Economia e finanza

Economia e finanza

 

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

 

 

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

 

 

 

Economia e finanza

 

L’IMPORTANZA DI STUDIARE ECONOMIA

In questi ultimi anni i quotidiani (e i mass media in generale) traboccano di termini e problematiche economiche anche nelle pagine dedicate a politica, cultura e sport. Ricondurre ogni comportamento umano alle logiche dell’economia sarebbe riduttivo e ingiusto, ma non riconoscere che tali logiche giocano un ruolo, piu’ o meno importante, in gran parte della vita sociale e talvolta anche in quella privata sarebbe miope.
Studiare economia serve a tutti. Serve soprattutto per capire il mondo moderno e, di conseguenza, per fare delle scelte consapevoli nella vita di tutti i giorni, perche’ la vita quotidiana parla sempre piu’ il linguaggio dell’economia (ad esempio termini come interesse, sconto, mutuo, marketing, globalizzazione, strategia, crisi economica, ecc…. sono tutti termini di derivazione economica).

C’e’ tuttavia un aspetto particolare nella nostra educazione: l’insufficiente attenzione che il sistema scolastico riserva all’economia. Oggi l’economia e’ per molti un oggetto misterioso: molte persone non sanno perche’ ti pagano X e non Y, o perche’ c’e’ la recessione, o perche’ lo Stato ha bisogno di soldi, o perche’ un’impresa va bene o male (spesso si pensa che sia solo una questione di fortuna), non tutti sanno se e’ bene o male che i cinesi ci facciano concorrenza, , ecc. Da cio’ deriva che il nostro paese ha un disperato bisogno di cultura economica diffusa. Una cultura che, da sola, non avrebbe evitato i crac finanziari di qualche anno fa (Cirio, Parmalat ad esempio), o la crisi economica di questi anni, ma che avrebbe certamente spinto molte persone a qualche riflessione preventiva sulla relazione tra rischio/rendimento dei titoli, oppure avrebbe evitato la violazione di semplici regole di buon senso economico.

Studiare economia, inoltre, ha una ricaduta positiva in termini di occupazione. Malgrado la crisi economica, molte imprese cercano diplomati o laureati in economia. Questo non e’ una sorpresa perche’ il diplomato in economia serve in tutti i settori e ogni impresa, qualsiasi attivita’ svolga, ha bisogno di segretari, personale d’ufficio, amministrativi, commerciali, esperti in finanza, fiscalisti ecc. In tutte le indagini, le qualifiche introvabili dalle imprese sono (oltre ai tecnici, operai, manodopera specializzata, informatici e ingegneri): segretari, assistenti amministrativi, personale d’ufficio, sales manager, commerciali, personale in area contabilita’, finanza e fisco.

COS’E’ L’ECONOMIA

Quello che viene comunemente definita economia riunisce in realta’, due discipline: l’economia politica, che vuole spiegare il funzionamento dei sistemi economici e l’economia aziendale che studia il funzionamento delle imprese. In molte occasioni vengono definite economia (economics) e management. Nella tradizione internazionale le due discipline sono nettamente distinte.
La nostra visione dell’economia e’ invece unitaria. Chi si occupa dei sistemi economici non puo’ prescindere da una buona conoscenza del funzionamento delle imprese e gli uomini d’impresa non possono ignorare le interrelazioni che la legano all’ambiente economico.
Chi vuole vivere in modo consapevole i problemi e i dibattiti dei nostri giorni deve comprenderne il linguaggio. Anche negli articolo dei giornali e nei servizi televisivi i termini di economia politica e economia aziendale sono gli uni accanto agli altri per comprenderne le interrelazioni.
Il corso denominato ECONOMIA E MANAGEMET DELL’IMPRESA SIMULATA si basa sulle competenze manageriali, e spazia nell’ambiente economico circostante all’impresa.

IL MANAGEMENT

La gestione di un’impresa si basa sulle competenze manageriali, che sono importanti anche nella vita di tutti i giorrni.
Infatti, ciascuno di noi, anche se non se ne rende conto, scommette il proprio benessere sui risultati del management; infatti per fare scelte migliori riguardo all’azienda di cui vogliamo entrare a far parte, o in cui vogliamo investire, o a cui vogliamo dar vita, dobbiamo conoscere cos’e’ il managemant, quando e’ buono e quando non lo e’.
Inoltre per fare scelte consapevoli dobbiamo applicare a noi stessi la disciplina del management. Ad esempio una volta guardavamo alle aziende perche’ ci trovassero il lavoro giusto, si occupassero della nostra carriera, proteggessero la nostra vita professionale. Tutto cio’ fa ormai parte del passato. Quale che sia la loro forma, le aziende ci richiedono maggiori capacita’ di iniziativa e piu’ responsabilita’. In sostanza ci richiedono di pensare come un manager, anche se non e’ la nostra professione.
Persino per fare del bene si devono gestire alcune situazioni spesso complesse, quindi bisogna avere competenze manageriali.

Il management quindi non riguarda solo l’economia, ma tutte le persone; e’ un’arte liberale che si ispira a tutte le discipline che ci aiutano a dare un senso a noi stessi e al mondo.
Il management e’ una disciplina, quindi, universale, che riguarda tutti.

Studiare management, inoltre, ci aiuta a capire molte cose. Per meglio comprendere questa affermazione possiamo farci una domanda: quali sono state le principali innovazioni del secolo scorso? Gli antibiotici, i vaccini, le automobili, il telefono, la Tv, gli aeroplani? Tutte queste invenzioni hanno cambiato le nostre vite, eppure nessuna avrebbe potuto affermarsi in tutto il mondo in modo rapido senza la disciplina del management, che trasforma complessita’ e specializzazione in risultati.

L’IMPRESA SIMULATA

Il management si collegano con il progetto “impresa simulata” in cui i concetti teorici vengono messi in pratica nella gestione di un’impresa simulata.

La simulazione d’impresa si concretizza nella gestione di un’impresa virtuale come se fosse vera, in un laboratorio dedicato. Mediante un portale internet, gestito dal Ministero della Pubblica Istruzione, si entra in contatto con altre imprese virtuali dislocate nelle scuole in tutta l’Italia, per concludere affari. Ogni impresa virtuale e’ supportata da vere aziende che forniscono materiale e collegano la realta’ virtuale con quella reale.

Per gestire con successo un'impresa virtuale e' necessario:
1) possedere una buona preparazione manageriale,
2) avere visione strategica nel rispetto dei valori etici,
3) conoscere le strategie di marketing,
4) utilizzare massicciamente le tecnologie informatiche.

Quindi, con il progetto impresa simulata si applicano i concetti di economia, del management scientifico, le regole della strategia aziendale, oltre a rafforzare le competenze di marketing ed a utilizzare massicciamente le moderne tecnologie informatiche.

Il progetto IFS si basa sul concetto di didattica attiva, attraverso la quale:
1) SI ESCE DAI LIBRI DI TESTO E DALLA CATTEDRA PER OPERARE PER OBIETTIVI (gli alunni quotidianamente fanno delle scelte per raggiungere dei risultati, che non sempre sono numerici, ma spesso sono di carattere etico)
2) NON SI ESPONGONO DIECI TEORIE IN DIECI GIORNI DI LEZIONE, MA LE SI FA FUNZIONARE TUTTE ASSIEME. L'alunno finisce per capire come comportarsi, ma PERCHE' SI ABBIA APPRENDIMENTO DEVONO ESSERCI DEI MOMENTI IN CUI QUALCUNO TIRA LE SOMME E SVELA I MECCANISMI CHE SONO STATI ATTIVATI IN MODO QUASI ISTINTIVO
3) SI ENTRA IN CONTATTO CON IMPRESE E MANAGER che operano nel territorio, in quanto dietro il lavoro dei ragazzi c’e’ anche il supporto dei responsabili delle vere aziende che sono oggetto della simulazione.

