Televisione

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Televisione

STORIA DELLA TV

30 giugno 1910: Viene approvata la legge sulla radiotelegrafia e sulla radiotelefonia in cui sono contenute, per la prima volta, disposizioni in materia di "comunicazioni senza filo": la legge riserva al governo "lo stabilimento e l'esercizio degli impianti radiotelegrafici e radiotelefonici", e, in generale, di tutti quelli in cui "si impieghi energia allo scopo di ottenere effetti a distanza senza l'uso di fili conduttori". Non si parla ancora, naturalmente, di radiofonia, ma questa legge rimane la base su cui si svilupperanno, negli anni a venire, le disposizioni legislative in materia. L'importanza di questo provvedimento, sottolinea Cesare Mannucci ne "I poteri pubblici e l'Ente radiofonico" (da "Nord e Sud" n.57, settembre 1959) è nella "determinazione di un principio, che ha avuto in seguito proprio sulle radiodiffusioni circolari i suoi più notevoli effetti: il principio della necessità di un rigoroso controllo governativo tanto sugli aspetti tecnici che su quelli sostanziali delle radiocomunicazioni". La preoccupazione che spinse la maggioranza di allora a varare questa legge fu, prosegue Mannucci, essenzialmente di carattere militare. Tra l'altro bisogna notare che, da allora fino alla riforma della Rai del 1975, tutti i provvedimenti sulla radiofonia prima e sulla televisione poi saranno stabiliti direttamente dal governo tramite decreti legge.
8 febbraio 1923: Il governo emana il Regio Decreto n.1067, in cui si stabilisce che l'impianto e l'esercizio delle comunicazioni via onde elettromagnetiche sono riservati allo Stato. Il governo ha comunque facoltà di accordarli in concessione. In più punti il decreto dimostra che era ancora lontana l'idea di un servizio in esclusiva: più volte, infatti, si parla di "concessionari". Sulla stessa materia vedere anche il R.D. 5/7/23 n.1262, il R.D. 14/6/23 n.1488 e il R.D. 27/9/23 n.2351.
27 agosto 1924: Il Ministero, esaminate le proposte di alcune società interessate alla concessione del servizio radiofonico, e non considerando sufficienti le garanzie proposte da nessuna società singola, si orienta per una fusione. A Roma viene costituita l'Unione Radiofonica Italiana (URI) con capitale ripartito tra da Società
anonima Radiofono (azionista di maggioranza, con l'82,9%) e la Società italiana radio audizioni circolari SIRAC "L'immobilizzazione di ingenti somme in un settore nuovo, e in un momento come quello - spiega ancora Mannucci in 'I poteri pubblici...' (op.cit.) - si prospettava come un'impresa piena di incognite., Questa situazione non solo non ostacolò, ma anzi facilitò al governo il conseguimento dei suoi scopi nel campo della radiodiffusione. La relativa debolezza economica delle poche società aspiranti alla concessione gli consentì di influire sulla nascita delle radioaudizioni italiane in modo ancor più profondo di quanto non sarebbe stato possibile se vi fosse stato da affrontare esclusivamente un problema di imposizioni politiche e giuridiche. Stando così le cose, il governo fascista trovò logico stabilire il principio che l'esercizio della radiodiffusione dovesse essere concesso in esclusiva.
Attraverso il ministro delle Poste Costanzo Ciano, si adoperò affinché venisse costituita una società che desse piena garanzia di funzionalità e aderenza ai suoi disegni. Questa società, l'Unione Radiofonica Italiana, fu il risultato della fusione di due ditte che avevano da tempo avanzato richiesta di concessione: la Radiofono di Roma e la SIRAC di Milano. Nella URI figuravano esponenti di interessi industriali del ramo elettromeccanico, inclusi alcuni rappresentati di gruppi stranieri: tutte persone, naturalmente, di sicura sottomissione al fascismo (...). La società ebbe la concessione in esclusiva quale vincitrice di una gara, indetta dal Governo, in cui era già stato tutto deciso in anticipo".
6 ottobre 1924: L'Uri inizia dall'auditorio di Roma, in via Maria Cristina, un servizio regolare quotidiano di radioemissioni.
14 dicembre 1924: Con apposita convenzione (R.D.14/12/1924, porta la data del 27 novembre) il Governo accorda all'Uri, per la durata di sei anni, la concessione esclusiva dei servizi di radioaudizioni circolari. Vedere atto aggiuntivo R.D. 20/8/26 n.1560. La convenzione regola anche la possibilità, da parte dell'Uri, di accettare pubblicità a pagamento, ma anche di riscuotere un canone annuo (già disciplinata
dal R. D. n.655 1 maggio 1924, convertito in legge 17/4/25 n.473). Nasce così quello che anni dopo sarebbe stato definito un "duplice privilegio".
23 ottobre 1925: Il R.D. n.1917 (convertito in legge il 18/3/26 n.562) detta le norme per il servizio di radioaudizioni circolari.
9 aprile 1926: Viene costituita a Milano la Società Italiana Pubblicità Radiofonica Autonoma, SIPRA, con capitale ripartito tra Uri e Sirac.
Ottobre 1926: Inizia la pubblicità radiofonica.
27 gennaio 1927: Il R.D. (Gazz.Uff.n.32 del 1927) istituisce una Commissione per il controllo del servizio delle radioaudizioni.
17 novembre 1927: Il R.D. n.2207 (legge 17/5/28 n.1580) trasforma l'Uri in un "ente speciale", l' Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche (E.I.A.R.). Viene stabilita una nuova concessione. "Giuridicamente - spiega Mannucci (op.cit.) l'Eiar restava una società per azioni, e finanziariamente continuava ad essere un affare privato: la 'specialità' gli derivava dall'inserimento nel consiglio d'amministrazione di quattro delegati del governo".
29 dicembre 1927: Con Convenzione (approvata con regio decreto 29/12/27 n.2526) il governo accorda all'Eiar fino al 15/12/52 la concessione in esclusiva del servizio delle radioaudizioni circolari.
28 febbraio 1929: primi esperimenti italiani di trasmissioni di immagini tramite il disco di Nipkow. Sempre nel corso del '29 l'Eiar allestisce a Milano un impianto di ripresa fornito da un'industria tedesca. Intanto, negli Stati Uniti, viene effettuata la prima dimostrazione di televisione a colori (Corriere della Sera 29/6/29).
14 luglio 1930: La Bbc effettua a Londra il primo esperimento di televisione applicata al teatro: "Quattro noti attori", riferisce il Corriere della Sera, "hanno recitato 'L'uomo dal fiore in bocca' di Pirandello. "Gli apparecchi riceventi sono ancora imperfetti e lo spettacolo veniva riprodotto su di uno schermo non più grande si una cartolina illustrata, le immagini non sempre erano distinte e bastava che gli attori compissero
gesti affrettati perché l'incanto si rompesse". (Corriere della Sera 15/7/30).
3 novembre 1930: In un cinema parigino viene effettuato il primo esperimento di televisione in Francia: un cantante di Montmartre, riferisce il Corriere della Sera, ha detto una canzone attraverso un microfono. "La riproduzione è apparsa confusa e di una tinta rossastra. L'esperimento è stato ritenuto tuttavia interessante e si spera che in seguito le future prove possano essere più convincenti" (Corriere della Sera 4/11/30).
26 febbraio 1931: In un articolo pubblicato dal Corriere della Sera, C.Rossiespone i problemi relativi alla "Radiovisione di oggi e di domani". Questo mezzo di cui tanto si parla, spiega l'autore, oggi "pecca un po' di praticità", cosicché "il profano che legge queste righe si domanderà a ragione se alla fin fine questa radiovisione, di cui si fa tanto parlare, esiste o non esiste". "La risposta - scrive Rossi - è identica alla domanda: la radiovisione esiste e nopn esiste. Esiste per i ricercatori, l'ingegnere appassionato, il quale, giudicando con occhio tecnico, considera che i risultati attuali di televisione limitata a mezzo busto costituiscono una vittoria scientifica su tutta una serie di difficoltà enormi scaglionate e superate in mezzo secolo di tentativi e di cui il profano non può farsi una giusta idea Non esiste ancora se per radiovisione si vuole intendere il poter assistere in casa, girando un bottone, ad avvenimenti con quella precisione di particolari che ci è offerta dal cinematografo quando proietta un qualunque cinegiornale" (Corriere della Sera 26/2/31)
20 marzo 1931: Il Consiglio dei Ministri approva, tra l'altro, uno schema di decreto legge necessario per il prossimo ampliamento della rete radiofonica e per "disciplinare con la dovuta cautela il nascente servizio di televisione".
30 giugno 1931: La Sip, Società Idroelettrica Piemontese, entra in possesso dell'intero pacchetto azionario della Sipra. 1 luglio 1931: La Sip incorpora la Siet, Società Industrie Elettrotelefoniche di Torino, azionista di maggioranza della Radiofono.
11 luglio 1931: Con convenzione aggiuntiva (approvata con regio decreto 24/7/31 n.1027) il governo accorda all'Eiar la concessione senza esclusiva dei servizi di radiofotografia e radiovisione circolare, mentre ribadisce la concessione in esclusiva per le radioaudizioni circolari.
4 settembre 1931: In un'intervista al Giornale d'Italia, Guglielmo Marconi dichiara di seguire da vicino e con il più grande interesse "il continuo e costante sviluppo di una meravigliosa applicazione che permetterà, forse più presto di quello che non si creda, agli uomini di radiovedere".
1932: Viene presentato a Mussolini, nel corso di una visita a Torino, un impianto sperimentale di televisione funzionante nel palazzo della Sip, dove l'Eiar di Torino si era trasferita nel 1929.
3 settembre 1932: "Gli scienziati inglesi scrive il Corriere della Sera - sono meravigliati di una nuova invenzione di Guglielmo Marconi. Essi sono stati condotti in una sala buia e, sulla tela bianca appesa alla parete di fondo, hanno veduto comparire nitido un messaggio d'augurio scritto contemporaneamente a macchina in una piccola capanna di legno a 320 chilometri di distanza".
10 settembre 1932: Nel corso della 4^ Mostra Nazionale della Radio, che si svolge al Palazzo delle Esposizioni di Milano, vengono presentati al pubblico i primi esperimenti di televisione. Il "programma" consiste in un'annunciatrice che risponde alle domande del pubblico tramite un telefono.
23 marzo 1933: La Sip diventa direttamente proprietaria della maggioranza azionaria dell'Eiar (Annuario Rai). Nella seconda metà dell'anno la Sip, in difficoltà finanziarie, viene assorbita dall'Iri (da "L'antenna dei padroni" di F.Siliato, pag.28). "Nel 1933, a conclusione di una complicata vicenda sottolinea Mannucci (op.cit.) - lo Stato, attraverso l'Iri, venne in possesso del pacchetto azionario di minoranza della Sip. Il fatto non ebbe conseguenze visibili (...), ma per effetto di esso cominciò a prendere corpo un interesse finanziario dello Stato come azionista, traverso l'Iri e la
Sip, dell'Eiar; interesse nettamente distinto da quello dello Stato come percettore di un canone annuo del 3,5% su tutti gli introiti lordi dell'ente. Una situazione che riuscirebbe probabilmente incomprensibile fuori d'Italia, e che comunque, ignorara dai più, si è trascinata per lungo tempo, e in un certo senso si è consolidata".
9 maggio 1933: Parlando degli esperimenti effettuati alla Fiera di Milano, il Corriere della Sera scrive: "Le prove hanno dimostrato la possibilità di una radio-televisione circolare almeno per scene limitate e per piccolo numero di artisti e in una zona intorno ai 30 chilometri dalla trasmittente - con apparecchi di carattere commerciale la cui manovra non è più complicata di quella di una comune radio. Il radiofonotelevisore, l'apparecchio del futuro, che dovrebbe offrirci a domicilio uno spettacolo simile a quello del cinematografo sonoro, e pertanto comprende un radioricevitore con altoparlante per la parte fonica e un ricevitore a onde corte per la parte visiva con relativo schermo, ha già assunto le dimensioni e l'aspetto di un mobile che la signora non disdegna ospitare nel suo salotto".
1 ottobre 1933: Alla V Mostra della radio di Milano viene presentato il "poderoso impianto sperimentale di televisione curato dall'ing.Banfi". Gli apparecchi trasmittenti sono tre, di cui uno per pellicola cinematografica, e gli apparecchi riceventi sono a "spirale di specchi". (Corriere della Sera 28/9/33). Rispetto ai progressi delle sperimentazioni televisive, scrive il Corriere parlando ancora delle dimostrazioni alla Mostra della Radio:"Mentre l'anno scorso il
pubblico doveva sotterrarsi nell'oscuro locale al pianterreno per vedere si e no qualche figura nebulosa e rigata, questa volta la ricezione avviene anche alla luce delle lampade, in formato più grande, senza il disturbo delle righe nere, con un dettaglio assai migliore" (Corriere della Sera 1/10/33).
29 settembre 1934: Scrive il Corriere, in occasione della Mostra della Radio:"Per entrare nella saletta delle dimostrazioni televisive bisogna far coda: ill pubblico sembra ansioso di rendersi conto dei progressi che in questo campo si sono
realizzati". Con l'entrata in funzione del tubo catodico, prosegue l'articolo, "si è imboccati la via maestra". Il meccanismo tecnico degli esperimenti in corso:"Una macchina cinematografica riprende la scena: la pellicola, di tipo speciale, viene sviluppata, fissata e lavata in tempo brevissimo; indi passata nell'apparecchio trasmittente e radiodiffusa. Rispetto alla visione diretta, la ricezione risulta differita di un intervallo che si misura in secondi. Nella maggioranza dei casi pratici, questo ritardo non ha proprio nessuna importanza".
1 febbraio 1935: A Londra viene annunciato che, entro l'anno, "verrà stabilita una stazione di televisione a Londra". La Compagnia inglese di radiodiffusione riferisce il Corriere della Sera - sarà incaricata della radiotelevisione e offrirà un notevole contributo alla inaugurazione del servizio".
15 febbraio 1935: Arturo Castellani, uno dei pionieri della televisione in Italia, scrive su "Sapere", in un articolo intitolato "A che punto è la televisione": "Quante domande si pongono ogni qualvolta la stampa, sia tecnica che quotidiana, ha occasione di scrivere sull'interessante argomento! si potrà vedere nel proprio apparecchio telefonico la viva immagine di chi telefona e nel contempo essere visti dall'interlocutore? Si potrà assistere in casa propria ad un qualunque avvenimento sportivo, d'arte, ecc. che abbia luogo nella stessa città o altrove, e quando sarà ciò possibile? Cos'è il telefilm, il radiofilm sonoro, la radiovisione? Costerà molto l'apparecchio televisore e potrà almeno in parte essere utilizzato il proprio apparecchio radiofonico?".
18 febbraio 1935: Il Comitato esecutivo permanente dell'Istituto per la cinematografia educativa delibera la costituzione di un comitato internazionale incaricato di studiare da un punto di vista generale tutti i problemi sollevati dall'entrata nell'uso pratico della televisione. (Corriere della Sera, 19/2/35).
4-5 aprile 1935: Si svolge a Nizza la Conferenza Internazionale per la Televisione. La delibera conclusiva è la formazione, con sede in Roma, di un Centro
Internazionale di Documentazione e di coordinamento di tutte le questioni relative alla televisione sotto gli auspici dell'istituto Internazionale del Cinematografo Educativo (Corriere della Sera 9/4/35)
27 febbraio 1936: Il Regio Decreto 27/2/36 n.645 (Legge Postale e delle Telecomunicazioni) disciplina l'intero settore delle telecomunicazioni, stabilendo la loro appartenenza allo Stato e fissando le norme per l'esercizio in concessione. 2 novembre 1936: Iniziano a Londra i programmi di televisione della Bbc.
17 febbraio 1937: Il Corriere della Sera riferisce di "attenti studi" in corso presso il Ministero delle POste in relazione alla "possibilità di attuare un primo esperimento di televisione in cavo coassiale che verrebbe fatto per mezzo della istallazione d'un cavo di tale tipo tra Milano e Torino".
6 aprile 1937: I giornali riferiscono che "entro il corrente anno Roma sarà dotata di un potente centro di televisione". "Gli impianti - scrive il Corriere della Sera - saranno quanto di più moderno si possa concepire in materia" (Corriere della Sera 7/4/37)
10 aprile 1937: A seguito delle notizie pubblicate sulla stampa intorno a stazioni televisive a Roma, Milano e Torino, l'Eiar e l'ICE (Istituto per la Cinematografia Educativa) fanno sapere che da tempo è stato elaborato un progetto per l'organizzazione e lo sviluppo della televisione in Italia. Il progetto "mira non soltanto a dotare le principali città d'Italia dei servizi di trasmissione televisiva che saranno tra i più moderni e perfezionati del mondo, ma a creare anche presso le stazioni trasmittenti che saranno erette, centri di studio e di ricerca scientifica d'importanza eccezionale" (Corriere della Sera 11/4/37)
22 aprile 1937: Il Regio Decreto n. 571 istituisce presso il Ministero per la Stampa e la Propaganda un "Ispettorato per la radiodiffusione e la televisione".
12 maggio 1937: C.Rossi, sul Corriere, dopo aver riferito della situazione televisiva in Inghilterra e in Francia, scrive: "Se all'estero si lavora accanitamente per far uscire la televisione dai laboratori, in Italia non si dorme". Rossi parla del brevetto di Arturo
Castellani: il telepantoscopio, con cui "si possono ottenere gli stessi risultati dei sistemi stranieri con una durata assai più lunga del tubo catodico". Il sistema sarà adottato dalla Safar, l'azienda presso cui Castellani lavora. Quanto al futuro della "televisodiffusione", l'articolo prosegue: "In una prima fase verranno probabilmente erette le stazioni di Roma, Torino e Milano, onde la ricezione potrà avvenire solo entro un raggio di cento chilometri intorno a questi centri. In una seconda fase si allacceranno alla rete già esistente altre stazioni per mezzo dei citati cavi coassiali, per cui gli stessi programmi potranno venire irradiati da un buon numero di stazioni contemporaneamente, come ora avviene in radiodiffusione. Ma, ripetiamo, la fonovisodiffusione italiana è ancora allo studio" (12 maggio 1937).
16 settembre 1937: L'in. Chiodelli, direttore generale dell'Eiar, illustra alla Commissione per la vigilanza e le direttive sulle radiodiffusioni le nuove attività ed iniziative dell'ente radiofonico: insieme ad alcuni progetti sulla radiofonia, parla dell'"impianto a Roma di una stazione trasmittente a onde ultracorte a Monte Mario, che funzionerà sia per la radiodiffusine che per la televisione", e di un'impianto, a Roma, nella stessa località di Monte Mario, di
un trasmettitore di televisione destinato a funzionare nel prossimo anno".
11 settembre 1938: Per la prima volta, scrive il Corriere della Sera, un film di lungo metraggio è stato "televisionato". "C'erano già state speciali trasmissioni - scrive il Corriere della Sera - di corti metraggi, ma ancora non s'era provato a dare un film d'ordinaria programmazione". Singolare la scelta:"Siccome produttori e noleggiatori in Inghilterra, gelosi della minacciata concorrenza, hanno deciso di non cedere i loro filmi per la televisione, la Bbc ha trasmesso un film tedesco, Lo studente di Praga".
20 novembre 1938: Ugo Maraldi scrive sul Corriere:"Nelle stazioni radiofoniche di Roma e Milano funzionerà presto un moderno impianto di televisione. Attraverso lo spessore opaco delle pareti che proteggono la raccolta intimità delle nostre camere, penetreranno le magiche radiazioni luminose e le immagini di scene animate che si
svolgono a distanza, accompagnate dal suono e dalla parola. Molte limitazioni la Natura impose ai nostri sensi; ma cadono, queste, una dopo l'altra, poiché nessuna ne fu opposta, forse per privilegio divino, al Genio umano che spazia incontrastato tra i cieli stellati dell'arte e della scienza".
2 giugno 1939: Nell'ambito della Mostra Leonardesca e delle Invenzioni di Milano (aperta il 10 maggio) vengono presentati in anteprima alle autorità alcuni esperimenti di ripresa e trasmissioni di immagini presso il padiglione della Safar. Le autorità, tra cui il federale di Milano e Vito Mussolini si sono complimentati col presidente della società romana Moscatelli (Corriere della Sera, 3/6/39). Il padiglione di televisione viene aperto al pubblico il 4 giugno. Vengono presentati spettacoli di varietà in un "Teleteatrino" allestito dalla Safar.
4 giugno 1939: Mauro Janni scrive su "Il Popolo d'Italia": "Abbiamo la televisione italiana. E' arrivata sicura e decisa come sanno arrivare alla meta le realizzazioni del genio e del lavoro italiani. Dieci anni di studi ininterrotti, decine di milioni spesi più per un ideale che per un affare, centinaia di tecnici abilissimi stanno a dimostrare la serietà di questa magnifica conquista dell'industria italiana. Se fino ad oggi si è parlato della televisione italiana coniugando i tempi al futuro, ora possiamo impiegare il tempo presente. La televisione italiana sarà inaugurata questa mattina stessa da S.E. Starace alla Mostra di Leonardo e delle Invenzioni Italiane".
14 luglio 1939: Ci si prepara all'inaugurazione delle trasmissioni televisive della stazione di Monte Mario di Roma. Scrive il "Messaggero" nell'articolo "La televisione a Roma":" Sul viale delle Medaglie d'Oro, all'altezza di quel Clivo di Cinna che portava un tempo il nome di Via Tito Livio, si leva vicino a un fabbricato dall'aspetto modesto l'altissima antenna della stazione radiotrasmittente degli spettacoli di televisione. Di lassù verranno proiettate a fascio le onde che a suo tempo recheranno in ogni casa dei radioabbonati il nuovo servizio televisivo e le immagini degli avvenimenti".
15 luglio 1939: Il "Popolo d'Italia" pubblica un lungo articolo dedicato al prossimo inizio dei programmi. Così scrive il quotidiano fondato da Benito Mussolini: "La televisione, come abbiamo annunciato, sarà tra qualche giorno un fatto concreto. Parzialmente, anzi, lo è già. Da qualche tempo infatti la stazione ad onde ultracorte di Monte Mario irradia - in via sperimentale - tutte le sere le scene riprese negli studi di Via Asiago. A partire dal prossimo giorno 20 luglio le trasmissioni saranno regolari. Esse dureranno un'ora ogni sera e nei primi tempi comprenderanno soltanto spettacoli di varietà e filmi cinematografici per passare, poi, al programma di altro genere. Comunque, sia da questa sera qualunque privato che, a Roma o nei dintorni (le irradiazioni hanno un raggio di circa 80 chilometri su base di 441 linee) fosse in possesso di un radiofono base potrebbe ricevere in casa propria la trasmissione.- Con ammirevole celerità Roma ha allestito tutta l'enorme complessa macchina della TV dalla emittente di Monte Mario al teatrino di ripresa di Via Montello 5, dove sono installati tutti gli apparecchi occorrenti. Roma sarà dunque la prima città italiana nella quale si effettueranno delle regolari trasmissioni di radio- fonovisione e sarà una delle prime città al mondo ad avere trasmissioni tecnicamente perfette sfruttanti gli ultimi ritrovati della scienza. Come e dove il pubblico potrà cominciare a prendere contatto con questa famosa televisione? Dal 20 al 22 luglio alla Mostra della Radio, in un salone al primo piano di quello che fu il padiglione dell'arte nella Mostra del Minerale". (Il Popolo d'Italia, 15/7/39) . Lo stesso giorno, il Giornale d'Italia pubblica un articolo di G.Castelfranchi intitolato "Future applicazioni dell'energia elettrica": "E' facile prevedere che la televisione verrà ad apportare un rivolgimento completo in taluni campi della vita sociale: essa renderà inutili i viaggi in occasione di cerimonie e congressi, esposizioni: ciascun congressista ad esempio senza muoversi da casa potrà discorrere a quattr'occhi con un collega di Roma o Buenos Aires (Giornale d'Italia 15/7/39). L'attesa cresce: è sempre lo stesso quotidiano romano, due giorni dopo, a scrivere:" L'imminente
inaugurazione del "Villaggio Balneare" al Circo Massimo, nell'area dell'ex Mostra del Minerale, è attesa con impaziente curiosità principalmente per un avvenimento di eccezionale importanza: nel padiglione Radio-Tv avrà luogo per la prima volta alla presenza del pubblico la presentazione di regolari trasmissioni radiofonovisive curate e allestite dall'Eiar. Da qualche anno, il massimo ente radiofonico italiano si andava attrezzando in questa nuova attività per mettersi in linea, anche nel campo della televisione, con i mezzi della tecnica più moderna" (Giornale d'Italia, 17/7/39). 22 luglio 1939: In concomitanza con l'inaugurazione della Mostra della Radio e della Televisione (Roma, Circo Massimo) entra in funzione il trasmettitore video della stazione sperimentale di televisione di Roma. Lo studio allestito dalla Safar di Roma, che ha anche costruito il trasmettitore, si trova in Via Asiago; l'antenna e' a Monte Mario. I programmi
vengono trasmessi dalle 19 alle 20 e dalle 22,30 alle 23,30. Il Radiocorriere presenta così l'avvenimento: "Questo concreto risultato sta a dimostrare il poderoso sforzo compiuto dall'Eiar con spirito fascista. Iniziati gli studi di televisione con i propri tecnici nei suoi attrezzati laboratori fin dal 1928, l'Ente si trova oggi ad aver allestito, con ogni più moderna risorsa consentita dagli ultimi trovati della tecnica, il complesso impianto televisivo" (Radiocorriere 22-29/7/39). Così i quotidiani: "Veniamo ora a parlare degli spettacoli televisivi, autentica novità per il pubblico romano. Il padiglione si propone gli scopi seguenti: 1) Portare il pubblico a contatto della televisione, considerata questa una curiosità e una meraviglia e un'anticipazione dell'avvenire. 2) Dare alla rappresentazione invisibile tutto quello che si può di visibilità, mettendo il pubblico a contatto degli artisti e della tecnica che produce le apparecchiature necessarie (Il Popolo d'Italia, 22/7/39).
23 luglio 1939: I giornali pubblicano le prime recensioni nella storia della televisione italiana: "La trasmissione è nitidissima - scrive il Giornale d'Italia - e chiunque vi assista per la prima volta non può non provare un sentimento risultante dagli impulsi
di ammirazione, commozione, stupore, orgoglio...Si, anche orgoglio, perché se è vero che in altre nazioni già da anni si eseguono trasmissioni televisive per radio, è anche vero che queste trasmissioni italiane sono frutto di studi e brevetti italiani e che sono le più perfette (Giornale d'Italia 23/7/39). Più elaborato l'articolo, a firma
E.R. apparso su "Il Lavoro Fascista" due giorni dopo: "La televisione nasce, anche più della radio, aristocratica. Si pensi che perfino nella ricca Inghilterra, dove la televisione esiste dal 1929, dato il proibitivo prezzo degli apparecchi, gli utenti non sono in tutto che ottomila. Ma ecco che il Fascismo, in Italia dà, fin dagli inizi, un fulmineo colpo d'acceleratore al processo di popolarizzazione radiotelevisiva. Forse non c'è ancora un privato nababbo che si gode oggi da noi il suo radioricevitore fonovisivo che costa la rispettabile sommetta di lire 15 mila; e già invece il popolo, tutto il popolo di Roma, di questa Roma dove ieri la radiovisione s'è iniziata, sta facendo le sue prime esperienze radiovisive (...). Su di uno schermo di centimetri 30 per 20, una bella annunciatrice appare, s'inchina, sorride, parla con una voce ben intellegibile e come commisurata al suo formato ridotto (...).Nello studio di riprese dell'Eiar plafoniere, riflettori, fari abbacinano concordi un palcoscenico in miniatura su cui s'alternano gli interpreti. Come una grossa scatola, l'iconoscopio, posato sul suo treppiede da mitragliatrice gigante, fissa le persone divorate dalla luce implacabile e invisibilmente ne esplora le fattezze ricomponendone il disegno in 441 righe parallele, 36 in più sui già perfezionati apparecchi inglesi. Tra i protagonisti Lidia Pasqualini l'annunciatrice, l'attrice Nelly Corradi, la briosa Marichetta Stoppa, il duo Angeletti-Origoni, Dino De Luca, Enzo Aita. (...) Sono orizzonti che si aprono e su cui
tutti sono indotti a meditare. Chi ha solo un briciolo d'intuito può ben capire che in questi inizi apparentemente modesti - ce che sono costati agli organizzatori mesi e anni di lavoro fiducioso e tenace - incomincia un'era nuova. Il nuovo mezzo d'informazione e di rappresentazione non ne eliminerà nessun altro, e men che
meno la radio, ma arricchirà di nuove sorprese la moderna civiltà" (Il Lavoro Fascista, 25/7/39). In questo stesso periodo alcune riviste specializzate pubblicano le prime pubblicità di apparecchi televisivi della Safar, il Fonotelevisore Safar, modello RTD 30 (19X24 cm) e mod. RTD 40 (24X27 cm) "La sola costruzione, prettamente autarchica - questo il testo dell'inserzione - frutto dell'ingegno e del lavoro italiano, realizzata nei laboratori sperimentali della Safar e che ha permesso alla EIAR di dotare la stazione di Monte Mario di un trasmettitore televisivo nazionale (Radio e Televisione, agosto 1939).
