Linee rossa verde gialla blu metropolitana Milano

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Linee rossa verde gialla blu metropolitana Milano

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Fonte: http://www.muoversi.regione.lombardia.it/planner/attachment/MappaMilanoUrbano_2016_01_A4.pdf

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MILANO CAPITALE D’EUROPA
L’IDENTITÀ E L’IMMAGINE DI MILANO NELLA PERCEZIONE DI TESTIMONI PRIVILEGIATI SIGNIFICATIVI

 


INDICE

 


INTRODUZIONE

 

Nel quadro del progetto complessivo della Camera di Commercio di Milano – un “Percorso di ricerca sull’identità di Milano nel contesto europeo. Per una mappa dell’identità vocazionale di Milano” - è stata realizzata un’attività di indagine “di opinione” presso testimoni privilegiati particolarmente significativi della realtà milanese, con l’intento di conseguire i seguenti fondamentali obiettivi:

1. una valutazione retrospettiva e un bilancio, da parte degli intervistati, della storia più recente di Milano, in particolare dell’ultimo difficile decennio, anche in relazione alle dinamiche competitive con le altre aree metropolitane europee;

2. una ricostruzione, sempre nella percezione degli intervistati, dei principali punti di forza e di debolezza dell’area milanese nel quadro comparativo europeo, anche in funzione di una valutazione sul livello di capacità attrattiva della città;

3. una valutazione ragionata sugli aspetti relativi ai problemi di governance di Milano, in particolare i temi della classe dirigente, dell’architettura istituzionale, dei “nodi critici” del processo progettuale, decisionale e realizzativo;

4. una valutazione sulle strategie e progettualità più importanti ed urgenti per lo sviluppo di Milano in un ruolo di “capitale europea”;

5. una ricostruzione delle percezioni degli intervistati in merito alle “immagini” più diffuse e ricorrenti dell’identità e del ruolo di Milano;

6. infine, un inventario delle possibili “identità vocazionali” di Milano nel contesto europeo, in grado di offrire alla città motivazioni forti e orizzonti strategici condivisi.

Preliminarmente e contestualmente alla realizzazione delle interviste è stata anche realizzata un’ampia attività di ricerca documentaria e “istruttoria” sulla letteratura (pubblicata o anche “grigia”) disponibile sull’identità e il ruolo di Milano e più in generale sulle questioni relative all’identità metropolitana; e si è proceduto ad una rassegna delle fonti di stampa (su supporto cartaceo ed anche on line) degli ultimi anni sui medesimi temi. Si è anche proceduto ad una ricerca (soprattutto sul Web) e raccolta di materiali di diversa fonte sulle altre principali città metropolitane europee potenziali “competitrici” di Milano.
Le interviste, che hanno avuto una natura diretta e qualitativa, sono state realizzate su una traccia di temi (elaborata anche attraverso qualche verifica con interlocutori “esterni”) funzionale agli obiettivi sopra delineati.
I temi in discorso, come risulta più analiticamente dal documento allegato, sono stati:

- Gli ultimi 10 anni
- Il processo decisionale
- La classe dirigente
- Il confronto con l’Europa
- La dimensione della città
- L’immaginario collettivo
- La governance
- I progetti specifici
- La vocazione della città

Gli intervistati (in numero di 30, di cui è posto in allegato l’elenco nominativo) sono stati scelti in tipologie significative di “testimoni privilegiati” della vita e dei problemi di Milano:

- imprenditori e manager, tanto di imprese italiane quanto straniere, in qualche misura rappresentativi dei diversi possibili settori ed aree geo-economiche di riferimento per Milano;

- esponenti del mondo associativo e delle istituzioni;

- esponenti del mondo universitario, professionale, della cultura e della ricerca;

- opinion makers.

L’esito delle interviste, portato a sintesi e rielaborato in questo Rapporto, consente di ricostruire e proporre, come vedremo nelle pagine seguenti, un quadro di percezioni e valutazioni su Milano critico e problematico ma nello stesso tempo propositivo e disponibile alla progettualità e alla costruzione del futuro.

 


Capitolo 1

MILANO FRA PASSATO E PRESENTE:
UN BILANCIO PROBLEMATICO E
UN PERCORSO INCOMPIUTO

 

Nell'ultimo decennio, dopo la grande "bufera" di Tangentopoli e di Mani Pulite che ha investito la città lombarda assai più di qualsiasi altra città italiana, Milano ha iniziato un percorso di "ricostruzione" (politico-amministrativa) e di sviluppo (economico) a tutt'oggi problematico e incompiuto.

Milano era, ed è rimasta in modo per tutti indubitabile, la capitale economica italiana, la principale "porta di ingresso" dell'economia internazionale nel mercato italiano, la più importante "cerniera" della penisola rispetto al resto del mondo, il più rilevante centro di servizi italiano per il mondo delle imprese. Sul piano europeo e mondiale tuttavia - secondo quasi tutti i testimoni intervistati - il suo ruolo e il suo peso non sono "decollati". In comparazione con altre grandi aree metropolitane europee (anzitutto i "soliti noti": da Barcellona, a Lione, a Monaco di Baviera) la capitale lombarda ha anzi sostanzialmente perso posizioni, in termini non solo socio-economici, culturali e urbanistici ma anche "di immagine".

Nell'arco del decennio - va ricordato per comprendere meglio il contesto e il senso di questi sviluppi - il mondo è cambiato profondamente: l'integrazione europea ha conseguito l'obiettivo della moneta unica, la globalizzazione ha investito e coinvolto nuovi "pezzi" di mondo e nuovi "segmenti" produttivi, new e net economy hanno impresso una svolta (pur fra crisi e contraddizioni, dovute anche, più recentemente, agli imprevedibili eventi catastrofici dell’11 settembre 2001) al vecchio modello di sistema produttivo. In questo scenario non solo Milano ma - come evidenziano molti osservatori intervistati - l'intero "sistema Italia" hanno perso occasioni e posizioni. Si sono accumulati ritardi, è cresciuto il gap competitivo in settori strategici per lo sviluppo, processi decisionali e realizzativi di decisivo valore strategico (dalle grandi infrastrutture alle opere di riqualificazione urbanistica) sono stati ritardati o del tutto bloccati.

Va osservato che non tutti gli "elementi di crisi" di Milano negli anni trascorsi possono essere ricondotti agli effetti della "bufera" di Tangentopoli (il sostanziale "azzeramento" di un'intera classe politico-amministrativa), come del resto non tutti gli elementi di crisi del "sistema Italia" possono essere fatti risalire alla crisi e al tramonto (per via elettorale, prima ancora che giudiziaria) della cosiddetta Prima Repubblica. In specifico, per Milano, alcuni testimoni hanno fatto rilevare come il declino competitivo della città nel contesto europeo e globale fosse già in atto ben prima del "fatidico" 1992. Milano aveva infatti avuto nel corso degli anni, e successivamente perduto, grandi leadership nella ricerca e nell'industria (basti pensare alla chimica), era stata leader nell'innovazione non solo per gli aspetti tecnologico-produttivi ma anche - per ciò che attiene alla dimensione più visibile del suo "essere città" - per molti aspetti sociali e urbanistici. Dagli anni Ottanta, già prima della "bufera" giudiziaria e politica, era dunque in atto un declino competitivo, che era tuttavia espressione di un più generale declino dell'intero "sistema Italia". Credere che bastassero le fortune e i successi persistenti del Made in Italy a compensare le assenze o i ritardi nelle nuove tecnologie e nei nuovi settori era - secondo alcuni osservatori - la "grande illusione" non solo dei milanesi, ma di gran parte della classe dirigente italiana.

E' comunque indubbio, secondo quasi tutti i testimoni intervistati, che gli effetti di Tangentopoli e di Mani Pulite - collegati alla più generale crisi della Prima Repubblica - abbiano rappresentato un importante "punto di svolta" nella storia di Milano. Ciò che sembra maggiormente essere venuto a mancare, da allora, è la capacità della politica di svolgere in modo autonomo il suo "naturale" ruolo dialettico di mediazione e di sintesi degli interessi organizzati e, di conseguenza, anche la sua capacità di "pensare in grande" – oltre la frammentazione dei progetti e degli interessi - le strategie e i progetti necessari per lo sviluppo di Milano.