 

Fonte: http://www.istitutotorno.it/simulimpresa/0%20economia,management%20e%20ifs.doc

 

Abbuoni Abi associazione bancaria italiana. Abuso di informazioni privilegiate Abuso di posizione dominante sul mercato Accesso Accise Acconti sui dividendi Acquisto Acquisizione Opa Adhocrazia Affitto Aggio e disaggio Aggiotaggio Aliquota Allargamento unione europea Ambiente Amministrazione straordinaria Ammortamento Analisi costi benefici Antitrust Approvvigionamento Arbitraggio Arbitrato Assegno Assemblea dei soci Associazione temporanea d’imprese ati Asset Attenzione (nel marketing) Attivita’ Attualizzazione Aumento di capitale Autofinanziamento Azione Banche ordinarie Banca centrale Banca d’italia Base monetaria Benchmark Beni Beni normali e beni inferiori Beni sostituti - beni sostituibili - beni succedanei - surrogati Best execution Bilancio Bisogni Bolla speculativa Bonus share Borsa Bottom-line Brevetti Budget Burocrazia Business plan Call (opzione di acquisto) Cambiale Capacita’ produttiva Capital gain Capitale circolante Capitale di debito (o capitale di terzi) Capitale di rischio Capitale fisso Capitale investito Capitale proprio Capitale umano Capitale sociale Capitalismo Capitalizzazione Cartello Cassa Cavaliere bianco Ceo chief executive officer Cessione di azienda o di ramo d’azienda Opv Circolazione monetaria Coefficienti tecnici di produzione Commessa Commodity Competenza Competitivita’ Componente di un sistema Concorrenza Consumatore Consumatore razionale Consumo individuale Consumo totale Contabilita’ Contabilita’ analitica Contabilita’ generale Conto economico Controllo di un sistema Costi e loro natura Costi fissi e costi variabili Costi privati e costi sociali Costi espliciti e costi impliciti Costi ricorrenti e costi non ricorrenti Costi affondati Costi incagliati (stranded costs) Costo opportunita’ Costo totale, costo marginale, costo medio totale Costo marginale nel lungo periodo Costruzioni interne Credibilita’ del sistema finanziario internazionale Crediti Curva della domanda Curva di domanda del consumatore Curva di domanda aggregata (o del mercato) Curva di domanda dell’azienda Curva della domanda ricavata dalle curve di indifferenza Curva dell’offerta Curva di offerta del mercato Curva dell’offerta ricavata dalla curva dei costi di produzione Curva di engel Curva di indifferenza Curva di phillips Curva di opportunita’ d’investimento Curva is (investment savings) Curva lm (liquidity money) Curva prezzo consumo Curva reddito consumo Customerizzazione Debito Decentramento dei poteri Decisioni e operativita’ in un’impresa Determinanti dei gusti del consumatore Disallineamento cassa competenza Disoccupazione Dispatching Disponibilita’ Distretti industriali Distribuzione dei prodotti Distribuzione della ricchezza (o del benessere) Dividendo Divisioni di un’azienda Dollaro Domanda Domanda di moneta Dow jones Dumping Duopolio Duopsonio Econometria Economia Economia politica Efficacia Efficienza Efficienza marginale del capitale Effetti di sostituzione ed effetti di reddito Effetto scala Efp equivalent full power Elusione fiscale Equilibrio del mercato delle merci Equilibrio del mercato della moneta Equilibrio dei due mercati delle merci e della moneta Equilibrio domanda offerta della moneta Esborso del consumatore Esposizione debitoria Esportazione Economie esterne Eutopica (o sentiero di espansione) Euro Evasione fiscale Fallimento Falso in bilancio Fame nel mondo Famiglia Fao food and agricolture organization Fattore di scala Fattori produttivi Feed-back Federalismo Fine dell’impresa Flessibilizzazione Fifo (first in first out) Fitting Flussi di cassa Flusso Fmi fondo monetario internazionale Fondamentali Fondi Fondo comune di investimento Fondo di ammortamento Fondo nazionale di garanzia Fondi pensione Fonti Forme di impresa Formulazione delle leggi Forza lavoro Fringe benefits Funzioni dell’impresa Funzione di produzione Fusione Future (contratti a termine fib e mif) Gamma Gatt Gestione dell’impresa Giacenze Gerarchia di sistemi Globalizzazione dell’economia Grandezze economiche Grandezze economiche reali e monetarie Ici Ict (information & comunication technology) Immobilizzazioni Immobilizzazioni finanziarie Immobilizzazioni tecniche Imponibile Importazione Imposte Imposta di registro Imposte ipotecarie e catastali Imprenditore Impresa Incentivo Incasso del produttore Incorporazione Indice di redditivita’ Indici del costo della vita Indici descrittivi di un’azienda Inflazione Informazione Informazioni contabili Ingegneria dei sistemi (cenni introduttivi) Ingegneria dei sistemi aziendali Innovazione Innovazione tecnologica Innovazione gestionale e organizzativa Insider trading Interesse Intervento pubblico in economia Intese restrittive della liberta’ di concorrenza Investimenti Invim Irap Irpef Irpeg Isoquanti di produzione Iva Joint venture Just in time Know-how know-why Lavorazioni esterne Lavoro Leasing Legge descrittiva di un fenomeno Legge dell’utilita’ marginale decrescente Legge dei rendimenti marginali decrescenti Legge del prodotto marginale decrescente Legge della domanda e della offerta Leverage Liability Liberalizzazione Licenze Lifo (last in first out) Liquidazione Liquidita’ Livello di produzione Livello di riordino Livello generale dei prezzi Localismo Localizzazione Locazione Logistica Lotto ottimale d’ordine (o di approvvigionamento) Lotto ottimale di produzione Macroeconomia Magazzino Maggioranza Make or buy Manutenzione Marginale Margine di contribuzione Marketing Mark up (ricarico) Matematica finanziaria Materie prime Mbe management by emergencies Mbo management by objectives Mercato Monopolio perfetto Monopolio differenziato Monopsonio Mercato borsistico Mercato interno Merce Mezzi di terzi Mib 30 Mib o30 Microeconomia Midex Miglioria Minusvalenza Modello di un sistema Moneta Moneta legale Moneta fiduciaria o consuetudinaria o privata Moneta convertibile Monopolio Monopsonio Mutuo Nasdaq New economy No global Nota integrativa Numtel Nyse new york security exchange Obbligazione Obbligazione convertibile Obsolescenza Occupazione Offerta Offerta complessiva di moneta Offerta pubblica di acquisto Offerta pubblica di scambio – ops Offerta di sottoscrizione Offerta pubblica di vendita opv Oil shock Old economy Oligopolio Oligopsonio Oneri contributivi (previdenziali e assicurativi) Oneri di sistema Oneri finanziari Oneri fiscali Oneri pluriennali Oneri staordinari Opa Opec Operatore economico Opv Opzione Ordini inevasi Organizzazione operativa dell’impresa Organizzazione di vertice dell’impresa Organizzazione della produzione Outsourcing Pagamento Paghero’ Paniere di beni Paniere di ottimo del consumatore Paniere ottimale del consumatore dalle curve di indifferenza Partecipazione Passivita’ Passivita’ a breve Passivita’ fisse Passivo consolidato Patrimonio Patrimonio netto Patto di sindacato Pay-out Perdita Periodo (o termine) Plusvalenza Politica economica Preferenze del consumatore Prelievo fiscale Prestito Prestito per le famiglie Prestito per le imprese Prestito del socio Prezzo Prezzo di equilibrio domanda offerta Prezzo di mercato Prezzo effettivo Prezzo massimo imposto Prezzo minimo imposto Price cap Privatizzazione Processi e flussi produttivi Prodotto Prodotto interno lordo (pil) prodotto lordo Prodotto lordo o valore aggiunto Prodotto interno lordo (pil) Prodotto marginale dei fattori Produttivita’ Produttore Produzione Profitto Profitto massimo Programmazione delle attivita’ di un’impresa Propensione al consumo Propensione al risparmio Proprieta’ Proprieta’ intellettuale Proventi finanziari Proventi straordinari Pubblica amministrazione Pubblicita’ Public company Public utility Punto di cournot Punto di pareggio (break-even) Put (opzione di vendita) Quota Quota capitale quota interessi Ratei Redditivita’ Reddito Reddito lordo dell’impresa Reddito monetario del consumatore Reddito operativo Reddito netto Regione economica di produzione Regione Regolatore Regolazione e controllo Rendimento di una macchina termica Rendimento di un’impresa Rendimento di un investimento finanziario Rendimento di scala Rendita Rendita catastale Resi Rete Retribuzione Retta di isocosto (o linea di spesa) Ricavo Ricavo marginale Riclassificazione del bilancio Rigidita’ Rimanenze Riparazione Risconti Riserva obbligatoria Riserve Risorse finanziarie Risorse umane Risparmio Risultato operativo Rod (return on debt) Roe (return on equity) Roe = rn / cp Roi (return on investment) Ros (return on sales) Rotazione degli ordini Saggio Salari Scalata Scambio Scatola di edgeworth Scheduling Sconti Scorporo Scorte Segmentazione del mercato Sequencing Servizi Servizi pubblici Simulazione di un sistema Sistema Socialismo Societa’ Solvibilita’ Speculazione Spesa Stato patrimoniale Stile di direzione Stipendi Stock Stock option Strategico Surplus del consumatore Sussidiarieta’ Svalutazione Sviluppo Tariffa Tasse Tasso Tasso di attualizzazione ( o indice di attualizzazione) Tasso di interesse Tasso di sconto Tasso ufficiale di sconto (tus) Tasso marginale di sostituzione Tasso marginale di trasformazione del prodotto Tecnologia dell’impresa Tecnologia del sistema economico Teoria Teoria delle decisioni Teoria generale dell’equilibrio semplificata Tesoro Tobin tax Trade off Tratta Trattamento di fine rapporto tfr Tributo Underpricing Unione europea Utile Utilita’ del consumatore Utilities Valore catastale Valore di libro Valore residuo Valuta Valutazione dell’impresa Velocita’ di circolazione della moneta Vendita Venture capital Vita tecnica dell’impianto Volatilita’ Volume di produzione Vulture funds Wall street Warrant Write-off Wto world trade organization Aggiotaggio Analisi di bilancio cosa vuol dire EBITDA EBIT ROI ROE ROS Appunti economia aziendale Appunti economia e gestione delle imprese Azienda Azioni, obbligazioni, stock option Banca Centrale Europea Banche funzioni e funzionamento Bilancio dello stato Borsa storia e concetti Budget Cenni sulla normativa fiscale domande e risposte Ciclo economico Commercio internazionale Cos' è lo spread ? Costi Costi di produzione Costo della vita Debito pubblico significato Definizioni termini economici dalla A alla B Definizioni termini economici dalla B alla C Definizioni termini economici dalla D alla L Definizioni termini economici dalla M alla R Definizioni termini economici dalla S alla Z Dieci principi dell' economia Domanda e offerta Domande e risposte di economia politica Economia applicata appunti Economia aziendale Economia aziendale appunti Economia aziendale aspetti generali Economia aziendale organizzazione Economia aziendale riassunti Economia degli intermediari finanziari Economia politica appunti e riassunti Economia quiz domande e risposte Economia quiz domande e risposte parte 2 Economia riassunto Efficienza del mercato Entrate pubbliche Eurirs Evoluzione economia nel tempo Finanza glossario Finanza internazionale istituzionale Finanza pubblica riassunto Future Gestione della produzione industriale Glossario economia e finanza Glossario finanziario Glossario fiscale Glossario termini di borsa Il soggetto aziendale economia aziendale Immobilizzazioni Imposizione fiscale Imposte significato Imprese pubbliche Indice azionario Inflazione Inflazione significato IRES IRPEF IVA significato La circolazione di merci, servizi e capitali La funzione economica dell’impresa Le tipologie aziendali economia aziendale Macroeconomia appunti e terminologia Mercato azionario e la borsa Mercato di concorrenza perfetta Microeconomia Modello economico-finanziario Monopolio Mutuo bancario Mutuo ipotecario Oligopolio Patrimonio netto Percentuale interesse sconto Politica economica Prestiti sovraindebitamento delle famiglie Principali banche italiane Riassunto di Economia e gestione delle imprese di servizio Ricavi Risorse collettive e beni pubblici Risparmio investimento e sistema finanziario Scambi e mercati Scienza delle finanze Sistema economico Sistema Monetario Europeo Società di capitali Società per azioni SPA Sociologia dei processi economici e del lavoro Spesa pubblica Storia economica Teoria della domanda Teorie d'impresa Teorie economiche