20 Settembre 1939: In occasione della XI Mostra della Radio di Milano, l'Eiar effettua trasmissioni sperimentali dalla Torre Littoria, al Parco Nord di Milano. L'impianto, costruito dalla Marelli, comprende uno studio allestito accanto alla torre. Le trasmissioni comprendono parti cantate e parlate, e continuano fino alla fine della mostra dalle 18 alle 18,45 e dalle 21 alle 21,45 (Corriere della Sera 20/9/39). Tra i protagonisti Alberto Rabagliati, Nunzio Filogamo, Maria Valesco, Lina Termini, Vittorio Sanipoli e il Trio Lescano (Radiocorriere 24-30/9/39). "Gli esperimenti hanno suscitato un interesse vivissimo. Il salone è stato sempre affollatissimo in tutte le ore in cui si effettuano le trasmissioni. Gli impianti sono stati visitati da S.E. De Marsanich, sottosegretario di stato alle Comunicazioni, dall'accademico d'Italia Pession, Ispettore per la Radiodiffusione e la Televisione, e dalle massime autorità milanesi". (Radiocorriere 1-7/10/39)
31 agosto 1939: Scrive il quindicinale "L'Antenna": A disytanza di appena due mesi dall'inizio delle trasmissioni sperimentali di televisione, ha avuto luogo per la prima volta presso lo studio di posa del Palazzo della Radio di Roma l'allestimento di vere e proprie scene a carattere teatrale. Una di queste scene consisteva in un agile e ben congegnata successione di riprese aventi per oggetto gli elelenti dell'Orchestra Moderna diretti dal M° Saverio Seracini, nell'atto di eseguire una canzone oggi in gran voga: Passeggiando per Milano. Un gioco di panoramiche, opportunamente
condotto, ha permesso alla telecamera di riprendere a gruppi l'intero complesso orchestrale" (L'antenna 31/8/39).
28 ottobre 1939: Riprendono, dopo qualche giorno di interruzione (la Mostra della Radio al Villaggio Balneare venne chiusa il 10 ottobre) le regolari trasmissioni televisive dell'Eiar.
Ottobre 1939: In un articolo pubblicato da Sapere, l'ingegner Castellani fa il punto sulla situazione della televisione italiana. Dopo aver tracciato il quadro delle esperienze già effettuate, Castellani affronta il tema del futuro: E' da auspicare - scrive- che il progetto di estensione del servizio
televisivo per Milano, Torino e via di seguito per le altre principali città venga realizzato rapidamente come nelle intenzioni delle sfere dirigenti. E' da tenere però presente che tale rapidità è relativa, poiché necessariamente lento è lo sviluppo potenziativo. Infatti la limitata portata delle stazioni radiovisive di trasmissione, portata che non supera alcune decine di chilometri, e la particolare conformazione del nostro paese impongono per un esteso servizio nazionale, la creazione di un grande numero di centri. Per di più questi centri possono essere inizialmente attrezzati solo per la trasmissione di programmi limitati cioè scene di interni (varietà) e film, con esclusione di programmi comprendenti avvenimenti politici, sportivi, ecc. richiedenti riprese all'esterno. Qualche anno sarà ancora necessario per dotare le principali città di centri radiovisivi a programma limitato mentre parecchi anni ci vorranno per formare una rete visiva con cavi coassiali o su ponti radio, potenziando i centri in modo da poter trasmettere programmi veramente completi. Tali condizioni potranno essere raggiunte verso il 1945" (Sapere 31/10/39).
31 ottobre 1939: Benito Mussolini assiste per la prima volta a Villa Torlonia al programma serale dell'Eiar. "Ieri il Duce ha assistito a Villa Torlonia, per la prima volta, ad una ricezione di trasmissioni radiovisive effettuate dalla stazione di televisione dell'EIAR di Monte Mario. Il Duce ha seguito con un apparecchio Radio
Marelli l'intero programma allestito negli studi dell'EIAR interessandosi ai particolari della trasmissione che ha giudicato attraente e suggestiva" (Il Popolo d'Italia e il Corriere della Sera 1/11/39, Radiocorriere 5-11/11/39). La rivista Sapere commenta così l'avvenimento:"La notizia conferma ineccepibilmente quali siano i risultati conseguiti dalla televisione italiana per opera dell'Eiar, e di una casa costruttrice che è tra i massimi esponenti della nostra industria (Sapere 15/11/39). Poche settimane dopo, l'ing. Moscatelli, della Safar, presenta a Mussolini "un apparecchio di pretta realizzazione italiana, esponendo il programma di completa autarchia seguito dalla Safar"; il Duce "ha espresso il suo compiacimento per i risultati conseguiti". L'episodio del televisore consegnato a Villa Torlonia è riportato, in forma un po' romanzata, ma certamente abbastanza fedele, dallo scrittore Riccardo Morbelli, per una storia della TV pubblicata a puntate nel 1964 da "Settimana Radio-Tv". "Chissà che fine ha fatto, quell'apparecchio - si chiede Mombelli - Ce n'erano tre in tutta Roma, forniti dall'Ingegner Bacchini: uno lo aveva Vincenzo Germini (colui che aveva regalato l'apparecchio al Duce), uno il Ministero degli Interni e uno, come si è visto, il Duce a Villa Torlonia (...) Si domanderà: per chi recitavano e cantavano Spadaro, Aldo Fabrizi, Nino Taranto, Rabagliati, Marichetta Stoppa, Lia Origoni, Enrico Maroni, ecc.? Ebbene, il loro pubblico non era formato soltanto dal duce e dai funzionari del Ministero dell'Interno. Il commendator Germini aveva messo a disposizione dei curiosi il proprio apparecchio, collocandolo in una sala del secondo piano del suo negozio in Piazza Santi Apostoli. Con una transenna aveva opportunamente diviso la scala in due corsie: da una parte si saliva, dall'altra si scendeva. La gente attraversava il salone tenendo gli occhi fissi sul video, poi - senza fermarsi - usciva dalla parte opposta e magari si rimetteva in fila per concedersi ancora quella goduria inedita. Gli orari di trasmissione andavano dalle 18,30 alle 20, poi lo stesso programma veniva ripetuto dalle 21 alle 22,30. Qualche volta, durante l'intervallo fra uno spettacolo e l'altro, gli attori e i cantanti che erano
apparsi sul teleschermo poco prima, facevano la loro apparizione in carne ed ossa in Piazza Santi Apostoli. Il pubblico li riconosceva e li assediava per avere l'autografo. Così, prima ancora - si può dire - che fosse cominciata la televisione, in Italia erano già nati i divi della TV" (Settimana Radio-Tv 19-26/1/64).
Gennaio '40: La rivista Sapere pubblica un breve articolo intitolato "Lezioni televisive di disciplina stradale", in cui riferisce che la BBC, in Inghilterra, ha "teletrasmesso scene riproducenti una serie di immaginari incidenti stradali mentre il cronista commentava, nella contemporanea trasmissione sonora, le cause di questi accidenti; ne dimostrava le colpe e dava le norme pratiche atte a evitarli" (Sapere 15/1/40).
20 gennaio 1940: D'intesa tra il Ministero delle Comunicazioni e quello della Cultura Popolare si costituisce un comitato per lo studio dei problemi inerenti allo sviluppo della televisione in Italia. Il comitato è presieduto dal Giuseppe Pession, ispettore per la radiodiffusione e televisione, e composto dal vice segretario del Partito Fascista Mezzasoma, dagli accademici d'Italia Lo Surdo e Simoni, dai consiglieri nazionali Chiodell, Ciarlantini e Oppo, dai professori Bordoni e Majorana e dagli ingegneri Gorio e Gallarati (Corriere della Sera 21/1/40). Alla fine della prima riunione, riferisce il Radiocorriere, i convenuti hanno assistito alla ricezione del normale programma radiovisivo trasmesso ogni giorno dalla stazione di Roma Monte Mario.
25 febbraio 1940: Viene trasmesso un dramma storico scritto espressamente per la radiovisione da Vincenzo Rovi, intitolato "Ho scritto un bel soggetto". Protagonisti Lidia Pasqualini, Enrico Maroni, Edoardo Borelli e Felice Romano. Regista Gugliemo Morandi (Radiocorriere 25/2-2/3/40). In precedenza era stato trasmesso un'altro testo teatrale, dal titolo "Le Fotografie", tratto dall'omonima commedia di Memmo Padovano (Illustrazione Italiana, gennaio 1955) e "I pericoli dell'ascensore" con Marcello Giorda e Lidia Pasqualini. Il primo copione italiano scritto appositamente
per la televisione è però "Le disgrazie di Gedeone", una parodia dei film storici di Cecil B. De Mille firmata ancora da Vincenzo Rovi, con Valentino Del Duca e Marisa Vernati la cui regia venne curata da Victor De Sanctis. La commedia era formata da due comiche "ideate in particolare funzione della ripresa visiva, che al rendiconto possono accostarsi al genere del vecchio film comico, parlato a parte" (Aldo De Sanctis, "Problemi artistici della televisione", Bianco e Nero maggio 1940). Rodolfo Morandi, conosciuto e apprezzato regista
radiofonico, insieme con Victor De Sanctis, poi documentarista specializzato in riprese subacquee, costituivano il piccolo gruppo di lavoro di via Asiago: "E' curioso notare che in quel periodo pionieristico d'anteguerra, oggi pressoché dimenticato - scrive Guido Guarda - i produttori sperimentarono le stesse formule dei programmi attuali: dal Telegiornale (i servizi venivano forniti dall'Istituto Luce) alle canzoni sceneggiate, dal varietà alle conversazioni scientifiche, alle fiabe per bambini, e sinanco all' originale televisivo" (Guido Guarda, "Dal tubo di Braun alla 'ragazza buonasera'", Storia Illustrata agosto 1962).
12-28 aprile 1940: In occasione della XXI Fiera di Milano l'Eiar effettua un servizio quotidiano di trasmissioni sperimentali dalla Torre Littoria. "Per tutta la durata della Fiera le trasmissioni radiovisive si sono effettuate regolarmente ogni giorno dalle 18 alle 18,30 e dalle 21,30 alle 22, prolungandosi talvolta oltre l'orario prestabilito, e sempre svolgendo un programma ricco e interessante. Questo genere di spettacolo è in piena fase ascensionale, e si evolve con simpatico ritmo. Si è fatta molta strada, in questi ultimi mesi; e Milano ce ne ha data la prova. Ogni sua trasmissione è stata organica, solida, soddisfacente. Abbiamo così potuto 'vedere', per merito suo, non soltanto dei concerti variati e dei documentari 'Luce', ma anche delle 'riprese' esterne nel Parco, comprendenti perfino delle interviste con bambini che si trastullavano fra le aiuole o con cittadini andati a godersi la primavera tra la verde penombra dei viali. La radiovisione è parsa così aderire più da vicino alla vita,
staccandosi dal suo consueto aspetto di esperienza di laboratorio" (Radiocorriere 5- 11/5/40).
23 giugno 1940: A seguito dell'entrata in guerra dell'Italia tutte le stazioni radiofoniche trasmettono un unico programma. Intorno a quella stessa data vengono sospese anche le trasmissioni televisive dalla stazione di Roma. Morbelli riporta la data del 31 maggio 1940: "Per la cronaca, durante questi dieci mesi di periodo pionieristico, il budget della parte artistica assommò ad un totale di 220 mila lire, una cifra irrisoria anche allora" (Settimana Radio-Tv, 19-26 gennaio 1964).
24 aprile 1941: L'Europa è in guerra, ma dagli Stati Uniti arrivano ancora notizie sulla televisione: allo studio un sistema per ottenere un tubo catodico di maggiori dimensioni di quelli realizzati fino ad allora, unendo quattro tubi insieme: "Si nota ancora qualche imperfezione nella congiunzione dei quattro quarti proiettanti, ma si afferma che presto l'inconveniente sarà eliminato". Lo schermo di questo televisore sarebbe stato di "almeno mezzo metro per lato" (Corriere della Sera 24/4/41)
14 giugno 1942: Riprendono, nelle ore serali, le trasmissioni di due diversi programmi radiofonici (Annuario Rai).
7 marzo 1943: Il professor Amedeo Tosti viene nominato Ispettore per la radiodiffusione e la televisione. Pession, che ricopriva fino a quel momento la carica, viene nominato consulente tecnico del Ministero della Cultura. (Corriere
della Sera 7/3/43).
Novembre 1943: L'Ispettorato per la Radiodiffusione el a Televisione viene abolito dal governo della Repubblica Sociale Italiana.
10 maggio 1944: In esecuzione del Decreto ministeriale 10.4.44 n.119 della R.S.I. la sede legale dell'Eiar viene trasferita a Torino. A Luglio il governo alleato insedia a Roma un commissario per la gestione delle attività radiofoniche nell'Italia Centro- meridionale.
26 ottobre 1944: La denominazione dell'Eiar viene cambiata in Radio Audizioni Italiana (Rai) (Decreto Luogotenenziale 26.10.44 n.457).
Maggio 1945: Entra in funzione un nuovo trasmettitore radio a Roma. Inizia la fase di ricostruzione della radio.
30 novembre 1945: Il Corriere d'Informazione pubblica uno dei primi resoconti sula televisione del dopoguerra, in cui si fa il punto della situazione internazionale: "Oggi
- scrive Arturo Uccelli - ci troviamo in presenza di due realizzazioni oltremodo importanti che verranno, certamente, a rivoluzionare due elementi della nostra vita quotidiana: la televisione e colori e il cinema televisivo stereoscopico". Il principio di queste nuove realizzazioni era simile al cinema a 3-D, ma senza bisogno degli occhiali a due colori. (Corriere d'Informazione 30/11/45).
Febbraio 1946: Il Radiocorriere pubblica un articolo intitolato "Un accusa che non regge", in cui sui prende atto della difficile situazione della radiofonia: "In sostanza - scrive - C.Boscia- le accuse principali che si muovono oggi alla Radio Italiana sono le seguenti: 1) Il canone d'abbonamento radiofonico è stato elevato a una quota troppo alta; 2) la Radio è gestita in regime di monopolio: ciò che sarebbe - a detta di alcuni - "illiberale" e "antidemocratico"; 3) si trasmette troppa pubblicità radiofonica;
4) taluni (appartenenti in massima parte alla categoria dei meno smaliziati) tacciano di eccessiva tediosità i radioprogrammi". L'articolo si occupa, soprattutto, del punto 1), ossia del canone, che allora ammontava a 420 lire annue ("qualcosa come una lira e quindici al giorno: qualcosa di meno di quanto dareste in elemosina all'accattone all'angolo della strada", spiega impietosamente l'autore dell'articolo). (Radiocorriere 17-23/2/46. Quanto al punto 2) - ovvero alle critiche mosse nei confronti del monopolio Rai - risulta assai rilevante ciò che scrive Franco Monteleone in "Storia della Rai dagli alleati alla Dc" (Laterza 1980, pagg.105 e segg.): "Fin dalla prima metà del '46 l'opinione pubblica italiana aveva guardato con molta attenzione alla possibilità di riconsiderare l'assetto istituzionale della
radiodiffusione, anche sotto la pressione di interessi industriali e commerciali di settori che tradizionalmente avevano ricavato dall'esercizio della radiofonia una cospicua fonte di profitto. Queste tendenze orientate alla 'privatizzazione' nascevano da presupposti del tutto diversi rispetto alle ipotesi di autonomia ideativa e amministrativa maturate nella resistenza. In pochi mesi, per iniziativa di gruppi privati che erano riusciti ad eludere le disposizioni della Commissione alleata di controllo, erano sorte nella penisola numerose stazioni radio di limitata potenza. Il fenomeno (anche se non paragonabile all'esplosione delle emittenti libere nella seconda metà degli anni Settanta) presentava caratteri assai simili e in qualche modo anticipatori del boom della comunicazione. Queste 'radio clandestine' - così definite secondo la terminologia fascista ancora in uso - preoccuparono vivamente il ministero
dell'Interno e il ministero delle Poste, soprattutto per i riflessi che radiotrasmissioni incontrollate avrebbero potuto avere sull'ordine pubblico. Una precisa diffida era inoltre pervenuta al governo italiano". Il fenomeno, sottolinea Monteleone, era comunque abbastanza limitato, ma dimostra che "le tendenze alla privatizzazione, in un momento in cui stampa, opinione pubblica, Assemblea costituente e governo si ponevano il problema di una revisione della legislazione radiofonica, erano molto forti". Monteleone pubblica inoltre un'istanza al capo dello Stato, inviata da un ente morale, il Radio Club d'Italia, in cui si chiede la revoca della concessione alla Rai. "La concessionaria rispose - prosegue Monteleone - con iniziative concrete. In poche settimane fu istituito un Centro studi radiofonici al quale venne affidato il compito di dimostrare, in base a valutazioni tecniche ed economiche, l'impossibilità di modificare la struttura di radiodiffusione stabilizzatasi dopo vent'anni di esperienza".
3 novembre 1946: La radio ricomincia a trasmettere due programmi diversi, sulla Rete Rossa e sulla Rete Azzurra, in tutto il territorio nazionale. Il presidente della Rai
Giuseppe Spataro, in una conversazione con gli ascoltatori tenuta alla radio, affronta il tema della pubblicità e del canone, affermando tra l'altro: "Comunque, nonostante un deficit preoccupante, la Rai, che non ha mai fatto ricorso alle casse dello Stato, né mai ha chiesto sovvenzioni dirette o indirette, accogliendo i vostri desideri ha disposto che il tempo assegnato alla pubblicità venga ridotto alla metà e che la pubblicità rimanente sia artisticamente migliorata" (Radiocorriere 10-11/11/46).
29 dicembre 1946: Un articolo pubblicato dal Radiocorriere spiega in maniera molto efficace la situazione passata e presente della televisione: "La guerra ha inferto un duro colpo agli sviluppi della radiovisione, sia stornando da essa i tecnici sia impedendo alla nascente industria degli apparecchi riceventi di creare un'attrezzatura per la produzione in serie. D'altra parte le applicazioni della televisione non si resero necessarie all'attività bellica; così, contrariamente a quanto accadde in altri settori, dove la guerra fu uno stimolo al perfezionamento, nessun apporto nuovo venne a colmare il vuoto che s'andava creando nei confronti della attività prebellica (...). Questo non significa che la televisione non abbia un presente e, quello che più conta, non abbia un avvenire, anche se le scarse informazioni disponibili hanno creata nel pubblico una notevole sfiducia nei riguardi delle possibilità di contare, in un prossimo domani, su normali programmi televisivi" (Radiocorriere 29/12/46).
3 aprile 1947: Il D.L. c.p.s. n.428 istituisce una Commissione parlamentare di vigilanza sull'indipendenza politica e l'obiettività informativa delle radiodiffusioni e un Comitato per la determinazione delle direttive di massima culturali, artistiche, educative, ecc. dei programmi, con funzioni consultive nei confronti del ministero delle Poste e Telecomunicazioni.
Luglio 1947: I tecnici della Rca, con la collaborazione tecnico-artistica della Rai, effettuano alcuni esperimenti di televisione a Milano, nell'auditorium della Fiera, e a Roma, negli studi di Via Asiago. Analoghi esperimenti, riferisce il Radiocorriere,
sono stati effettuati dai tecnici americani anche presso la Radio Vaticana alla presenza del Papa Pio XII. Agli esperimenti di Via Asiago partecipano il presidente del Consiglio Alcide De Gasperi, il presidente della Rai Spataro e altri membri del governo. Lo spettacolo televisivo ha come protagonisti Nunzio Filogamo, l'arpista Alberta Suriani, il soprano Magda Lazbò, il quartetto d'archi di Radio Roma, l'orchestra Angelini con i suoi cantanti Nilla Pizzi (il Radiocorriere, sbagliando, la chiama Nella Pizzi) e Tony Stella. "Per la verità - scrive poi il settimanale della Rai - questi esperimenti non rappresentano una novità assoluta per il nostro pubblico in quanto, come molti lettori ricordano, trasmissioni di televisione furono iniziati dalla Radio Italiana nel 1939. Con la guerra fu sospesa ogni attività per ovvie ragioni contingenti, né fu possibile al termine delle ostilità iniziarne la ripresa, anche perché gli impianti installati a Radio Roma erano stati ampiamente manomessi dai nazisti durante l'occupazione" (Radiocorriere 12/7/47).
2 ottobre 1947: I delegati di 60 paesi, convenuti ad Atlantic City per la Conferenza Mondiale delle Radiocomunicazioni, approvano gli atti di un grande accordo internazionale sulle radio e telecomunicazioni. Tra le altre cose scelgono di definire con il termine "televisione" la trasmissione a distanza delle immagini in movimento. Gli atti della conferenza vengono approvati in Italia con D.P.R. n.1694 del 27 dicembre 1948.
30 giugno 1948: In una corrispondenza da Londra, Eugenio Montale scrive un articolo intitolato "La televisione violerà l'intimità delle case?", in cui definisce la televisione uno strumento capace di "frugare senza limiti nella vita privata dei cittadini" e poi "il maggior attentato a una delle più grandi libertà individuali (la libertà di non sapere e di non vedere)".
"Introdotto nelle case, in tutte le case - scrive tra l'altro Montale - lo spettacolo televisivo sarà fonte di gioie e di guai senza precedenti. Ucciderà forse il senso dell'interno, il senso stesso della clausura familiare: nessuno si sentirà più dentro ,
tutti si sentiranno sempre fuori, sempre partecipi, eternamente in ballo..." (Corriere della Sera, 30/6/48).
25 ottobre 1948: Si apre a Parigi il Congresso Internazionale di Televisione, nel quale si discute intorno ai problemi d'ordine tecnico relativi alla televisione in Europa e in America. Particolarmente acceso il dibattito sullo standard degli apparecchi: il congresso mette a confronto quello francese a 450 linee, quello inglese a 405 linee, quello della Philips a 567 linee, quello della Thomson-Houston a 729 linee, quelli francesi della Radio Industrie a 819 linee e a 1000 linee della Compagnie des Compteurs (Radiocorriere 21-27/11/48.
10 gennaio 1949: Il Decreto n.11322 del Presidente del Consiglio dei Ministri istituisce una Commissione per lo studio dei problemi relativi allo sviluppo e alla diffusione della televisione in Italia.
2 maggio 1949: Un decreto del Pres. del Cons. dei Ministri (pubblicato sulla Gazz. Uff. il 10/5/49), stabilisce la composizione della Commissione per lo studio dei problemi relativi allo sviluppo e alla diffusione della televisione in Italia: ne fanno parte Giulio Andreotti, sottosegr. alla pres. del Consiglio; Gaetano Azzariti per il Min. di Grazia e Giustizia; Giuseppe Melgiovanni per il Min. delle Finanze; Angelo dell'Amore per il Min. del Tesoro; il cap. Enzo Dalmonte, il cap.Frank Mario Gari e il cap.Alfonso Galleani in rappresentanza del Min. della Difesa, rispettivamente per l'Esercito, l'Aeronautica e la Marina; l'ing. Albino Antinori per il Min. delle Poste; Iferide Sammarini per il Min. Industria e Commercio; Nicola De Pirro, Gaetano Napolitano, Amedeo Tosti in rappresentanza, rispettivamente, dei servizi di spettacolo, informazioni e proprietà intellettuale della Pres. del Cons. dei Min.; Antonio Morelli e Marino Algeri per il CNR; Leonardo Azzarita per la Fed.Nazionale della Stampa; Italo Gemini e Ernesto Fodale dell'Agis; Ennio Viero per il Coni; Valerio De Sanctis per la Siae; Renato Gualino e Raoul Chiodelli per l'Anica (Ass.Naz. Industrie Cinematografiche e affini); Arturo V.Castellani per l'Anie (Ass.
Naz. Industrie Elettriche; Salvino Sernesi in rappresentanza della Rai; il prof.avv.Luigi Biamonti, il prof.Rodolfo De Mattei e il prof.Amedeo Giannini, esperti. (Gazz. Uff. della Repubblica Italiana n.107, 10/5/49, pag.1191).
28 maggio 1949: Dimostrazione sperimentale di televisione, in collaborazione con la Radiodiffusion ét Télévision Française, dagli auditori di Roma secondo il nuovo standard francese b/n a 819 linee.
10 luglio 1949: Entra in funzione a Torino un trasmettitore e uno studio per effettuare prove tecniche in vista della scelta dello standard per la TV in Italia. Lo stesso giorno, il Corriere della Sera mostra a che punto sia arrivata la polemica tra Milano e la dirigenza della Rai. Il giornale, candidando il capoluogo lombardo come sede della nascente televisione italiana, scrive: "A Milano non solo ci sono le maggiori industrie per la produzione degli apparecchi riceventi; ma ci sarà domani un numero di enti e di privati pronti ad abbonarsi alle trasmissioni in televisione quale nessun'altra città italiana potrà mai offrire alla Rai" (Corriere della Sera 10.7.49)
14 luglio 1949: "Un primo complesso di apparecchi radioelettrici acquistati dalla Rai negli Stati Uniti con l'utilizzo di fondi concessi sui prestiti E.R.P. è stato già importato. Tra gli apparecchi figura un impianto televisivo che sarà utilizzato dalla Rai insieme ad altri impianti per proseguire le esperienze che vengono attuate dai tecnici della Radio circa il problema della scelta dello standard da adottare per le trasmissioni televisive". (Corriere della Sera 15/7/49); L'ERP, Progetto Europeo di Ricostruzione, è un piano di aiuti internazionali a cui contribuscono sdirettamente gli Stati Uniti.
Luglio 1949: In un articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli, Gian Domenico Giagni affronta il tema del futuro della TV in Italia: "I dirigenti della RAI - scrive tra l'altro - da tempo covano ottimistiche speranze e studiano la possibilità di impiantare la televisione nel nostro paese. A questo proposito abbiamo sentito il Direttore Generale della Radio Italiana, Salvino Sernesi. 'L'Italia non poteva rimanere né
indifferente né estranea a questo problema', ci ha risposto, 'e non lo poteva la RAI, unica concessionaria della televisione nel nostro paese'". Le parole di Sernesi spiegano con sufficiente chiarezza con quanta tranquillità - unita alla certezza di non dover affrontare l'attacco di quelche csocietà concorrente, i dirigenti Rai aspettassero la concessione governativa, che sarebbe però arrivata solo all'inizio del 1952.
