romanzo rimane una valida testimonianza .

MariaRita Morganti

 

Personaggio mitico,mezzo uomo,mezzo elefante,trascrittore per eccellenza che aiutava i poeti nel processo di scrittura delle opere.

Fonte: http://www.lingue.uniurb.it/matdid/martella/2005-06/Elaborati_ipertestuali_I_anno/Il%20tema%20della%20memoria%20in%20MidnightChildren22.doc

Sito web da visitare: http://www.lingue.uniurb.it

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