Economia e storia
di Paolo Sylos Labini
1. I due requisiti delle proposizioni scientifiche
In qualsiasi scienza una proposizione può avere un valore interpretativo se risponde a due requisiti: deve essere logicamente corretta e deve essere in qualche modo rilevante – deve avere cioè un qualche collegamento con la realtà che la scienza in questione si propone di studiare. Entrambi i requisiti sono essenziali. Nel nostro campo coloro che si preoccupano soprattutto del primo requisito producono modelli sterilmente astratti, come i modelli elaborati da quell’economista ironicamente definito astronomo da Maffeo Pantaleoni; coloro che si preoccupano soprattutto del secondo requisito producono descrizioni realistiche ma frammentarie e incapaci di mettere in chiaro i nessi che legano le varie parti ed i relativi movimenti. L’ideale è di essere rigorosi e rilevanti; è difficile, ma questo è il fine verso cui dobbiamo tendere.
Per mettere in risalto i vantaggi del metodo matematico è stato detto che la matematica non ha simboli per le idee confuse. Giusto. Può averli però per idee precise ma irrilevanti.
I modelli astratti non servono dunque all’avanzamento della nostra disciplina? Servono, ma a condizione che si tratti di modelli suscettibili, attraverso successive approssimazioni, di giungere a interpretare un particolare aspetto di una certa realtà. Giudicare se un modello astratto è potenzialmente fecondo nel senso ora indicato o è potenzialmente sterile è arduo; ma il problema esiste. Il modello di sviluppo di von Neumann e quello di Sraffa (entrambi si ricollegano all’impostazione classica) sono molto astratti, ma lo sono in modo potenzialmente fecondo – sono cioè suscettibili di successive approssimazioni, come nel secondo caso per alcuni aspetti cercai di dimostrare molti anni fa. (Alludo alla nota «Introduzione di forme di mercato non concorrenziali nello schema di Sraffa e passaggio alla riproduzione su scala allargata: appunti preliminari e provvisori» discussa in un seminario dell’Istituto di economia della Facoltà romana di scienze statistiche nel settembre del 1968 (cfr. Sylos Labini, 1984, cap. 6, § 8).
Debbo anche rinviare all’articolo «Premesse concrete e ipotesi teoriche nell’analisi economica» – «Giornale degli economisti», giugno 1961. Rinvio infine alla memoria «Saggio dell’interesse e reddito sociale», Atti dell’Accademia Nazionale dei Lincei, 1948). Reputo invece sterilmente astratta, per fare un solo esempio, la teoria dei giochi applicata all’economia nel suo complesso – altro discorso vale per l’economia aziendale e per le decisioni che debbono prendere i manager; e ciò perché, dato il carattere indeterminato di tali decisioni, in questo caso dalla microanalisi non si può risalire alla macroanalisi.
2. Le discipline sociali come cerchi che in parte si sovrappongono
La questione del realismo dei modelli teorici coincide con la questione riguardante l’oggetto dell’analisi economica. Ora, questo oggetto ha carattere storico: tutte le discipline che studiano la società sono storicamente condizionate, giacché la società stessa cambia in modo irreversibile nel tempo storico. Le discipline sociali vanno viste come cerchi che in parte si sovrappongono e che si muovono tutti nella storia. In altri termini, le discipline sociali, non sono separabili in modo netto, cosicché non può essere condiviso il punto di vista di Pareto, secondo il quale l’economia studia il comportamento razionale degli uomini, mentre la sociologia si occupa anche delle azioni non logiche: non convince il Pareto economista, che dal pinnacolo della sua razionalità guarda con una certa sufficienza gli economisti che egli chiama letterari, come non convince il Pareto sociologo, che, per usare la sua terminologia, è un sociologo letterario. La drastica distinzione è fuorviante, dato che tutte le azioni sono mosse da impulsi che possono essere compresi dalla ragione, ma che non sono necessariamente razionali; in ogni modo le azioni non logiche possono apparire tali o perché non si riesce a cogliere la razionalità delle diverse categorie di soggetti o perché non si comprendono le origini storiche degli impulsi che le generano.
La definizione dell’economia come disciplina che studia il comportamento razionale dell’uomo, che si fonda sul confronto tra mezzi e fini, non è accettabile in primo luogo per il fatto che essa appare eccessivamente ampia: anche la psicologia sociale, per fare un esempio, studia il comportamento razionale dell’uomo, ma è diversa dall’economia. C’è di più: anche un poeta o un romanziere – e qui si esce dalle discipline sociali – nell’elaborare la sua opera si comporta razionalmente, nel senso che cerca di ottenere il risultato artistico desiderato nel modo più efficace possibile (Breglia). Si può dire allora che l’economia studia il comportamento razionale degli uomini, non in generale, bensì nella sfera della produzione e della distribuzione dei beni materiali e dei rapporti che gli uomini stabiliscono fra loro nello svolgimento di quelle attività (in tali rapporti rientrano i servizi retribuiti). Anche questa definizione, però, offre il fianco a obiezioni poiché nello studio del comportamento effettivo degli uomini, l’unica razionalità intorno alla quale possiamo formarci idee chiare e distinte è quella degli studiosi stessi, che nell’intento di risultare persuasivi debbono ben chiarire le ipotesi, le argomentazioni e le conclusioni delle loro analisi. Come possiamo esprimere giudizi sulla razionalità dei comportamenti umani se si ammette che tali comportamenti dipendono dalla lunghezza degli orizzonti temporali, da previsioni che non possono non essere congetturali e dalla conoscenza di un gran numero di dati, una conoscenza che può essere più o meno ampia ma non può mai essere completa? Gli economisti debbono elaborare modelli specificando i criteri di razionalità adottati per poi vedere se i comportamenti effettivi sono conformi ai modelli o se ne discostano; nel secondo caso, però, non debbono orgogliosamente (e presuntuosamente) bollare come irrazionali quei comportamenti, giacché quel che appare irrazionale da un certo punto di vista può non essere irrazionale da altri punti di vista. Così, la razionalità nel comportamento di singole imprese può condurre alla massima irrazionalità se si considerano i problemi dell’ambiente e delle condizioni di vita di interi paesi o addirittura dell’intera umanità.
Non è dunque corretto concepire l’economia come la disciplina che studia il comportamento razionale dell’uomo nella sfera sopra specificata; conviene invece concepire l’economia come la disciplina che mira a spiegare i comportamenti effettivi degli uomini in quella sfera, comportamenti la cui razionalità deve essere valutata non in termini di un’astratta logica formale, ma con riferimento al sistema di fini che caratterizza ciascuna società, i gruppi che la compongono e gl’individui che compongono i gruppi; sono, perciò, comportamenti che cambiano nel tempo. «Razionali» in termini di logica formale, invece, e ipotetici, non possono non essere i modelli che l’economista elabora per spiegare quei comportamenti. Alla conclusione del processo delle approssimazioni successive si pone, per i modelli finali, la questione dell’efficacia interpretativa, più o meno grande, ma inevitabilmente limitata e storicamente condizionata. Per dirla in altre parole: le azioni implicano mezzi e fini; ma i fini sono quelli che sono – in ultima analisi dipendono tutti dagli impulsi o «residui» di Pareto; dei fini possiamo dire che sono condizionati dalla società e quindi dalla storia; il problema della razionalità riguarda i rapporti fra mezzi e fini. Non sempre il fine è economico come, caratteristicamente, è l’arricchimento. Certo, i casi di persone che sembrano avere come fine dominante proprio l’arricchimento sono sempre esistiti ma diventano più frequenti e socialmente più rilevanti in quella che, con ambiguità, viene definita l’epoca borghese. Spesso però, a guardar bene, l’arricchimento è un fine intermedio: quello dominante è un altro (potere politico, influenza sociale ed altri). In ogni modo, dedicare la massima parte delle proprie energie all’arricchimento non è un fine più razionale di altri; in generale, i fini dominanti non sono né razionali né irrazionali: sono, per così dire, fuori della logica.
A questo punto una riflessione sulla distinzione di Pareto fra azioni logiche e non logiche può essere opportuna. I comportamenti degli uomini per ciò che concerne la produzione de la distribuzione dei beni materiali ed i rapporti interpersonali connessi con quelle attività possono essere interpretati razionalmente dagli studiosi in modo più agevole di quanto avvenga per gli altri aspetti della vita sociale, poiché è più agevole la misurazione: in altri termini, gli aspetti economici sono più «razionalizzabili» degli altri. Va tuttavia messo in chiaro che all’osservatore i comportamenti degli uomini possono apparire «razionali» nel senso di Pareto da un punto di vista individuale ma non da un punto di vista sociale, ovvero possono essere «razionali» nel breve periodo ma non nel lungo (è sufficiente pensare ai problemi ecologici). Tutti questi comportamenti, però, possono essere interpretati razionalmente dall’osservatore, il quale dovrà altresì motivare il suo giudizio sulla «razionalità» o «irrazionalità».
La metafora dei cerchi che ho proposto dianzi può servire a chiarire meglio alcuni dei punti che ora ho sollevato.