Agosto 1949: Prosegue il dibattito tecnico sulla scelta dello standard, al quale si collega il problema della unificazione del sistema elettrico tra le diverse aree del paese. Scrive il settimanale "Oggi": "In Italia ci si propone di attuare per il 1952 tre grandi stazioni di emettitori per la televisione a Milano, Torino e Roma. Si afferma che gli spettacolo, che potranno essere agevolmente diffusi in un raggio di 50 chilometri, saranno 'consistenti', ma si aggiunge che gli ostacoli da superare, particolarmente di natura tecnica, finanziaria e politica, sono piuttosto grossi. Basti pensare che a settembre, in occasione del congresso di televisione a Milano, nell'area che sarà unita con il 'ponte radio' al trasmettitore di Torino, bisognerà procedere ad una trasformazione della corrente elettrica". Ma i problemi non sono solo questi: l'articolo, firmato da Delio Mariotti, prosegue andando a toccare alcuni nodi fondamentali: "Ma lo scoglio maggiore è di natura economica. Un impianto di televisione oggi in Italia, se non è sorretto da sovvenzioni statali, è destinato al più clamoroso fallimento (...). Le grandi industrie elettrotecniche italiane fanno sapere di essere pronte a iniziare la produzione di apparecchi riceventi, in collegamento con le industrie americane che dovrebbe fornire i più perfezionati impianti di trasmissione, ma chiedono garanzie per la costituzione di un ente per la televisione protetto dallo stato; e all'uopo sono pronti a fornire i tecnici, molti dei quali eccellenti e di fama internazionale che in questi ultimi anni hanno seguito da vicino gli sviluppi della televisione. La Rai dal canto suo segna il passo. In primo luogo nel 1952 scade la concessione delle radioaudizioni concessola nel 1927, e in secondo luogo non
avrebbe oggi gli immensi capitali necessari agli impianti di televisione (...). Essa sarebbe disposta ad affiancarsi ad un nuovo organismo semprechè lo stato, però, sia disposto a rischiare in proprio". (Oggi n.33, 1949) L'articolo di Oggi presenta un quadro di grande incertezza nello sviluppo della tv in Italia alla fine degli anni Quaranta. Significativo è il riferimento alle industrie, che aspettano con interesse la concessione del servizio per poter iniziare la produzione, ma che contemporaneamente attendono un intervento dello stato a
garanzia dei propri investimenti. Quanto alla possibilità che alla Rai si affianchi "un nuovo organismo" bisogna ricordare che, in quel momento, era ancora valida la convenzione aggiuntiva del 1931 tra stato ed Eiar, in cui il servizio di televisione veniva affidato senza esclusiva.
11 settembre 1949: Iniziano, in occasione della I Esposizione Internazionale della televisione di Milano, le trasmissioni sperimentali dalle stazioni di Torino e Milano secondo gli standard a 625 e a 819 linee. Vengono trasmessi rogrammi di varietà, canzoni, balletti e l'opera "La serva padrona" di Pergolesi (andata in onda il 16 settembre dal teatro di posa di Corso Sempione a Milano). Il trasmettitore è quello della collina dell'Eremo, a Torino, costruito dalla General Electric. I programmi vengono irradiati in massima parte da uno studio di Radio Torino, dove sono state allestite tre telecamere e un telecinema per film a 35mm. Un secondo impianto, fornito dalla TV francese, trasmette, sempre da Torino e in contemporanea, secondo lo standard a 819 righe. Accanto alla mostra, si svolge contemporaneamente a Milano il Congresso di Televisione presso l'aula magna dell'Università Cattolica. In questa occasione, come già altre volte, si fa strada una singolare ipotesi: "L'essere stata totalmente assente dalla gara dei progressi scientifici - scrive Gustavo Colonnetti, presidente del Cnr - così come dalle conseguenti applicazioni tecniche in cui altre nazioni si sono in questi anni coraggiosamente impegnate in materia di televisione può, per una volta tanto, rappresentare per l'Italia un vantaggio e crearle
una posizione di privilegio" (Radiocorriere 11-17/9/49). Una simile considerazione viene espressa anche dai tecnici che ricominciano, dopo la guerra, a occuparsi di televisione, i quali non trovano più nulla delle vecchie attrezzature utilizzate nel '39 (sia negli studi romani di via Asiago che in quelli milanesi della Torre Littoria i tedeschi, durante la ritirata, portarono via praticamente tutto).
settembre 1949: In occasione della visita dei partecipanti al Congresso Internazionale di Televisione al centro Rai di Torino, viene effettuata la prima "radiocronaca televisiva". Francesco Rosso scrive sul Radiocorriere:"Gli intervistati potevano controllare direttamente la loro immagine su un apparecchio ricevente disposto con lo schermo verso di loro. Questo è il miracolo della televisione: poter vedere la propria figura e udire la propria voce nello stesso istante in cui il meccanismo si trasforma in immagine". E poi, parlando dell'auditorio in cui si è svolta la ripresa TV: "Poiché il nuovo mezzo parla agli occhi ancor prima che all'orecchio, è necessario inventare un neologismo perché auditorio diventa un termine improprio. Ma questo è un problema che riguarda i filologi se cioè il nuovo verbo da adottare al nuovissimo mezzo di comunicazione sia 'televedere' o 'televisare'" (Radiocorriere 25/9-1/10/49).
8 ottobre 1949: In occasione della Mostra della Meccanica di Torino la Rai organizza una nuova serie di trasmissioni televisive. Gli spettacoli, che offrono ancora il confronto tra lo standard americano e quello francese, si svolgono ogni
giorno dalle 17 alle 19 e dalle 21 alle 23 (la domenica anche dalle 10 alle 11) e proseguono fino al 23 ottobre. Insieme allo stand appositamente allestito alla mostra, alcuni apparecchi televisivi vengono installati dalla Rai nelle vetrine della "Stampa" e della "Gazzetta del Popolo".
31 gennaio 1950: Il Corriere della Sera prosegue la sua battaglia perché Milano diventi al più presto il centro della televisione italiana: "I rilievi che abbiamo rivolto alla Rai per la sua scarsa sollecitudine verso gli interessi e i legittimi diritti di Milano,
sacrificata non solo nei confronti di Roma, ma anche di Torino, ci hanno procurato moltissimi consensi e fervidi incoraggiamenti". Poi, per la prima volta, si accenna a una situazione nuova:"Ci consta - scrive ancora il giornale nella Cronaca Milanese - che anche un altro gruppo industriale ha presentato una domanda al Governo per la licenza di trasmissioni televisive, limitatamente alla Lombardia. Tutto questo che cosa significa se non che l'industria già vede le ampie possibilità di sfruttamento ed è pronta a cimentarvicisi con la certezza del successo anche finanziario? Ora, mentre la televisione giorno per giorno va conquistando il mondo, è umiliante e doloroso assistere in casa nostra a questa inerzia ufficiale, ritardatrice di ogni iniziativa. Tutti sono pronti ai nastri di partenza: complessi industriali, fabbricanti di apparecchi, tecnici, appassionati, radioabbonati di oggi che domani saranno i teleradio -abbonati; ma lo starter non si decide a dare il segnale; lo starter si gingilla tra commissioni, progetti, inchieste, pratiche, rinvii...." (Corriere della Sera 31/1/50). 24 dicembre 1949: Viene effettuata la prima telecronaca del dopoguerra a Roma, in occasione dell'apertura della porta santa a S.Pietro, cerimonia che inaugura l'Anno Santo 1950. Gli strumenti tecnici (tre telecamere, un trasmettitore e alcuni ricevitori) sono forniti alla Santa Sede dalla Televisione Francese. La stazione TV del Vaticano irradiò in seguito tutte le principali manifestazioni del Giubileo che si svolsero all'intero e all'esterno della Basilica di S.Pietro. Gli strumenti tecnici furono utilizzati - riferisce Settimana Radio-Tv - anche per altri programmi sperimentali, tra cui, nei primi mesi del '51, la trasmissione di "Ladri di Biciclette" di Vittorio De Sica, preceduto da un'intervista di Padre Laval all'autore (Settimana Radio-Tv 23- 29/11/58)
5 luglio 1950: E' ancora il Corriere a tenere alto il tono della polemica in tema di televisione. L'occasione è l'ennesima dimostrazione tenuta a Milano in occasione della Fiera: "Si farà un'altra mostra, non v'è dubbio - scrive il quotidiano milanese - si faranno altri esperimenti che strapperanno ammirazione e plauso ai visitatori di tutto
il mondo; ma la televisione viene sempre rimandata a domani". Si discute ancora sullo standard, prosegue l'articolo, senza decidere nulla:"Adesso non resterebbe che decidere. Dare il via ufficiale: darlo alle industrie produttrici di apparecchi riceventi che potrebbero, secondo un calcolo approssimativo, sfornare almeno centomila apparecchi in un anno di lavorazione
(e centomila apparecchi offerti sul mercato, poniamo, a ottantamila lire l'uno, vorrebbero dire una produzione di complessivi otto miliardi); darlo a quelle società che potrebbero essere pronte a iniziare trasmissioni a raggio regionale (e ce ne sono alcune anche a Milano disposte ad affrontare l'ardua impresa con raggio d'azione regionale anche solo a titolo provvisorio); darlo, infine, alla stessa Rai che, come si è detto, ha già presso Torino, sul colle dell'Eremo, la sua stazione costruita con i fondi E.R.P., stazione oggi assolutamente inoperosa". (Corriere della Sera 5/7/50).
10 ottobre 1950: Negli Stati Uniti la Commissione Federale delle Comunicazioni sulla televisione a colori autorizza, a partire dal 20 novembre, l'inizio di regolari programmi a colori secondo il sistema della CBS (Radiocorriere 31/12/50).
5 febbraio 1951: La commissione del Consiglio Nazionale delle Ricerche per la scelta dello standard della televisione si orienta, a conclusione dei lavori, per quello americano a 625 linee, senza escludere però la possibilità di adottare un sistema a 525 linee se ciò risultasse conveniente per una futura applicazione del colore. Viene infatti rilevata la necessità di "orientarsi verso una larghezza di banda non inferiore a 5 megacicli al secondo, onde lasciare la possibilità della futura attuazione del colore nel modo più razionale ed economico" (Radiocorriere 25-31/3/51). Uno dei problemi di allora era infatti quello della possibile imminente riconversione della TV in bianco e nero con quella a colori (che in America, come abbiamo visto, era già una realtà). Qualcuno ipotizzò addirittura che la televisione italiana potesse nascere direttamente a colori, e che anzi sarebbe stato bene aspettare per non costringere
gli italiani a una doppia spesa. Inutile ricordare che la TV a colori è invece arrivata in Italia, come servizio regolare, oltre 25 anni dopo.
25 aprile 1951: Il Ministro Spataro, in visita alla Fiera di Milano, illustra il progetto di ampliamento della televisione, strettamente connesso al potenziamento della rete telefonica, tramite la posa di cavi coassiali per il collegamento tra le maggiori città italiane, in una "rete che sarà completata a scaglioni successivi entro il 1954-55" (Radiocorriere 6-12/5/51).
4 maggio 1951: Il Corriere della Sera prosegue il suo attacco sul fronte televisivo. In un 'articolo intitolato "Milano non può essere da meno di Torino e Cuba" si legge tra l'altro: "La Rai ha la esclusiva - di prossima scadenza, peraltro - delle trasmissioni in fonia: non ha quella della televisione. Ora, a Torino si sta provvedendo, da parte della Rai; e noi siamo lieti di compiacerci con i torinesi. Ma perché a Milano non si potrebbe fare altrettanto? Se le nostre informazioni sono esatte (e chiediamo di sapere che lo sono), già da due anni una società lombarda per la televisione ha chiesto l'autorizzazione e la licenza per costruire la stazione o le stazioni necessarie, limitatamente alla Lombardia, dichiarandosi pronta a organizzare una serie giornaliera di
trasmissioni, magari accordandosi anche con alcuni grandi organismi teatrali cittadini; e dichiarandosi pronta altresì, il giorno che lo Stato decidesse, per voto del Parlamento, di assorbire e gestire, come in Francia, tutta l'attività televisiva o di affidarla a un ente controllato in esclusiva, a cedere tutti i propri impianti e le proprie attrezzature tecniche e artistiche. Questa domanda è stata inoltrata al Governo già da due anni, ma non ha ancora avuto risposta. Né se ne capisce proprio il perché. Logico, naturalmente, che si debba un largo riconoscimento alla Rai per tutto quello che ha fatto e sta facendo, ma, in fatto di televisione, si potrebbe anche - e forse con vantaggio di tutti - pensare a una collaborazione tra vari enti: che si potrebbero, con prezioso risparmio di spesa, scambiare i programmi dall'una all'altra regione"
Corriere della Sera (6/5/51).
25 giugno 1951: Inizia negli Stati Uniti la trasmissione regolare di programmi televisivi a colori da parte della CBS (Corriere della Sera 26/6/51).
23 settembre 1951: Il ministro delle Poste Spataro, intervenendo alla XVIII Mostra Nazionale della Radio e Televisione di Milano, illustra i progetti di sviluppo della televisione in Italia:"La RAI - dichiara tra l'altro il Ministro - potrà partire per la prima parte del piano di televisione. Tale prima fase comprende l'installazione e il funzionamento entro il 1953 di quattro stazioni e cioè: una a Monte Pénice e una a Milano che con quella già in funzione a Torino potranno dare un buon servizio ad una vasta area costituita dal Piemonte e dalla Lombardia, e da parte del Veneto e dell'Emilia; la quarta stazione sarà installata a Roma che, da sola, potrà fornire un notevole complesso di utenza" (Radiocorriere 30/9/51)
12 ottobre 1951: Viene approvato alla Camera ("con inconsueta rapidità", sottolinea il Corriere della Sera) il bilancio del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni. Il ministro Spataro, nel suo intervento, informa l'assemblea che è già stato approvato il progetto di stazioni televisive illustrato giorni prima a Milano (Corriere della Sera 14/10/51).
8 Dicembre 1951: I giornali riferiscono che un gruppo finanziario milanese ha annunciato la disponibilità ad impiantare a Milano una stazione televisiva, proponendo di gestirla privatamente, senza alcun canone e finanziandosi con la pubblicità'. La società (il Gruppo Cisalpino) sembra faccia capo ad Agnelli, Pirelli e ad altri 7 finanzieri milanesi. Presidente il senatore Cesare Merzagora. Il gruppo, che ha già da tempo fatto richiesta al ministero delle poste ("come abbiamo più volte annunciato", sottolinea il Corriere della Sera) e' pronto ad acquistare un trasmettitore in Francia, per iniziare le trasmissioni nell'aprile del 1952, secondo lo standard a 625 righe come suggeriscono gli orientamenti del Cnr. L'antenna sarebbe posta in cima al grattacielo di Piazza Cavour. :"In linea di massima - scrive il Corriere Lombardo - il
Ministro avrebbe già accordato il permesso, dato che la televisione, a differenza delle radiotrasmissioni, non è sottoposta a particolari vincoli, e avrebbe invitato il Gruppo
Cisalpino a prendere accordi con la Rai. Intanto il Gruppo avrebbe ordinato in Francia il Materiale per l'impianto della stazione trasmittente, il cui costo si aggirerebbe intorno al mezzo miliardo di lire". Il Corriere Lombardo pubblica la notizia con grande risalto, in prima pagina di spalla, con il titolo di "Televisione gratis in aprile a Milano?", il giorno 8 dicembre. Il giorno dopo la notizia viene ripresa da diversi importanti quotidiani, come Il Corriere della Sera a Milano, La Stampa a Torino, Il Giornale d'Italia e il Tempo a Roma. "Le caratteristiche di questo servizio - scrive il Corriere della Sera - sarebbero orientate verso le ultime e più popolari esperienze americane. Almeno in un primo tempo ci si proporrebbe, cioè, di trasmettere dei reportages esterni; brevi film appositamente stampati dalle case produttrici cinematografiche della durata di 15-20 minuti e in genere programmi d'attualità. Il servizio - altra caratteristica orientata essa pure sul modello americano - verrebbe offerto gratuitamente dalla società, che ne trarrebbe a suo compenso vantaggi pubblicitari". Sulla questione l'ing. Alessandro Banfi, uno dei pionieri della televisione in Italia, rilascia alcune importanti dichiarazioni:"La nascita di due stazioni televisive a Milano è certamente un bene. Anzitutto avremo la televisione prima di quanto si fosse mai pensato e sperato. In secondo luogo la RAI, accelerando i tempi come sta facendo, darà modo di veder realizzato al più presto quel servizio vero e proprio di televisione che era nei voti di tutti. Ben venga dunque un'altra società che in un'utile concorrenza con la Rai permetterà alla televisione italiana di svilupparsi e migliorare".(Corriere Lombardo, 8/12/51, Corriere della Sera, La Stampa, Il Tempo, Il Giornale d'Italia 9/12/1951).
11 dicembre 1951: Il Corriere Lombardo ritorna sull'argomento del gruppo milanese interessato alla realizzazione di una stazione televisiva, con un trafiletto in prima
pagina in cui vengono definiti "non del tutto esatti i ragguagli su enti e personalità interessate". La notizia non ha seguito, né riscontro - positivo o negativo -su altre testate. (Corriere Lombardo 11/12/51). La risposta della Rai alle notizie sul Gruppo Cisalpino non si fa comunque attendere: il direttore generale Salvino Sarnesi annuncia infatti che la stazione televisiva di Milano entrerà in funzione "la prossima primavera". "Per concludere - commenta il Corriere della Sera - anche la Rai, sia pure tenendosi nelle linee del programma da tempo stabilito, brucia un poco le tappe e si propone di toccare la meta - sia pure una prima meta, quella che ci interessa, quella milanese - con parecchi mesi di anticipo sul previsto" (Corriere della Sera, 12/12/51).
26 dicembre 1951: Anche L'Europeo si occupa dell'iniziativa del gruppo industriale milanese: "Milano sta per avere la televisione. Perché Milano avrà la televisione prima di Roma? La verità è che la televisione milanese avrà il carattere che hanno avuto tante altre iniziative lombarde. Non sarà la concessione di nessuno. La televisione i milanesi hanno deciso di farsela da sé. Naturalmente da questa iniziativa deriveranno polemiche che finiranno con l'interessare tutti
gli italiani e che metteranno in discussione il monopolio radiofonico di cui tutti sappiamo i vantaggi e gli svantaggi (...). Quali saranno ora le conseguenze dell'iniziativa del gruppo di industriali milanesi che, comprato un impianto per una stazione televisiva, hanno fatto la loro brava domanda al governo per cominciare le trasmissioni? E' difficile dirlo. (...) E se poi i milanesi di impianti televisivi dovessero averne due, non sarebbe un gran male: avremmo finalmente la garanzia della concorrenza. Infatti cosa avverrà in Italia se oltre al monopolio della radio si aggiungerà il monopolio della televisione? Lo sappiamo già: milioni di cittadini sarebbero costretti ad accontentarsi di ciò che il monopolio vorrà far passare inesorabilmente davanti ai loro occhi. Prospettiva che certo non piace a nessuno dopo l'esperienza che hanno fatto i nostri orecchi" (L'Europeo 26/12/51).
30 dicembre 1951: Entra in vigore la ristrutturazione delle tre reti radiofoniche, distribuite tra Programma Nazionale, Secondo Programma e Terzo Programma. Il Terzo aveva iniziato a trasmettere il 1 ottobre 50, diffuso dalla nuova rete di stazioni a modulazione di frequenza e da tre trasmettitori a onda corta.
26 gennaio 1952: Una convenzione valida fino al 15/12/72 concede alla Rai l'esclusiva delle trasmissioni radio e delle trasmissioni televisive, via etere e via cavo. La convenzione viene stipulata in anticipo rispetto alla scadenza del precedente accordo tra Stato ed Eiar, la cui scadenza era fissata al 31 dicembre 1952. La convenzione stabilisce che la maggioranza delle azioni Rai debbano andare all'Iri. Nasce cosi' il monopolio Rai per la radiotelevisione. "Per la concessione di questo servizio - si legge in una comunicazione dell'Ufficio Stampa del ministero delle Poste -sono state tenute presenti: la necessità che anche il servizio televisivo - come quello radiofonico - abbia carattere nazionale; e la convenienza di attuare le maggiori economie possibili utilizzando i vasti mezzi, l'organizzazione e il personale tecnico di cui già dispone la Rai. Evidentemente per le stesse ragioni in nessun Paese europeo l'attività televisiva è esplicata da enti od organismi diversi dagli enti radiofonici" (Radiocorriere 8/2/52). Lo stesso concetto sarà poi espresso dal ministro Spataro in un'intervista a "Epoca", in cui, a una domanda sul Gruppo Cisalpino, risponde:"Il Governo, nell'esaminare le varie domande pervenute per la concessione dell'esercizio di televisione, ha tenuto soprattutto presente la necessità di dare una base nazionale al servizio della televisione stessa. Quindi, al di sopra di ogni considerazione particolare, ha preso in esame l'unica domanda suffragata da un'organizzazione già esistente, e che si basava su di un piano di servizio nazionale" (Epoca 14/2/52). La notizia dell'avvenuta concessione in esclusiva della TV alla Rai arriva sui giornali il 28 gennaio. Non tutti, però, se ne occupano. Il Corriere Lombardo la pubblica in prima pagina con il titolo "La Rai diventa statale". Anche "Milano Sera", un altro quotidiano
del pomeriggio, punta sulla manovra azionaria che assegna la Rai all'Iri, e titola "La Rai allo stato". Non
tutti comprendono subito - anche perché il comunicato del ministero delle Poste (pubblicato dal Radiocorriere) non ne fa menzione - che la concessione della TV è esclusiva. Tornando sull'argomento, il Corriere Lombardo scrive: "La televisione è stata affidata alla Rai, però quella privata si farà ugualmente, e Milano avrà le due stazioni" (Corriere Lombardo 29/1/52). Il Tempo di Roma definisce la convenzione un'inattesa manovra monopolistica governativa (Il Tempo, 28/1/52), mentre Il Corriere d'Informazione scrive, sul numero del 30 gennaio: "Secondo la convenzione del '27 che avrebbe dovuto scadere nel prossimo ottobre e che, evidentemente, è stata ora sostituita dalla attuale convenzione, con tutti quei mesi di anticipo sufficienti ad evitare incresciose campagne di stampa, la concessione del servizio di radiodiffusione era accordata in esclusiva, ma per quanto si riferisce alla televisione, oggetto di ulteriori convenzioni, di esclusiva fino ad ora non si è mai parlato. Se ne parla forse oggi? Probabilissimo (Gino Cornali, Corriere d'Informazione, 30/11/52). La Convenzione prevede anche una serie di programmi tecnici: "entro 18 mesi l'inizio del servizio a Milano, Torino e Roma; entro la metà del '53 l'installazione di una stazione a Monte Penice; in una seconda fase, entro 12 mesi dall'entrata in funzione del canale televisivo del cavo coassiale in corso di posa, le stazioni di Monte Venda (Colli Euganei), Portofino, Napoli, Firenze e Monte Serra. In una terza fasela Rai è impegnata, entro 6 mesi dalla messa in funzione del canale televisivo della rete coassiale meridionale, gli impianti del Gargano, delle Murge, di Reggio Calabria e di Palermo".
7 febbraio 1952: Vengono effettuati a Torino alcuni esprimenti di ripresa diretta con apparecchiature portatili all'esterno del palazzo del ghiaccio (Corriere della Sera 8/2/52).
9 febbraio 1952: La Stampa fa il punto sulla situazione delle sperimentazioni
televisive: "Si stanno accelerando tutti i preparativi, giacché non vi sono più dubbi né sull'autorizzazione statale né sul sistema da adottare (...) Chi vuole, ormai, può comprarsi l'apparecchio". A Torino, in quel momento, di apparecchi ce ne sono mille (La Stampa 9/2/52).
18 febbraio 1952: Milano Sera dà la notizia che il Gruppo Cisalpino ha presentato un ricorso contro la decisione di affidare il servizio televisivo in esclusiva alla Rai. Nell'esposto è precisato tra l'altro che "La Rai obbliga tre milioni e mezzo di italiani a pagare un canone di abbonamento che tecnicamente non è dovuto, perché è prassi che le stazioni radio che fanno pubblicità non hanno il diritto di riscuotere canoni. In più l'importo di questo canone è il più alto del mondo". Il Gruppo informa inoltre che la sua istanza è stata tenuta "lungamente senza risposta fino a quando è stata respointa dal governo che, con un atto incostituzionale ed evitando il vaglio del Parlamento, ha deciso di istituire il nuovo monopolio".(Milano Sera 18/2/52).
27 marzo 1952: Viene montata l'antenna per la televisione sulla sommità della torre del Parco a Milano. L'antenna è alta
14 metri, la torre 100 (Corriere della Sera 28/3/52).
3 aprile 1952: Viene scelto ufficialmente lo standard a 625 linee.
12 aprile 1952: La Rai organizza per tutta la durata della Fiera di Milano una serie regolare di trasmissioni. Partono cosi' anche a Milano le trasmissioni sperimentali. Tra le novità presentate il "Telegiornale", che "riporterà le attualità filmate relative agli avvenimenti del giorno precedente per quello che riguarda l'Italia e l'estero, mentre darà una documentazione degli avvenimenti giornalieri di Milano e della Lombardia". (Radiocorriere 6-12/4/52). Presenziando all'inaugurazione della XX Fiera di Milano, il Presidente del Consiglio Alcide De Gasperi dichiara:"Sono lietissimo che oggi si inauguri anche la televisione poiché anche nella televisione vedo uno strumento nuovo che conferma e sollecita l'unità, la concordia delle opere, la fraternità nella Nazione fra le diverse categorie, fra Nord e Sud, fra le regioni.
Perché anche il vederci faccia a faccia, attraverso la televisione, da lontano e al di sopra di tutte le difficoltà dello spazio ci affratellerà, ci farà conoscere, ci farà sentire sempre più nel rispetto di tutta la nazione, ci farà sentire l'orgoglio della nostra stirpe: l'orgoglio di essere italiani" (Radiocorriere 20-26/4/52).
18 giugno 1952: Durante la discussione alla Camera del bilancio delle Poste e Telecomunicazioni, arrivano i primi commenti ufficiali alla convenzione del gennaio '52 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale il 5 aprile 1952, con D.P.R. n.82). A porre per primo il problema è il deputato del PSI Giovanni Pieraccini:"La convenzione che reggeva la concessione della RAI era del 1927 (...), quindi era opera del regime fascista, stipulata con criteri del regime fascista. La convenzione scadrà il 27 dicembre 1952, senonché la Gazzetta Ufficiale ha pubblicato già un decreto che rinnova alla Rai la concessione stessa, evidentemente innovandola. Ora il problema è questo come sono state fatte queste trattative? da chi? quando? a conoscenza dell'opinione pubblica, alla luce del sole, con un ampio dibattito, oppure no? Queste trattative e questi accordi sono avvenuti, invece, si può dire, fra pochissime persone. Alcuni sostengono che le trattative siano state condotte addirittura solo da tre o quattro persone; dal rappresentante ufficiale del ministero delle Poste, e cioè il signor Albino Antinori, dal rappresentante della Rai Ridomi, dal Ministro Spataro e pochi altri (...) Ora, è ammissibile questo? (...) E' mai possibile che, a un certo momento, addirittura all'improvviso, si decida di un fatto di tale importanza senza che l'opinione pubblica venga interpellata, senza che il Parlamento ne venga messo a conoscenza?" Poi, più avanti:"Sapete che erano in corso a Milano iniziative di gruppi privati che richiedevano fosse loro concessa in libera concorrenza la diffusione della televisione; ma sta di fatto che questi interessi, non certamente difesi da noi, ma tuttavia interessi costituiti e reali nel paese, non sono stati ascoltati. Vi era un'iniziativa in corso, sostenuta anche dal Corriere della Sera. Essa è stata bloccata in
anticipo dal monopolio che la RAI ha ottenuto". Il ministro Spataro, nella risposta data durante la seduta di due giorni dopo, ribadisce la posizione già espressa in altre occasioni, cioè che "il Consiglio Superiore tecnico delle telecomunicazioni ha dichiarato inaccettabile la domanda perché il servizio della televisione deve essere assicurato a tutte le regioni italiane e non solo a quella più ricca" (Atti Parlamentari, Camera dei Deputati, Discussioni. Sedute del 18/6/52 e del 20/6/52). Il criterio espresso da Spataro è stato considerato finora la motivazione ufficiale della nascita di un monopolio televisivo Rai: la televisione doveva essere un servizio realmente nazionale e diretto a tutti. Abbiamo visto, però, che questa interpretazione, accettata per buona negli anni a venire anche dagli avversari del monopolio, giustifica soltanto la concessione del servizio alla Rai che, in effetti, forte della sua esperienza e degli investimenti che aveva programmato, era davvero l'unico ente capace di coprire l'intero territorio nazionale con un solo servizio di televisione. Spataro infatti, alla Camera, propone una forzatura quando afferma che gli industriali milanesi volevano l'esclusiva della televisione in Italia: il Corriere della Sera, che ha dato voce a questo primo tentativo di costituire in Italia una TV commerciale, ha sempre affermato esattamente il contrario, e cioè che l'iniziativa lasciava spazio alla nascita di due diverse stazioni in concorrenza, ma anche che quella privata avrebbe coperto solo la zona della Lombardia. C'è poi la questione dell'anticipo del rinnovo della concessione di circa un anno rispetto all'anno di scadenza: il problema era stato posto al senato dallo stesso sen.Grisolia e dal sen.Leo Leone, indipendente di Sinistra. Questa la risposta del ministro Spataro: "Il rinnovo della concessione, effettuato, come ho detto, il 26 gennaio di quest'anno, non poteva essere rinviato, sia per gli ingenti investimenti che la RAI stava eseguendo ed era in corso di eseguire, per il rinnovo e il forte ampliamento degli impianti radiofonici, sia per affrontare senza ulteriore indugio i problemi della televisione. L'impianto di una rete di trasmettitori televisivi ed il relativo esercizio si presentano onerosi e di difficile
esecuzione ed un solo organismo, che già possedeva impianti consimili, attrezzature sfruttabili, anche per il nuovo servizio, quadri e competenze tecniche già collaudate, poteva dare affidamenti di realizzare, anche in Italia, il servizio della televisione (...) Occorre anche tenere presente che, avendo la televisione le stesse finalità culturali e sociali della radiofonia ed essendo entrambe destinate a raggiungere lo spettatore a domicilio senza alcuna possibilità di controllo preventivo, anche l'orientamento morale nella impostazione dei programmi ed il senso di responsabilità acquistato per lunga esperienza nell'esercizio del servizio radiofonico costituiscono una seria garanzia affinché - anche nel servizio di televisione - siano rispettati quei princìpi di opportunità e di sensibilità già acquistati nei riguardi del pubblico dalla concessionaria dei servizi radiofonici" (Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni
15/7/52).