Sembra essere prevalsa, in molti casi, la logica degli "interessi segmentati", priva o carente di un adeguato disegno complessivo. Mentre altre città europee – grazie anche e soprattutto al ruolo attivo e propositivo giocato dalle leadership politiche - attraevano eventi di rilevanza planetaria e capaci di catalizzare forti interessi e impegni collettivi (si pensi alle Olimpiadi per Barcellona), costruivano grandi progetti di riqualificazione urbana (pur nel suo "piccolo", è ad esempio il caso di Bilbao), "incubavano" nei propri confini nuovi settori produttivi di alta tecnologia (le biotecnologie a Lione, ad esempio), Milano segnava il passo e stentava ad esprimere "visioni" del proprio futuro e progettualità complessive comunicabili e adeguatamente "seducenti".

Come è stato osservato, tutte le progettualità espresse da Milano negli anni Novanta erano sostanzialmente originate dai decenni precedenti: dalla moda, alle trasformazioni urbanistiche (ad esempio, la Bicocca), al decentramento universitario. Molte progettualità, qualunque ne fosse l'origine, non riuscivano comunque a decollare e realizzarsi, come nel caso - di importanza vitale per la città - del trasferimento e del raddoppio della Fiera, o delle grandi infrastrutture di comunicazione e trasporto (la Pedemontana o il raddoppio della Ferrovia Nord e della tangenziale).

E' stato fatto, dai testimoni intervistati, una sorta di "inventario" delle principali occasioni perdute nel decennio trascorso: l'attrazione di eventi o istituzioni di rilevanza internazionale (dalle Olimpiadi ad Agenzie europee come quella per l'ambiente) in grado di mobilitare progettualità, risorse e interessi; le infrastrutture per risolvere i gravi problemi di viabilità e mobilità dell'area metropolitana; la realizzazione di grandi opere necessarie allo sviluppo delle attività di business (dal raddoppio e trasferimento della Fiera ad un adeguato Centro Congressi).

Queste occasioni perdute, secondo i testimoni intervistati, erano dipese da una molteplicità di fattori di varia natura. Per un verso fattori di tipo politico-istituzionale, relativi alle difficoltà di ricambio della classe politica dopo Tangentopoli e alla crisi delle migliori tradizioni riformistiche della città e relativi, nel contempo, alle difficoltà di funzionamento delle istituzioni in termini di capacità progettuale e rapidità ed efficacia decisionale e realizzativa. Non è un caso – come hanno osservato alcuni testimoni – che nel decennio Novanta il dibattito e la progettualità per Milano sembrassero avvenire, grazie soprattutto all’esistenza in questo caso di una effettiva leadership culturale e politica, più nella Camera di Commercio che nelle altre istituzioni di rappresentanza territoriale e cittadina. Per altro verso, fattori relativi alla società civile e alle sue élite dirigenti: la crescente diffidenza per la dimensione “politica” (e quindi integrata, associata, portata a sintesi) della vita collettiva, il prevalere di interessi particolaristici, la crisi del sentimento di identità rispetto all’”essere milanesi” (con conseguenti disimpegni o “fughe” dalla città). E’ bensì vero che il tradizionale “fai da te” dei milanesi continuava a conseguire risultati e successi soprattutto nell’economia e nel business, ma ciò non dava peso e non faceva sintesi a vantaggio della città: restava nella logica degli interessi particolaristici, della città “segmentata”, di una dimensione “pre-politica” scarsamente consapevole e orientata alla cura dei destini collettivi della polis metropolitana.

Certamente, se guardata anche “in positivo, la vicenda di Milano nell’ultimo decennio non si esaurisce affatto in una serie di occasioni perdute. La città ha iniziato e realizzato (in forma tuttavia problematica e incompiuta, secondo la maggioranza dei testimoni) importanti percorsi di cambiamento.

Sul piano politico-istituzionale, si è sviluppato un processo di ricostruzione della classe dirigente, sono maturate nuove esperienze e nuove progettualità per il rilancio della vita metropolitana, nel quadro – va ricordato – di uno scenario nazionale e regionale di riforma e di decentramento.

Sul piano economico e sociale, si realizzato il passaggio dal modello industriale a quello terziario e dei servizi, la città ha consolidato il proprio ruolo di centro della finanza italiana ed è diventata il “laboratorio” (o almeno il “laboratorio italiano”) delle nuove professioni e del nuovo lavoro.

Pur con qualche riserva non marginale - il terziario ha davvero “compensato” la deindustrializzazione?; il grado di attrattività del sistema produttivo milanese non è forse diminuito?; non sono troppe le “criticità” e i limiti di questo terziario?; il ruolo finanziario non è sempre comunque marginale nel contesto europeo?; il nuovo lavoro non è forse più che altro una nuova forma di proletarizzazione? - vi è un prevalente consenso fra i testimoni che il passaggio si sia in buona misura realizzato.

Dunque, per concludere, Milano è comunque profondamente cambiata in questo decennio, nonostante le “bufere” e le occasioni perdute. Il percorso di cambiamento, tuttavia, è rimasto in qualche modo problematico e incompiuto. E, soprattutto, il fatto critico e inquietante è che “gli altri” – i competitori delle grandi aree metropolitane europee – sembrano essere cambiati di più, meglio e più in fretta. Ritornano in mente – nelle analisi dei testimoni – i nomi dei “soliti noti”, che non solo sembrano essere davvero decollati verso il futuro ma che hanno anche dimostrato di essere più bravi a comunicarlo, a “venderne l’immagine”, in sostanza a “fare il marketing” (interno e internazionale) del proprio cambiamento e della propria nuova identità.


Capitolo 2

MILANO IN EUROPA: LA COMPETIZIONE ECONOMICA, LE ALTRE CITTÀ METROPOLITANE,
IL CONFRONTO DELLE DIVERSE “SEDUZIONI” URBANE

 

Come è cambiata la collocazione di Milano in Europa? Quali sono oggi la sua posizione, il suo ruolo e la sua identità di grande area metropolitana nello scenario europeo e, più in generale, nel mercato globale? Come si colloca Milano nella competizione fra le diverse “seduzioni” delle diverse città? A queste domande danno in qualche misura risposta le articolate (ma in parecchi punti significativi convergenti) “percezioni” dei testimoni intervistati. Sugli specifici punti di forza e di debolezza della città emerge un ventaglio di opinioni, che può essere sinteticamente ricostruito come segue.

Milano ha certamente, dal punto di vista del sistema produttivo, grandi “eccellenze” di valore europeo e mondiale: la moda, il design, in qualche misura anche la comunicazione e i media (editoria, televisione ecc.), infine alcune piccole “nicchie di eccellenza” industriali (spesso nel campo della fornitura, di conseguenza poco note e visibili). La forza di Milano emerge poi nel sistema fieristico, che fa della città uno dei principali “snodi” del business europeo e internazionale; nel sistema formativo, con le diverse Università e soprattutto con il Politecnico, l’istituzione urbana e regionale più fortemente inserita nei network internazionali della ricerca; in alcuni “punti di eccellenza” del sistema culturale della città, come il Teatro alla Scala. Infine la rilevanza europea di Milano emerge anche nel campo della ricerca e dei servizi sanitari, almeno per quanto riguarda alcuni “punti di eccellenza” come l’Istituto europeo di oncologia o l’Istituto neurologico Besta.

Questi diversi e articolati elementi di forza tuttavia – ed è questa un osservazione largamente condivisa dai testimoni intervistati – non riescono ad emergere, a fare “massa critica” e a “fare sistema” a vantaggio della città. Non sembrano essere in grado di configurare un’immagine sintetica, persuasiva e comunicabile dell’identità di Milano che, come vedremo meglio in seguito, tende in misura crescente – secondo molti testimoni – a concentrarsi fortemente e quasi esclusivamente intorno all’ ”universo moda”.
La questione fondamentale, in altri termini, sembra essere che l’inserimento nel mondo ed i successi nel mercato globale dei “punti di eccellenza” della città restano inserimenti e successi sostanzialmente “segmentari”, di alcuni specifici segmenti più che dell’insieme della città. Milano ha alcune rilevanti “reti lunghe” che la legano e la integrano nel mondo, ma queste reti tendono a rimanere reti dei diversi segmenti di città, più che “della città”. Sono reti che in qualche modo sembrano spesso “bypassare” la città, più che “innervarla”.