Supponiamo che, dopo riflessione, ci convinciamo che il saggio di variazione dei salari monetari dipenda non soltanto dalla quota di disoccupati e dal saggio di variazione dei prezzi al minuto, ma anche dal numero di giorni non lavorati per scioperi, preso come indice dalla combattività sindacale. Ora, spetta all’economista cercare di spiegare l’andamento delle prime due variabili – o almeno di spiegare le spinte che immediatamente lo determinano – ma non spetta all’economista, o non spetta solo all’economista, cercare di spiegare l’andamento della terza variabile, che indica la combattività sindacale; a tal fine occorre rivolgersi al sociologo o al politologo o a entrambi, giacché le decisioni relative agli scioperi sono prese dai sindacati, che debbono tener conto della situazione politica complessiva. Possiamo porre la questione anche in questi termini: in un modello econometrico i salari, la quota di disoccupati e l’indice dei prezzi al minuto debbono essere inclusi fra le variabili endogene, nel senso che in certe equazioni compaiono a sinistra, in altre a destra del segno di eguale; il numero dei giorni non lavorati per scioperi compare invece solo a destra e non anche a sinistra: rientra fra le variabili esogene, ossia rientra solo fra le variabili esplicative, ma non anche fra quelle spiegate. Una variabile esterna a un dato cerchio – in questo caso al cerchio dell’analisi economica – può essere interna ad un altro cerchio che col primo si sovrappone solo in parte.
Fra le discipline sociali una menzione particolare spetta al diritto: attraverso le leggi e ancor più attraverso le istituzioni, che sono essenzialmente sistemi di leggi, il diritto stabilisce gli argini entro cui scorre l’acqua dell’economia. Se gli argini non sono abbastanza alti, l’acqua si disperde e forma paludi; ma lo stesso accade se gli argini sono mal situati. Faccio due soli esempi: l’organizzazione delle imprese e il mercato del lavoro. Nei suoi modelli teorici è bene che l’economista tenga conto della struttura giuridica dell’impresa: le decisioni riguardanti la produzione, gl’investimenti ed il relativo finanziamento saranno diverse, anche radicalmente diverse, secondo che l’impresa sia organizzata nella forma di società per azioni o in altra forma. Nell’esaminare l’andamento dei salari, dell’occupazione e delle altre variabili legate al mercato del lavoro non possiamo ignorare i mutamenti istituzionali di questo mercato, mutamenti che in tempi recenti nel nostro paese hanno assunto particolare importanza. Gli economisti non negano che le strutture legali e istituzionali siano rilevanti per i diversi processi economici, ma di regola includono queste strutture fra i dati, senza curarsi di esaminarle; sono tuttavia costretti a studiarle quando tali strutture cambiano o quando, procedendo a confronti internazionali, non riescono a spiegare altrimenti le differenze negli andamenti di certi processi.
3. Il metodo nelle discipline sociali e nelle scienze naturali
Nelle discipline sociali il metodo scientifico non è diverso da quello delle scienze naturali. Nei due ordini di scienze, tuttavia, esistono differenze fondamentali riguardo sia al soggetto osservante sia all’oggetto osservato. Tanto nelle scienze naturali quanto nelle discipline sociali il soggetto osservante cambia nel tempo, nel senso che affina ed arricchisce i suoi strumenti analitici e modifica i suoi punti di vista. Tuttavia nelle scienze naturali il soggetto osservante è essenzialmente neutrale rispetto all’oggetto osservato; così non è nelle discipline sociali, giacché il soggetto osservante fa parte della società che egli studia. Qui sorgono due problemi, che sono caratteristici delle discipline sociali e che in parte coincidono: il problema dell’ideologia ed il problema weberiano dei significati che hanno le azioni umane e che i fenomeni naturali non hanno. (Come ha fatto osservare Aldo Montesano, i comportamenti degli uomini sono influenzati dalle stesse teorie che li interpretano, mentre nulla di simile accade per i fenomeni naturali. Questa è un’interessante estensione del problema weberiano richiamato dianzi). L’ineliminabile elemento ideologico in coloro che svolgono l’analisi non preclude, ma rende molto difficile l’applicazione del metodo scientifico alle ricerche economiche: è necessario un continuo autocontrollo e non si è mai del tutto certi di sfuggire all’influenza della propria ideologia. L’elemento ideologico ha effetti di diversa intensità sui diversi problemi. Anche i modelli apparentemente più astratti, però, non sono esenti dall’influenza di tale elemento. Così, è lecito ritenere che ben difficilmente la teoria dell’equilibrio economico generale avrebbe assorbito tutte le grandi energie intellettuali che in effetti ha assorbito, nonostante la sua assai limitata capacità interpretativa (tale teoria è statica e non ammette i mutamenti tecnologici), se non fosse stata concepita da non pochi economisti come la dimostrazione rigorosa che quello del capitalismo concorrenziale è il migliore dei sistemi possibili. Ed è lecito pensare che molto difficilmente la teoria del valore lavoro ed il problema della trasformazione dei valori in prezzi avrebbero tenuto occupati per tanto tempo tanti cervelli di prim’ordine se dietro le quinte non ci fosse stata l’idea – condivisa appassionatamente dagli uni, avversata altrettanto appassionatamente dagli altri – secondo cui dimostrare le validità di quella teoria significava dimostrare l’esistenza dello sfruttamento nel capitalismo, ciò che avrebbe giustificato un’azione almeno tendenzialmente rivoluzionaria. Quanto all’oggetto osservato, nelle scienze naturali, di regola almeno, non è storico: è lecito supporre che le proprietà delle molecole e delle particelle subatomiche non sono variate nel corso dei secoli, mentre una analoga supposizione per le società non può essere fatta. È stato tuttavia sostenuto che neppure l’oggetto delle scienze naturali, incluse le scienze fisiche, è assolutamente immutabile nel tempo e non è perfettamente ripetibile in tutte le sue parti e quindi anche l’oggetto delle scienze naturali è «storico», come appare in modo particolarmente chiaro per la geologia e per la biologia; l’intero mondo, anzi l’intero universo, può esser visto in una tale prospettiva. Ma anche se ciò viene ammesso – e ciò può essere senz’altro ammesso per i sistemi complessi –, resta pur sempre vero che l’oggetto delle discipline sociali è «storico» in un senso profondamente diverso, sia per la rapidità dei mutamenti sia per il grado, incomparabilmente più alto, della non ripetitività dei fenomeni. In fisica ci sono «costanti» (anche se non necessariamente sono tali in senso assoluto); non ci sono costanti in economia. Nelle scienze naturali sono state proposte «leggi di movimento», diverse delle quali, almeno finora, hanno resistito alle verifiche empiriche; in economia non si è avuto un simile successo; e coloro che, come Marx, hanno tentato d’individuarle – oggi ciò può essere tranquillamente affermato – hanno fallito.
Il metodo scientifico, che è lo stesso nei due ordini di scienze, si avvale di molteplici strumenti analitici, fra cui troviamo quelli matematici e quelli statistici. Questi costituiscono una premessa alla teoria economica, ma non sono ancora teoria economica, poiché, presi a sé, non hanno potere interpretativo; tale potere emerge quando, con l’ausilio di quegli strumenti, vengono elaborati modelli teorici riferiti a fenomeni precisi.
In breve: il metodo o, forse meglio, i metodi sono gli stessi, mentre i modelli sono diversi non solo (com’è ovvio) nelle loro specificazioni, ma anche nella loro natura, giacché sono diversi sia l’oggetto sia il rapporto fra il soggetto osservante e l’oggetto osservato.
4. La responsabilità della scuola storica
Affermare che l’oggetto dell’economia è storico non significa aderire alle idee della scuola storica tedesca. Tutt’altro: io considero come deleteria questa scuola, giacché, negando qualsiasi validità alla teoria, ha gravemente pregiudicato per molto tempo il prevalere del punto di vista metodologicamente corretto. Col suo intransigente estremismo, ha dato origine ad una reazione eguale e contraria: le idee della così detta economia pura erano diametralmente opposte, ma non meno deleterie. Il punto di vista corretto, che era emerso in modo naturale nell’opera del fondatore della teoria economica moderna, Adamo Smith, è quello di un’armonica combinazione fra storia e teoria. Bisogna coltivare la storia non tanto o almeno non principalmente per amore delle conoscenze storiche, quanto per motivi che è giusto definire metodologici. Così, l’economista che intenda elaborare un modello teorico per spiegare la determinazione e le variazioni dei cambi esteri, deve specificare, fra le ipotesi, se i biglietti sono o non sono convertibili in monete d’oro o in divise convertibili in oro e, nell’ipotesi che i biglietti siano inconvertibili, se i cambi sono liberi di oscillare o se tali oscillazioni sono in qualche modo contenute entro limiti ristretti. Riflettendo, l’economista si potrà rendere conto che le ipotesi che egli formula sono ricavate da premesse concrete, che sono storiche – alcune di quelle ipotesi hanno avuto corrispondenza con la realtà in una certa fetta di storia, più o meno lunga, poi quella corrispondenza l’hanno perduta, almeno per aspetti non secondari; altre ipotesi sono invece ancora realistiche e quindi il modello teorico costruito sulla loro base ha, oggi, un certo potere interpretativo, ma non è detto che lo conserverà in futuro, anche se è logicamente ineccepibile. In breve: una volta prescelte certe ipotesi, ricavate da certe premesse concrete, è possibile elaborare un modello teorico, anche, se occorre, con l’ausilio della matematica superiore: non c’è alcuna contraddizione fra storia e matematica. Dopo aver elaborato il modello torniamo a considerare la realtà da cui eravamo partiti e da cui avevamo ricavato le ipotesi del modello teorico. Grazie al modello possiamo allora comprendere i nessi che legano i diversi elementi di quella particolare realtà e le variazioni di tali elementi, nessi che senza il modello, attraverso la pura e semplice osservazione diretta, non potevamo cogliere.