11 luglio 1952: Al dibattito del giugno '52 alla Camera fa riscontro la discussione tenuta al Senato sempre in occasione dell'approvazione del bilancio delle Poste. Tra i primi a intervenire è il senatore socialista Domenico Grisolia, che si concentra ancora una volta sul tema della convenzione:"E' stato reso noto di recente che il ministro delle telecomunicazioni con quella tendenza alla clandestinità manifestata in ben altre circostanze ha proposto al Capo dello Stato l'approvazione e l'esecutorietà della convenzione con cui si rinnova per ben vent'anni, dico vent'anni, la concessione in esclusiva alla Rai delle radioaudizioni circolari, dei servizi di televisione circolare, di telediffusioni e di radiofotografia circolare. A tale rinnovo si è addivenuti quasi clandestinamente, senza cioè che del grave problema si fosse preventivamente discusso in pubblico o trattato in sede parlamentare (...) Non ne fu informata, onorevoli colleghi, neanche la commissione parlamentare di vigilanza (...) Le trattative si sono svolte - e chiedo scusa della mia ironia - tra il democristiano Giuseppe Spataro da una parte, sia pure per interposta persona, e il ministro
Giuseppe Spataro dall'altra, perché il ristrettissimo gruppo di dirigenti della Rai che intervenne nelle trattative fu costituito da persone molto gradite all'ex presidente della Rai, attuale Ministro delle Poste". Il relatore di maggioranza, il democristiano Nicola Vaccaro, risponde a Grisolia che "La nuova convenzione non è stata affatto decisa silenziosamente, ma è stata preceduta da studi e trattative che sono durati alcuni mesi, e di cui sono stati interessati il Consiglio superiore tecnico delle Telecomunicazioni, il consiglio d'amministrazione del Ministero, il Consiglio d'amministrazione della Rai, la presidenza dell'Iri,gli uffici competenti dei Ministeri del Tesoro, delle Finanze, degli Esteri, dell'Interno, dell'Industria, il Gabinetto della Presidenza del Consiglio e poi, infine, anche il Consiglio dei Ministri. La soluzione migliore non poteva essere che quella deliberata" (Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, 11 e 15/7/52)
13 settembre 1952: Riprendono a Milano le trasmissioni televisive interrotte alla fine della XXX Fiera. Anche se la dicitura programmi sperimentali rimane, ormai "si tratta
- puntualizza il Corriere - di trasmissioni organiche, di veri programmi e non soltanto di tentativi e numeri isolati" (Corriere della Sera 13/9/52).
9 ottobre 1952: Inaugurando il nuovo palazzo della Rai di Corso Sempione, il ministro Spataro annuncia il piano di sviluppo della televisione: la rete nazionale sarà estesa a Roma e successivamente a Napoli, Reggio Calabria e Palermo (Corriere della Sera 10/10/52).
14 dicembre 1952: "La televisione è nata; si tratta ora di irrobustirla, di infoltirne i programmi, di conquistarsi il pubblico", scrive La Stampa. A Torino le trasmissioni regolari si svolgono dalle 17 alle 19 e dalle 21 alle 23, e ogni giorno circa 7 mila famiglie assistono ai programmi della Rai senza -
ancora - pagare alcun canone (La Stampa 14/12/52).
28 dicembre 1952: Salvino Sernesi, direttore generale della Rai, scrive un articolo sul Radiocorriere dal titolo "1953, l'anno della televisione", in cui illustra
dettagliatamente il piano di sviluppo del servizio. E così conclude:"Alla fine dell'anno prossimo confidiamo fermamente di poter annunciare che la televisione è pronta a entrare nelle nostre case, a rallegrare le ore di riposo, a portare un nuovo aspetto del mondo e della vita contemporanea nell'intimità della famiglia: da Roma a Milano, da Firenze a Torino,da Genova a Venezia (Radiocorriere 28/12/52).
22 gennaio 1953: Scrive L'Europeo: "La televisione in Italia lavora in regime di monopolio e non vorremmo che il monopolio della RAI e della TV finisse col darci prodotti che rammentano quelli di un altro monopolio. Per il tabacco c'è il rimedio del mercato nero; per la radio c'è il rimedio delle stazioni estere, dei dischi; per la televisione, così limitata territorialmente, non ci sarebbe nessun rimedio ". (Europeo 22/1/53).
Febbraio 1953: Alcuni settimanali iniziano a occuparsi con una certa continuità dei programmi mandati in onda dalle stazioni di Torno e Milano. Ecco un primo esempio di critica televisiva, pubblicato su Epoca: "La sera del 28 gennaio, dai Saloni del Circolo della Stampa di Milano, la TV ha messo in onda un'originale trasmissione. Ha riunito un folto gruppo di giuristi, magistrati, psichiatri e psicologi proponendo loro questo tema: Il matrimonio. La discussione, condotta con fotogenica abilità da Arturo Orvieto, è riuscita interessantissima. Non ha stancato gli spettatori, nonostante sia durata oltre due ore, soprattutto quando quei luminari del diritto, della medicina e della psicologia hanno affrontato il problema scabroso del divorzio. Pro o contro? La conclusione è ripiegata sulla proposta, accettata dalla maggioranza degli oratori, di una lunga separazione. Tutto sommato è stato un ottimo programma, anche se spesso le immagini sono apparse sfuocate e se qualche volta il teleschermo ha intercettato spalle, braccioli di poltrone o altri oggetti che non avevano alcun riferimento con la trasmissione. Peccato che la TV abbia creduto bene di inserire in questo programma un inutile intervallo, dedicato ad alcune interviste di uomini e donne, fatte da un maldestro telecronista che, in una atmosfera così elevata e nel
clima di un argomento tanto ricco di dottrina, ha, tra l'altro, chiesto a una signora:"Suo marito non le ha mai fatto un cornino?" (Epoca 21/2/53).
5 maggio 1953: Viene inaugurato il nuovo trasmettitore di Roma Monte Mario, che si prepara a ricevere, attraverso un ponte radio, le trasmissioni della stazione di Milano..
7 luglio 1953: La Stampa pubblica un articolo intitolato "Torino perde tutto ciò che ha creato: la televisione e la radio se ne vanno". Il quotidiano torinese lamenta il fatto che, con l'inizio delle trasmissioni regolari, previsto per il 1^ gennaio dell'anno successivo,"la nostra città scomparirà dal quadro della televisione nazionale; avverrà quello che è già avvenuto e sta avvenendo per la Radio: Torino avrà avuto l'onore di esser stata la prima ad accogliere la televisione, a 'lanciarla', a condurla per mano attraverso i primi difficili esperimenti; esaurito questo compito, si ritirerà nell'ombra" (La Stampa 7/7/53).
15 luglio: La TV va in ferie: fino al 1^ settembre vengono sospese le trasmissioni sperimentali in vista dell'inaugurazione dei programmi regolari del 1954.
Settembre 1953: Alla XIX Mostra della Radio e della Televisione l'attenzione è puntata sui nuovi apparecchi televisivi: "Nessuno costa meno di 200 mila lire - scrive Oggi - benché si sia decisa la costruzione di due tipi, a cura dell'Anie, Associazione Nazionale delle Industrie di Elettricità, i quali verranno a costare rispettivamente 160 e 200 mila lire. Il tipo più economico si differenzia dall'altro perché avrà uno schermo di 14 pollici, pari a un'immagine di 28 per 21 centimetri, mentre il secondo avrà lo schermo di 17 pollici, che consente la visione di un'immagine di 34 per 26 centimetri. Con l'inizio delle trasmissioni regolari di televisione, il pubblico troverà già pronte sul mercato le molteplici applicazioni di questi due tipi, indicati dalla sigla Anie-Tv. Se bisognerà aspettare ancora un po' per avere dei televisori a un prezzo ancora più basso, non mancano, viceversa, i modelli di gran classe, presentati dalle varie case, alcuni dei quali sfiorano il mezzo milione. Particolare curiosità ha suscitato un mobile
comprendente radio, fono e televisore, del peso di due quintali e mezzo, e dotato complessivamente di una quarantina di valvole e di mezza dozzina di altoparlanti, il quale è posto in vendita al prezzo di 870 mila lire" (Oggi 24/9/53).
18 ottobre 1953: Paolo Monelli, dalla terza pagina della Stampa, lancia un vero e proprio anatema contro la televisione in un articolo intitolato "Sperammo invano che in Italia la televisione non si avverasse mai": "Per qualche tempo l'alto costo degli apparecchi terrà immuni le famiglie borghesi - scrive tra l'altro Monelli - ma è inutile illudersi, gli apparecchi verranno a buon mercato, e con la vendita a rate accessibili a tutti. Se in questi anni l'Italia è rimasta un po' addietro, riprenderà il suo posto all'avanguardia delle nazioni in marcia verso il progresso; un progresso all'in giù, voglio dire, una società di analfabeti, di conformisti, di meccanizzati, in cui non ci sarà più posto per la varietà e l'imprevisto della vita, per la libera scelta dell'attività e dello svago". Poi, dopo aver tracciato il quadro delle modificazioni che l'avvento della televisione ha portato negli Stati Uniti, inizia la parte più dura della polemica, là dove si scaglia durissimamente contro il monopolio: "In America, almeno, le società trasmittenti sono molte, e in concorrenza tra loro. Ma in Italia, secondo il nostro sistema - eravamo il popolo più individualista l'Europa, oggi siamo più di ogni altro schiavi del monopolio - avremo un solo ente trasmittente, i programmi saranno nell'arbitrio di quel solo ente, eventuali visioni di società straniere dovranno passare al suo vaglio. Se la televisione prenderà in Italia la voga che ha preso in America, se anche da noi diverrà l'unica o
quasi unica fonte di passatempo, di volgarizzazione, di diffusione di concetti politici, di gusti letterari ed artistici, di celebrazione di questo o quel principio o di questo o quell'individuo, questa sola fonte sarà manipolata, dosata, conciata secondo la scelta, l'estro, il capriccio, i preconcetti, le storture di poche persone. Paurosa eventualità, siano anche quelle poche persone le più intelligenti, le più eclettiche, le più liberali di tutta la nazione" (La Stampa, 18/10/53).
30 ottobre 1953: Arrigo Benedetti prosegue, in modo più moderato, ma non meno apocalittico di Monelli, la polemica contro i poteri della televisione e la mancanza di qualunque concorrenza: "Un conto è lo spettacolo che il cittadino si concede ogni tanto, o il giornale che può comprare o non comprare, un conto è la finestra magica che la TV ti apre in casa. Il problema della televisione è grosso soprattutto per la perentorietà con cui può influire sul gusto dei nostri contemporanei. La commedia, il film, il giornale, buoni o cattivi che siano concedono sempre a chi s'avvicina al botteghino o all'edicola un momento di riflessione. E' vero che anche in questo campo la concorrenza è spietata e senza risparmio di colpi bassi; ma pur se predominano i criteri più commerciali c'è sempre il rischio che un editore scopra un giorno che il mezzo migliore per fronteggiare la spietata concorrenza consista nel far bene. La TV invece non potrà mai avere i vantaggi della concorrenza ed il giorno in cui volesse diabolicamente corromperci ci finirebbe con averci vittime rassegnate" (La Stampa 30/10/53).
15 Ottobre 1953: "L'Europeo" inaugura la prima rubrica settimanale in Italia dedicata alla televisione La firma Michele Serra.
1 novembre 1953: La polemica scatenata da Monelli sulla Stampa si è allargata. Serra, sull'Europeo, riassume accuse e difese in un "Processo alla TV". Conciliante la sentenza: "agli spettatori scontenti possiamo dire che tra sessanta giorni i programmi miglioreranno" (Europeo 1/11/53).
10 novembre 1953: Il comitato interministeriale prezzi stabilisce il canone per la televisione nell'anno 1954: 15 mila lire.
29 novembre 1953: Anche Vittorio Gorresio interviene sul tema della televisione: "La condizione di monopolio che è stata fatta alla RAI può non essere stata una felice soluzione. Non avendo concorrenti, la Rai-Tv non è esposta allo stimolo di miglioramenti qualitativi e quantitativi, cosicché tutte quelle che sono le imputazioni oggi rivolte alla radio, sentiamo ripeterle ingigantite contro la televisione. Dei paesi
stranieri che hanno fatto la scelta del monopolio l'Inghilterra si sta orientando verso un nuovo regime, mentre la Francia, dove il monopolio ha dato pessima prova e dove peraltro non si è neppure progettato di eliminare gli inconvenienti, è il paese del mondo dove la televisione ha fatto in questi anni scarsissimi progressi; anche inferiori, sembra, a quelli registrati, o sperati, per l'Italia" (La Stampa 29/11/53).
1 gennaio 1954: Esortazione di Pio XII all'episcopato italiano circa la televisione. La lettera evidenzia l'importanza che il pontefice attribuisce al nuovo mezzo per il rispetto e la diffusione dei valori cristiani. "Orbene- si legge al punto 22 - in un paese di così antiche e profonde tradizioni cattoliche, quale è la nazione italiana, Noi abbiamo tutto il diritto di sperare che la televisione riservi un posto proporzionato all'importanza che il cattolicesimo occupa nella vita nazionale". Pio XII inoltre individua i "pericoli della televisione per l'integrità dell'essere umano e della famiglia ed esorta le persone responsabili del mezzo pubblico alla vigilanza. (Civiltà Cattolica).
3 gennaio 1954: Ha inizio il servizio regolare di televisione della Rai. Le trasmissioni vengono irradiate sulla banda VHF dalle stazioni di Torino, Milano e Roma. L' 85% delle trasmissioni è realizzata nella sede di Milano. Sono previste 32 ore settimanali di programmazione. Il canone è di 12.500 lire, il più alto in Europa (due sterline in Inghilterra , cinquemila franchi in Francia). La Rai ha tre trasmettitori ( a Milano, Roma, Torino ) ed una serie di ripetitori. Entro marzo metà della popolazione potrà ricevere il segnale televisivo. E' prevista una seconda fase, tra il 1955 e il 1956, che dovrebbe potare progressivamente ii segnale verso il Sud. I televisori costano tra le
160. 000 alle 250-300.000. lire a secondo che si tratti di 14 o 21 pollici. La rivista Pirelli traccia un sommario bilancio dei primi due mesi di programmazione ufficiale (Corriere della Sera 3/1/1954 ; Rivista Pirelli gennaio-febbraio 1954 ).
11-13 gennaio 1954: Si svolge a Parigi la conferenza per gli scambi internazionali di programmi televisivi cui partecipano i rappresentanti degli organismi di radio
diffusione di Italia, Belgio, Paesi Bassi, Svizzera, Francia, Gran Bretagna, Germania, Danimarca: Oltre agli scambi, i servizi televisivi rappresentati si impegnano ad assicurare la trasmissione diretta dei principali incontri della coppa del mondo di calcio. (Lo Spettacolo gen-mar 1954; Epoca 11/4/1954).
12 gennaio 1954: Il Corriere della Sera annuncia che Santa Chiara diventerà probabilmente la patrona della televisione. La decisione spetta alla Santa Sede. Nell'articolo si fa poi riferimento alla esortazione di Pio XII sul nuovo media e viene riportato una parte di un articolo apparso sulla rivista Collegamento, organo dei comitati civici, il settore più avanzato dell'Azione Cattolica. " La radio - scrive il periodico - ha oggi una penetrazione assai maggiore della stampa. In Italia nel 1953 i radioabbonati erano quattro milioni e mezzo. La televisione si svilupperà con tutta una vasta serie di cavi, per cui l'area servita entro il 54, comprenderà circa 20 milioni di abitanti. Come il telefono e la radio, anche la televisione, oggi giudicata un lusso superfluo, domani diventerà un utile mezzo di diletto e posdomani un indispensabile completamento della casa. Fin d'ora perciò, polarizziamo la nostra attenzione su questi potenti strumenti che possono far tanto male oppure tanto bene a seconda di come saranno guidati ".( Corriere della Sera
12/1/1954).
Gennaio 1954: Il trimestrale della Siae Lo Spettacolo pubblica il testo integrale del Codice di autodisciplina per la televisione. Il codice si articola in quattro parti (principi generali, norne particolari, criteri d'attuazione e norme relative ai programmi per i minori) e costituisce un vademecum per la censura. Tra i tanti, l'ottavo punto relativo alla moralità dei costumi recita: "i gesti, le parole, il canto, gli atteggiamenti scorretti o indecenti, le volgarità, i sottintesi scurrili od osceni sono proibiti". Libri ed articoli sulla televisione, attribuiranno per anni il codice a Filiberto Guala, che nel gennaio del 1954 è presidente dell'Ina- casa e solo nel giugno dello stesso anno diventa amministratore delegato della Rai. Il codice in realtà è mutuato da direttive morali dei
Centri Cattolici Cinematografici (C.C.C.) che a loro volta hanno fatto proprie indicazioni di analoghe associazioni americane. (Lo Spettacolo Gen-Mar 1954).
4 febbraio 1954: Il ministero dell'Interno dirama a tutte le prefetture una circolare contenente le norme sull'uso dei televisori nei locali pubblici. (Lo Spettacolo gen-mar 1954)
8 febbraio 1954: Il senatore democristiano Braschi in un interrogazione al Presidente del Consiglio chiede di conoscere quali norme s'intendono adottare per disciplinare e controllare i programmi televisivi al fine di garantire ai medesimi quel carattere familiare che è proprio di tali spettacoli. Nella risposta si dice che oltre alla Commissione Parlamentare di vigilanza è stato attivato presso il Ministero delle Poste e Telecomunicazioni, un comitato centrale di vigilanza con compiti di indirizzo che ha già esaminato e fatto propri le norme attraverso le quali la stessa Rai ha fissato i principi di ordine educativo a cui intende attenersi. (Corriere della Sera 9/2/1954).
25 aprile 1954: Il senatore socialista Busoni , durante la discussione del bilancio delle poste al senato, chiede per quali motivi la concessione del servizio televisivo sia stata affidata proprio alla Rai e per quali ragioni siano state escluse a priori tutte le offerte private. La risposta del Ministro Cassiani, il giorno dopo, è evasiva e sostanzialmente simile a quella data a Corbi il 27/4 alla Camera (Senato della Repubblica. Discussioni 25/5/1954 e 26/5/1954).
27 aprile 1954: Duro intervento dell'on.del Pci Bruno Corbi alla Camera nel corso dei lavori parlamentari relativi al bilancio delle Poste e telecomunicazioni. Corbi chiede: "Perché la concessione che assicura alla RAI il monopolio radiotelevisivo è stata rinnovata con un anno di anticipo? Perché la convenzione è stata firmata per la RAI dall'allora presidente Ridomi (poi liquidato) e per il ministero dall'ing.Antinori oggi consigliere RAI? Perché l'IRI che detiene il 75% delle azioni RAI ha un solo rappresentante nel consiglio di amministrazione dell'azienda? Corbi poi denuncia
due casi di mala informazione, uno dei quali particolarmente eclatante. Alluvione in Calabria: radiocronaca da un elicottero su una zona allagata. Tutto falso perché l'elicottero era a terra con i motori accesi. (Unità 28/4/1954. Atti Parlamentari: Discussioni. Seduta del 27/4/1954.
29 aprile 1954: Il ministro delle poste Cassiani risponde all'attacco di Corbi: "Si rese necessario determinare la futura organizzazione del servizio e dare alla società che avrebbe avuto la concessione sufficienti garanzie per l'immediato inizio dei lavori. "Cassiani sostiene che la scelta migliore era affidare la televisione alla stessa società che aveva in concessione la radio. (Atti Parlamentari. Discussione. Seduta del 29 aprile.)
16 maggio 1954: Si tiene a Firenze il convegno dell' associazione radioabbonati (ARA). Intervengono gli On. Calamandrei, Pieraccini e Schiavetti. Apre i lavori il senatore Mulè. Schiavetti annuncia la presentazione di un progetto di legge per democratizzare la RAI. (L'Unità 17/5/1954 pag. 8).
3 giugno 1954: Il consiglio d'amministrazione della Rai nomina presidente dell'azienda il prof.Antonio Carelli (già vice presidente). Conferma l'altro vicepresidente, avvocato Attilio Pacces, e chiama a ricoprire la carica di amministratore delegato l'ing.Filippo Guala. Direttore Generale è Giovan Battista Vicentini. (L'Unità 4/6/1954. Vedere anche Europeo 13/6/1954, capitolo curiosità. L'Unità 18/6/1954 capitolo opinioni).
4 giugno 1954: Gli onorevoli Schiavetti, Coroi, Ingrao Mazzoli e Pertini presentano alla Camera la seguente interrogazione: "I sottoscritti interpellano il Presidente Del Consiglio e il Ministro Delle Poste e Telegrafi per conoscere i criteri e i propositi in base ai quali è avvenuta, per quanto riguarda i doveri e la responsabilità del governo, la nomina dei nuovi dirigenti RAI. (L'Unità 5/6/1954).
6 giugno 1954: Per la prima volta giunge in Italia un immagine televisiva in collegamento da un altro paese. Si inaugura la eurovisione con una ripresa diretta
da Montreax, Svizzera, per la "Festa Dei Narcisi". Lo speaker è Vittorio Veltroni. (La Settimana Radio-Tv 3-9 giugno 1956).
18 settembre 1954: Il consiglio di amministrazione del ministero delle Poste decide lo stanziamento di 670 milioni per l'allestimento di una rete di cavi coassiali per lo sviluppo della televisione nel meridione. La notizia è pubblicata dal quotidiano economico 24 Ore. (Lo spettacolo luglio-settembre 1954).
21 luglio 1954: un gruppo di deputati, tra i quali gli onorevoli Semeraro e Melloni, presenta una interpellanza ai Ministri dell'Interno e delle Poste e Telecomunicazioni per sapere quali provvedimenti si intendano adottare per disciplinare l'uso della televisione nei locali pubblici. I deputati rilevano che in tutto il paese molti locali hanno allestito delle salette per assistere agli spettacoli televisivi all'interno delle quali vengono servite consumazioni a prezzi maggiorati e chiedono di sapere se tale sfruttamento dei programmi televisivi sia o meno autorizzato dall'ente concessionario. (Corriere della Sera 22/7/1954).
Dicembre 1954: Il settimanale Tempo riporta la notizia dell'esistenza di un progetto di rete televisiva transoceanica. Il piano si chiama N.A.R.C.O.M., dalle sigle inglesi "sistema per le ritrasmissioni attraverso l' Atlantico del Nord. Il progetto prevede l'impiego di settanta stazioni di ritrasmissione per micro-onde ad altissima frequenza collocate su alture lungo il percorso New York-Londra via Groenlandia. Sullo stesso principio si basa un analogo progetto di rete televisiva mondiale denominata U.N.I.T.E.L. (Tempo Verificare la data).
4 dicembre 1954: Per protesta contro gli aumenti fiscali decisi dal governo oltre mille cittadini di Piombino disdicono il canone. L'ARA (Associazione Radioabbonati e Ascoltatori) considerando tali provvedimenti un ostacolo alla diffusione della radio- televisione decide di investire del problema numerosi deputati e senatori. (L'Unità 4/12/1954).
8 dicembre 1954: L'Unità, richiamando un'articolo del Messaggero dà notizia della
protesta inoltrata dall'ambasciatore italiano in Cecoslovacchia Martino al governo ceco. Oggetto. Le trasmissioni di radio Praga (L'Unità 8/12/1954)
Gennaio 1955: Viene aumentato il canone radiotelevisivo: quello della radio passa da 2460 a 3300 lire, quello della televisione si attesta a 18 mila, tremila in più del precedente. I nuovi utenti sono esentati dal pagamento per i primi due anni (Europeo 12/12/54). L'Unità, intervenendo sull'argomento con una nota di Arturo Gismondi, fa notare come le spese per la televisione privilegio di pochi - ricadano tramite l'aumento del canone sul grande pubblico della radio: "Questo scherzo costerà agli utenti qualcosa come cinque miliardi, che andranno a finire in parte nelle casse della RAI e in parte allo Stato quale 'tassa di concessione governativa'. E meno male se l'aumento degli introiti servisse per migliorare i programmi, eliminando, ad esempio, una parte di quella pubblicità che ci infastidisce nelle ore strategiche del pranzo e della cena. Macché, niente di tutto questo. I dirigenti della Rai non si sono nemmeno sentiti in dovere di dare qualche contropartita agli ascoltatori, che valesse a giustificare in certo modo il sacrificio loro imposto. L'unica ragione che si adduce è la spesa per gli impianti televisivi. Cattiva ragione contro la quale a lungo e da ogni parte si è detto e scritto, giacché non si riesce a capire in base a quale principio una grande categoria di cittadini debba pagare per un servizio di cui non usufruisce". (Unità 3/1/55)
29 gennaio 1955: Lo scrittore Mario Soldati, intervistato dalla Stampa, dichiara la propria simpatia per la televisione: "La televisione - dice - è un fatto importantissimo. Nessuno sa ancora quali grandi cose essa potrà compiere, ma è un mezzo nuovo, una nuova possibilità per gli uomini di comunicare e di esprimersi. Ho una viva simpatia per la televisione: non le riconosco i limiti che da alcuni le si vogliono imporre". Rispetto alla possibilità che si possa egli stesso cimentare con il nuovo mezzo, Soldati risponde che "Non c'è nulla che io non voglia provare, conoscere.
Ogni esperimento, anche non riuscito, è un momento di vita. Infine è importante considerare il valore che ha la TV in provincia, nei paesi dove non c'è, o non c'è tutte le sere, il cinema. Bisogna aver provato, esserci stati. La TV è il mezzo con cui si comunica con il mondo. E' un entusiasmo, una fede che si trasmette a tutti. E' qualche cosa che cambia la vita. La solitudine della casa, della famiglia, del villaggio diventa, proprio perché è solitudine, un tramite di collettività!" (La Stampa 20/1/55).
1 febbraio 1955: Viene inaugurata a Mosca la prima emittente televisiva sovietica a colori. "I tecnici - annuncia inoltre l'Unità - lavorano attualmente al progetto di un nuovo sistema di distribuzione delle immagini, il quale dovrebbe permettere la ricezione dei programmi televisivi ad apparecchi di estrema semplicità. Il progetto, quando venisse attuato, ridurrebbe al minimo il prezzo degli apparecchi televisori e ne faciliterebbe enormemente la diffusione (Unità 2/1/55).