Tutto ciò, forse, può essere interpretato alla luce della crisi della politica che, come si è visto, nell’ultimo decennio ha caratterizzato Milano. E’, infatti, essenzialmente la leadership politica che può e deve promuovere il “fare sistema” e, sul piano della comunicazione e dei segni, l’immagine sintetica e identitaria della città. Si tratta peraltro – va rilevato – anche di un problema e di una responsabilità che investono la società civile milanese, che non sembra ancora adeguatamente consapevole del fatto che non basta il “fai da te” privato e che, in nessun caso, si può davvero “fare a meno della politica”.

Nella ricostruzione dei testimoni intervistati, i “nodi critici” dello scenario milanese non sono tuttavia rappresentati tanto o soltanto da un inadeguato “fare sistema” della città rispetto alle sue riconosciute leadership ed eccellenze di valore europeo e internazionale, quanto dalla presenza di molteplici e significativi “punti di debolezza” altrettanto generalmente segnalati e condivisi.

Se ne può fare brevemente un inventario, senza pretese (che l’esito delle interviste non potrebbe sufficientemente legittimare) né di esaustività né di gerarchia:

- Le carenze infrastrutturali nei sistemi di mobilità delle persone e delle cose, che molti testimoni giudicano non solo gravi ma del tutto incompatibili con l’aspirazione ad essere “capitale europea”. Gli attuali sistemi stradali, ferroviari e areoportuali, le strutture e l’organizzazione per la logistica, le condizioni della viabilità urbana appaiono, secondo molti qualificati testimoni, inadeguati a sostenere e promuovere l’attrattività e la stessa permanenza di importanti apparati produttivi a Milano.

- Le carenze infrastrutturali e organizzative nei sistemi di accoglienza, soprattutto ma non solo per il business (il settore congressuale, ad esempio, è giudicato da alcuni decisamente “sotto la media europea” sia per le strutture sia per le funzioni organizzative; ma anche, più in generale, sull’adeguatezza dell’accoglienza alberghiera emergono riserve).

- La debolezza competitiva nella ricerca applicata e nell’innovazione produttiva, che rispecchia del resto quella più generale del Paese-Italia. Milano industriale – si osserva - aveva avuto in passato primati tecnologico-produttivi di rilievo (ad esempio, nella chimica o nella gomma) che ha perso del tutto. Oggi la nuova Milano post-industriale e terziaria manifesta invece un generale declino competitivo, che si evidenzia nella “oggettiva” perdita di attrattività verso il resto del mondo in termini di investimenti, insediamenti produttivi ed anche di risorse umane qualificate (alcuni testimoni qualificati rilevano come, ad esempio, “gli americani abbiano difficoltà a trovare partner milanesi nella ricerca e nella produzione di alta tecnologia” e, ancora, come il rilevante grado di cablaggio della città non possa oscurare il fatto che in realtà “a Milano non è mai nata veramente la net economy”; altri denunciano come “nessuna grande impresa voglia più insediarsi a Milano”; altri ancora osservano come sia scarsa la mobilità in ingresso di risorse umane di alta qualificazione e come, per converso, la cosiddetta “fuga dei cervelli” sia paradossalmente un elemento consolante, in quanto dimostrazione almeno del permanente e riconosciuto livello di eccellenza del sistema formativo milanese; altri testimoni, infine, segnalano come in ogni caso l’insediamento imprenditoriale a Milano, anche quando avviene, sia visto prevalentemente in funzione del mercato italiano, non di altri mercati più vasti, a differenza di quanto avviene quando ci si insedia nelle più importanti aree metropolitane europee).

- La debolezza competitiva di Milano nell’attrarre eventi e/o istituzioni e strutture internazionalmente significative e rilevanti (Olimpiadi, Agenzie europee ecc.). Si tratta, in questo caso, tanto di un “fattore” di debolezza quanto di un “effetto” della complessiva debolezza competitiva di Milano. Entrambi i lati del problema meritano qualche riflessione. In quanto fattore di debolezza, questa scarsa capacità di attrazione produce conseguenze negative importanti, forse decisive: la costruzione di eventi e la presenza di istituzioni, infatti, potrebbero determinare – come dimostrano positivamente molte esperienze di altre aree metropolitane - elaborazioni e innovazioni progettuali, concertazioni e accordi fra attori, convergenze di interessi e di orizzonti operativi, mobilitazioni di risorse finanziarie, umane e organizzative. A Milano tutto ciò è mancato e manca ancora, e la città ne paga in termini competitivi le conseguenze. In secondo luogo, in quanto “effetto” dello stato di debolezza, questa scarsa capacità attrattiva denota e testimonia le carenze di Milano nel comporre e proporre le proprie “eccellenze” in un sistema, nel comunicarne in modo visibile e convincente il valore, in definitiva nel costruire e rendere adeguatamente “seduttiva” la propria immagine e identità. Denota e testimonia, soprattutto, una carenza di leadership politica, perché è ancora una volta soprattutto la politica a poter giocare un ruolo decisivo (e oggi in primo luogo l’istituzione regionale sembra averlo finalmente compreso) in questi processi di attrazione e di captazione “dal mondo” di eventi e di attori strategicamente decisivi.

Questi fattori di debolezza, che abbiamo sinteticamente delineato, si collocano – nella percezione di gran parte dei testimoni intervistati – sullo sfondo di un più generale degrado urbano, sia in termini urbanistici sia in relazione a significativi parametri di “qualità della vita”: mobilità agevole e vivibile, salubrità e cura ambientale (che manchi ancora, ad esempio, un sistema di depurazione per le acque di Milano appare ad alcuni come un ritardo inammissibile), disponibilità di luoghi e occasioni di socializzazione, integrazione e coesione sociale (qualche testimone intervistato osserva, ad esempio, come non vi sia adeguata attenzione ai problemi posti dai flussi migratori), grado di manutenzione e di pulizia dell’esistente, livello di sicurezza per i cittadini (un tema segnalato in particolare da alcuni imprenditori e manager stranieri).

Un indice significativo del degrado relativo di Milano, secondo un qualificato testimone, è dato da “quanto si è costruito” (e da “come” lo si è fatto in termini di innovatività creativa, è opportuno aggiungere): sulla base di questo indice, Milano sembra essere "perdente" rispetto a tutte le principali aree metropolitane europee. Alcuni intervistati, richiesti di un giudizio comparativo, parlano di una “impressione triste” che nasce dai confronti, quando ci si reca in alcune città europee potenziali “concorrenti” di Milano. In esse ci si trova infatti di fronte alle “seduzioni” dei nuovi quartieri, delle sperimentazioni architettoniche, delle più ardite e tecnologicamente innovative proposte culturali. Con un misto di innovatività progettuale, di creatività comunicativa e persuasiva (anche spregiudicata: in qualche caso si vende forse più di quanto veramente si possiede, ma anche questo è “mercato”) e di capacità organizzativa in queste città si costruiscono e si promuovono nel mondo globalizzato le “seduzioni” del proprio tessuto urbano. La sfida, in qualche caso riuscita, è di far diventare la propria città una città “alla moda” (non solo, come Milano, “della moda”), una città “di tendenza”, un “luogo di culto” per pubblici mirati.