L’istituzionalismo – che naturalmente riconosce il ruolo fondamentale che spetta al diritto – ha avuto un’evoluzione analoga a quella della scuola storica: la base di entrambe le correnti di pensiero ha una validità più ampia di quella che si può attribuire alla base culturale della teoria statica tradizionale. Eppure, l’incidenza di queste due correnti finora è stata relativamente scarsa: nel primo caso, come ho già osservato, a causa dell’estremismo delle sue tesi, nel secondo caso, per l’inadeguatezza degli sforzi volti verso la teorizzazione vera e propria, giacché spesso le analisi svolte dagli istituzionalisti o sono eccessivamente generiche e indeterminate o, al contrario, eccessivamente specifiche e contingenti. (Nel caso dell’istituzionalismo la feconda via intermedia sta, per esempio, nel ricavare dalle leggi che regolano certe categorie d’imprese i parametri che concorrono a determinare la distribuzione dei profitti fra diversi possibili canali e la propensione ad investire; ovvero sta nell’esaminare i mutamenti delle leggi che condizionano il funzionamento del sistema monetario e creditizio o, ancora, sta nel seguire i mutamenti dell’involucro giuridico entro cui si è sviluppata un’industria tanto importante da richiedere ripetuti interventi del legislatore (per l’industria elettrica v. Sylos Labini, 1974). Se poi i mutamenti istituzionali investono l’intera struttura sociale, come quando un paese passa da una democrazia a una dittatura o da un regime di tipo capitalistico ad un regime ad economia pianificata, allora ci si deve attendere che l’intero sistema di relazioni economiche muti.
In breve, per le discipline sociali in generale e per l’economia in particolare si tratta di evitare, da un lato, l’eccesso di una chimerica teoria «pura», fuori dal tempo, e, dall’altro, l’eccesso di una descrizione particolareggiata e concreta, ma priva di luce teorica.
5. Una graduatoria dei condizionamenti storici
Poc’anzi, per illustrare il concetto di storicità dell’oggetto studiato dall’economista ho scelto il modello dei cambi esteri; ma potevo scegliere qualsiasi altro fenomeno. Non tutti i fenomeni economici, però, sono egualmente condizionati dalla storia. Alcuni lo sono in sommo grado: fra questi troviamo molti fenomeni monetari – non di rado le regole fondamentali del sistema monetario cambiano più di una volta nella vita di un uomo. Del resto, non è poi così lontano il tempo in cui la convertibilità in monete auree dei biglietti della banca centrale era la norma e il «corso forzoso» era, o doveva essere, l’eccezione – la stessa espressione indicava una situazione di emergenza; oggi, viceversa, non si parla più di «corso forzoso» e l’inconvertibilità dei biglietti è riguardata da tutti come normale. A testimonianza di quanto sia recente quella che probabilmente costituisce la più grande rivoluzione monetaria di tutti i tempi, leggiamo ancora, sui biglietti di banca, la scritta – che oggi è un puro residuo storico – «pagabile a vista al portatore».
Se i fenomeni monetari sono massimamente condizionati dalla storia, altri fenomeni lo sono assai poco: alcuni sembrano addirittura quasi fuori dalla storia, come il baratto. E di fatto il modello teorico del baratto costituì un cavallo di battaglia per gli economisti puri. Fenomeni di questo genere sono certo concepibili andando indietro nel tempo quanto si vuole; ed oggi fenomeni di baratto certamente hanno luogo anche nei paesi sviluppati. Ma un modello teorico volto a spiegare questi fenomeni in tutti i tempi e in tutti i paesi avrebbe una efficacia interpretativa trascurabile, dato che il baratto assume caratteristiche diverse secondo i contesti in cui si svolge – oggi la moneta domina i rapporti economici interpersonali anche quando non compare direttamente. Vi sono d’altra parte modelli talmente lontani dalla realtà da apparire poco più che schemi logici. Non è detto che schemi di questo tipo debbono essere respinti o ignorati, come non debbono essere respinte o ignorate le scatole di strumenti analitici che contengono i metodi matematici e i metodi statistici per economisti. Se tuttavia gli autori di quelli schemi li propongono per interpretare certi aspetti della realtà e non come mera preparazione logica per una tale comprensione, allora occorre esaminarli criticamente per vedere se sono o non sono suscettibili di successive approssimazioni.
I modelli teorici, dunque, in quanto modelli logici, sono fuori della storia, ma in quanto schemi interpretativi sono storicamente condizionati. In economia non ci sono leggi immutabili e universali; e quando ci volgiamo a considerare fenomeni empiricamente osservabili possiamo individuare certe regolarità, che tuttavia hanno natura probabilistica e sono valide solo in determinate fette di storia.
È importante rilevare che regolarità come quelle cui si è accennato si possono riscontrare ogni volta che in un aggregato umano hanno luogo fenomeni riconducibili a grandi numeri, siano o non siano fenomeni economici nel senso precedentemente specificato. Così, ogni anno in Italia muoiono, per incidenti stradali, circa 7100 persone: si possono prevedere i morti con più di un anno di anticipo con un margine di errore molto modesto – meno dell’1%. Ciò vale, tuttavia, nell’ipotesi che varino relativamente poco le caratteristiche degli autoveicoli, il loro numero, la lunghezza ed il grado di pericolo delle strade e le regole riguardanti il comportamento degli automobilisti: basti che muti significativamente anche una sola di queste cinque variabili per far mutare il livello d’incidenti mortali che, data la struttura complessiva del sistema, può essere considerato normale (da notare che le prime quattro variabili esprimono le caratteristiche «tecniche» e «materiali» di quella struttura, mentre la quinta è una variabile «istituzionale»). Il livello normale può diminuire se diminuisce il grado di utilizzazione degli autoveicoli (per esempio, in seguito ad un forte aumento nel prezzo della benzina), o perché vengono introdotte regole più restrittive circa il comportamento degli automobilisti o perché il ministro dei lavori pubblici riesce ad attuare un programma d’investimenti volto ad eliminare le principali «curve della morte» o quei tratti di strada su cui non batte mai il sole e d’inverno si coprono di ghiaccio, ciò che provoca un elevato numero d’incidenti; il nuovo livello normale permane fino a quando non intervengono altre innovazioni nella struttura complessiva dei trasporti su strada.
Le regolarità economiche non hanno natura diversa da quella della (mutevole) regolarità di cui abbiamo appena discorso.
6. Ordine e disordine: un’analogia tratta dalla fisica
Là dove non operano i grandi numeri non si possono individuare regolarità. Così, nel costruire un modello econometrico dobbiamo distinguere fra variabili esogene e variabili endogene. Le prime sono quelle che si suppongono determinate da forze o decisioni esterne al sistema economico: anno per anno i raccolti agricoli, per esempio, dipendono principalmente da fattori stagionali, non riconducibili a spinte economiche; similmente, le variabili che dipendono da grandi centri di decisione – per esempio, dall’autorità monetaria o dall’autorità fiscale – sono fuori dalla logica dei grandi numeri e non mostrano nessuna regolarità. Le variabili endogene, invece, si muovono per l’impulso di molteplici spinte e controspinte economiche: qui sono riscontrabili le regolarità cui accennavo, le quali, pur non essendo eterne, presentano una notevole stabilità durante non piccole «fette di storia». A titolo illustrativo, consideriamo l’equazione dei prezzi industriali, che nel nostro tempo funziona bene in tutti i paesi per i quali è stata stimata e che viene inclusa in molti modelli econometrici; secondo tale equazione, i prezzi dei prodotti industriali dipendono dalle variazioni del costo unitario del lavoro, dei prezzi delle materie prime e dei prezzi dei prodotti finiti nei mercati internazionali. Questa regolarità – come tante altre osservabili nella vita economica – può apparire sorprendente se si pensa alla varietà dei comportamenti sia dei consumatori sia delle imprese. Come si concilia tale regolarità con la grande varietà di quei comportamenti?
Un’analogia tratta dalla fisica può essere di aiuto.
Il moto microscopico delle singole molecole che compongono un gas è caotico e irregolare, ma il comportamento dell’insieme delle molecole è talmente regolare da poter essere descritto con buona approssimazione da «leggi» macroscopiche e semplici, in cui compaiono come variabili alcune grandezze medie, quali la pressione, il volume e la temperatura. Analogamente, il movimento delle imprese che compongono un mercato – concentriamo l’attenzione su questi soggetti – è caotico e irregolare: le strategie delle singole imprese dipendono infatti dalla capacità dei dirigenti e da tanti altri fattori e possono essere rappresentate da un’infinita casistica in cui compaiono le più diverse assunzioni. Già con le imprese molto grandi il grado d’indeterminazione per certi aspetti si riduce; così, si può notare che le quote di mercato di tali imprese in periodi relativamente lunghi sono stabili o variano poco, anche se, guardando più da vicino, si osserva che la composizione dei beni prodotti e venduti varia e certe volte varia notevolmente, anche in periodi brevi.