30 gennaio 1955: L'Europeo pubblica un articolo di Michele Galeani che si occupa delle critiche negative nei confronti della TV, decisamente in aumento negli ultimi tempi, e del "palesarsi di due indici negativi: il rallentamento delle nuove utenze e il rallentamento delle vendite di televisori".
La gente non si abbona più alla televisione e, anzi, in qualche caso chiede come fare per poter disdire il canone: "Vorrei sapere come si può fare a far sigillare l'apparecchio e se, una volta sigillato, si può rinnovare l'abbonamento quando i programmi saranno migliorati", si chiede la signora Ilda Bini. Goveani cerca di avere un ruolo di mediazione tra TV e pubblico, per poi concludere: "Vorremmo che il pubblico non si aspettasse miracoli ma che la RAI, senza far miracoli, facesse il suo dovere". (Europeo 30/1/55). Lo stesso giorno l'industria della televisione viene consacrata a S.Chiara, che nel 1958 sarà proclamata patrona della televisione (Corriere della Sera 30/1/55).
13 febbraio 1955: Il ministro delle Poste Gennaro Cassiani, in un articolo pubblicato dal Radiocorriere annuncia che, "con ben dodici anni di anticipo sul prestabilito,
l'Italia potrà contare alla fine del 1956 sulla piena copertura delle trasmissioni televisive". Il piano prevede l'installazione di trasmettitori in collegamento per cavo coassiale e per ponte radio. "La peculiarità del piano di questi collegamenti - dice tra l'altro Cassiani - consiste nel fatto che essi assolvono l'importante funzione di disporsi a catena diremo così tenendosi per mano - e costituire un ponte a grande distanza atto ad assicurare il servizio in caso di interruzione del cavo o comunque, sia pure con carattere di temporaneità, in sostituzione di quello" (Radiocorriere 13- 19/2/55).
27 febbraio 1955: Settimana Radio-Tv pubblica una nota di commento sull' "ardito piano di sviluppo" della Rai. "L'annuncio - scrive il settimanale - avrebbe dovuto dare un enorme sviluppo al diffondersi della TV. Sta di fatto che i costruttori sono molto preoccupati per la situazione del mercato (...). In parole povere: la gente compera meno televisori del previsto" (Settimana Radio-Tv 27/2 - 6/3/55).
6 marzo 1955: Rispondendo a una domanda di un lettore, Epoca pubblica una graduatoria mondiale tra i paesi che svolgono regolare servizio di televisione: l'Italia (con 100 mila apparecchi) è al 4°posto dietro Stati Uniti, Inghilterra e Unione Sovietica. 5° è la Francia, 6° la Germania.
28 aprile 1955: Per la prima volta le telecamere entrano a Montecitorio per trasmettere in collegamento diretto le operazioni di voto per la nomina del Presidente della Repubblica (Tempo 5/5/55).
5 giugno 1955: Settimana Radio TV annuncia che la Francia, con 174 mila apparecchi TV, ci ha superato nella graduatoria mondiale. L'articolo si intitola "Un grido d'allarme". Due settimane dopo un altro dato allarmante: "Nel gennaio 55 i nuovi abbonati furono 21000, in febbraio 13400, in marzo 8700, in aprile 5697. Finora, a quanto sappiamo, non c'è programma allo studio per migliorare la situazione".
12 giugno 1955: Michele Galeani, sull'Europeo, riferisce dell'inizio delle trasmissioni
della TV del Lussemburgo che serve, oltre il proprio territorio, anche una parte del territorio francese. "Si tratta di una trasmittente privata, come è privata Radio Lussemburgo - si legge nell'articolo intitolato 'Pensiamo al secondo programma' dovrà vivere quindi
con il gettito della pubblicità. Avremo mai qualche cosa del genere in Italia? Non nel territorio della Repubblica, almeno per molto tempo, dato che la RAI ha ottenuto dal governo italiano una concessione monopolistica. Fuori dal territorio nazionale, le possibilità, sulla carta, si riducono a tre e per essere precisi: la Svizzera, San Marino e il Vaticano. Su trasmissioni televisive dal Canton Ticino non si può contare. La Svizzera italiana è molto piccola e si limita a ricevere trasmissioni in partenza da Milano. Quanto a San Marino, la possibilità di una trasmittente privata, come quella lussemburghese, esisterebbe, ma riteniamo che all'atto pratico sia irrealizzabile. Se non si è mai arrivati a una Radio sanmarinese, non si arriverà nemmeno, verosimilmente, ad una TV sanmarinese. La minuscola Repubblica è controllata dall'Italia più rigorosamente di quanto la Francia controlli il principato di Monaco (che infatti ha una avviatissima Radio-Montecarlo e ha già buoni impianti TV). Non rimane che l'ipotesi di una TV Vaticana. Una trasmittente da San Pietro, colllegata alla rete italiana, anticiperebbe la soluzione di quel secondo programma che la nostra TV dovrà un giorno affrontare" (Europeo 12/6/55).
21 luglio 1955: Papa Pio XII interviene, con una lettera inviata al presidente delle "Settimane Sociali Francesi" sui mezzi divulgativi della stampa, cinema radio e televisione. "Lo sviluppo delle tecniche di diffusione nel ventesimo secolo dice il documento - ha posto un problema nuovo e indubbiamente più grave. Non si tratta dell'impiego buono o cattivo che l'uomo e la società possono fare di questi potenti mezzi di azione messi a loro disposizione, bensì del dominio smisurato che lo strumento, sfuggendo al controllo del suo artefice, tende ad esercitare oggi sulla persona umana. Più pericoloso anche dello del progresso tecnico dello scorso
secolo, di cui si poteva pur dire che nobilitava la materia a scapito dell'operaio, l'irruzione nella nostra società delle tecniche moderne di diffusione, minaccia l'uomo nella sua autonomia spirituale. Sotto la pressione di un dirigismo informativo mediante la seduzione dell'immagine mediante l'ossessione della propaganda, l'azione congiunta della stampa, della radio, del cinema e della televisione, riesce a foggiare la coscienza dell'individuo a sua insaputa: essa divide a poco a poco il suo universo mentale e determina atteggiamenti che vengono ritenuti spontanei" (La Stampa 22/7/55).
26 agosto 1955: All'Esposizione radio-televisiva" di Londra viene presentato un modello di televisore portatile con uno schermo di circa 22 cm per lato. "D'ora in poi
- scrive La Stampa - la televisione non solo ci attenderà, docile e immobile, in un angolo del salotto, ma ci seguirà (e in certi casi perseguiterà) ovunque noi ci recheremo; in caffè, in ufficio, in treno, alla fermata dell'autobus o nella stanza da letto" (La Stampa 27/8/55).
Settembre 1955: Molti giornali si occupano delle novità sul mondo televisivo che arrivano dall'Inghilterra, dove una rete commerciale - la ITA, Indipendent Television Authority - è pronta ad affiancarsi alla Bbc. La Stampa, in una
corrispondenza di Riccardo Aragno, descrive il clima di attesa verso i nuovi programmi, ancora circondati da un alone di mistero:" La grande industrie e il commercio - scrive il quotidiano torinese - che sono riusciti a strappare al Governo la televisione, appunto, commerciale, sono decisi a fare dell'ITA un qualche cosa di più inglese della BBC. Un grande mistero racchiude i dettagli dei programmi che da mesi vengono esperimentati. La pubblicità conta anche sull'elemento sorpresa. Ma già si sente dire che i music-hall saranno assai più divertenti, le notizie spiegate assai meglio e assai più vive, le orchestre assai più sinfoniche, i drammi assai più tragici e le commedie assai più comiche di quanto sia avvenuto fino ad ora. Per il momento un solo fatto è accertato. Che con l'avvicinarsi della concorrenza la BBC si
è lanciata in una serie di programmi assai più vivaci ed audaci di quelli di un anno fa. Ha vivificato le notizie e il varietà, le commedie e la presentazione in generale. Ha aumentato sensibilmente tutti i contratti per non lasciarsi sfuggire la parte migliore del personale" (La Stampa, 24/8/55). In altre occasioni, le notizie provenienti da Londra offrono la possibilità di commenti sulla situazione italiana, il cui tema è sempre lo stesso: se anche in Italia ci fossero due o più società in concorrenza, le trasmissioni avrebbero un ben diverso livello. Nel riportare queste opinioni, Settimana Radio-Tv si occupa anche della situazione americana, dove al contrario "le troppe stazioni continuano a frastornare i telespettatori, tanto che qualcuno ha avanzato la proposta di un sistema in cui si paga per quello che si vede, mediante una segnalazione telefonica" (Settimana Radio TV 1-10/9/55)
24 Settembre 1955: La televisione commerciale ITA inizia le sue trasmissioni a Londra. L'Unità dedica all'avvenimento un articolo intitolato "Strumento dei padroni", nel quale riferisce dell'ostilità dimostrata al progetto da parte del Partito Laburista: "Siamo nel pieno di un'ondata inflazionistica - è la tesi del Labour Party - ed invece di fare di tutto per limitare i consumi, si lascia mano libera ad una enorme macchina pubblicitaria che, per giustificare il proprio successo, deve appunto indurre il pubblico a consumare di più" (Unità 26/9/55).
23 ottobre 1955: Nasce una controversia tra il Radiocorriere e Settimana Radio-Tv sulla "pretesa esclusiva del notiziario Rai sui programmi radiofonici": Settimana Radio-Tv chiede infatti alla Rai di poter utilizzare per la pubblicazione i palinsesti dettagliati anche per quanto riguarda i programmi radiofonici, ma la Rai rifiuta. La questione avrà un seguito anche in sede legale. Tra l'altro la Rai, accusa Settimana Radio TV, fa abusivamente pubblicità al giornale nel corso della sua programmazione. ("Esclusiva abusiva", Settimana Radio-Tv 23-29 ottobre 1955).
21 ottobre 1955: Pio XII, ricevendo i delegati dell'UER, torna a parlare di televisione:" La televisione - dice - entra già dappertutto e vi entrerà ancora di più:
nei locali pubblici, come nell'intimità della casa di modo che sarà possibile a tutti di goderne con tranquillità e raccoglimento. Il bene e
il male che possono risultare attualmente o in futuro dalle trasmissioni televisive sono dunque incalcolabili e imprevedibili" (Radiocorriere 30/10/55).
Ottobre 1955: il Ministro delle Poste Giovanni Braschi, nel discorso conclusivo alla Camera sul bilancio delle Poste conferma che la televisione entro il '56 arriverà in tutta Italia, Sardegna compresa.
Ottobre 1955.Da un'inchiesta della Doxa effettuata nel febbraio marzo del 1955 risulta che in quel periodo 370.000 spettatori assistevano ogni giorno alle trasmissioni in casa propria, 3.200.000 seguivano gli spettacoli televisivi in locali pubblici due o più volte la settimana, mentre un milione circa di persone assistevano alle trasmissioni in casa di amici e parenti due o più volte la settimana. (Radiocorriere TV n.49.1955 23-29 ottobre).
2 novembre 1955: Il Corriere della Sera scrive: "Non è questa la sede per giudizi critici, ma è compito della cronaca constatare che non si era mai avuta una ondata di proteste e di indignazione così alta come quella che si è rovesciata nelle ultime settimane negli uffici della Rai". E poi, più avanti: "All'origine di tutto sta l'errore di aver portato a Roma, completamente ormai, la direzione della TV".
Novembre 1955: Diversi giornali si occupano della "crisi della Rai". Il quotidiano Il Tempo e il settimanale l'Espresso chiedono apertamente la sostituzione del consigliere delegato Filiberto Guala "Gli ascoltatori italiani sanno di pagare il più alto canone del mondo e non gli interessa se quello che pagano è una tassa (come ha deciso la sentenza della Cassazione) il cui gettito va alla RAI soltanto in parte. Sanno invece che in America non si paga abbonamento, e che in Inghilterra, dove si paga l'abbonamento, la pubblicità è bandita dai programmi. In Italia, dove si paga l'abbonamento, e si subisce al tempo stesso la pubblicità, si vorrebbe essere consolati dalle buone trasmissioni. Esse sono, invece, del tutto scadenti ("Vuole
salvarci l'anima, non ci salva gli orecchi e gli occhi", Fabrizio Dentice, L'Espresso 6/11/55)
13 novembre 1955: Epoca pubblica un ventaglio di opinioni sui programmi della TV italiana: "La TV è una serie di possibilità mancate afferma lo psichiatra Dino Origlia - In primo luogo quella di porsi come nuova forma di spettacolo. Poi per quanto riguarda la funzione sociale: in luogo di arricchire la vita morale dello spettatore, ne accresce al contrario la passività e la pigrizia; in luogo di stimolarlo alla riflessione e al dialogo lo trasforma in uno squallido risolutore di quiz. Gli fornisce, nella migliore delle ipotesi, degli scampoli di realtà prefabbricate avvolti in leziosi sacchettini di cellofan". Scrive invece il critico teatrale Ferdinando Palmieri: "So benissimo che chi cura la scelta del repertorio drammatico deve sottostare a troppe limitazioni d'ordine morale e politico, ma mi pare evidente che difficilmente l'attore rende davanti alle telecamere come davanti alla ribalta. Né voglio qualificare, perché inqualificabili, certe sceneggiature, certe riduzioni, certe realizzazioni. E certe riviste". Più secca e decisa, come nel suo stile, la risposta
di Leo Longanesi: "Non ho mai assistito a una trasmissione televisiva" (Epoca 13/11/55). Nelle settimane seguenti altri settimanali propongono servizi simili: per Beniamino Gigli la TV "è una scocciatura" (Settimana Radio-Tv 20-26/11/55) Dicembre 1955: I giornali cominciano a registrare il successo di una nuova trasmissione televisiva, intitolata "Lascia o Raddoppia", condotta da Mike Bongiorno, la cui prima puntata è stata trasmessa sabato 19 novembre 1955 (la prima puntata ufficiale è della settimana successiva, giovedì 26). Accanto ai giudizi positivi - confermati del resto dagli enormi consensi che la trasmissione raccoglierà (fino al 1959) nelle sue 191 puntate da parte del pubblico - si leva qualche voce di moderato dissenso: "A costo di passare per moralisti o guastafeste - scrive Gismondi sull'Unità
- ci permetteremo di osservare come una rubrica di questo genere contenga in sé, implicito, un concetto di cultura sbagliata e a nostro parere sommamente
diseducativa. Essa tende infatti ad esaltare dinanzi al pubblico, spacciandola come cultura, una forma di erudizione minuta e pedantesca, nella quale fatti e cose perdono ogni legame tra loro e con la realtà per divenire solo elementi di contesa agonistica o di fatua curiosità" (l'Unità, 12/12/55).
1 gennaio 1956: Il settimanale Epoca in lungo articolo intitolato Rai: "Dove vai?" nel quale vengono raccontati gli umori e la situazione dell'azienda di Stato, scrive: "Vi è perfino chi sostiene, proprio negli ambienti della Rai, che la sola salvezza per la TV sarebbe la creazione di un emittente in concorrenza, ora che tutte le città italiane stanno per essere unite e con i ponti radio e con un allacciamento di cavi coassiali. Pare anzi che possa essere la stessa Democrazia Cristiana a suggerire in Parlamento la rottura del monopolio radiotelevisivo. Sono soltanto voci ancora lontane dal trasformarsi in realtà. Ma dovrebbe essere un problema da affrontare presto, prima che la televisione della Rai ospiti la pubblicità sui suoi schermi. Del resto, lo stesso provvedimento è Stato già adottato dalla conserva trice Inghilterra, dove alle stazioni governative della BBC sono state affiancate stazioni commerciali (Epoca 1/1/1956).
24 marzo 1956: In un articolo intitolato "Nuove idee alla TV", Franco Martinelli traccia sul settimanale "Tempo" un bilancio dei primi due anni della televisione italiana, scrivendo tra l'altro: "Senza dubbio la mancanza di concorrenza gioca in senso negativo nei riguardi della TV che opera in regime di monopolio totale. In Gran Bretagna, dopo aspra battaglia, un gruppo industriale è riuscito a dar vita a una seconda rete televisiva, accanto a quella governativa della BBC: e i risultati si sono rivelati così positivi che lo scorso anno i televisori venduti in Inghilterra sono stati 800 mila. In Italia purtroppo questo non sarà possibile, almeno per ora: la concessione accordata all'ente radioteletrasmittente è unica, e non prevede sdoppiamenti" (Tempo 24/3/56).
28 giugno 1956: Filippo Guala si dimette da amministratore delegato della Rai. Poche ore dopo l'ufficio stampa dell'azienda comunica la nomina del suo successore: Marcello Rodinò, già direttore della Azienda Elettrica Meridionale. Rodolfo Arata ex direttore del Popolo è nominato nuovo direttore generale. Rodinò si occuperà della parte tecnico-amministrativa. Arata dei programmi. Guala che successivamente si ritirerà in convento ha gestito la Rai per due anni. Democristiano di sinistra è considerato un "lapiriano" per la sua rigidità morale e per le censure che ha apportato ai testi ed al lavoro degli attori. (Pippo, Mike e Raffaella pag. 29; Settimana Radio-Tv 15/21. 7. 1956).
1 Luglio 1956: Il periodico Settimana Radio -TV, dedica un lungo articolo sull'ingresso della pubblicità nelle trasmissioni televisive. Il settimanale sostiene, tra l'altro, che uno dei motivi alla base della decisione è costituito dal deficit Rai stimabile in due miliardi L'inserimento della pubblicità è annunciato per l'inizio del 1957. Nello stesso numero, Settimana Radio-Tv, in un' articolo intitolato "Fumata Bianca" nel commentare il cambio della guardia ai vertici Rai auspica che l'ing. Rodinò, nuovo direttore generale, risolva i contrasti tra il periodico e il Radiocorriere TV. (Settimana Radio-Tv 17/7/1956).
22-28 luglio 1956: A che servono tanti quattrini. E' il titolo di un'articolo di Settimana Radio-Tv nel quale si cercano d'individuare le ragioni del deficit Rai stimato in due miliardi. Cachet artistici alti, programmi annullati sono solo alcune della cause. Scrive il settimanale: "Il nostro dubbio è che nella catena della Rai-Tv, ente poliedrico e polivalente, autorizzato a troppe attività collaterali (dal campo della produzione musicale a quello editoriale) vi sia una falla, vi sia, vogliamo dire, un attività passiva per costituzione, per anemia congenita, un'attività, quindi, verso la quale sia obbligatorio convogliare continue improduttive masse di denaro". (Settimana Radio-Tv 22-28/7/1954 n. 30).
8 luglio 1956: Il settimanale Epoca (n. 301) pubblica nella rubrica "Italia Domanda" la
lettera del signor A. Mengaroni di Faenza: "La Corte Costituzionale si richiama nella sua prima sentenza, all'art. 21 della Costituzione che dice: tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione . Questo vuol dire che il cittadino o enti privati sono anche liberi d'impiantare stazioni radio-tv ?" Rispondono Alfredo Verde (Primo Presidente della Corte di Cassazione), Raffaele De Caro (Ministro senza portafoglio), Ugo La Malfa, Guido Gonnella (Ministro per la Riforma dell'Amministrazione) Raoul Chiodelli (ex direttore generale dell'Eiar), Aldo Garosci (scrittore) Achille Battaglia (Avvocato). I giudizi espressi sono in maggioranza negativi ma diversamente motivati. Solo La Malfa si richiama al modello inglese (controllo dello Stato per impedire il turbamento della pubblica tranquillità e danni alla libertà dei singoli cittadini). (Epoca 8/7/1956).
7 agosto 1956: L'Unità riporta la notizia che la Rai sta accarezzando l'idea di produrre il primo settimanale d'attualità. L'autore, che si firma con le iniziali A. Gi. (dovrebbe essere Arturo Gismondi), richiamando analoghe trasmissioni della TV americana sostiene che la Rai operando in regime di monopolio ha maggiori responsabilità verso gli abbonati-contribuenti. E aggiunge "I quadri giornalistici della Rai, tutti li conosciamo: sono i vari Zincone, Spadolini, Paternostro, Valcini". (L'Unità 7/8/1956).
7 agosto 1956: La rete televisiva italiana avrà il numero maggiore di stazioni in Europa, quando tra la fine del 1956 e i primi mesi del 1957, sarà estesa a tutta Italia. (La Stampa 7/8/1956).
15 Agosto 1956: Per canoni di abbonamento tra radio e TV gli italiani hanno pagato 17 miliardi di lire e oltre 33 miliardi per l'acquisto di apparecchi, il che costituisce il 43 per cento della spesa di tutti gli spettacoli. Possiedono la televisione 2357 sale cinematografiche, 2911 bar, 3102 alberghi, 7961 circoli culturali e 291 grandi magazzini e negozi al marzo del 1956. La fonte è l'annuario statistico. (L'Unità 15/8/1956.).
6 settembre 1956: L'avv. Peyron, sindaco di Torino, preoccupato per lo sviluppo della televisione a Torino annuncia che si recherà a Roma per incontrare i dirigenti della Rai. Torino, a differenza di Milano e Roma, dispone di un solo studio televisivo. Molte delle rubriche abitualmente prodotte nel capoluogo piemontese sono state annullate. (La
Stampa 6/9/1956).
23/29 settembre 1956: Settimana Radio-Tv pubblica i dati relativi alla vendita di televisori nel mondo secondo la statistica resa nota da " Television Factbook ". L'Italia, insieme con la Francia è al quinto posto con 300. 000 apparecchi. In testa sono gli Stati Uniti con 39. 000. 000 di apparecchi. Seguono a distanza Gran Bretagna con 2milioni e 200. 000; URSS con un milione; Germania Occidentale con 430. 000.
30 ottobre 1956: Roma Kaput tv.E'il durissimo titolo di un articolo pubblicato da Settimana Radio-Tv nel quale si condanna la centralizzazione dei servizi televisivi a Roma, a scapito dei centri di produzione di Milano e Torino. Argomento questo ricorrente sulla stampa del nord. (Settimana Radio-tv 30/9 6/10 1956; La Stampa 28/11/1956).
Ottobre 1956: Al circolo della "Famiglia Meneghina" si tiene un dibattito sull'incostituzionalità del monopolio. Vi prendono parte Don Ernesto Pisoni, direttore del quotidiano cattolico "L'Italia", Beonio Brocchieri, giornalista e giurista, Giovanni Cenzano, commediografo e articolista e il professor Carlo Emilio Ferri, docente di diritto all'Università di Pavia. Da questo dibattito nasce l'idea di creare anche in Italia una televisione indipendente. Il giornalista Vincenzo Rovi sonda subito gli ambienti industriali milanesi senza però ottenere alcun risultato pratico. Ma l'idea viene raccolta anche da Attilio Volontieri che inizia a tessere le fila di un progetto televisivo gestito da una società privata. NB. Tutte le iniziative milanesi in campo televisivo (dal 1956 al 1958) si congiungono, direttamente o indirettamente, al
ridimensionamento del Centro Rai di Milano che, nel giro di un anno e mezzo, diventa semplice centro di produzione, perdendo quasi totalmente ogni prerogativa nella ideazione dei programmi. ( Il Paese 1/11/1956 Settimana Radio-Tv 2- 8/11/1958; Settimo Giorno 6/11/1958).
15 ottobre 1956: Per iniziativa di un gruppo di industriali settentrionali si costituisce a Milano la società Centro Milanese Cinetelevisivo. Capitale iniziale 100 milioni; disponibilità finanziaria fino a 6 miliardi; uffici in piazza Missori 3. L'amministratore delegato è Attilio Volontieri, il responsabile dell'ufficio legale l'avvocato Eucardio Momigliani. Tra i fondatori c'è l'ing. Oreste Cacciabue che ha avuto parte rilevante nella fondazione del Giorno (vedi Settimo Giorno 14/7/1960). Gli esponenti del PLI milanese Grassi, Robba e Ghoering aderiscono alla società. L'obiettivo e quello di rompere il monopolio Rai, chiedendo ad un non precisato organismo internazionale con sede a Ginevra l'assegnazione di una frequenza. Ottenuto ciò verrà richiesto al Ministero degli Interni l'autorizzazione a trasmettere. In caso di risposta negativa si pensa ad una battaglia in sede costituzionale. I vertici del CMC sottolineano l'anomalia strutturale della Rai: ente a capitale pubblico gestita come un azienda privata. La società si propone di operare nel campo cinematografico oltre che in quello televisivo. Annuncia l'istituzione di corsi per maestranze presso l' Umanitaria e
contatti con le aziende produttrici di TV per la commercializzazione di apparecchi in grado di captare entrambe le stazioni o anche solo quella privata. La società si finanzierebbe attraverso la raccolta pubblicitaria, senza alcun canone. (La Stampa 17/11/1956, Il Giorno 18/11/1956; Corriere Lombardo 20-21/11/1956. Vedere anche Settimana Radio-Tv 2-8/12/1956).
30 Ottobre 1956: In previsione dell'ingresso della pubblicità nei programmi televisivi, l'Unità pubblica un articolo nel quale chiede - fatto qualche conto sul valore delle nuove entrate - la riduzione del canone televisivo (L'Unità 30/10/1956). "Il calo del
canone - come scrive il settimanale Settimo Giorno del 10/11/1956. -era Stato anche un'allegra promessa elettorale dell'On. Fanfani, ma altrettanto ovviamente avevamo avvertito di non tenerne conto". (Settimo Giorno 10/11/1956.)
17 novembre 1956: Il quotidiano Il Tempo di Roma pubblica la lettera del sign. Annetto Buongiovanni, il quale chiede in base a quale legge o quale diritto costituzionale le trasmissioni televisive in Italia sono monopolio di un solo ente. E' l'inizio, anche se sotterraneo e un po' sui generis di una campagna di stampa del quotidiano romano contro il monopolio televisivo a supporto dell'azione della costituenda società televisiva Tempo TV . (Il Tempo 17/11/1956).
19-20 Novembre 1956: Secondo il quotidiano del pomeriggio, Paese Sera, Il direttore della Rai di Milano, avrebbe contattato Attilio Volontieri, amministratore delegato del Centro Milanese Cinetelevisivo, dicendo di essere disposto a prendere in considerazione gli eventuali programmi televisivi prodotti dalla nuova società. La notizia è riportata anche da Il Giorno del 18. 11. 1956. Il giornale riferisce anche che tutti i partiti politici, fatta eccezione per la DC, sarebbero favorevoli all'iniziativa della società milanese. (Paese Sera. 19/20. 11. 1956).
19 Novembre 1956. Un articolo dell'Unità sottolinea ancora una volta il problema dell'abbassamento del canone in relazione all'ingresso della pubblicità in TV. (l'Unità 19. 11. 1956).
21 novembre 1956: Anche l'Unità riporta la notizia della nascita del Centro Milanese Cinetelevisivo. Sottolinea come l'aver sottratto la Rai ad ogni forma di controllo del Parlamento ha prestato il terreno ai gruppi monopolistici per condurre un'azione propagandistica contro un "monopolio statale" (nota bene per la prima volta scritto tra virgolette) soffocatore della "libertà di concorrenza". "Sotto questa falsa bandiera
-la libertà di concorrenza - i monopoli privati, forti dei giganteschi mezzi finanziari di cui dispongono, sferrano la loro battaglia per spezzare il monopolio statale della Rai. "(L'Unità 21. 11. 1956).
22 novembre 1956: Il Corriere Della Sera riporta la notizia che in Consiglio Comunale si è discusso, il giorno precedente, del timore che la Rai intendesse chiudere il Centro di Milano. (NB Va sottolineata la concomitanza tra l'azione di centralizzazione della Rai - che nel volgere di poco tempo assegnerà a Milano solo compiti produttivi sottraendogli
quelli ideativi- e la nascita di una iniziativa privata nel capoluogo lombardo, fino a quel momento centro propulsore per quantità e qualità della televisione italiana. (Corriere Della Sera 22. 5. 1956)
22 novembre 1956: La Stampa riferisce di una riunione di alti funzionari Rai nella sede di Milano durante la quale si è esaminata anche l'iniziativa di alcuni industriali settentrionali in campo televisivo. Il giornale piemontese anticipa la notizia dell'arrivo di tecnici televisivi tedeschi nel capoluogo lombardo, notizia che verrà ripresa nei giorni successivi da altri giornali. E avanza l'ipotesi che la comitiva si rechi a San Marino per verificare se è possibile operare dal territorio del piccolo Stato che è fuori dalla giurisdizione italiana. La Stampa riporta poi un indiscrezione secondo la quale sta per essere costituto un comitato di garanzia a tutela dell'iniziativa televisiva milanese, del quale fanno parte illustri nomi dell'arte, della finanza e della politica milanese. (La Stampa 22/11/1964).