Milano, per concludere su questo punto, ha – secondo quasi tutti i testimoni intervistati – problemi rilevanti di capacità competitiva nel contesto europeo e globale. E’ cresciuto negli anni il suo gap rispetto ad alcuni importanti competitori metropolitani, nei confronti dei quali i tempi di progettazione, di decisione e di effettiva realizzazione e cambiamento (per essere davvero “capitale europea” e “città globale”) sembrano essere troppo sfalsati. Perché ciò è avvenuto e, in qualche misura (una misura variamente giudicata a seconda delle esperienze e delle opinioni), ancora oggi sicuramente avviene? Perché appaiono carenti le progettazioni, complesse e incidentate le decisioni, troppo lente le realizzazioni? Le risposte, su questo punto, richiamano inevitabilmente i temi della classe dirigente, delle istituzioni e del processo decisionale, cioè in sostanza della qualità ed efficacia della governance a Milano. Anche su questi temi, come vedremo, i testimoni intervistati hanno avuto qualcosa di significativo da dire.


Capitolo 3

LA CLASSE DIRIGENTE, LE ISTITUZIONI E
IL PROCESSO DECISIONALE: LE SFIDE DELLA GOVERNANCE A MILANO

 

Sulla classe dirigente, tanto pubblica (politico-amministrativa) quanto privata (imprenditoriale, professionale), le opinioni dei testimoni intervistati sembrano convergere verso un giudizio problematico e, per così dire, preoccupato.

Intanto, come già si è visto, solo molto lentamente si è potuti uscire – e forse non del tutto - dai contraccolpi della crisi politico-giudiziaria dei primi anni Novanta. Vi sono tuttora, secondo alcuni testimoni, un insieme di fattori critici che in vario modo e misura promanano dagli eventi di quegli anni: diffidenza o indifferenza di ampi strati della società civile per la politica, deficit di cultura politica e progettuale nella classe dirigente pubblica (legata anche al declino delle migliori tradizioni riformistiche, tanto laiche e socialiste quanto cattoliche, della città), scarsa integrazione fra classe dirigente pubblica e privata professionale, inadeguata social responsability della classe dirigente economica e imprenditoriale, carenza di una leadership politica e strategica in grado di mediare e di orientare gli interessi organizzati (gli interessi, si osserva, tendono ad autorappresentarsi, in carenza di un’adeguata leadership politica).

Alcuni testimoni intervistati denunciano, a questo proposito, il disimpegno e la declinante “cura”, salvo rare eccezioni, delle grandi famiglie milanesi nei confronti della città. Altri, più drasticamente, negano che – anche al di là del disimpegno delle grandi famiglie del capitalismo lombardo - esista ancora una vera e propria classe dirigente della città: essa non è “né buona né cattiva, semplicemente non esiste”. Non esiste in particolare, e in questo Milano sembra sostanzialmente rispecchiare l’Italia (l’esito molto discutibile delle privatizzazioni ne sarebbe testimonianza e conferma), una vera classe imprenditoriale in grado di legittimarsi ed agire come classe dirigente. Lo scenario, con pochissime eccezioni, presenta infatti da un lato solo un universo polverizzato di piccole e piccolissime imprese in quanto singole inevitabilmente prive di qualsiasi possibile “peso” politico e, d’altro lato, un universo (assai meno numeroso ma più aggregato e di maggior dimensione e “peso”) di soggetti che si presentano come imprenditori ma in realtà, più che veri imprenditori industriali, sono in effetti più che altro dei “finanzieri”.

Comunque sia, anche indipendentemente da analisi e giudizi che appaiono molto e forse troppo radicali, tutti gli intervistati che si sono espressi su questi temi concordano nell’opinione che vi sia (a Milano come in Italia) un problema di classe dirigente e di leadership politica e come questo problema interferisca in modo decisivo con le questioni di capacità progettuale, decisionale e operativa che sono decisive per il futuro della città.

Se la classe dirigente ha queste caratteristiche e questi limiti, l’architettura istituzionale in cui questa stessa classe dirigente opera pone anch’essa significative criticità e temi di dibattito. Questo dibattito, sulla base delle interviste realizzate, sembra sostanzialmente oscillare (ma, come vedremo, non esaurirsi) fra due opposti “corni” problematici:

- la tesi di chi ritiene necessaria la costruzione di nuove istituzioni di rappresentanza e di governo di area metropolitana, in grado di prendere decisioni e di gestire le problematiche comuni dell’area (sulla base di una riforma costituzionale od anche semplicemente legislativa);

- all’opposto, la tesi di chi ritiene inutile e ed anzi dannosa questa ipotesi e considera preferibile il modello della concertazione fra gli attori esistenti, “corretta” da adeguati processi di dialogo e di concertazione fra gli stessi.

La prima tesi rivendica la necessità e l’urgenza di sviluppare una nuova idea istituzionale su Milano, che vada oltre i semplici (e spesso impraticabili e paralizzanti) meccanismi della concertazione pluriattore. Appare necessaria, in questa prospettiva, la creazione di una vera e propria sede rappresentativa e decisionale di livello metropolitano, sul modello di alcune significative esperienze istituzionali di altre grandi città europee (da Londra a Parigi ad Amburgo). Milano, in questa ottica, deve essere vista come la più grande città metropolitana dell’Italia settentrionale, un vera e propria city region estesa a nord fino a Bergamo e a sud fino a Pavia e Mantova.

La seconda tesi nega invece l’opportunità di nuove istituzioni, che sono viste per un verso come una inutile e anzi dannosa ulteriore complicazione istituzionale e, d’altro lato, come una potenziale fonte di ulteriore interferenza normativa, burocratizzazione, competizione conflittuale fra gruppi e interessi per i nuovi incarichi e posti di potere.
Sul modo di intendere lo scenario alternativo a quello della creazione di nuove sedi decisionali vi sono poi posizioni articolate:

- alcuni sottolineano come una sorta di governo di livello metropolitano esista già, e sia sostanzialmente rappresentato dalla Regione, che dispone e utilizza la programmazione negoziata, gli “accordi di programma” come fondamentale strumento per affrontare i problemi di gestione dell’area regionale ed anche metropolitana (altri, a questo proposito, osservano però come la Regione occupi in realtà piuttosto impropriamente lo “spazio vuoto” di un livello di governo metropolitano oggi assente);

- altri ritengono che il livello di governo metropolitano per Milano sia oggi di fatto rappresentato dalla Provincia, alla quale – va ricordato - sono in corso di trasferimento importanti competenze e poteri (ma, per contro, i critici di questa opinione ritengono che l’area metropolitana non coincida affatto con la Provincia e si esprimono anzi per l’abolizione di questo tipo di ente intermedio);

- altri ancora esprimono scarsa fiducia nel metodo dei tavoli di concertazione fra attori e considerano invece questione fondamentale quella di una più chiara e precisa ripartizione di competenze e di responsabilità fra le diverse istituzioni esistenti (Regione, Comuni ecc.), anche attraverso uno specifico e mirato provvedimento legislativo.

Come già si è detto, tuttavia, queste posizioni non esauriscono la complessità del dibattito quale è emerso dalle interviste. Vi è un articolato insieme di altre osservazioni e proposte sui temi istituzionali espresse dai testimoni intervistati, che può essere così delineato:

- è necessario, per quanto riguarda Milano, introdurre un modello di “decentramento governato”, che consenta di rivalutare le periferie, di uscire da un modello di città “con troppe periferie senza centro e insieme con troppo centro”, per andare verso una nuova città fatta di “sottocittà specializzate”;

- per realizzare una governance efficace occorre coinvolgere nei processi di concertazione non solo enti territoriali (Comuni, Province ecc.) e autonomie funzionali come le Camere di Commercio (il sistema camerale è stato ed è un importante luogo di aggregazione per Milano) ma anche soggetti come le Agenzie locali di sviluppo nate da partnership pubblico-privato, i comitati di distretto e le Aziende sanitarie locali, che operano trasversalmente alle amministrazioni;

- occorre immaginare, sempre ai fini di una governance più efficace, un modello istituzionale “a geometria variabile”, dove i diversi problemi possano trovare livelli di discussione e luoghi di decisione altrettanto articolati (è evidente, ad esempio, che poiché il traffico in Milano proviene in gran parte da fuori Milano la municipalità milanese non può affrontare efficacemente questo problema da sola);

- un punto critico significativo dell’architettura istituzionale emergente, in cui si collocano i problemi di ruolo di Milano, è lo sviluppo di “un centralismo burocratico regionale che è peggio di quello statale precedente” (secondo questa opinione, è stata persa l’occasione di creare in Italia una federazione di liberi comuni ed enti locali e si è perseguita la strada sbagliata di un neo-centralismo regionale in cui di fatto l’istituzione urbana è dotata di competenze e di risorse troppo scarse e le regioni non solo legiferano ma anche amministrano e tutto, in questo contesto, finisce quindi per “provenire dall’alto”).