Quando si fa riferimento a interi mercati si notano regolarità degne di rilievo; regolarità anche più nitide si osservano quando si fa riferimento ad un grande aggregato, purché si tratti di un aggregato tollerabilmente omogeneo, come può essere l’intero settore manifatturiero. Le regolarità vengono meno quando si considerano congiuntamente raggruppamenti eterogenei, come l’agricoltura e l’industria. In ogni modo, in economia, come in fisica, le grandezze macroscopiche mostrano regolarità che non è dato individuare nelle grandezze microscopiche. Fra le grandezze della prima categoria e quelle della seconda esistono relazioni, che nell’esempio tratto dalla fisica vengono studiate nella meccanica statistica. Sul piano dell’analisi i problemi dei diversi ordini – variazioni delle grandezze macroscopiche, variazioni delle grandezze microscopiche e relazioni fra le une e le altre – vanno tenuti ben distinti.
7. La verificabilità dei modelli teorici
Fra analisi teorica e indagini empiriche può operare una feconda interazione e, come ha fatto osservare il matematico Bruno Simeone, molti importanti schemi astratti hanno avuto origine da indagini motivate da curiosità assai concrete. (Non dimentichiamo che la geometria, come indica la parola, è nata per esigenze pratiche di misurare porzioni di territorio). Uno degli indici della relativa arretratezza della teoria economica è costituito dalla bassa propensione degli economisti ad elaborare modelli suscettibili di verifica (o di falsificazione) empirica. I fisici, spesso presi come termini di riferimento, hanno la costante preoccupazione della verifica empirica dei loro modelli teorici. Le operazioni possono essere compiute da studiosi diversi, ma quando un fisico teorico è anche fisico sperimentale procede direttamente all’una ed all’altra operazione. In economia invece oggi la tendenza dominante è verso la polarizzazione: da un lato troviamo modelli puramente astratti, dall’altro indagini essenzialmente empiriche: i lavori che mirano a combinare la riflessione teorica con l’analisi empirica sono rari. Ma sono proprio questi i lavori che possono far progredire le nostre conoscenze scientifiche, un progresso che non è condizionato soltanto dai progressi analitici del soggetto osservante, ma anche dai mutamenti irreversibili (storici) dell’oggetto osservato. Occorre tuttavia mettere in rilievo che questo carattere dell’oggetto osservato fa sorgere delicati problemi metodologici riguardanti, in particolare, i modelli econometrici.
Quando cominciarono a diffondersi nelle ricerche di economia i nuovi metodi statistici fondati sui test di significatività e su altri particolari strumenti analitici volti a individuare vari tipi di nessi sistematici fra diversi fenomeni, furono espressi molti dubbi, specialmente da statistici del nostro paese. Il fatto è che quei test sono fondati su criteri probabilistici e presuppongono, per potere essere impiegati propriamente, campioni omogenei, mentre i dati temporali non sono omogenei, per l’azione di sedimentazione che il tempo, ossia la storia, produce sui fenomeni studiati.
Supponiamo di voler costruire un modello volto ad interpretare l’evoluzione economica di un determinato paese in un determinato periodo e che a questo scopo raccogliamo un certo numero di serie temporali. Supponiamo che le stime econometriche delle singole equazioni diano risultati soddisfacenti e che, alla fine, sia non meno soddisfacente la stima simultanea del modello. Se, dopo qualche anno, aggiorniamo il modello, possiamo notare: (a) che i coefficienti delle variabili sono cambiati, sia pure moderatamente, oppure (b) che certe equazioni debbono essere sostituite o anche (c) che il modello non funziona più e deve essere sostituito da un altro modello.
È questo il quadro degli effetti che mutamenti storici, piccoli e grandi, possono avere sulle caratteristiche del modello e delle equazioni che lo compongono. Nel caso (a) i dati risultano tollerabilmente omogenei – segno che i mutamenti intervenuti dopo l’aggiornamento sono modesti: la relativa stabilità dei coefficienti c’induce a pensare che anche durante il periodo di riferimento l’azione di sedimentazione storica, che avviene in modo incessante e che opera su tutti i fenomeni economici, è stata relativamente poco rilevante, cosicché le stime econometriche possono essere accettate nonostante i dubbi metodologici di cui ho detto. Se i mutamenti superano certe soglie critiche, allora non possiamo accettare i risultati; in tal caso, però, troveremo test di significatività insoddisfacenti e dovremo procedere ad uno dei cambiamenti indicati, alternativamente, nelle lettere (b) o (c). Per illustrare il cambiamento (c), che è il più radicale, possiamo compiere un esperimento mentale: immaginare di elaborare due modelli econometrici, uno per la Russia del 1910 ed uno per l’Unione Sovietica del 1930 (per superare la difficoltà di reperire i dati occorrenti dovremmo rivolgerci all’Arcangelo Gabriele); alla fine troveremmo ben poco in comune fra i due modelli. Il fatto è che fra le due economie di quel paese c’era poco in comune: in un periodo relativamente breve la storia, per il bene o per il male, aveva portato con sé cambiamenti sconvolgenti.
Nelle discipline sociali le verifiche possibili sono quelle fondate su serie temporali (storiche) ovvero su dati appartenenti a società diverse. In queste discipline, lo sappiamo bene, non ci sono laboratori in cui i fenomeni possono essere studiati in modo sistematico e, di regola, possono essere riprodotti controllando e modificando i fattori che li condizionano. (Non sono possibili esperimenti controllati nel caso dei fenomeni riguardanti i corpi celesti; ma esperimenti veri e propri sono possibili grazie ai fenomeni fisici – le radiazioni elettromagnetiche – che provengono da quei corpi e che noi siamo in grado di osservare e di misurare). Le verifiche possibili nelle discipline sociali, pur avendo ricevuto un cospicuo impulso dall’introduzione di moderni calcolatori, sono pur sempre un povero surrogato degli esperimenti.
L’efficacia interpretativa dei modelli dipende prevalentemente dal vigore e dal rigore dei ragionamenti; ma ciò non significa che non dobbiamo sforzarci di compiere verifiche empiriche o che non dobbiamo curarci di queste verifiche: proprio a causa della loro debolezza, dobbiamo anzi cercare di moltiplicarle, non solo nel tempo ma anche nello spazio. Voglio dire che i risultati positivi della stima econometrica di una data equazione costituiscono solo un fragile indizio a favore di una certa ipotesi, quando esaminiamo un solo paese; ma se otteniamo risultati altrettanto positivi per altri paesi l’indizio cessa di essere fragile e possiamo avvicinarci al peso di una prova, anche se la relazione vale solo nei limiti in cui il fenomeno resta relativamente stabile nella fetta di storia considerata: la fragilità delle relazioni econometriche risiede essenzialmente qui.
Sulla questione della verificabilità è importante un’osservazione. Non sembra che si possa affermare che ciò che conta, per attribuire il carattere scientifico ad una data proposizione, è il criterio della falsificabilità, ossia della verificabilità negativa, e non quello della verificabilità positiva. Va detto invece che il secondo criterio non basta: è necessario applicare anche il primo, essendo ben consapevoli che la duplice verifica può fornire solo una presunzione favorevole, non una prova conclusiva, che del resto, nel senso pieno e definitivo, non sussiste neppure nelle scienze naturali, anche se queste possono avvalersi degli esperimenti. Il guaio di non pochi modelli della teoria economica non sta semplicemente nel fatto che non sono stati sottoposti a verifica e a falsificazione; il guaio è che proprio per la loro struttura non sono suscettibili di successive approssimazioni e non possono essere sottoposti al duplice vaglio.
8. Il botanico, il giardiniere e l’erborista
Una riflessione sul significato dell’economia non può non venire estesa anche ai rapporti che intercorrono fra gli economisti ed i grandi problemi sociali. Nella lettera apparsa su «Repubblica» del settembre 1988 scrivevamo, fra l’altro: «I maestri che illustrarono in passato questo ramo di studi si dedicarono ai grandi problemi della società in cui vivevano e dettero ai loro insegnamenti un contenuto e una forma tali da offrire lumi per la coscienza civile e l’azione politica. Economia politica e riforma sociale si presentarono spesso al pubblico come un binomio inscindibile».
È stato obiettato: perché pretendere che studiosi interessati essenzialmente all’analisi ed alla comprensione dei fenomeni si facciano anche promotori di proposte pratiche di riforma? Il ruolo di botanico è e deve restare distinto dal ruolo del giardiniere o dell’erborista. Il giardiniere potrà utilizzare i risultati analitici del botanico e, dal canto suo, l’erborista potrà fare lo stesso. Ma i ruoli sono essenzialmente diversi.
Siamo d’accordo (credo di poter parlare anche a nome degli altri colleghi che hanno firmato la lettera); e nessuno di noi vuole imporre l’unificazione dei ruoli. L’importante – ma lo diciamo chiaramente – è che i «botanici» diano alle loro analisi un contenuto e una forma tali da offrire lumi per l’azione politica. Se il botanico si dedica allo studio di piante rarissime – rintracciabili solo in qualche isolotto sperduto del Pacifico – o di piante scomparse da qualche secolo o, peggio, di piante inesistenti – plausibili ma completamente inventate – noi diciamo che non va bene.
Certo, se qualche botanico si specializza in piante rare o scomparse, non ci sono obiezioni, purché si tratti di casi isolati. Le obiezioni e le critiche sorgono quando il numero di questi specialisti si moltiplica e quando compaiono botanici che descrivono e analizzano con grande cura piante inesistenti.