24 novembre 1956: Si costituisce a Roma con rogito notarile del notaio Tuccari il Tempo TV, società a responsabilità limitata con riserva di trasformarsi in società per azioni. Hanno partecipato alla fondazione il sen. Renato Angiolillo, Il Cav. del Lavoro Anacleto Gianni, il dr. Arturo Osio, il dr.Bruno Baiocchi, il comm.Libero Palmieri, l'avv.Antonio Modafferi. Il libro "L'Emittenza Privata in Italia dal 1956 ad oggi" aggiunge ai nomi precedentemente elencati quello di Raoul Chiodelli, che fu a suo tempo direttore dell'Eiar nel periodo delle prime sperimentazioni televisive. Presidente del consiglio di amministrazione il sen. Renato Angiolillo, consiglieri di amministrazione Baiocchi e Palmieri. L'art. 4 specifica l'oggetto sociale. " La società
al fine di concorrere al progresso materiale e spirituale della Nazione, si propone lo scopo di trasmettere con impianti radio-televisivi, cerimonie spettacoli e programmi artistici in genere, avvenimenti sportivi, conferenze discorsi, attualità nonchè notizie e comunicati di carattere economico, sociale e culturale connessi con la vita politica del paese (Il Tempo 30. 11. 1956).
25 novembre 1956: Fine di un abuso. E' il titolo di un articolo di Settimana Radio-Tv con il quale il periodico concorrente al Radiocorriere appoggia l'iniziativa della società televisiva milanese. Il settimanale sostiene che i finanziamenti alla nuova televisione sarebbero garantiti da banche svizzere. (Settimana RadioTv 25. 11. 1956. ).
25 Novembre 1956: Il direttore di Epoca, Enzo Biagi, dice la sua sul centro televisivo milanese. In un articolo di critica ai programmi televisivi scrive: "La Costituzione autorizza il cittadino italiano a pubblicare giornali, ad affigger manifesti, ad usare altoparlanti. non si capisce perchè gli debba essere inibito l'uso delle telecamere. Rispettando le nostre leggi e le convenzioni internazionali deve essere possibile anche da noi ciò che è ammesso, ad esempio, negli Stati Uniti e in Inghilterra. La concorrenza migliora il prodotto". (Epoca 25. 11. 1956).
26 novembre 1956: L'Unità riporta la notizia della riduzione di duemila lire del canone televisivo per il 1957. Ma l'organo ufficiale del PCI si dichiara insoddisfatto perchè nelle casse della Rai sono entrati, attraverso la pubblicità, due miliardi " e ciò significa che la riduzione poteva essere ben più forte di quel che non sia stata". (L'Unità 26. 11. 1956).
27 novembre 1956: Il quotidiano il Tempo di Roma riporta la notizia dell'unificazione dell'attività televisiva della Rai nel nuovo centro di via Teulauda a Roma. Dopo aver definito l'avvenimento un terremoto, da notizia dell'attività della società televisiva milanese, annunciando, tra le righe, che anche a Roma si parla di un'analoga iniziativa da parte di una società privata. " Esponenti della privata iniziativa ritengono
che esistono concrete possibilità di vincere la battaglia contro il monopolio di Stato e della Rai-Tv e che, in un periodo ragionevolmente breve si possa giungere alla realizzazione degli attesi liberi programmi televisivi. "(Il Tempo 27. 11. 1956. ).
27 novembre 1956: Tecnici tedeschi del ramo televisivo sono a Milano, invitati dalla società che intende esercire in Italia una stazione TV "privata" in concorrenza con quella dello Stato. Anni fa un industriale veneto, residente a Milano, il conte Delle Molle, cercò mezzi e persone per costituire una società televisiva. Egli ottenne l'adesione di grossi complessi industriali, ma, alla fine, non se ne fece niente. (Il Tempo 28. 11. 1956). Lo stesso pomeriggio Carlo Galimberti scrive sul Corriere Lombardo: Questa sera o domani saranno distribuite le cariche sociali del Centro Milanese Cine-Televisivo, "la nuova società sorta con lo scopo principale di ottenere dallo Stato il permesso per la trasmissione di un secondo canale televisivo". (questo elenco, in realtà, non sarà mai pubblicato) Nell'articolo si legge inoltre: "Alcuni giorni fa, un gruppo di tecnici tedeschi è giunto a Milano su invito del 'Centro'. Compito di questi tecnici è quello di studiare le opportunità e le possibilità di iniziare la installazione delle apparecchiature del territorio nella stazione televisiva nel territorio della repubblica di San Marino. Lo scopo di tale iniziativa è molto semplice: a quanto pare, in un caso precedente (ma si trattava di altra società), il Governo italiano, al quale era Stato chiesto il permesso per un programma televisivo, rispose negativamente adducendo la ragione che occorrendo un lungo periodo di tempo per preparare una nuova stazione trasmittente, durante quei lavori la trasmissione dei programmi Rai avrebbe subito sensibili danni a causa delle interferenze (Corriere Lombardo 27/11/1956).
28/29 novembre 1956: Botta e risposta tra Corriere Della Sera e Il Tempo. Il giornale milanese, in un articolo del 28 novembre, solleva dubbi sulla riuscita dell'iniziativa del gruppo industriale di recente impegnatosi in campo televisivo, riportando opinioni di" ambienti responsabili romani della Rai". Il Corriere non specifica se si tratti della
società romana o di quella milanese. Ma sostiene che l'esistenza della convenzione tra Rai e Stato del 1952 sarebbe da sola
sufficiente a dirimere la controversia. Il quotidiano poi, afferma che la Rai solo esteriormente ha la forma di una società privata. Il giorno dopo un fondo durissimo de Il Tempo, intitolato "L'Amico del giaguaro. "L'amico del giaguaro - scrive il quotidiano romano - afferma che la tesi dei sostenitori della libera concorrenza in materia di trasmissioni radiotelevisive e della incompatibilità della concessione in regime di monopolio con la norma costituzionale, dovrebbe essere convalidata nella sede giudiziaria competente PRIMA che l'iniziativa di un gruppo concorrente possa esplicarsi. E perchè ? C'è qualcuno o qualcosa che possa impedire ad una società privata di chiedere una concessione allo Stato ? Spetta allo Stato rifiutare, motivando. E su questo eventuale rifiuto che insorgerà la questione di legittimità costituzionale".
28 novembre 1956: La Stampa riporta la notizia della riorganizzazione in atto all'interno della Rai che prevede la centralizzazione a Roma dei programmi e compiti secondari e di sola realizzazione produttiva alle sedi di Milano e Torino. ( Corriere della Sera 28/11/1956; Il Tempo 29/11/1956).
29/30 novembre 1956: Il Corriere Lombardo pubblica un articolo nel quale sostiene
-citando fonti romane ben informate - che nella capitale stanno sorgendo tante piccole società televisive che hanno lo stesso scopo del Centro Milanese: rompere il monopolio della Rai. Ma l'azione di queste società sarebbe incoraggiata dalla stessa Rai al fine di farne entrare una o qualcuna come azionista all'interno della società milanese, ottenendo un ampio controllo delle attività e condizionandone le scelte. (Corriere Lombardo 29/30. 11. 1956).
30 novembre 1956: Articolo del Borghese intitolato "I Perchè Della Repubblica": Perchè i comunisti difendono il monopolio statale della Televisione, contro il progetto privato di costituire una nuova emittente a Milano ? Perchè alla Rai-tv, pur con
direzione democristiana, gli amici dei comunisti abbondano. (Borghese 30/11/1956). 1 dicembre 1956:. L'Unità pubblica un articolo riassuntivo della nuova situazione che si è venuta a creare in campo televisivo. Il titolo è significativo: "All'annuncio della pubblicità i capitalisti scoprono la TV". L'organo del PCI afferma che in prossimità dell'ingresso della pubblicità in TV, i gruppi privati, sulla base dell'esperienza americana e inglese fiutano l'affare. Fa i nomi di Falk e Italcementi. e afferma: "La rottura del monopolio servirebbe in questo caso sia ad aprire la strada per affari più cospicui, sia a togliere alla Rai il mercato pubblicitario. L'esistenza di una rete commerciale infatti metterebbe la Rai nella necessità di scegliere fra il canone e i proventi pubblicitari. Saremmo in questo caso nel terreno prediletto dai gruppi privati, che è quello della socializzazione delle perdite e della privatizzazione degli utili. (L'Unità 1/12/1956).
2 dicembre 1956: La maschera e il volto. E' il titolo di un corsivo del Il Tempo relativo al canone. In previsione dell'ingresso della pubblicità in televisione . Il Governo annuncia la riduzione del canone da parte degli utenti privati. Ma contemporaneamente aumenta il canone di bar, alberghi, locali pubblici, " somma che finirà per essere pagata dai consumatori attraverso un invisibile quanto logico ritocco dei prezzi delle consumazioni servite nei caffè, ecc. E' strano ma i governanti non sono mai riusciti a capire che ogni tributo destinato a colpire le attività industriali e commerciali finisce sempre sulle spalle del povero consumatore". (Il Tempo 2/12/1956). Settimana Radio-Tv, ospita un articolo nel quale si spiegano nei dettagli scopi e composizione della Pontificia Commissione per la TV. (Settimana Radio-Tv 2-8/12/1956).
6/7 dicembre 1956: Il Corriere Lombardo fa il punto sulle reazioni politiche all'annuncio della creazione del Centro Milanese Cinetelevisivo. Favorevoli i liberali e i socialdemocratici. Da parte della Dc non si esprimono giudizi, mentre le destre contestano la centralizzazione della Rai a Roma. L'ente di Stato dal canto suo
smentisce questa tesi ribadendo l'operatività delle sedi di Milano e Torino e - secondo l'autore dell'articolo Enrico Basile - starebbe sondando ambienti costituzionali per sapere quale accoglienza potrebbe avere un eventuale ricorso della società milanese. (Corriere Lombardo 6-7/12/1956).
9 dicembre 1956: Sul settimanale Epoca Giorgio Vecchietti firma un'inchiesta, intitolata la Triplice Alleanza, sul panorama delle nuove iniziative private in campo televisivo. Si tratta di un quadro riassuntivo della situazione a Roma, Napoli e Milano. Aggiunge particolari sui soggetti promotori e lo scenario complessivo nel quale si muovono. Inoltre sottolinea che in Europa, la Rai-Tv è l'unica a godere del duplice privilegio dell'esclusiva del canone di abbonamento (superiore a quello francese, all'inglese e al tedesco che ammontano rispettivamente a lire 10. 680, 5. 250, 12. 600) e delle trasmissioni pubblicitarie (Epoca 9/12/1956). N. B. In Italia il canone è di 16. 000 lire. In un articolo dal titolo "Telecervelli all'ammasso nelle sedi periferiche " Settimana Radio-Tv, dopo aver affermato che " Rai-Tv vuol dire dittatura in moltissimi settori della vita nazionale e dopo aver sgombrato il campo da equivoci campanilistici, lancia l'idea di far partire subito il secondo canale televisivo della Rai per evitare il depauperamento e la smobilitazione della direzione di Milano che secondo il piano centralistico della Rai avrebbe - come del resto tutte le sedi - una funzione di produzione e non di ideazione dei programmi. Il piano per il secondo canale sarebbe già Stato predisposto da Sernesi attuale presidente dell'Iri ed ex dirigente Rai. Secondo il periodico le iniziative private non avrebbero capacità di riuscita finanziaria perchè le banche sono sotto il controllo dell'Iri e L'Iri è il maggior azionista della Rai. L'entrata di capitali esteri superiore al mezzo miliardo è ugualmente controllata dall'Iri. (Settimana Radio-Tv 9/15. 12. 1956).
13 dicembre 1956: A firma Mario Galdieri appare su Paese Sera un articolo intitolato " E' in pieno sviluppo la battaglia per la TV. Si tratta di un altro e più schematico quadro riassuntivo della situazione (Paese Sera 13/12/1956; vedi anche Paese Sera
14/12/1956).
14 dicembre 1956: Paese Sera ritorna ancora sull'argomento, descrivendo in particolar modo, la situazione del Centro Milanese Televisivo . Uno dei finanziatori sarebbe Mondadori che impegnerebbe anche degli intellettuali a lui vicini. Paolo Grassi assumerebbe la direzione artistica e teatrale. Luchino Visconti è uno dei registi "corteggiati" Al nuovo centro televisivo farebbero riferimento parlamentari di diversi partiti con l'esclusione dei democristiani dei missini e dei comunisti. "La presenza di esponenti del mondo finanziario lombardo, piemontese, ligure, emiliano, fa supporre che la nascente attività cinetelevisiva interesserà, grosso modo, una vasta zona del Nord, e precisamente il qudrilatero compreso tra Milano e Torino". Lauro a Napoli lancia un'analoga iniziativa accompagnandola con una campagna stampa locale di sostegno incentrata sulla possibilità di occupazione per gli intellettuali meridionali che la televisione fornirebbe. (N. B. Tutte le iniziative private, con la sola eccezione di quella romana si sposano con un desiderio di decentramento contrapposto al centralismo della Rai) (Paese Sera 14-15/12/1956. 17 dicembre 1956: L'Unità attacca la Rai per la "scarsa e velenosa informazione" che i notiziari dell'ente di Stato hanno riservato al congresso del PCI. (L'Unità 17/12/1956).
19 dicembre 1956. Il Tempo di Roma pubblica in prima pagina un articolo che mette in evidenza le differenze tra l'iniziativa di TVL e quella di Tempo TV. Dopo aver fatto cenno alla società di Lauro, il Tempo parla di un' analoga iniziativa che starebbe per essere presa a Palermo "non senza interessamento da parte della regione siciliana". (Il Tempo 19/12/1956). "Tempo TV" chiede al Ministro delle Poste Giovanni Braschi
6 canali per trasmettere nel Lazio, in Campania e in Toscana, con eventuale e successiva estensione anche ad altre regioni . Nell'istanza si afferma che per le trasmissioni non verrà' richiesto alcun canone e viene fatto osservare che" l'inserzione di annunci pubblicitari in seno ai programmi TV trasmessi da un ente
che percepisce canoni di abbonamento è contraria alla prassi in atto presso le maggiori organizzazioni di radio e televisione del mondo (canone di abbonamento e pubblicità sono incompatibili tra loro, in quanto l'utente che è obbligato a pagare il corrispettivo, ha il diritto di non ricevere programmi pubblicitari"). (Il Tempo 20/12/1956).
22 dicembre 1956: Il quotidiano il Tempo prosegue nella sua offensiva contro il monopolio. In un articolo intitolato " La macchina infernale " il giornale romano dà notizia che la Rai ha distribuito nell'ultimo esercizio, un dividendo del 5 per cento che in parte è andato all'Iri, azionista di maggioranza e in parte -il 2 per cento- agli azionisti di minoranza. Secondo gli esperti di bilancio consultati dal quotidiano, gli utili, se vi sono, non consentirebbero neanche la distribuzione di quel modesto 5 per cento. E questo, per una società che opera in regime di monopolio, è paradossale. Inoltre, nello stesso articolo viene dimostrato con dovizia di particolari come i programmi Rai sono in massima parte sponsorizzati. L'utente poi, paga il più alto canone del mondo. (Il Tempo 22/12/1956).
11 gennaio 1957: Prosegue la campagna stampa del Tempo di Roma che, in coda a un articolo sulla televisione negli Stati Uniti, in Germania e in Inghilterra ("Maggiore libertà negli altri paesi per le trasmissioni radiotelevisive") scrive: "Per conto nostro, ci auguriamo che l'Italia non rimanga assente in questo campo del diritto pubblico, e che anche nella nostra legislazione vengano accolti i principi della più ampia libertà e del più deciso antimonopolismo anche per tutto ciò che riguarda le teletrasmissioni e radiotrasmissioni"
3 febbraio 1957: La Rai introduce per la prima volta nei suoi programmi la pubblicità. Viene trasmessa subito dopo il telegiornale, alle 20,50, e prima di "Telematch"; la formula è quella, celeberrima, del "Carosello". Il Radiocorriere pubblica la locandina del nuovo "programma": le ditte inserzioniste sono la Shell, l'Oréal, la Singer e le
Grandi Marche Associate (che pubblicizzano il Cynar) (Radiocorriere 3/2/57). Le réclame, come venivano chiamate allora, erano organizzate in modo da risultare uno "spettacolo aggiunto alle normali trasmissioni". Bisogna ricordare che, già da molti anni, il pubblico della radio si era espresso in modo estremamente duro nei confronti sia della quantità - sempre giudicata eccessiva - sia dalla qualità degli inserti pubblicitari. E' ovvio, dunque, che l'introduzione della pubblicità all'interno della televisione fosse preceduta da una lunga fase di studio. "Le preoccupazioni per le possibili reazioni del pubblico - scrivono L.Ballio e A.Zanacchi in "Carosello Story", Eri 1987 - portarono alla redazione di rigorose 'Note per la realizzazione della pubblicità televisiva', redatte dalla Sacis, la società che la Rai aveva creato per risolvere due problemi: controllare i contenuti della pubblicità e confezionare le rubriche pubblicitarie (...). Le norme della Sacis erano davvero singolari. Anzitutto erano in contrasto con un carattere peculiare della pubblicità televisiva: la brevità. Infatti prevedevano che i comunicati dovessero essere lunghi complessivamente 64 metri e 26 centimetri, su pellicola cinematografica da 35 mm, dovevano cioè durare
2 minuti e 15 secondi, un'eternità in rapporto alla durata media dei comunicati pubblicitari televisivi diffusi altrove, e in particolar modo in America, patria della pubblicità. Ma c'erano anche le norme particolari sul contenuto dei comunicati. I 135 secondi complessivi dovevano essere rigorosamente divisi in due parti: una spettacolare, della durata di 1' e 45" e poi un 'codino' pubblicitario di 30". La parte di spettacolo non doveva assolutamente contenere riferimenti al codino pubblicitario e consisteva in 'scenette, azioni drammatiche, balletti, numeri musicali o di attrazione, sequenze a carattere documentario', come prescrivevano rigorosamente le norme. Questa parte, 'dall'inizio alla conclusione dell'arco narrativo', doveva rappresentare 'una storia conchiusa. Nasceva così l'obbligo , per gli inserzionisti, di presentare delle ministorie vere e proprie, che si rinnovavano in continuazione, perché un'altra norma stabiliva che ogni 'cortometraggio' poteva andare in onda una sola volta" (Il
codice pubblicitario della Sacis è pubblicato per intero in "Tv Lexixon 1963").
19 febbraio 1957: Intervenendo a un dibattito organizzato presso il Circolo della Stampa di Milano, il direttore generale della Siae, Antonio Ciampi, sottolinea che "intervento dello Stato non sia sinonimo di servizio pubblico, e come servizio pubblico non voglia significare monopolio". In soli tre anni, ha ricordato Ciampi, quaranta milioni di italiani sono serviti dalla rete televisiva, pari all'80% della popolazione: "Se la televisione è un servizio pubblico come mezzo di comunicazione
- ha poi proseguito il direttore della Siae - riservato allo Stato al pari dei servizi telegrafici, telefonici e radioelettrici, non può essere considerata servizio pubblico in esclusiva anche per la produzione e per la circolazione dei programmi artistici" (Corriere della Sera 20/2/57).
16 marzo 1957: Il settimanale "Settimo Giorno" pubblica i risultati di un referendum tenuto in Svizzera in cui i cittadini della confederazione hanno respinto un progetto governativo di privatizzazione della TV. "Gli svizzeri avevano da scegliere - dice Franco Rispoli - tra una TV monopolistica che comportava un canone di abbonamento e una TV privata che speculando sulla pubblicità escludeva però qualsiasi canone. E hanno mostrato di preferire la seconda soluzione. In quanto agli italiani si sa come è andata a finire: con una TV monopolistica, che ha conservato l'imposizione del canone e vi ha aggiunto lo sfruttamento della pubblicità".
28 marzo 1957: Il Ministero delle Poste dichiara di non poter prendere in esame la richiesta di Tempo TV avendo affidato alla Rai l'esclusiva dell'esercizio di radiodiffusione e di televisione. Tempo TV si appella all'art.21 della Costituzione. In seguito gli avvocati dell'emittente (Antonio Sorrentino e Antonio Modaferri) citeranno in Tribunale il Ministero perché sia dichiato illegittimo il suo rifiuto. Tempo TV ricorrerà poi al Consiglio di Stato, facendo presente che al momento della firma della convenzione del '52 non era presente il Ministro delle Finanze (per legge avrebbe
dovuto partecipare). La questione, su richiesta del ministero, verrà poi girata alla Corte di Cassazione e, alla fine, alla Corte Costituzionale (Il Tempo 16/5/57).
16 maggio 1957: A Milano nello studio del notaio Raffaello Meneghini, a poca distanza dalla Scala, si costituisce la società' TVL (Televisione Libera). Presidente è Gian Vittorio Figari, figlio di Giuseppina Crespi (la famiglia Crespi, come è noto, era proprietaria del Corriere della Sera). Consigliere delegato di TVL è Attilio Volentieri, che in precedenza aveva creato il Centro Milanese Cine-televisivo. Direttore è il giornalista Carlo Mazzoldi. L'emittente dichiara di voler utilizzare per le sue trasmissioni la banda UHF, ossia la seconda banda assegnata all'Italia e, fino a quel momento, non sfruttata dalla Rai. (Settimo Giorno 6.11.1958. Settimana Radio-Tv 2/8.11.1958). Sempre il 16 maggio, il quotidiano Il Tempo annuncia che la società "Tempo TV" ha citato in giudizio il Ministero delle Poste per aver la concesso in esclusiva alla Rai i servizi televisivi. "L'istanza, pubblicata dal
quotidiano, dice tra l'altro:"Il Ministero delle Poste, accordando la concessione dei servizi televisivi alla Rai e negandoli ad altri, si è arrogato un diritto che non ha. Infatti, in Ministero ha espresso l'opinione di ritenersi proprietario del servizio televisivo, e quindi di diritto di poterne affidare la concessione alla RAI. Ma in realtà il codice postale, nell'elencare i servizi che appartengono allo Stato non fa riferimento ai servizi di radiodiffusione e di televisione, limitandosi a parlare di servizi di 'telecomunicazioni' private o pubbliche che siano, non facendo cenno alla diffusione tra il pubblico di informazioni e di spettacoli attraverso la televisione". (Il Tempo 15/5/57).
19 maggio 1957: Scrive Settimana Radio Tv: "Cauto, molto cauto accenno della Rai- Tv alla possibilità di un secondo programma televisivo. Si legge nella relazione agli azionisti (...) che è difficile accontentare il pubblico 'per ora con un solo programma'. Il rimedio ci sarebbe ed è stato prospettato da tempo. Stazioni private sono in progetto a Napoli, Roma e Milano. Avrebbero carattere regionale e potrebbero
servire ad accontentare quelli che la Rai-Tv non accontenta".
29 maggio 1957: Gli avvocati di Tempo-Tv, nel corso della seconda udienza della causa contro il Ministero delle Poste (la prima si è tenuta il 24 maggio) chiedono la "dichiarazione di illegittimità" del rifiuto opposto alla realizzazione di una stazione televisiva (Il Tempo 30/5/57).
23 giugno 1957: Prosegue la campagna di stampa contro il monopolio Rai: Settimana Radio TV pubblica un articolo dal titolo "Non esiste in Italia il monopolio TV", in si illustra un cavillo legato alla convenzione del 1952 tra stato e Rai: nell'art.1 si parla di esclusiva per i servizi di televisione circolare, ma la parola esclusiva non compare nel punto c) dell'art.1, dedicato al "servizio di telediffusione su filo". In sostanza, spiga Adriano Meis, "CHIUNQUE (il maiuscolo è nell'originale, n.d.r.) in Italia può chiedere l'utenza per una rete radiofonica o televisiva di telediffusione su filo" (Settimana Radio-Tv 23-29/6/57).
luglio 1957: Settimana Radio-Tv inizia un'inchiesta dedicata al tema del monopolio, definita la "Battaglia in sordina per il Secondo Canale". Nella puntata "La televisione del Papa" Silvano Negri scrive: "E' molto probabile che una seconda rete TV sorga a Roma per iniziativa del Vaticano, il quale attualmente dispone di un canale UHF". La nascita di questa stazione porrebbe ovviamente problemi sulla rottura del monopolio statale:"Il Vaticano, volendo, potrebbe installare innumerevoli stazioni radiotelevisive sia dentro la cinta della Città propriamente detta e sia in ciascuna delle zone extraterritoriali che possiede in Italia. E ciò senza infrangere la legge italiana (...) E lo stesso accadrebbe se qualcuno riuscisse a installare una stazione TV sul Monte Titano nella Repubblica di San Marino". San Marino, così come il Vaticano, prosegue l'articolo, sono "all'estero", e dunque non occorrerebbe nessuna licenza" (Settimana Radio-Tv 14-20/7/57). La notizia viene ripresa e ampliata da Oggi (24/10/57)
21 luglio 1957: Settimana radio-tv prosegue la sua campagna stampa sulla
"battaglia in sordina" per il secondo canale, rivelando le manovre che la Rai si preparerebbe ad effettuare per "prevenire l'iniziativa privata". L'ente di Stato, secondo il settimanale, sarebbe nelle condizioni di anticipare i tempi e di realizzare, in breve, un "nuovo programma televisivo" Di nuovo Settimana Radio-Tv, una settimana dopo, propone di utilizzare per il pagamento del canone, la formula del "pay per view", ovvero di un contatore - simile a quelli della luce, o dl gas - con cui stabilire la cifra di una "bolletta" dei servizi televisivi. Prosegue inoltre la "caccia al cavillo legale": la convenzione del 1952, suggerisce il settimanale, scade nel 1972. Ma non bisogna sottovalutare l'art.28 della convenzione, che dice: "Lo Stato si riserva il diritto di riscatto con il preavviso di un anno, dopo quindici anni dall'entrata in vigore della presente convenzione". Ovvero: lo Stato potrebbe decidere di togliere l'esclusiva alla Rai già nel 1968 (Settimana Radio-Tv 28/7-3/8/57)
15 agosto 1957: Entra in funzione il collegamento televisivo in cavo coassiale sulla tratta Milano-Trieste. E' uno degli ultimi atti del vecchio progetto tecnico di sviluppo della rete televisiva nazionale (Annuario Rai).
17 agosto 1957: Viene approvata con d.P.R. n.1136 la Convenzione aggiuntiva tra Stato e Rai per il completamento della rete televisiva. La convenzione riguarda questioni tecniche legate all'abbandono del progetto di cablaggio del territorio nazionale, troppo lento e costoso, a vantaggio della più agile, e quasi del rutto ultimata, rete dei ponti radio (Annuario Rai).