Il quadro delle posizioni sui temi del modello istituzionale per Milano appare dunque, dall’esito delle interviste, non solo molto articolato ma anche ricco di visioni contrapposte. Per tentare una sintesi più chiara dei termini attuali del dibattito, fra i testimoni intervistati un osservatore particolarmente attento ha delineato questa tipologia di “scuole di pensiero”:

- la scuola dei “municipalisti estremi”, secondo i quali Milano finisce in sostanza ai Navigli;

- la scuola dei “metropolitanisti”, secondo i quali occorre dare un quadro istituzionale ad una grande Milano che va ben oltre i Navigli;

- infine la scuola dei “regionalisti”, secondo i quali Milano metropolitana tende identificarsi con la più vasta dimensione regionale lombarda.

In ogni caso, tutti i testimoni intervistati segnalano come esista a Milano una rilevante carenza di governance e come questa carenza determini gravi difficoltà e ritardi nei processi decisionali. E’ stato osservato, in merito, come neppure la sostanziale omogeneità politica fra le diverse istituzioni dell’ara regionale ottenuta attraverso le più recenti consultazioni elettorali abbia potuto promuovere e garantire un livello di governance efficace. La concertazione fra attori istituzionali, l’interazione fra istituzioni e interessi organizzati, il dialogo e la collaborazione fra attori pubblici e privati appaiono ancora inadeguati rispetto alla gravità e all’urgenza delle sfide che stanno di fronte a Milano. Se vuole riproporre e consolidare il suo ruolo di “capitale europea”, Milano deve dunque affrontare e risolvere il “nodo” decisivo del proprio funzionamento istituzionale.

 


Capitolo 4

STRATEGIE E PROGETTI PER MILANO:
UN INVENTARIO E UNA RIFLESSIONE
FRA PRESENTE E FUTURO

 

Quali strategie e quali progetti prioritari sono dunque necessari per Milano “capitale europea” del nuovo Millennio? Le risposte dei testimoni intervistati configurano un quadro articolato di ipotesi e di proposte che in parte muovono da progettualità in qualche misura già presenti ed avviate e, per altra parte, rappresentano invece nuove suggestioni e nuovi possibili percorsi. Il discorso degli intervistati si muove dunque fra presente e futuro, anche sullo sfondo di una riflessione sulle problematiche esperienze del passato e, nel contempo, di uno sguardo comparativo su quanto è stato pensato e realizzato in altre importanti aree metropolitane europee.

Da un punto di vista generale, tutte le ipotesi e proposte evidenziano la necessità di un disegno complessivo per Milano, di un “filo comune” che attraverso le istituzioni e la leadership politica leghi fra loro – in una configurazione visibile, comunicata e persuasiva – i diversi progetti e le diverse iniziative messe in campo. Si tratta dunque, dal punto di vista strategico, di promuovere e conseguire nuovi processi di aggregazione degli attori pubblici e privati e delle loro progettualità e interessi e, per questa strada, di ricomporre in un disegno unitario i “fili spezzati” delle diverse iniziative di Milano e per Milano.

In concreto l’inventario delle proposte e dei progetti per Milano emerso dalle interviste può essere in qualche misura organizzato in forma tipologica e quindi sinteticamente delineato nel modo seguente:

1. Infrastrutture e progetti per la mobilità delle persone, delle cose e dei segni (progetti di rete)

- Autostrade Pedemontana (che avrebbe la funzione di dirottare verso l’esterno il traffico che ora grava a raggiera su Milano) e Milano-Brescia.

- Raddoppio della Tangenziale (mancano almeno una Tangenziale Est esterna e una Ovest più bassa).

- Nuove linee di Metropolitana (in particolare sono necessarie e urgenti in funzione del nuovo polo fieristico di Rho Pero, altrimenti destinato a rischiare problemi analoghi a quelli di Malpensa).

- Completamento del Passante ferroviario (che ha un valore strategico per Milano sia dal punto di vista della mobilità che della riqualificazione urbanistica).

- Costruzione di sottopassi e parcheggi sotterranei nell’area urbana di Milano (come ha detto efficacemente un testimone intervistato, “per rendere vivibile il sopra è necessario utilizzare il sotto”).

- Completamento delle opere di cablaggio (Milano può e deve diventare una delle prime due/tre città europee in questo campo; più in generale – secondo alcuni intervistati - occorre seguire il “modello Singapore”, e il Comune in prima persona deve porsi all’avanguardia di un progetto di eccellenza nella telematica).

2. Infrastrutture e servizi per lo sviluppo delle attività di business (e della stessa identità culturale di Milano, possibile “capitale culturale europea” del business)

- Costruzione di un nuovo grande Centro Congressi (ma, secondo alcuni intervistati, appare sbagliata l’ipotesi di costruirlo a Rogoredo, perché troppo lontano dalla nuova area fieristica di Rho Pero, a cui dovrebbe essere ovviamente almeno in parte funzionale).

- Nuovo polo fieristico di Rho Pero. Questo progetto pone però, secondo alcuni intervistati, rilevanti e a tutt’oggi irrisolti problemi di accessibilità e mobilità e richiede quindi urgenti e costosi (non sembra esistano ancora le necessarie coperture finanziarie) interventi di sviluppo della Metropolitana ed anche di sistemazione dei necessari svincoli di accesso autostradali.

- Creazione di nuove strutture (alberghiere ecc.) e servizi organizzativi e di accoglienza per il turismo, e in particolare per il turismo d’affari.

- Creazione di una “città della moda”, di un grande campus della moda e del design (già in fase di concreta progettazione nell’area Garibaldi-Repubblica, dove sono previsti anche un polo delle istituzioni pubbliche e un grande parco urbano). Come fanno rilevare alcuni intervistati, Milano, nello scenario mondiale della moda e del tessile/abbigliamento, è la capitale mondiale del pret-à-porter di alto livello, con un grande e crescente retroterra artigianale, industriale e terziario. A Milano, inoltre, fanno capo sia le attività terziarie legate alla moda (stilisti, design, formazione ecc.) sia quasi tutti i distretti industriali e produttivi della filiera Questo primato di Milano giustifica e in qualche modo impone – secondo questa opinione - la “città della moda” come una scelta strategica sia per il futuro economico sia per l’immagine internazionale dell’area metropolitana (fino ad ora legata quasi esclusivamente e troppo riduttivamente al Duomo).
Va tuttavia rilevato che anche fra i testimoni intervistati sono emerse opinioni problematiche o critiche su questo argomento. Alcuni hanno fatto rilevare l’esistenza di problemi di saturazione dell’area prevista per l’insediamento, di difficile collegamento e mobilità. Altri, più drasticamente, hanno messo in dubbio la stessa credibilità di successo dell’iniziativa, dato che buona parte dei grandi stilisti appare indifferente od anche ostile al progetto (come è stato osservato, gran parte di loro hanno già investito ingenti risorse – centinaia di miliardi - per le proprie specifiche location; inoltre, nessun grande stilista amerebbe troppo rischiare di confondere, in un luogo comune, l’irriducibile e concorrenziale specificità del proprio marchio). Non a caso qualche commentatore, a questo proposito, è giunto a dire che “la politica arriva a immaginare una Città della Moda con vent’anni di ritardo, quando questa, sia pure senza imprimatur, già si è sviluppata sul territorio”.

- Creazione di una “città della multimedialità” (secondo alcuni dovrebbe essere realizzata proprio nell’area Garibaldi Repubblica che appare invece destinata, come si è detto, alla “città della moda”). Si tratterebbe, in questo modo, di rendere visibile e valorizzare i punti di eccellenza milanesi nel campo dell’editoria, delle produzioni multimediali, delle televisioni. Milano potrebbe in questo modo configurarsi maggiormente come città della comunicazione, della cultura e soprattutto dell’innovazione tecnologica legata a questi settori.