9. Qualche commento alla lettera del settembre 1988
Con un’ironia, temo, non intenzionale, uno degli economisti che hanno espresso commenti sulla nostra lettera ha dichiarato di considerare non nuova la questione. Infatti: è antica come la teoria economica moderna: «I have no great faith in political arithmetic», scrive Adam Smith. E non aobbiamo interpretarla come una dichiarazione diplomatica: entro certi limiti l’aritmetica politica, che è la progenitrice sia dell’economia matematica sia dell’econometrica, viene giudicata utile da Smith, tant’è vero che egli cita con approvazione uno dei grandi pionieri e cioè Gregory King. Se abbiamo pubblicato quella lettera l’abbiamo fatto non perché credevamo di dire cose nuove, ma per mettere in guardia i giovani che si avviano agli studi economici. È impressionante notare che il numero dei modelli irrimediabilmente formali non cessa di lievitare a vista d’occhio, mentre i modelli teorici riguardanti il ruolo delle innovazioni tecnologiche nel processo di sviluppo dei paesi industrializzati o i modelli del sottosviluppo economico sono rari; e dire che nei paesi industrializzati la vita sociale è continuamente scombussolata dalle innovazioni, mentre il sottosviluppo affligge i tre quarti dell’umanità!
L’uso dei metodi matematici, come quello di qualsiasi altra tecnica di analisi, è non solo legittimo ma raccomandabile nelle discipline sociali, purché non sia un uso fine a se stesso. Ho già detto che è arduo distinguere fra modelli astratti potenzialmente fecondi e modelli sterili; non è meno difficile stabilire dove finisce l’uso appropriato e dove cominciano l’uso fine a se stesso e l’abuso. Astrazione sterile o feconda, uso o abuso: sono due distinzioni quanto mai problematiche, ma fondamentali. Si tratta solo di due aspetti di un unico importante complesso di questioni, che sono appunto quelle che danno il titolo al nostro dibattito.
Per chiarire il punto di vista qui proposto possono forse servire due citazioni. La prima è ricavata dalla risposta da me inviata ad un economista (il caro Paolo Baffi) che mi aveva precedentemente comunicato alcuni dubbi sulla nostra lettera. La seconda è tratta da un capitolo da me scritto per l’edizione italiana di una raccolta di saggi originariamente pubblicata negli Stati Uniti (Parker, 1986).
Ecco la prima citazione:
Sono pienamente d’accordo con l’idea centrale della tua lettera: «che forse non abbia luogo un’alternativa con e senza matematica, bensì abbiano ragione di esistere due stadi di analisi: il primo che fa spazio all’elemento storico; il secondo, che avendolo accertato, lo incorpora nelle presentazioni formali» .... Io stesso, nei limiti delle mie capacità e delle mie conoscenze matematiche, ho considerato quell’idea come un criterio guida. La ragione della nostra lettera sta proprio in ciò, che parecchi economisti, specialmente fra i giovani, non seguono affatto quel criterio: partono direttamente dal secondo stadio e si muovono nella pura elaborazione formale. Non è la matematica l’oggetto della critica, ma gli sviluppi analitici puramente formali, matematici o non matematici, staccati da premesse in qualche modo collegate con la realtà; critichiamo il formalismo che si autocompiace e che è fine a se stesso; critichiamo, se mai, la matematica fra virgolette di cui parla Keynes: «Una parte troppo grande della recente teoria economica “matematica” è pura manipolazione, imprecisa quanto ai presupposti iniziali sui quali riposa, che permette all’autore di perdere di vista la complessità e le interdipendenze del mondo reale in un dedalo di simboli pretenziosi e inutili» (Teoria generale, p. 265 dell’edizione italiana).
Ed ecco la seconda citazione:
… Le relazioni fra storia e teoria economica non sono semplicemente relazioni di stimolo reciproco e di utile integrazione, ma sono relazioni intime, che debbono entrare nella costruzione stessa dei modelli teorici; la loro efficacia interpretativa dipende infatti non solo dalla loro validità logica, ma anche dal realismo delle premesse, le quali sono storiche. Può servire una metafora. Le statue raffiguranti uomini e donne in un museo dell’antichità possono essere considerate come l’idealizzazione (la «teorizzazione») di persone effettivamente esistenti in un dato periodo storico; col tempo, via via che mutano le caratteristiche somatiche prevalenti nella popolazione insediata in un determinato territorio, la rassomiglianza (l’efficacia interpretativa) si riduce, fino a scomparire, anche se la bellezza delle statue, in quanto opere d’arte, rimane, giacché è fuori dalla storia. Così, certi modelli teorici, se sono logicamente validi e coerenti, tali restano nel corso del tempo; ma la loro efficacia interpretativa tende a ridursi. Entrare nel museo dei modelli teorici, anche di quelli storicamente superati, è utile, non solo per la soddisfazione intellettuale che possiamo ottenere (simile per tanti aspetti al piacere estetico), ma anche perché, rendendoci conto della storicità di quei modelli, possiamo più agevolmente costruirne di nuovi, adatti a interpretare la realtà nella quale siamo immersi (Sylos Labini, 1988, p. 149).
10. Analisi statica ed analisi dinamica
La seconda citazione, come ho avvertito, è tratta dall’edizione italiana di un volume che raccoglie i saggi di un gruppo di economisti americani: è un segno che proprio negli Stati Uniti, dove durante gli ultimi decenni lo sterile formalismo era andato particolarmente avanti, comincia forse a profilarsi una salutare reazione. Segni di questo tipo stanno aumentando in diversi altri paesi. Negli ultimi mesi si è avuta notizia che sono state fondate due nuove riviste: «Structural Change and Economic Dynamics», una rivista che, pur essendo pubblicata in Inghilterra, ha basi editoriali anche in Italia, negli Stati Uniti e in Germania occidentale; ed il «Journal of Evolutionary Economics», che sarà pubblicato in Germania ma avrà, nel comitato di redazione, economisti dei principali paesi del mondo. Scopo di entrambe le riviste è di promuovere le ricerche nell’ambito della dinamica, la quale studia movimenti irreversibili e sotto certi aspetti può esser concepita come storia concettualizzata, o «teorizzata».
In effetti, il gran corpo della teoria economica è tuttora statico; questa caratteristica generalmente si associa a quella di sterile formalismo proprio per il fatto che la nostra epoca è dominata dai mutamenti tecnologici e dal processo di sviluppo economico, fenomeni che restano esclusi dalle analisi statiche. Come sia potuto accadere che un sistema statico sia giunto a dominare la scena intellettuale della teoria economica proprio nell’epoca in cui le innovazioni e lo sviluppo sono divenuti i fenomeni caratteristici di un numero crescente di società, è un problema degno di meditazione (cfr. Sylos Labini, 1985). Una delle diverse spinte è imputabile all’idea, che si è affermata negli ultimi decenni del secolo scorso, di applicare il calcolo differenziale all’analisi economica, in cui appare naturale trattare i problemi di massimo e di minimo in termini istantanei. Era un’idea da collegare all’aspirazione di molti economisti di pervenire ad un livello di rigore simile a quello degli scienziati della natura, in particolare dei fisici. L’aspirazione è da approvare pienamente; ma quella di trattare i problemi di massimo e di minimo in termini istantanei era la via della minor resistenza; l’altra via, quella di trattare matematicamente i problemi dinamici, pur essendo del tutto percorribile, finora è stata seguita da pochi economisti. Anche le analisi dinamiche, beninteso, possono peccare di sterile formalismo; ma mentre in analisi di tal fatta questo vizio può esserci e può non esserci, è assai probabile che nelle analisi di tipo statico questo vizio sia presente, dal momento che in via di principio si prescinde dal tempo, elemento costitutivo di ogni attività umana, e si trascurano quei potenti agenti dei cambiamenti economici rappresentati dalle innovazioni tecnologiche. È stato detto, tuttavia: quella statica è solo un’analisi di prima approssimazione, che prepara il terreno per la seconda approssimazione. In effetti, però, data l’impostazione di base, il passaggio si è rivelato arduo; di regola siamo rimasti con le analisi di prima approssimazione: rigorose, ma irrilevanti.
Riferimenti bibliografici
Balogh T. (1982), The Irrelevance of Conventional Economics, London, Weidenfeld and Nicholson.
Breglia A. (1942), Economia generale ed economia delle ricchezze, saggio del 1933 incluso nel volume Temi di economia e vita sociale, Milano, Giuffrè.
Caffé F., (a cura di) (1973), Autocritica dell’economista, Roma-Bari, Laterza.
De Finetti B. (1969), Un matematico e l’economia, Introduzione di Siro Lombardini, Milano, F. Angeli.
Fiorito R. (a cura di) (1976), Il disagio degli economisti, Firenze, La Nuova Italia.
Parker W.N. (a cura di) (1986), Economic History and the Modern Economist, Oxford, Basil Blackwell (ed. it. Roma-Bari, Laterza, 1988).
Robbins L. (1932), An Essay on the Nature and Significance of Economic Science, London, Macmillan.
Sylos Labini P. (1974), Progresso tecnico, società e diritto, in AA.VV. (1974), Studi in onore di Giuseppe Chiarelli, vol. IV, Milano, Giuffrè, pp. 4207-4224.
Sylos Labini P. (1984), Le forze dello sviluppo e del declino, Roma-Bari, Laterza.
Sylos Labini P. (1985), La spirale e l’arco, Economia Politica, vol. II, aprile, pp. 3-10.
Sylos Labini P. (1988), Le relazioni intime tra storia e teoria economica, in Parker W.N. (a cura di) (ed. it.) Economia e storia, Roma-Bari, Laterza, pp. 141-151.