Agosto 1957: La rivista Il Ponte pubblica un saggio di Arturo Gismondi dedicato alla televisione. Nel paragrafo intitolato a "L'inizio della trasmissione TV e la televisione commerciale" si legge: "Come mai soltanto nel 1956, quattro anni dopo il rinnovo della concessione e tre anni dopo l'inizio dell'esercizio televisivo, i gruppi privati rivendicano un diritto che, a maggior ragione, avrebbero potuto rivendicare nel 1952?". Gismondi sottolinea che la "posizione acquiescente assunta dai gruppi privati, e in Parlamento dai partiti di destra, di fronte alle leggi del 1952 si inserisce
nella politica dell'industria privata nei confronti dell'esercizio", che aveva l'obiettivo di "accollare alla collettività il peso dell'esercizio, passivo almeno in relazione ai capitali impiegati, e pretendere invece mano libera nei settori ove gli investimenti si presentano più proficui". La "verità di questa legge", prosegue Gismondi, "la si ricava da un esame dei bilanci RAI degli ultimi anni. Precisiamo ancora, però, che fu determinante, nel 1952, per l'atteggiamento passivo dei gruppi privati, la considerazione che l'inizio dell'esercizio TV avrebbe richiesto delle spese affatto indifferenti per l'installazione degli impianti in tutta Italia. Le spese per impianti televisivi hanno ammontato, dal 1952 a tutto il 1956 (anno in cui è stata completata la rete televisiva in tutta Italia) a 22 miliardi". Alle alte spese sostenute dalla RAI fanno riscontro "degli utili sproporzionati alla massa degli
investimenti. Ricaviamo infatti dall'esame dei bilanci degli ultimi anni che gli utili sono stati complessivamente, dal 1952 al 1955, di 684 milioni, per la maggior parte reinvestiti l'anno successivo". Salta agli occhi, prosegue Gismondi, "la maggiore proficuità degli investimenti industriali rispetto a quelli di esercizio". Questo esame tecnico-economico dà poi l'occasione di affermare che la questione del monopolio televisivo e della televisione commerciale si risolverà non tanto sul piano giuridico o costituzionale, quanto su quello economico, "essendo gli ulteriori sviluppi delle varie iniziative legati alla possibilità o meno di rendere produttivo il 'libero' esercizio. Gli stessi promotori, d'altra parte, che a Milano fanno capo ai consiglieri di parte liberale Gohering e Robba, rappresntanti di alcuni forti gruppi industriali (Italcementi), a Roma al sen.Angiolillo e all'industriale Alecce, e a Napoli al comandante Lauro, non nascondono le difficoltà di giungere, almeno per ora, ad un servizio televisivo su scala nazionale, e parlano, quindi, di servizi locali". Significativa, inoltre, la considerazione conclusiva: "La vera battaglia per il monopolio televisivo si scatenerà, questo il nostro parere, il giorno che i gruppi promotori avranno la prova che una 'TV commerciale' è divenuta un'impresa economicamente conveniente,
soprattutto in relazione alla massa di investimenti necessari (Il Ponte, agosto- settembre 1957).
8 settembre 1957: Papa Pio XII emana l'enciclica "Miranda Prorsus", che richiama i precedenti documenti pontifici su cinema, radio e TV e fissa la posizione della chiesa di fronte alla televisione ("televisio", in latino, sottolinea il Radiocorriere del 22/9). Scrive Pio XII: "Abbiamo seguito questo sviluppo che, senza dubbio, segnauna importante tappa nella storia dell'umanità, con vivo interesse, grandi speranze e gravi preoccupazioni., elogiandone fin dall'inizio gli alti vantaggi e le nuove possibilità, prevenendo e indicando pericoli e abusi". Il Papa sottolinea che "Con il grande vantaggio di trattenere più facilmente tra le pareti domestiche grandi e piccoli, la televisione può contribuire a rafforzare i legami di amore e fedeltà alla famiglia, ma sempre a condizione che non venga a menomare le stesse virtù di fedeltà, di purezza e di amore". (L'enciclica è pubblicata per intero su Lo Spettacolo giu-set 1957).
13 Dicembre 1957.Il Ministero degli Interni emana nuove disposizioni per disciplinare l'uso e la visione della TV all'interno dei locali pubblici."E' punibile, dice la nuova disposizione, quell'esercente nel cui locale vengono contemporaneamente riscontrate le seguenti infrazioni: 1) abbassamento delle luci, 2)tutte le sedie rivolte verso il video, 3) sovraffollamento durante le trasmissioni. La novità consiste nella punibilità dell'esercente in presenza di tutti e tre questi elementi. Si tratta di un nuovo capitolo della lotta tra esercenti cinematografici e associazioni dei pubblici esercizi. La "guerra" iniziò con l'avvento stesso della televisione, in un periodo in cui erano ancora in pochi a potersi permettere il "lusso" di tenere un televisore in
casa. Diversi locali pubblici si trasmormavano, la sera, in platee televisive. E non era raro che qualche esercente chiedesse anche un biglietto d'ingresso (o più semplicemente l'obbligo della consumazione). Nel 1957, insieme all'aumento del canone per le televisioni nei locali pubblici, viene emanato un nuovo e più restrittivo
regolamento (il 27 Aprile 1957) che finisce per provocare la disdetta di 15.000 abbonamenti. (Tempo 9.1.1958).
19 dicembre 1957: Viene presentato alla stampa il nuovo centro Rai di Via Teulada, che sancisce il definitivo trasferimento della Rai-Tv a Roma.
4 gennaio 1958: Il Corriere Della Sera "festeggia" i cinque anni della tv con un articolo, "La televisione italiana ha compiuto ieri cinque anni", ospitato in cronaca milanese. Nell'articolo si fa notare che se nel 1954 il centro di produzione di Milano produceva l'85% dei programmi e quello romano appena il 10%, oggi le parti e le cifre si sono invertite. (Corriere Della Sera 4/1/58).
29 gennaio 1958: L'Unità, in accordo con il gruppo dei deputati comunisti della Rai, lancia un referendum ai suoi lettori, Dite la vostra sulla Rai-Tv. Il referendum riguarda i programmi, i notiziari, l'istituzione di una commissione di controllo nella quale siano rappresentati gli utenti. L'iniziativa dura qualche mese e si inserisce nel quadro dell'azione di denuncia intrapresa dal PCI contro "la faziosità e lo strapotere DC all'interno dell'ente pubblico". Gli ascoltatori condannano la faziosità dell'ente, auspicano un azione legale contro i continui abusi commessi dalla Rai, propongono di non pagare il canone, chiedono l'abolizione di Radio-sera e una maggiore democratizzazione della Rai (L'Unità 29/1/58; Per le risposte vedi L'Unità 19/2/58; L'Unità 26 //3/58; L'Unità 19/3/58;L'Unità 22/3/58; L' Unità 25/3/58; L'Unità 28/3/58; L'Unità 5/4/58; L'Unità 16/4/58;).
17 febbraio 1958: Un decreto del Santo Uffizio proclama Santa Chiara patrona della televisione. Il 12 gennaio del 1952 Pio XII aveva proclamato l'Arcangelo Gabriele patrono delle telecomunicazioni. Settimana Radio-Tv, riportando la notizia riferisce le polemiche e le ipotesi intorno alla proclamazione. (Settimana Radio-Tv 2-3/58).
8 marzo 1958: Riprendendo un lancio dell'Espresso l'Unità da notizia dell'esistenza e delle intenzioni di TVL. Eloquente il titolo :"Una stazione clandestina in Italia ?"
(L'Unità 8/3/58 ).
9 Marzo 1958. Esauriente e dettagliato articolo dell'Espresso a firma Carlo Gregoretti su TVL. Il 25% delle azioni della televisione milanese - scrive il settimanale- appartengono alla RCA americana, proprietaria della NBC e importante produttrice di apparecchiature di trasmissione. Il progetto di TVL è quello di creare sei stazioni clandestine di trasmissione mobile capaci di coprire un raggio di 800 km. Consapevoli che la questione potrà essere risolta sul piano giuridico, sciogliendo il contrasto tra l'art. 21 della Costituzione e la Convenzione Rai-Stato del 1952, i responsabili della stazione hanno escogitato un piano molto semplice. Individuata una delle stazioni trasmettenti il pretore ne ordinerà il sequestro. Ma le altre, alternativamente, continueranno a trasmettere, fino a quando, di sequestro in sequestro, non si troverà un pretore che rimanderà la questione alla Corte Costituzionale. In caso di difficoltà non è esclusa la possibilità di trasmettere dalla Svizzera, da San Marino o dall'Austria. Il settimanale Settimo Giorno, nel numero del 14/7/60, riferisce che il Centro Milanese Cinetelevisivo confluisce in TVL. (Espresso 9/3/58).
12 marzo 1958: TVL è il soggetto di un lungo articolo dell'Unità firmato da Arturo Gismondi. L'autore sostiene che a causa dell' intricata situazione delle frequenze utilizzabili per trasmettere e delle violazioni cui l'emittente meneghine andrebbe in contro in caso di programmazione il monopolio della Rai non ha le ore contate. Secondo il quotidiano del PCI non esiste una reale intenzione da parte dei dirigenti della TV milanese di dare operatività al loro progetto. L'iniziativa privata è comunque guardata con scetticismo. (L'Unità 12/3/1856).
13 marzo 1958: La Cassazione esamina la vertenza Tempo Tv-Rai. Due le tesi esposte. L'avvocato Bronzini per il Ministero Delle Poste e il prof. Tosato per la Rai, ritengono la controversia di natura amministrativa e quindi di competenza del Consiglio di Stato. Il prof. Sorrentino, per Tempo Tv, ritiene invece competente il
Tribunale perchè non esiste una legge che disciplina la materia del servizio televisivo, in quanto il potere discrezionale affidato allo Stato dal Codice Postale è da riferirsi soltanto al mezzo con cui viene esplicato il servizio, non al servizio stesso. Il quotidiano romano ritiene probabile che la vicenda venga affidata al Consiglio di Stato e annuncia che entro un paio di settimane la Cassazione deciderà in merito. (Il Tempo 14/3/58; Paese Sera 13/-4/3/58).
20 marzo 1958: "La vogliono e se la godano" è il titolo di un fondo de Il Tempo nel quale il quotidiano di Renato Angiolillo denuncia l'accordo sottobanco tra PCI e Dc rispetto al monopolio televisivo. Dopo aver fatto notare come l'attuale regime giuridico della televisione tuteli il solo interesse del partito di governo, il quotidiano ritiene inaccettabile la tesi esposta in sede parlamentare dall'on: Ingrao secondo la quale lo Stato e per esso il Governo dovrebbe rinunciare al monopolio politico per scendere al compromesso di una mezzadria coi socialcomunisti. "Fino a che la radio sarà di Stato, come vogliono leggi e regolamenti emanati negli anni in cui lo Stato era rappresentato dal partito unico, sarebbe assurdo che il governo non si servisse ai propri fini del potente veicolo di propaganda. E' lo, stesso principio del monopolio di Stato che in questo, come in ogni altro settore dell'economia, lo autorizza a volgere a proprio vantaggio quello che teoricamente dovrebbe essere un pubblico bene". (Il Tempo 20/3/58).
23 marzo 1958: L'Espresso dedica la sua prima pagina alla televisione. "Televisione e Libertà" è il titolo del servizio di apertura incentrato sul rapporto tra campagna elettorale e TV. Viene descritta la situazione americana, quella italiana ed inglese. Un altro articolo sulla TV commerciale riassume le iniziative esistenti (TVL a Milano, Lauro a Napoli, Tempo Tv a Roma, e Europa Radio Televisione ancora a Milano ) avanza dubbi sulla qualità dei programmi (citando lo storico esempio della trasmissione americana I Love Lucy) e sull'indipendenza dei notiziari. Vengono annunciati programmi per bambini visto che sulla base dell'esperienza americana i
migliori agenti pubblicitari sono i più piccini. (23/3/58).
23 marzo 1958: Settimana radio-Tv fa il punto degli ultimi quindici giorni, caratterizzati da molte notizie che incidono nei rapporti tra Stato, privati e radiotelevisione. Anticipa il problema dell'uso elettorale della televisione descrivendo il sistema inglese e la assoluta inoperatività della nostra Commissione Parlamentare. (Settimana Radio-Tv 23-29/3/58).
30 marzo 1958: Settimana Radio-Tv dedica un articolo -"Il mostro chiude un occhio" al rapporto elezioni-censura. (Settimana Radio TV 30/3-5/4 58).
Aprile 1958. La televisione entra prepotentemente nel dibattito politico. Rinascita, organo del PCI, pubblica un articolo a largo raggio sulla situazione televisiva in Italia. L'autore, Arturo Gismondi, ricorda l'ostracismo del presidente del Consiglio Zoli alla proposta La Malfa-Villabruna di concedere spazi paritari a tutti i partiti per interventi elettorali in TV. Sottolinea come la situazione giuridica che sancisce il monopolio unita all'uso di parte dell'azienda di stato fatto dalla DC (uso contrario al concetto di pubblica utilità alla base della legislazione televisiva) consenta ai privati di fornire non pochi argomenti per far cadere il monopolio statale. Gismondi da notizia dello scontro tra Andreotti e Fanfani per le poltrone Rai e della inconsistenza della Commissione parlamentare di controllo costituita sula base della legge del 3 aprile 1947 e del Comitato per la determinazione delle direttive di massima culturali ed artistiche dei programmi e di tutte le altre commissioni istituite con lo stesso provvedimento legislativo. (Rinascita Aprile 58).
Aprile 1958: Civiltà Cattolica ripercorre le tappe della battaglia politica intorno alla televisione in prossimità delle elezioni politiche. In vista delle elezioni del 25 maggio 58 gli on. La Malfa e Villabruna propongono di dare spazi uguali in TV a tutti i partiti. In precedenza si erano usati altri criteri. Nel 1946 quello proporzionale, nel 48 un criterio non strettamente proporzionalistico (venti trasmissioni alla Dc, venti complessivamente al PCI e al PSI, dieci ai partiti minori e due alle piccole liste)
mentre nel 1953 non viene concesso nessuno spazio e il giornale radio si limita a riferire i discorsi dei principali oratori dei diversi partiti usando un criterio analogo a quello vigente per la ripartizione dei posti fra i rappresentanti delle diverse forze nelle commissioni parlamentari. il Presidente Del Consiglio Zoli sostiene di non poter accettare l'ipotesi La Malfa-Villabruna, altrimenti i due partiti monarchici, per complessivi trentanove seggi alla Camera, disporrebbero di sei trasmissioni mentre la DC solo di tre. I sette gruppi parlamentari ne otterrebbero ventuno, mentre la DC partito di maggioranza sempre tre. Zoli poi, esclude dall'accesso alla TV il PCI perchè si avvale di radio che trasmettono dall'estero propaganda elettorale per cinque ore al giorno. su otto lunghezze d'onda. I comunisti insorgono e tramite le pagine dell'Unità passano all'attacco mentre alcuni loro rappresentanti incontrarono i Presidenti di Camera e Senato. Dopo colloqui con Merzagora e Leone il presidente del Consiglio fa marcia indietro e gira la palla alla Rai pregandola di attenersi ad un criterio di imparzialità (Civiltà
Cattolica 58 vol.II; L'Unità 15/4/58; L'Unità 16/4/58 e 19/4/58; Settimana Radio-Tv 20-26/4/58; L'Unità 5/5/58; L'Unità 6/5/58; Settimana Radio-Tv 11-17/4/58; vedi opinioni Europeo 6/4/58).
13 aprile 1958: Entra in funzione a Milano il secondo canale televisivo in fase sperimentale in banda UHF. Trasmette solo il monoscopio e viene captato esclusivamente dalle case produttrici di apparecchi televisivi. (Settimana Radio-Tv 13-19/4/58).
16 aprile 1958: Duro attacco dell'Unità all'on. Bonomi che dovrebbe apparire in televisione in questi giorni. Scrive il quotidiano del PCI "... e molto probabilmente loderà il MEC. Quando si parla del MEC, si parla della più grossa minaccia che incombe oggi sulla nostra agricoltura in crisi". (L'Unità 16/4/58).
4 maggio 1958: La Dc sulla Discussione lancia un durissimo attacco su Radio Praga, accusata di criminosa propaganda antinazionale. Il titolo è eloquente: Diciotto
ore al giorno di radioinsulti all'Italia. (La discussione 4/5/58).
16 maggio 58: Ogni argomento è buono per dar fuoco alle polveri. Esemplificativo in tal senso è un piccolo trafiletto dell'Unità che con toni acri accusa l'azienda di stato di non aver dato il giusto spazio alla notizia del lancio dello Sputnik. (L'Unità 16/5/1958).
17 maggio 1958: La Corte di Cassazione stabilisce che a giudicare della controversia tra la Rai e la società Tempo-Tv sia il Consiglio di Stato.
18 maggio 1958: Settimana Radio-Tv, in un articolo intitolato "Clamorosa mossa strategica " sostiene che per evitare le conseguenze delle elezioni politiche e gli eventuali contraccolpi sui vertici Rai, l'assemblea dell' azienda è stata anticipata ad Aprile. Le alte cariche si sono messe preventivamente al riparo. (Settimana Radio- Tv 18/23. 5. 58;Settimana Radio-TV 29/6-5/7 58).
25 maggio 1958: La battaglia del PCI intorno alla televisione non cessa neanche il giorno delle elezioni. In un articolo intitolato "Il vostro apparecchio radio può diventare il vostro nemico" apparso sull'Unità e firmato il telescrutatore, il giornale comunista mette in guardia i militanti e dice : oggi e domani attenti alla Rai- Tv. Vengono elencate le manipolazioni effettuate nel corso della campagna elettorale a discapito del PCI. Nel rapporto informazione politica le elezioni del 58 sono importanti. La sinistra e tutte le forze politiche si rendono conto della centralità del mezzo radio-televisivo. (L'Unità 25/5/58).
5 agosto 1958: Il settimanale Tempo scrive. "Secondo un istituto inglese di statistica, la durata media quotidiana dei programmi televisivi nei vari paesi del mondo è la seguente: Stati Uniti (media per ognuno dei 110 organismi televisivi) 19 ore, Canada 13 ore, Giappone 10 ore, Gran Bretagna 8 ore, Italia 6 ore e mezzo, Francia 6 ore, Germania Occidentale 4 ore, Belgio 4 ore, Austria 3 ore e 45 minuti. Nei paesi dell'Europa Orientale, in testa figura la Polonia con circa 5 ore e mezzo, seguono l'U.R.S.S. con 4 ore e mezzo, la
Germania orientale con 4 ore e la Cecoslovacchia con 3 ore. (Tempo 5/8/58).
14 agosto 1958: In un articolo su Lascia o Raddoppia, pubblicato dal settimanale Oggi, viene riportata la notizia che il Comune di Milano aveva concesso alla Rai i terreni per costruire il Centro di Produzione televisivo ad una cifra irrisoria ma a condizione che il centro fosse all'altezza delle aspettative della città e che fossero gettate le fondamenta per un auditorium. Agli inizi del 58 il sindaco, Virgilio Ferrari, minacciò lo sgombero del terreno per restituirlo alla città. Nonostante le assicurazioni dell'azienda, il centro milanese subì un forte ridimensionamento. (Oggi 14/8/1958; Vedi anche lo schema 22/11/1956; Vedi anche opinioni l'Europeo 9/3/58).
28 agosto 1958: Il Borghese riporta e commenta la guerra della TV, lo scontro tra Roma e Milano che vede il centro di produzione Rai della città meneghina depauperato di competenze. Dopo aver ribadito che la Rai è "un carrozzone di Stato" sottolinea come Milano e gli industriali milanesi hanno perso una buona occasione per rompere il monopolio, rinunciando a far decollare immediatamente il progetto di TVL. Gli industriali "hanno preferito continuare sulla pacifica e rovinosa strada del compromesso". (Il Borghese 28. 8/58).
31 agosto 1958: Settimana Radio-tv racconta i retroscena delle trattative tra un incaricato del governo francese e rappresentanti di Telemontecarlo per l'acquisto dell'emittente monegasca. L' interesse francese nasce dal fatto che Telemontecarlo, contrariamente a RTF, trasmette pubblicità. Ma in Francia gruppi di pressione finanziari ed industriali spingono per l'introduzione della pubblicità su RTF. E per questo, riferisce il giornale, la firma dell'accordo sembra rinviata. (Settimana Radio- TV 31/8/58).
14 settembre 1958: Dura requisitoria del Borghese contro la Rai. L'articolo s'intitola: "Rai-Tv territorio depresso". (Il Borghese 4/9/58).
14 settembre 1958: La Discussione affronta la questione del monopolio
schierandosi, di fatto, dalla parte della Rai. Scrive il periodico della Dc : "I gruppi d'imprenditori che vorrebbero gestire la TV commerciale hanno interessi ben determinati e precisi anche in campo politico, come del resto gli orientamenti della cosiddetta stampa italiana indipendente dimostrano. Il servizio d'informazione trasmesso dalle loro stazioni avrebbe scopi ben determinati e non avrebbe certamente e comunque il carattere dell'imparzialità e della libertà. Per questi motivi, quello che è un servizio d'interesse pubblico va tutelato con opportuni provvedimenti dalla speculazione privata e dall'interessamento di parte...... Le lacune e i difetti del nostro ente non vanno attribuiti al monopolio". (La Discussione 14/9/58).
26 settembre 1958: La Rai cancella all'ultimo momento la messa in onda de "La maschera e il volto" di Luigi Chiarelli. Alla base della decisione ci sarebbero molteplici ragioni: dai richiami censori dell'Osservatore Romano e dell'Azione Cattolica per precedenti trasmissioni non gradite al mondo
cattolico, a manovre di tipo politico che vedrebbero in campo Enrico Mattei, che avrebbe un suo candidato alla direzione generale dell'ente. Ma secondo Settimana Radio-Tv che riporta la notizia, la censura si ricongiunge allo scontro interno alla DC tra i fautori del decentramento (in minoranza) e quelli della centralizzazione a Roma dell'attività televisiva che fanno capo a Fanfani. (Settimana Radio-Tv 5-12/10/58).
2 ottobre 1958: Squadre della Rai girano piccoli centri di provincia riprendendo manifestazioni e programmi d'attrazione vari organizzati dalle municipalità. Gli ignari cittadini non sanno che la riprese degli eventi viene diffusa solo in sede regionale. Secondo Settimo Giorno che ne dà notizia, si tratta delle prove sperimentali per arrivare a dare operatività al secondo canale televisivo. (Settimo Giorno 2/10/58).
5 ottobre 1958: Stasera trasmette TV clandestina. Così l'Europeo titola un lungo servizio dedicato alla TVL. ( L'Europeo 5/10/58).
11 ottobre 1958: Dopo radio Praga è la volta di radio Bucarest. Il settimanale Gente sostiene che la stazione radio fa direttamente riferimento al PCI che, nella sede di
Botteghe Oscure, avrebbe, secondo l'ex senatore comunista Eugenio Reale, un vero e proprio ufficio di riferimento affidato prima a Carlo Farini e poi a Ciofi Degli Atti. (Gente 11/10/58).
12 ottobre 1958: E' ancora una volta Settimana Radio-Tv a tornare sull'argomento della televisione libera. Il settimanale milanese, sostiene che la strategia di TVL sarebbe cambiata. Non più trasmettitori clandestini ma azione legale per ottenere l'autorizzazione governativa. Del resto la banda UHF consentirebbe le trasmissioni. Ma il vero problema è un altro: può esistere una televisione in concorrenza alla Rai? Secondo la rivista milanese sì, perchè la pubblicità potrebbe fornire i mezzi necessari per supportare finanziariamente i costi di un secondo canale e di una stazione indipendente. ( Settimana Radio-Tv 12-18/10/58).
24 ottobre 1958: Accompagnato da funzionari dell'ufficio politico della questura il dott. Luigi Schimperna, ispettore del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni si presenta nella sede tecnica di TVL, al trentesimo piano del grattacielo di piazza della Repubblica, a Milano. In mano ha un ordine di sequestro degli impianti di trasmissione dell'emittente che, di lì a qualche giorno, ( l'8 novembre) avrebbe iniziato la sua programmazione. I responsabili di TVL, annunciano battaglia legale. La tesi sostenuta dai legali della TV milanese è che le leggi 1067 del 8/2/1923, 645 del 27/2/1936, 196 del 14/3/1952 che avocano allo Stato il monopolio dell'impianto ed esercizio di comunicazioni per mezzo di onde elettromagnetiche, siano in contrasto con l'art. 21 della Costituzione. Viene anche ricordato che la convenzione di Atlantic City del 1947 a cui sottoscritta anche da delegati italiani, stabilisce che le frequenze non sono proprietà dei singoli stati ma vengono solamente affidate ai vari governi perchè le distribuiscano agli aventi diritto. Il sequestro si tinge di giallo. Il settimanale Settimo Giorno, riferisce che il l'on. Simonini, Ministro delle Poste e Telecomunicazioni,
dopo aver dichiarato all'inviato di un giornale milanese che il sequestro era l'unico
provvedimento possibile, si è recato a Milano per prendere contatto con i dirigenti della televisione e ha fatto sapere che il sequestro non è stato disposto dal ministero, ma è stata un' interpretazione "lata" dell'ispettore Schimperna. Nel tracciare tutta la storia delle iniziative milanesi che, nel volgere di due anni, hanno portato al sequestro di TVL Settimana Radio-Tv sostiene che di fatto il Centro Milanese Cinetelevisivo creato da Volontieri e sostenuto da alcuni consiglieri comunali liberali nella realtà, non decollò mai. Mentre il settimanale Settimo Giorno afferma che fu lo stesso Volontieri" a riprendere il progetto e a condurlo in porto" (probabilmente sottoponendolo a Figari). (Corriere Della Sera 25/10/58; Paese Sera 25/10/1958; Settimana Radio-Tv 2-8/11/58; Settimo Giorno 6/11/58). Enzo Biagi su Epoca commenta la notizia senza prendere una netta posizione, mentre Edilio Rusconi su Gente si dichiara contrario alle iniziative private in campo televisivo che potrebbero consentire al PCI, forte di finanziamenti esteri, "sordide alleanze con speculatori privati" (Vedi Opinioni Epoca 2/11/58; Gente 15/11/58)
14 novembre 1958: Il Paese riporta la notizia (peraltro pubblicata su Settimana Radio-Tv del 13/11/58) di una stazione televisiva che il Vaticano starebbe approntando. Nel numero del 23 /11 lo stesso settimanale, riferisce che all'interno delle mura vaticane è già pronto un cavo per il collegamento della TV vaticana con l'eurovisione. La creazione di una stazione Vaticana sarebbe motivo di preoccupazione per i dirigenti Rai visto i rapporti non sempre facili tra Santa Sede e azienda di Stato. (Il Paese 14/11/58. Settimana Radio-Tv 13/11/58; Settimana Radio-tv 23-29/11/58).
15 novembre 1958: In un lungo articolo di Arturo Gismondi la cui prima parte è dedicata allo" scandalo" Perry Como-Musichiere, viene annunciato che dal gennaio 1959 la pubblicità di carosello sarà portata a 15 minuti contro gli attuali 10. Il quotidiano del PCI riferisce anche che il governo "ha minacciato di praticare il blocco della pubblicità IRI ed ENI nei confronti della TV commerciale e dei suoi promotori".
Nello stesso articolo viene commentata l'ipotesi, riferita qualche giorno prima da un giornale romano, di una televisione vaticana. (L'Unità 15/11/58).
16 novembre 58: La scarsa attenzione che Papa Giovanni XXIII dedica alla televisione è il soggetto di un articolo di Settimana Radio TV. (Settimana Radio-Tv 16-22/11/58).
21 novembre 58: L'Unità annuncia che dall'estate del 1959 inizieranno le trasmissioni del secondo canale Rai. L'iniziativa "ha un intento palesemente polemico" nei confronti della TV commerciale" e comunque crea problemi di carattere produttivo per l'azienda di Stato, che dovrà provvedere ad allestire un doppio palinsesto. Inizialmente i programmi avranno carattere regionale e il canale utilizzerà la banda UHF, la stessa che TVL aveva indicato per l'emissione dei suoi programmi. (L'Unità 21/11/58; Settimo Giorno 27/11/58; l'Espresso 30/11/58). Dicembre 1958: Il trimestrale della S.I.A.E. riporta i dati più significativi del rapporto annuale al Parlamento per il periodo 1957-1958 dell' ITA (Indipendent Television, Authority) l'ente televisivo inglese indicato come modello di riferimento da molte delle società private televisive sorte in questi ultimi anni in Italia sorte in questi ultimi in Italia.
3 dicembre 58: Vengono presentate due interrogazioni parlamentari alla Camera. da parte del deputato missino Nicosia (sulla faziosità dei commenti di politica interna della Rai) e del monarchico Cafiero (In un servizio da Napoli, sarebbe stata trascurata la realtà industriale locale a vantaggio delle aziende statali e straniere). In soddisfatto per la risposta ottenuta dal sottosegretario Dc Delle Fave, l'on. Cafiero annuncia un ricorso del suo gruppo presso la Corte Costituzionale contro la situazione attuale del settore televisivo, augurandosi che giunga presto il momento di discutere davanti alla Corte l'illegalità e l'incostituzionalità del monopolio. (Il Tempo 3/12/58).