3. Infrastrutture e progetti per la creazione di “poli di eccellenza” culturali

- Creazione di una “città della cultura” (in ipotesi a Porta Genova, nell’area ex-Ansaldo) in cui concentrare diverse strutture e iniziative culturali, come un nuovo museo archeologico, un centro delle culture extra-europee, un centro studi sulle arti visive e altro ancora.

- Costruzione di una grande Biblioteca europea di cultura e informazione (in ipotesi nell’area dell’ex-stazione di Porta Vittoria; ma perché non nel luogo prescelto per la “città della cultura” o comunque perché separare fisicamente un elemento culturale fondamentale come una biblioteca dalla prefigurata città della cultura?). Va osservato tuttavia come alcuni testimoni intervistati valutino preferibile e prioritaria, rispetto alla biblioteca intesa come nuovo manufatto, l’ipotesi di una “biblioteca virtuale”, intesa come grande “nodo europeo” di reti telematiche di biblioteche e centri di documentazione. In ogni caso le due ipotesi – quella del manufatto e quella del “nodo” telematico – non sembrano fra loro affatto incompatibili.

- Creazione di un nuovo museo di scienza e tecnologia (il modello è La Villette a Parigi), inteso anche come vetrina del futuro. Più in generale, si potrebbe ipotizzare una sorta di museo della Milano innovativa, una vetrina di Milano laboratorio del futuro (in questo caso non solo nella scienza e nella tecnologia, ma anche nelle arti, nei costumi, nelle religioni e nella cultura). A questo proposito, va rilevato come alcuni intervistati abbiano anche evidenziato la necessità di nuove politiche di integrazione sociale e culturale multietnica per Milano: Milano, in questa prospettiva, potrebbe proporsi come “laboratorio culturale” multietnico per il futuro anche attraverso un nuovo “luogo-vetrina” di tipo museale.

- Creazione di un nuovo grande museo di arte contemporanea.

4. Proposte per l’attrazione di grandi eventi internazionali capaci di catalizzare progettualità, interessi e risorse per la città

- Proposta di concorrere per la candidatura alle Olimpiadi del 2008 o del 2012, in una prospettiva anche di difesa dell’ambiente. Questa proposta si richiama, in qualche misura, all’occasione perduta di una precedente analoga iniziativa per Milano e, nel contempo, prende ispirazione dai conclamati successi del “modello Barcellona” e, per le esperienze più recenti, anche dal caso positivo di Torino, che ha vinto la candidatura per le Olimpiadi invernali del 2006. Dalle interviste è emersa anche la proposta di tentare di aggregare all’iniziativa Genova e Torino, in un quadro più generale di alleanze per conseguire la candidatura.

- Iniziative, promosse in sede regionale, per realizzare a Milano nel 2002 l’assemblea annuale della Banca interamericana per lo sviluppo e per la Conferenza europea dell’Infotecnica.

5. Proposte per l’attrazione di agenzie/enti/istituzioni europee e internazionali

- Iniziativa, promossa in sede regionale, per conseguire l’insediamento a Milano dell’Agenzia europea per la navigazione satellitare. Questa iniziativa, che si pone peraltro in concorrenza con una richiesta analoga fatta da Roma, tende a contribuire a rafforzare l’immagine di Milano “capitale tecnologica” nei settori più avanzati delle telecomunicazioni.

6. Proposte per la realizzazione di politiche di marketing a favore della città

- Proposta di creazione di una specifica Agenzia di marketing. Essa dovrebbe avere una configurazione “a geometria variabile”, cioè avere come aree di riferimento tanto quella regionale quanto quella metropolitana. Il core business dell’Agenzia dovrebbe essere costituito dalla promozione dei processi di internazionalizzazione di Milano, dell’area metropolitana e dell’area regionale. Questa Agenzia dovrebbe incorporare diverse culture e competenze: funzionariale, universitaria, di ricerca, turistica; e avere al suo interno tutti i diversi possibili e necessari “sensori”. Dovrebbe, con il concorso di Fiera Milano, produrre pacchetti di turismo business decentrato (montagna, luoghi di cultura, percorsi gastronomici ecc.) per i week-end. Più in generale, dovrebbe realizzare un marketing “allargato”, utilizzando tutte le risorse della città e della regione. L’architettura dell’Agenzia dovrebbe prevedere un board caratterizzato da tre diverse linee di intervento: progettuale; finanziario/project financing; comunicazione.

Va infine osservato, per concludere su questi temi, come da numerose interviste sia emersa l’esigenza, seppure non ancora precisamente articolata in specifici progetti, di iniziative per promuovere Milano come luogo di insediamento di attività ad alto valore aggiunto e a basso livello di inquinamento. Si tratta di una prospettiva che tende a valorizzare l’immagine di Milano come città dell’innovazione e della tecnologia, e che dovrebbe vedere come possibile “motore” di queste dinamiche per una più forte identità vocazionale una partnership fra istituzioni pubbliche, soggetti privati e un gruppo di intellettuali di prestigio.

Le “immagini” di Milano e le sue possibili “identità vocazionali” sono appunto i temi delle pagine conclusive di questo Rapporto.


Capitolo 5

LE IMMAGINI ESISTENTI E LA POSSIBILE IDENTITÀ VOCAZIONALE DI MILANO: “CAPITALE EUROPEA”
IN CHE COSA E PER CHE COSA?

 

Attraverso le interviste, si è tentato anzitutto di capire quale immagine abbia oggi Milano in Europa e nel mondo. Una città è senza dubbio un’entità “oggettiva”, ma è anche nel contempo un insieme di “percezioni”, che rappresentano a loro volta importanti elementi costitutivi della stessa “oggettività” urbana. Per dirla idealisticamente (in senso filosofico), “l’essere delle cose consiste nel loro essere percepite”, o anche “il mondo è come è, ma è soprattutto come noi lo percepiamo”. E’ in fondo, questa, la base filosofica implicita della comunicazione e del marketing, di cui Milano come città (non i suoi “segmenti” di eccellenza, che sanno invece “vendersi” benissimo nel mondo) – secondo molti testimoni intervistati – non si può dire “maestra” in Europa. E va osservato, a questo proposito, che per promuovere una più forte identità vocazionale di Milano occorre intervenire anche sulla sua immagine comunemente percepita: nel quadro di una strategia di cambiamento della città, questa deve essere rilevata, rivisitata, fatta “muovere”, opportunamente riproposta.

Anche di queste immagini percepite, sulla base delle interviste, è possibile delineare sinteticamente un inventario che, come vedremo, presenta per un verso alcuni ricorrenti “luoghi comuni” e, per altro verso, anche alcune percezioni piuttosto originali e dissonanti:

- Milano è essenzialmente una città degli affari e degli scambi, una città efficiente e pragmatica, ma è poco accogliente (sporca, disordinata, scarsamente dotata di luoghi di socialità ecc.).

- Milano è “frenesia”, è soprattutto il più grande shopping center d’Europa (nemmeno a Parigi c’è una simile concentrazione in un’area così delimitata).

- Milano è la città degli affari e del lavoro, dove “si va a fare cose, a svolgere funzioni”, ma non da vivere o da visitare. Come ha detto un intervistato, “a Milano si viene, si lavora e si scappa”. Osserva un altro testimone: “Gli stranieri in città per lavoro si stupiscono di vedere anche cose belle, perché tutto ciò comunemente non rientra nel loro immaginario e nelle loro aspettative”. Milano – hanno osservato alcuni intervistati – è poco conosciuta anche dai suoi stessi abitanti.

- Milano è il centro economico e sociale dell’Italia: c’è il Made in Italy, si vive bene (in generale in Italia si vive bene). Questo “vivere bene” ha sempre in qualche misura compensato i “deficit di efficienza” rispetto a modelli stranieri. Ma questa qualità della vita, nelle grandi aree metropolitane come Milano, è tuttavia oggi in declino, a causa dei problemi di traffico e di mobilità, di inquinamento, di sicurezza.