Summary: Economics and History (J.E.L. 036)
There are two requisites for any scientific proposition: rigor and relevance. There is no cleavage between social and natural sciences, since the methods are the same. The interpretative models, however, are considerably different, since in social science historical conditioning is essential, whereas it does not play an essential role in natural sciences. Moreover the relations between the models of economic theory and history are intimate in the sense that their interpretative power is greater than zero if they are based on hypotheses taken from reality, which is historical in character.

Fonte: http://dspace.unitus.it/bitstream/2067/968/1/Economia%20e%20storia.doc

 

Economia e finanza

 

 

I riassunti , gli appunti i testi contenuti nel nostro sito sono messi a disposizione gratuitamente con finalità illustrative didattiche, scientifiche, a carattere sociale, civile e culturale a tutti i possibili interessati secondo il concetto del fair use e con l' obiettivo del rispetto della direttiva europea 2001/29/CE e dell' art. 70 della legge 633/1941 sul diritto d'autore

Le informazioni di medicina e salute contenute nel sito sono di natura generale ed a scopo puramente divulgativo e per questo motivo non possono sostituire in alcun caso il consiglio di un medico (ovvero un soggetto abilitato legalmente alla professione).

 

Economia e finanza

 

"Ciò che sappiamo è una goccia, ciò che ignoriamo un oceano!" Isaac Newton. Essendo impossibile tenere a mente l'enorme quantità di informazioni, l'importante è sapere dove ritrovare l'informazione quando questa serve. U. Eco

www.riassuntini.com dove ritrovare l'informazione quando questa serve

 

 

Home

Termini d' uso, cookies e privacy

Contatti

Cerca nel sito

Economia e finanza