- Milano ha generalmente un’immagine buona fra gli stranieri, di “isola felice” in Italia, però il sistema dei trasporti non va bene, ci sono gravi problemi di mobilità.

- Milano è una bella città, dove c’è molta gente da incontrare, ma si trovano partner essenzialmente nei settori tradizionali (come la moda), mentre non si riesce a trovarne nei settori delle tecnologie avanzate.

- Milano è percepita come la “porta” potenziale verso il Nord Europa, ma poi si scopre che le strutture e risorse logistiche essenziali per svolgere davvero questo ruolo sono carenti e inadeguate.

- Milano (osserva significativamente un manager straniero residente in città) non ha un’immagine visibile e chiara, non ha progetti chiari per il suo futuro, non si capisce “dove intende andare e che cosa vuole diventare”.

- Le élite milanesi hanno problemi di percezione della città: la loro è una percezione “post-depressiva” (dopo la grande crisi seguita a Tangentopoli), ma non ancora di sviluppo. Hanno ancora dubbi sul fatto che la città possa davvero realizzare in tempi rapidi i cambiamenti di cui ha bisogno.

- Milano è una città senza vivibilità atmosferica, inquinata. E’ la quinta città al mondo per inquinamento da residui azotati. Gli stranieri non ci vogliono venire, preferiscono sempre più le medie città. E’ migliorata invece per i giovani (ci sono più discoteche, luoghi di incontro ecc.).

- L’immagine di Milano è cambiata negli ultimi anni: prima era vista essenzialmente come città lavorativa, attiva, piuttosto grigia. Oggi invece è essenzialmente vista come città della moda, delle sfilate di moda. In qualche misura è anche vista come città della cultura.

- Milano (sono osservazioni di testimoni asiatici) è una città sofisticata (come Londra o Parigi), un centro di moda e di arte, che ha nelle vicinanze anche importanti bellezze naturali. La gente è simpatica, aperta, franca.

L’immaginario su Milano, come si è visto, è quindi piuttosto in “chiaroscuro”: oscilla fra le percezioni positive di città degli affari e degli scambi, della moda e del gusto, delle libertà e opportunità di vita; e le percezioni negative della scarsa vivibilità, del degrado ambientale, della difficile mobilità, dell’inadeguata socialità e accoglienza.

Nel panorama di percezioni rilevate attraverso le interviste e delineate in precedenza vi sono poi un una percezione presente e, nello stesso tempo, una percezione assente che appaiono particolarmente significative e quindi meritevoli di riflessione:

- La percezione che è presente, fra le diverse proposte dagli intervistati, è quella di Milano come città che non ha un’immagine chiara e visibile, che non sembra sapere (né tanto meno saper dire) dove vuole andare, cosa vuole diventare. Si tratta di una percezione che richiama il problema irrisolto di una strategia, di un orizzonte, di un disegno complessivo condiviso, visibile e adeguatamente comunicato per il futuro di Milano.

- La percezione che è assente è quella di Milano come città dell’innovazione, della scienza applicata e della tecnologia avanzata e quindi come possibile “capitale europea” di tutto ciò. Nessuno degli intervistati ha proposto questa immagine di Milano, e proprio questo – ci sembra – “la dice lunga” sui problemi competitivi di Milano (e dell’Italia) nel contesto europeo e internazionale.

Milano, in questa prospettiva, sembra dunque aver bisogno soprattutto di nuovi orizzonti e visioni per il suo futuro e di nuove e coerenti e convinte percezioni di sé. In altre parole, di una scelta consapevole di vocazioni identitarie, in grado di definirne il ruolo di “capitale europea”: capitale europea in che cosa e per che cosa? Con quale “segno distintivo” rispetto ad altre identità ed esperienze metropolitane del continente? Con quale (o quali) “marchio” di identità?
Anche in questo caso, le interviste ai testimoni privilegiati consentono di delineare una sorta di repertorio di possibili “marchi di identità”, dal quale emergono in qualche misura alcune possibili convergenze. Almeno un “marchio” – quello della moda – oggi Milano ce l’ha già certamente, per universale riconoscimento. Ma è sufficiente e soddisfacente questa esclusiva (o quasi) identità? E’, da sola, capace di garantire e promuovere il futuro di Milano? O è necessario pensare e “investire” anche su altre forti vocazioni e identità, maggiormente proiettate nel futuro?

Questo “repertorio ragionato” di identità vocazionali possibili - per una Milano “capitale europea” - può essere rappresentato, sinteticamente, intorno ad alcune fondamentali opzioni:

- Milano, in fondo, non ha che da sviluppare le “eccellenze” che ha già, che già oggi ne fanno legittimamente una capitale europea: quella produttiva/finanziaria/commerciale che si coagula intorno alla Fiera, una delle più importanti del mondo; quella della moda; quella nel settore dell’informazione; quella della formazione (la rete delle sue università); quella di servizi come la sanità, con i suoi “punti alti” di livello mondiale nella ricerca e nella terapia (in questa prospettiva, si iscrive anche la recente proposta di Veronesi di fare di Milano la capitale europea della ricerca e della salute, ad esempio attraverso la creazione del centro di adroterapia per la cura dei tumori, che potrebbe diventare il centro di riferimento di tutto il Sud Europa e dell’area mediterranea). Il problema è che Milano deve rendersi consapevole e convincersi essa stessa dei suoi primati, per essere davvero in grado di trasferire anche all'esterno questa sua forte identità.

- Milano può essere capitale europea perseguendo e giocando un ruolo di rilievo nel Sud Europa, come ponte verso il Mediterraneo, in competizione con Barcellona, Lione e Monaco di Baviera. Si tratta di un’idea e di un’identità “latenti”, a cui manca ancora una convinta leadership politica, culturale e imprenditoriale. Milano, come ha osservato un testimone intervistato, “è la più importante area metropolitana del Sud Europa, che non sa di esserlo”.

- Anche la finanza può configurare una possibile identità vocazionale europea di Milano, ma solo se si individua una finanza “di nicchia”, funzionale alle sistema delle piccole imprese e collegata alle esigenze specifiche del territorio (italiano ma anche sud-europeo e mediterraneo), capace anche di contribuire ai processi di modernizzazione del capitalismo. Milano, ovviamente, non può competere con Londra o Francoforte (come “peso quantitativo” in Europa è irrilevante), ma può lavorare sulla qualità, in una “logica di nicchia”, come ha fatto con successo la parte migliore della piccola industria italiana.

- L’identità vocazionale di Milano è quella di essere, in senso lato, città degli scambi, delle opportunità, delle libertà: una città aperta, vera capitale delle relazioni internazionali, crocevia di scambi conoscitivi, capace quindi di attrarre risorse ed energie. E’ un’identità da promuovere e sviluppare, perché oggi Milano appare troppo chiusa, troppo scarsamente cosmopolita.

- Milano, che già può “gloriarsi” di una leadership mondiale nella moda e nel design, deve proporsi come centro e vetrina di tutta la creatività e la genialità italiane, in qualsiasi campo e settore esse si esprimano. “Marchio” di Milano potrebbe essere il “genio italico” nel mondo. Può anche proporsi, in una prospettiva almeno in parte funzionale a questa identità, come “centro organizzativo” di tutti i flussi turistici in Italia, attratti da questo “marchio” identitario.

- L’identità vocazionale di Milano può essere l’industria della comunicazione in senso lato (dal cablaggio alla televisione all’editoria al design) come sistema che trasmette valori e modelli. Come ha anche detto il giornalista scrittore Gaspare Barbiellini Amidei, “il destino di Milano è nella comunicazione”.

- L’identità di Milano non può restare soltanto legata alla vecchia economia (la moda anzitutto). Si può invece ipotizzare l’idea di Milano città della cultura (modello Villette a Parigi) e della comunicazione. L’idea è quella di una produzione di senso (cultura) attraverso la comunicazione, un forte interazione fra produzione culturale e comunicazione, che faccia leva sulle “eccellenze” di Milano nell’editoria, nei media, nella televisione, nel multimediale e così via.

- L’unica, vera identità vocazionale possibile per Milano è quella dell’innovazione. Come afferma drasticamente un testimone intervistato, “o Milano è il motore dell’innovazione (anzitutto tecnologica e culturale) in Italia e in Europa o non è”. In questa direzione, Milano deve poter realizzare il “trascinamento” culturale dell’intera Lombardia, come città leader fra un insieme di città. A questo fine occorre un progetto complessivo, che oggi ancora manca.

Dunque, per concludere, Milano “capitale europea” ha di fronte a sé diversi possibili scenari, diverse possibili opzioni: deve pensare se stessa, fare scelte (non si può voler essere “tutto”, perché così si finisce per non essere “niente”), decidere consapevolmente il proprio destino. Una città infatti non è solo ciò che è stata, il suo passato; non è neppure solo ciò che è, il suo presente. E’ soprattutto ciò che progetta e sceglie di diventare, il suo futuro.

 

ALLEGATI

 

 


ELENCO NOMINATIVO DEGLI INTERVISTATI

 

 Aleotti, Alessandro - Direttore “Milano Metropoli”

 Balzani, Andrea – Architetto Urbanista

 Barton, Yvonne –Presidente British Gas Italia (UK)

 Borghini, Piero - Direttore Fondazione Fiera Milano

 Boselli, Mario – Presidente Camera Nazionale della Moda

 Broggi, Danilo – Presidente API

 Cattaneo, Raffaele – Responsabile Estero Regione Lombardia

 De Maio, Adriano – Rettore Politecnico di Milano

 Friese, Heinz – Segretario Generale Camera di Commercio Italo-Tedesca (Gemania)

 Geipel, Peter – Direttore Generale Gerling Allgemeine Versicherungs (Germania)

 Giorgetti, Rossella – Direttore Relazioni Esterne Gruppo Hachette Rusconi – Gruppo Lagardère (Francia)

 Gotti Tedeschi, Ettore – Amministratore Delegato di Santander Investment Banking (Spagna)

 Honda, Masanori – Presidente YKK Italia (Giappone)

 Imperiali, Gianfranco – Amministratore Delegato ABB Asia Brown Boveri (Svizzera-Svezia)

 Kakuage, Yutaro – Presidente Sumitomo Corporation Italia (Giappone)

 Kleefuss, Hans – Presidente & Amministratore Delegato Bayer Italia (Germania)

 Locatelli, Pietro – Amministratore Delegato HVB Real estate Capital Italia (Germania)

 Maffioli, Francesco – Docente Politecnico di Milano

 Marone, Ezio – Ammistratore Delegato Danzas Italia (Svizzera)

 Melandri, Gabriele – Amministratore Delegato AGFA (Germania)

 Persiani, Costante – Consigliere Unione Commercianti

 Porcelli, Michele – Direttore Generale Assolombarda

 Resca, Mario – Amministratore Delegato Mc Donald’s Italia (USA)

 Rindi, Fabrizio – Presidente & Amministratore Delegato Gruppo Winterthur (Svizzera)

 Rolando, Stefano – Responsabile Comunicazione Consiglio Regionale Lombardia

 Sapelli, Giulio – Docente Università Statale

 Sassoon, Enrico, Amministratore Delegato American Chamber of Commerce in Italy (USA)

 Scalpelli, Sergio – Direttore Relazioni Esterne E-biscom

 Wich, Donald – Direttore Generale Messe Frankfurt Italia (Germania)

 Zago, Gianni – Dirigente Gruppo ENI-SNAM


TRACCIA DI TEMI PER LE INTERVISTE

 

1) GLI ULTIMI 10 ANNI
Come è cambiata Milano negli ultimi dieci anni? Quali trasformazioni oggettive sono avvenute? Quali sono state le principali progettualità messe in campo in questo periodo per lo sviluppo della città? Quali sono state, all'opposto, le principali occasioni perdute?

2) IL PROCESSO DECISIONALE
Nei processi decisionali, quali sono stati i principali "nodi" critici che negli ultimi dieci anni hanno ritardato o impedito la realizzazione dei progetti avviati? (fare esempi). Inoltre, quali istituzioni hanno maggiormente ostacolato il processo decisionale e, viceversa, quali lo hanno agevolato?

3) LA CLASSE DIRIGENTE
Qual è il suo giudizio sulla classe dirigente milanese? In quali ambiti essa è meno preparata a raccogliere le sfide del futuro? Vi sono alcuni soggetti sociali da integrare nella futura classe dirigente o ritiene che l'attuale assetto dei poteri formali ed informali sia adeguato? Chi definirebbe come punta avanzata o eccellente, nella classe dirigente milanese?

4) IL CONFRONTO CON L'EUROPA
Qual è la sua percezione della dinamica comparativa fra Milano e le altre grandi città europee? E' cresciuto o diminuito il gap? E in rapporto a quali parametri di comparazione ciò è avvenuto? In relazione al suo specifico campo di osservazione, di lavoro e di esperienza, quale "ruolo" o (posizione) ricopre oggi Milano nel contesto europeo (e, più in generale, globale)? Si tratta di un ruolo visibile e riconosciuto oppure no? Se no, per quali motivi? Quali sono oggi i principali punti di forza (economici, istituzionali, culturali, ecc.) di Milano nel contesto europeo? E quali prospettive hanno? Quali sono, all'opposto, i principali punti di debolezza? Quali le loro origini e ragioni? Quali le loro prospettive di evoluzione e di superamento?

5) LA DIMENSIONE DELLA CITTA'
Che confini darebbe a Milano? In che modo e da quali istituzioni dovrebbe essere affrontata la politica del territorio su vasta scala? Quali sono oggi i soggetti o le istituzioni più rilevanti per Milano, al di fuori dei confini municipali della città? Quali omogeneità e quali ambiti di separazione andrebbero cercati tra Milano e la sua area circostante?

6) L'IMMAGINARIO COLLETTIVO
Qual è, secondo la sua opinione, il più diffuso e significativo "immaginario collettivo" su Milano oggi rilevabile? Quale è il più diffuso "primo pensiero" su Milano riscontrabile nelle persone che fanno parte del suo "universo" di riferimento? Come è cambiata nel tempo questa percezione?

7) LA GOVERNANCE
Ritiene il contesto istituzionale e il livello di "governance" (dialogo e concertazione fra attori, pubblici e privati; locali, regionali, nazionali, sovranazionali) adeguati ai percorsi progettuali e decisionali necessari per lo sviluppo della città, oppure no? E, in quest'ultimo caso, quali trasformazioni istituzionali amministrative e culturali sarebbero auspicabili e opportune per un più elevato ed efficace livello di "governance"? Laddove esistono delle criticità le pare siano maggiormente attribuibili ad una carenza istituzionale, politica o di livello della classe dirigente?

8) I PROGETTI SPECIFICI
Quali sono le progettualità in atto (o anche solo in fase di elaborazione) relative a Milano che lei ritiene più importanti e significative? Quali prospettive hanno queste progettualità? Venendo al suo campo d'azione, quali sono le progettualità che ritiene più urgenti e significative?

9) LA VOCAZIONE DELLA CITTA'
Qual è, secondo la sua opinione, la principale e più significativa identità "vocazionale" di Milano oggi concretamente proponibile e perseguibile? Quale identità può essere promossa per caratterizzare meglio la città nel contesto europeo? Con quali percorsi progettuali e decisionali, con quali attori e con quali risorse? Come giudica la situazione attuale per quanto riguarda le politiche e le iniziative di comunicazione e di promozione dell'immagine di Milano in Europa e nel mondo? Milano è adeguatamente visibile e comunicata? Quali sono i più importanti "nodi" critici delle strategie di marketing della città? E quali gli eventuali "casi di successo" più significativi?

 

Fonte: http://www.mi.camcom.it/documents/10157/32220546/immagine-milano-percezione-testimoni-privilegiati-dicembre-2001.zip/ea665c51-6f85-4b60-9302-ec54356d9eae

Sito web da visitare: http://www.mi.camcom.it/

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