14 dicembre 1958: Settimana Radio-Tv dedica un articolo a Radio Praga,
ripercorrendone la storia e spiegando nel dettaglio le origini e i meccanismi di funzionamento. (Settimana Radio-tv 14-20/12 58)/
1 Gennaio 1959: Settimo Giorno riporta una notizia curiosa. Per circa un mese gli abitanti delle zone intorno a Varese e Novare hanno captato il segnale della televisione svizzera, vedendo prima il monoscopio e, in un secondo momento, alcuni programmi. I trasmettitori della TV svizzera sarebbero collocati sul Monte San Salvatore. "Niente di straordinario, niente di fastoso - scrive il settimanale - ma pur sempre delle trasmissioni che possono costituire un diversivo rispetto al solo e unico piatto della televisione italiana". (Settimo Giorno 1/1/1959).
3 gennaio 1959: Silvano Negri, su Settimana Radio Tv rievoca i cinque anni "ufficiali" della televisione italiana tracciando un bilancio complessivo (Settimana Radio-tv 28/12-3/1 1959). Luigi Carlo Mazzoldi, giornalista e direttore di TVL firma un articolo, sempre su Settimana Radio-tv nel, quale analizza i vantaggi ed i rischi che stanno dietro alla installazione di una televisione in Italia. Scrive che "impiantare una rete televisiva non è difficile; gestire una sola stazione diventerà un problema molto arduo". Nell'articolo si afferma che i finanziatori della ITA, la rete commerciale inglese, in soli quattro anni d'attività hanno ottenuto un aumento di capitali notevolissimo (233 volte superiore a quello iniziale). Gli industriali e i finanzieri italiani si rendono conto degli enormi guadagni che riuscirebbero ad ottenere nel settore televisivo. (Settimana Radio-tv 3/1/1959).
18 Gennaio 1959: L'Espresso riporta la polemica nata intorno al programma "Cinquant'anni di vita italiana" che secondo parte dell'opinine pubblica ha dato una visione parziale del periodo 1919-1924, presentando - come ha detto Ernesto Rossi- Mussolini come il continuatore degli ideali della guerra del 1915-18, ed omettendo la brutalità perpetrate dalle squadracce fasciste. L'articolo è un attacco contro l'atteggiamento evanescente che i democristiani assumono quando si tratta di
individuare e far valere responsabilità politiche. Si denuncia l'assoluta inconsistenza della Commissione Parlamentare per l'Alto Controllo della radio e delle tele audizioni e del Comitato per la determinazione delle direttive di massima dei programmi istituito presso il Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni. La Commissione Parlamentare in undici anni di vita è stata paralizzata dall'atteggiamento ostruzionistico dei rappresentanti della maggioranza che, o non si presentavano facendo venir meno il numero legale, o respingevano compatti ogni rilievo, svuotando così la Commissione di ogni valenza e capacità di confronto. In realtà secondo il settimanale i deputati democristiani sono molto attivi in materia :ma si muovono, controllano, emanano direttive da Piazza Del Gesù e dagli stessi uffici Rai. (L'Espresso 18/1/1959).
14 marzo 1959 L'illustrazione Italiana dedica un lungo articolo alla televisione, una panoramica generale sui programmi e sui servizi giornalistici. La tesi è che tutti i problemi della televisione derivano dal fatto che è cresciuta troppo in fretta. (Illustrazione Italiana 14/2/1959).
22 Febbraio 1959: Lettera apostolica di Giovanni XXIII sui problemi della radio e della televisione. Il Pontefice deplora (punto 6) " i pericoli e i danni morali che non raramente vengono provocati dagli spettacoli cinematografici e dalle trasmissioni radiofoniche e televisive, che attentano alla morale cristiana" e torna ad esortare" ciascuno dei responsabili di tali spettacoli o trasmissioni di voler seguire sempre le norme di una coscienza retta ed onesta, come conviene a chi è investito del gravissimo, compito di educare". Alla Pontificia Commissione per la cinematografia la radio e la televisione, viene attribuito un ruolo di riferimento per le conferenze episcopali e i singoli ordinari. La Commissione viene aggregata alla Segreteria di Stato e ad essa dovranno rivolgersi, sui problemi cine-radio-televisivi, sia le congregazioni che gli uffici della Santa Sede. (Civiltà Cattolica vol II 11/4/1959; Il Tempo 10/3/1959; Settimana Radio-Tv 22-28/3/1959).
19 marzo 1959.Un gruppo di deputati del PCI, tra i quali Lajolo, Pajetta, Ingrao, presenta alla Camera una proposta di legge di riforma della Rai TV. La proposta prevede l'attribuzione delle competenze esercirate dal Consiglio dei Ministri e dal Ministero delle Poste al Ministero delle Partecipazioni statali. I membri del Consiglio di Amministrazione designati dai vari ministeri e dall'Iri devono essere nominati dal Parlamento.La Commissione Parlamentare di vigilanza deve poter partecipare preventivamente alla determinazione dei programmi e non intervenire soltanto dopo come l'attuale legge prevede. Ogni partito politico deve avere un tempo di trasmissione radiofonica e televisiva ogni settimana e con maggiore frequenza durante la campagne elettorale. (L'Unità 20/3/1959).
1 Aprile 1959: I deputati liberali Alpino Biagi Francantonio e Baldini Confalonieri presentano al Presidente del Consiglio e al Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni una interrogazione parlamentare nella quale chiedono ragione della mancata autorizzazione a trasmettere e del sequestro degli impianti di TVL. La risposta del Ministro dichiara che l'art. 21 della Costituzione riconosce a tutti i cittadini di avvalersi dei mezzi di diffusione esistenti, ma non anche il diritto di impianto e di esercizio dei mezzi stessi. Essi costituiscono servizi pubblici, che la legge e la stessa Costituzione (art.43) hanno voluto riservare allo Stato, data l'esigenza di assicurarne l'armonica estensione a tutto il territorio nazionale e considerato il loro carattere di preminente interesse generale. La concessione in esclusiva alla Rai, non ha consentito di prendere in considerazione nuove domande pervenute. (Corriere Della Sera 2/4/1959).
8 Aprile 1959: Il Consiglio di Stato si riunisce per decidere sulla controversia tra Tempo Tv e Rai. Il 19 dicembre del 1956 la società Tempo Tv chiedeva al Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni la concessione all'uso di alcuni canali TV per trasmettere programmi televisivi senza alcun canone per il pubblico. Il Ministero, rispondeva l'8 marzo del 1957 dicendo di non poter prendere in considerazione
quanto richiesto perchè aveva già affidato, sulla base della facoltà concessagli dall'art.5 del Codice Postale, l'esclusiva alla Rai con la convenzione del 26 gennaio 1952.La società ricorreva alla Corte di Cassazione che con sentenza del 17 maggio 1958 stabiliva che la vertenza era di competenza della giurisdizione amministrativa. Da ciò il ricorso al Consiglio di Stato. L'avvocato Sorrentino per il Tempo-Tv ha sostenuto la violazione e la falsa applicazione dell'art.168 del Codice Postale approvato con R.D. 27 febbraio 1936 in quanto il Ministero delle Poste accordando la concessione si era arrogato un diritto che non aveva. Lo Stato infatti può devolvere i suoi servizi ma tra essi non era compresa la diffusione di informazione e spettacoli. L'avvocato ha chiesto il rinvio degli atti alla Corte Costituzionale perchè l'art.168 del Codice Postale è in aperto contrasto con gli art.21,33 e 41 della Costituzione. I legali della Rai e l'avvocato Bronzini dell'avvocatura dello Stato che rappresentava gli interessi del Ministero delle Poste non ritengono che sussistano gli elementi per sollevare la questione di illegittimità costituzionale. (Il Tempo 7/4/1959; Corriere Della Sera 9/4/1959; Il Tempo 9/4/1959).
18 Giugno 1959: La Commissione Parlamentare di Vigilanza esprime parere favorevole alla modifica dello Statuto della Rai-Tv. Il capitale sociale della società viene elevato da 5 miliardi e mezzo a 8 miliardi e 250 milioni di lire, al fine di assicurare parzialmente un piano d'investimenti di prossima attuazione concernente la costruzione di un'altra rete televisiva oltre che il potenziamento dei centri esistenti, la costruzione di quello di Napoli e di uffici in diverse città italiane. In sostanza viene accolto il progetto per il secondo canale. (Corriere della Sera 19/6/1959; L'Unità 19/6/1959).
2 maggio 1959: Settimana Incom aggiunge particolari importanti alla storia di TVL. In primo luogo descrive il ruolo di William A. Berns, dirigente americano della RCA e personaggio che Vito Di Dario nel suo libro Pippo Mike e Raffaella definisce chiacchierato e in odore di CIA. Dopo aver contribuito all'installazione della rete
commerciale inglese e a quella pubblica della Jugoslavia, Berns allaccia trattative con Spagna e Grecia. In Italia prende contatto con Attilio Volontieri, che aveva creato il Centro Milanese Cinetelevisivo. Secondo Settimana Incom il CMC non operò mai nel campo televisivo limitandosi a produrre sketches pubblicitari per Carosello. Berns chiede a Volontieri di trovare qualche grosso nome interessato ad impiantare una stazione televisiva e si impegna a fornire denaro ed attrezzature. Volontieri contatta Giovanni Vittorio Figari, industriale, figlio di primo letto di Giuseppina Crespi (Corriere della Sera). Il 16 maggio 1957 nasce la TVL. I soci fondatori Figari, Mazzoldi, De Marsico e Volontieri detengono ognuno il 10% delle azioni: La Rca ne possiede il 25% e il resto viene collocata presso privati. Un successivo contratto stabilisce che la TVL, qualora fosse riuscita ad ottenere la gestione di una rete televisiva, avrebbe rilevato le apparecchiature. Berns chiama tecnici americani e li mette al lavoro. Nell'articolo si dice che la TVL, in un primo momento
era orientata a cercare appoggi per ottenere il superamento degli ostacoli di natura giuridica attraverso iniziative parlamentari. A tal fine venne contattato Umberto Ortolani presidente dell'agenzia Italia e proprietario di Telemediterranea, società con le stesse finalità di TVL. Poi TVL sceglie la strategia del fatto compiuto e pensa di operare con dei trasmettitori mobili. Tutto é pronto per la prima trasmissione del 6 novembre. In programma uno spettacolo di Frank Sinatra, fatto venire appositamente a Milano. Ma il sequestro degli impianti (24 ottobre 1958) blocca tutto e l'autore dell'articolo, Franco Serra, sostiene che Berns sta ultimando i preparativi per tornare negli Stati Uniti. Dei quattro soci fondatori rimane solo Figari. In un successivo articolo Settimana Incom da una parziale smentita dei fatti riportati. Dopo un colloquio con Figari scrive che TVL non desiste dai suoi propositi e che gli impianti non sono stati rimossi. (Settimana Incom 2/5/1959 e Settimana Incom 16/5/1959).
3 Maggio 1959: "Un antenna rompe il monopolio". Con questo articolo pubblicato sull'Espresso, Carlo Gregoretti riaffronta, seppur indirettamente, il problema del monopolio in Italia. Partendo dalla notizia che in Estonia alcuni tecnici hanno approntato un antenna capace di captare trasmissioni televisive a duemila km di distanza, Gregoretti dipinge lo scenario del futuro, nel quale lo spettatore girando la manopola sceglie il programma da vedere. (L'Espresso 3/5/1959)
17 maggio 1959: Domenico Ressi su Settimana Radio-Tv fa un analisi della situazione politica e sostiene la tesi che il rinvio del lancio del secondo canale Rai costituisce un punto a favore per coloro che volessero infrangere il monopolio statale della televisione. (Settimana Radio-Tv 17-23/5/1959).
21 maggio 1959: La Convenzione 21/5/1959 (approvata con D.P.R. 19/7/1960, n. 1034) stabilisce l'installazione entro il 31 dicembre 1962 di una seconda rete televisiva in UHF.
21 maggio 1959. Commentando il lancio del secondo canale Rai, annunciato per la fine del 1961 Settimo Giorno scrive: "Quand'anche la magistratura finisse per dare ragione ai privati, quand'anche la questione fosse portata nella sala gialla della Corte Costituzionale e risolta nello stesso senso, dove sono i canali che lo Stato potrebbe domani concedere ai nuovi pretendenti, se tutti quelli disponibili per uso civile sono già in pratica in mano alla Rai ?" (Settimo Giorno. "21/5/1956).
24 maggio 1959.Rispondendo ad una serie di quesiti posti dai lettori di Epoca nella rubrica Italia Domanda, Rodolfo Arata, direttore generale della Rai-Tv, dopo aver richiamato a favore della posizione monopolista della Rai la Convenzione del 1952, ricorda come sulla base dell'esperienza americana i programmi delle TV commerciali sono facili ed evasivi. Argomento questo di cui si deve tener conto allorchè si ritiene che la concorrenza servirebbe a migliorare i programmi. (Epoca 24.5.1959).
28 giugno 1959: Settimana Radio-Tv in un articolo nel quelle sottolinea come per la
prima volta dal 1947 la Rai abbia risposto alla Commissione Parlamentare di vigilanza, riferisce, seppur in maniera estremamente sommaria, dell'esistenza di un progetto per una stazione televisiva a Palermo. Ispiratore, anche se non esistono conferme ufficiali, il presidente della Regione Sicilia Milazzo. Parere sfavorevole ad un eventuale iniziativa siciliana in materia televisiva esprime Settimo Giorno. Il settimanale milanese sostiene che tutta la questione televisiva deve essere risolta a livello nazionale. Non ha senso quindi creare un monopolio regionale all'interno del monopolio nazionale. (Settimana Radio-tv 28/6-4/7/1959. Settimo Giorno 2/7/1959).
15 Luglio 1959.Il Consiglio di Stato ritiene non infondata l'eccezione d'incostituzionalità sollevata dal legale della società Tempo-Tv e rimanda alla Corte Costituzionale la decisione sulla legittimità del monopolio Rai sulla televisione. (Il Tempo 16/7/1959.Testo dell'ordinanza emessa dal Consiglio di Stato).
17 agosto 1959: Il Tempo di Roma pubblica uno schema contenente le cifre e i dati del rapporto tra cinema e TV negli Stati Uniti, in Germania Occidentale, in Francia, in Gran Bretagna e nel nostro paese. In Italia si è passati dagli 88 mila televisori del 1954 al milione e centomila apparecchi del 1958Alla diffusione crescente della televisione ha corrisposto una perdita per il cinematografo di circa 30 milioni di presenze ogni anno. Forti le contrazioni in Gran Bretagna e Stati Uniti, mentre l'ascesa della TV non sembra incidere negativamente sul cinema in Francia e in Germania Occidentale. (Il Tempo 17.8.1959).
10 Settembre 1959: "Si avvicina il tempo in cui marito e moglie potranno bisticciare la sera perchè lei vuole vedere Lascia o Raddoppia e lui un incontro di pugilato ".Con queste parole Luigi Cavicchioli su Oggi inizia un articolo di presentazione del secondo canale televisivo della Rai, la cui partenza è prevista, secondo il settimanale, entro il 31 dicembre del 1962.L'articolo traccia un quadro della situazione televisiva in Italia sotto il profilo tecnico. (Oggi 10/9/1959).
13 settembre 1959: Deciderà la Corte è l'imperioso titolo di un articolo di Domenico
Ressi su Settimana Radio-Tv. Si tratta di una sorta di punto sulla situazione della Rai, che secondo l'autore non farebbe decollare prima del 1961 il secondo canale per problemi economici ed organizzativi, e sulle iniziative delle società private. (Settimana Radio-Tv 13-19/9/1959).
27 dicembre 1959: Un infortunio di Fulvio Palmieri, (vicedirettore dei programmi TV della Rai, che in una trasmissione dedicata al Risorgimento rievocando il dramma di Villafranca ha inserito la voce di Vittorio Emanuele, suscitando grandi proteste) offre il destro a Nino Sanzio, giornalista di Settimana Radio-Tv per attaccare nuovamente il monopolio Rai. E' l'ultimo atto di una battaglia che continuerà nel 1960. (Settimana Radio-Tv 27/12-2/1 1959)
9 gennaio 1960: Arturo Gismondi sull'Unità affronta il problema del monopolio televisivo. Il monopolio statale della televisione - scrive - pone i produttori di cultura nelle mani di una burocrazia autoritaria e intollerante. Questo argomento viene sottolineato dai fautori della TV commerciale. L'esistenza di una TV privata costituirebbe indubbiamente un correttivo e un sollievo "all'attuale e intollerabile situazione". Ma secondo Gismondi il problema non muterebbe nella sostanza perchè il nocciolo della questione è nel rapporto tra mezzi d'informazione (produttori di cultura ed idee) e società. E, visto che i costi d'impianto e di gestione della TV sono altissimi, non tutti avrebbero la possibilità di competere in questo campo. Ecco dunque che "la libertà indiscriminata nelle radio e telediffusioni offrirebbe solo a pochi e fortissimi gruppi economici la possibilità di profittarne". La questione centrale secondo Gismondi, è quella di garantire un controllo democratico della Rai, " un problema di tutta la società italiana". L'attuale politica dell'ente pubblico tende viceversa ad allinearsi con quella dei monopoli privati, favorendo gli interessi dell'industria privata nei settori produttivi (apparecchi TV e pezzi di ricambio per gli impianti), cinematografici, , discografici e in quello più importante della produzione e
circolazione delle idee. Gismondi ricorda la proposta formulata dal PCI per garantire democraticità alla Rai (vedi 19 marzo 1959) e riporta l'iniziativa dell'Arci che propone un referendum popolare sulla Rai. (L'Unità 9/1/60).
24 gennaio 1960: Settimana Radio-tv pubblica un intervista con Silvio Milazzo presidente della Regione Sicilia. Milazzo spiega l'interesse che la TV suscita nell'isola e di come la televisione di Stato rappresenti in maniera inadeguata la regione, i suoi problemi, le sue necessità di crescita economica e culturale. Tesi questa confermata dall'assessore all'industria e commercio Corrao, che, come il presidente, guarda con favore ad una eventuale iniziativa privata televisiva nell'isola. (Settimana Radio-Tv 24-30/1/60).
2 febbraio 60: La Rivista Pirelli dedica un lungo articolo sulla rivoluzione in atto nel settore pubblicitario. A pag. 32 viene descritta la situazione del mercato pubblicitario televisivo in Usa, Gran Bretagna e Italia. ( Rivista Pirelli 2/2/60).
26 febbraio 1960: Rai e Lega calcio firmano un accordo per la trasmissione radiofonica e televisiva degli incontri di campionato della serie A, B, della Coppa Italia e delle attività internazionali. L'accordo prevede la trasmissione "Tutto il calcio minuto per minuto" articolata con collegamenti da quattro campi di serie A e le telecronache differite del primo o del secondo tempo degli incontri di Campionato o Coppa Italia in numero di quattro per ogni cinque giornate di attività calcistica. (Lo Spettacolo gen-mar 60)/
6 marzo 1960: Al 31 Dicembre del 1959 gli abbonati alla televisione sono 1. 575.
572. con un incremento rispetto al 1958 di 479. 387 unità (Domenica del Corriere 6/3/60).
20 marzo 1960: In un lungo articolo apparso su Settimana Radio-Tv si dà notizia di un progetto televisivo "indipendente che ha il suo epicentro in Svizzera. La Svizzera italiana infatti non è servita da una stazione televisiva in lingua italiana. Le autorità governative svizzere si dichiarano incompetenti e rimettono il problema alle autorità
del Canton Ticino. Gli svizzeri cercano capitali e, consapevoli dell'iniziativa di alcuni gruppi imprenditoriali italiani, si recano a Milano per cercare contatti. Il progetto è ardito: collocare un ripetitore sul Monte Generoso a 1701 metri d'altezza e creare un "triangolo" di ripetitori utilizzando il monte Nevoso in Jugoslavia e il Monte Titano a San Marino. In tal modo le trasmissioni della TV Svizzera potrebbero arrivare fino a Roma e l'ostacolo giuridico che impedisce lo sviluppo dell'iniziativa televisiva privata in Italia sarebbe aggirato. Ma problemi d'ordine tecnico e geografico (la particolare conformazione del territorio da raggiungere) uniti a costi d'impianto elevatissimi fanno tergiversare gli imprenditori italiani (di cui mai viene fatto il nome). In un successivo articolo (3/9/4/60) il settimanale riferisce delle reazioni preoccupate della Rai che avrebbe intenzione di potenziare il centro di produzione di Milano e di una burrascosa riunione ad Atlanti City, negli Stati Uniti, durante la quale i rappresentanti della televisione Svizzera hanno accusato la Rai di occupare abusivamente le frequenze del Canton Ticino. In un terzo articolo (10/16/4/60) Settimana Radio-Tv traccia il quadro di tutte le situazioni televisive indipendenti che si muovono in Europa, tornando con maggiori dettagli sul caso della Svizzera e sostenendo che le società italiane che vogliono operare nel settore sono 400. Epoca riprende l'argomento e, nel numero 496 del 3 aprile, aggiunge altri particolari. Un ripetitore potrebbe essere installato in Corsica per dare copertura all'Italia centrale e altri ripetitori al largo del Tirreno (idea di Achille Lauro come riferisce ABC del 19/6/60) di fronte alla costa di Napoli per trasmettere il segnale al sud e in Sicilia. Pubblica foto e nomi di Gaetano Marzotto, Gianni Agnelli e del conte Rivetti, indicandoli come i finanzieri della TV libera. (Settimana Radio-Tv 20-23/3/60; 3-9/4/60; 10-16/4/60; Epoca 3/4/60).
Aprile 1960. Lo Spettacolo pubblica un lungo articolo sulla televisione commerciale in Usa, in Canada, Brasile, in Argentina, in Gran Bretagna e in Germania. Traccia la storia e lo sviluppo delle diverse emittenti.
(Lo Spettacolo aprile- giugno 60).
12 aprile 1960: In un articolo su Il Mondo, Cesare Mannucci, uno dei massimi esperti di televisione in quel periodo, traccia un parallelo tra la Rai e la BBC. Dopo aver spiegato le ragioni storiche, giuridiche e pratiche che hanno portato alla creazione dei due diversi sistemi televisivi ( quello italiano e quello inglese) Mannucci mette in evidenza i punti deboli dell'esperienza italiana. Mancanza di reale responsabilità dei dirigenti e del consiglio di amministrazione dell'ente, imbrigliati in una struttura ibrida (gestione privata e capitale pubblico = controllo del potere politico). Ma Mannucci riferisce di un intervento del prof.
Orio Giacchi contenuto in un libro bianco dell'IRI. " la Rai - scrive Giacchi - svolge in posizione di monopolio un servizio pubblico che interessa la Stato per ragioni che vanno molto al di là dell'economia. L'evidenza del fine pubblico è tale che si può pensare se effettivamente non sarebbe meglio che l'ente a cui sono affidate le radiotrasmissioni e la televisione, sia costituto come ente pubblico, senza vestirsi di una forma privatistica che può sembrare fittizia. Quesito perfettamente logico. Cui il professor Giacchi ritiene di dovere rispondere negativamente perchè l'attuale monopolio delle trasmissioni radiofoniche e televisive è soltanto di fatto e può essere considerato temporaneo. Perciò è bene che la Rai conservi la forma d'impresa privata, che la mette sullo stesso piano di eventuali possibili imprese concorrenti, da sottoporre sempre al controllo dello Stato, ma che non apparterrebbero indirettamente ad esso". ( Il mondo 12/4/60).
14 aprile 1960: Nel 1959 la televisione ha incassato 5 miliardi e mezzo di pubblicità. Nonostante ciò il nostro è il canone più alto d'Europa (14. 000). In Austria infatti il canone costa 1250 lire; in Svezia 3500; in Spagna 3700 per le TV fino a 17 pollici e 5250 per gli apparecchi più grandi; in Germania 9000; in Francia 9500 ; in Belgio 10. 500; in Svizzera 12. 000 (Settimana Incom 14/4/60;Epoca 1. 5/60).
17 aprile 1960: La televisione indipendente continua ad essere al centro
dell'interesse di Settimana Radio-Tv che continua l'inchiesta iniziata un mese prima. In un articolo intitolato "Malta ci collegherà con gli arabi", il settimanale descrive il progetto di installare un emittente privata nell'isola. Malta è sottoposta alla legge speciale inglese e quindi al "Television Act" che permette la costituzione di società televisive private che rispondono allo Stato, sul modello della Ita, l'unica grande rete commerciale europea. Sulla base dell'Act sono previste trasmissioni a carattere regionale e collegamenti a carattere nazionale con relativa e differenziata raccolta pubblicitaria. Le emissioni maltesi potrebbero investire la Sicilia meridionale ma non potrebbero, vista la legge italiana, essere estese a tutta l'isola. Visto però il favore con il quale l'iniziativa è seguita da Silvio Milazzo, presidente della giunta regionale siciliana, il settimanale ipotizza che potrebbe essere al riguardo varata una legge amministrativa, in quanto lo statuto della regione attribuisce alla stessa competenza sulla materia. E se lo Stato impugnasse il provvedimento davanti alla Corte Costituzionale, i rappresentanti della regione potrebbero far valere il principio che la convenzione Rai-Stato è stata firmata prima della costituzione delle regioni cui oggi compete la materia. Pertanto il problema delle comunicazioni non investe soltanto la Rai e lo Stato ma anche le regioni. Con l'approvazione di una simile legge potrebbe essere possibile l'estensione di un servizio televisivo commerciale a tutta l'isola. Il vero ostacolo all'iniziativa è però costituito dal fatto che la Sicilia non viene considerata dagli operatori pubblicitari un mercato conveniente e comunque sufficiente a giustificare un così grande impegno di capitali.
Nell'articolo vengono spiegate le diverse ragioni che impedirebbero il decollo del progetto "svizzero" in Italia e viene tracciato un panorama delle altre iniziative televisive private a livello europeo e arabo. (Settimana Radio-Tv 17-23/4/60).
30 aprile 1960: I dirigenti di TVL, che hanno sollevato la questione della legittimità' costituzionale del monopolio Rai, vengono denunciati alla Procura della Repubblica. Lo riferisce Settimana Radio-Tv che aggiunge altri particolari alla vicenda sotto il
profilo legale. Settimana racconta inoltre di un progetto sperimentale di televisione a colori che non sarebbe decollato per la paura dei dirigenti Rai di perdere il monopolio. (Settimana Radio-Tv 15-21/5/60)
8 maggio 1960: Carlo Gregoretti fa i conti in tasca alla Rai. In un'articolo pubblicato sull'Espresso a titolo, "La TV migliora solo il canone" Gregoretti dopo avere preso atto della diminuzione del canone sceso da 14 a 12. 000 lire, si chiede in quale modo la Rai spenda i suoi soldi. Fatti un po' di conti sulle entrate (canone e pubblicità) sostiene che la TV pubblica incassa 34 miliardi. Le uscite , (Spese degli impianti, spese di produzione e spese generali, personale incluso) ammonterebbero a 20 miliardi. Il saldo attivo sarebbe di 14 miliardi annui. Conclude Gregoretti: "anche se dai 14 miliardi annui è doveroso detrarre le spese di ammortamento degli impianti resta sempre un tale margine d'attivo da far apparire il recente ribasso del canone non tanto un atto di generosità quanto la misura minima indispensabile da parte d'un ente statale che amministra i danari di tutti". (NB Gregoretti non cita i costi della radio). (L'Espresso 8/5/60. Sul bilancio Rai vedi anche la Discussione 15. 5/60)
13 maggio 1960: Il consigliere istruttore Francesco Palma, a Milano, sospende il provvedimento a carico dei responsabili di TVL (Gian Vittorio Figari, Carlo Mazzoldi, Francesco De Marsico e Attlio Volontieri). Il magistrato non ritenendo manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale sollevata dai legali di TVL stabilisce che sulla questione debba pronunciarsi la Corte Costituzionale. Vengono rese note le motivazioni alla base della decisione di Palma. (Settimana Radio-Tv 29/5-4/6/60).
9 Giugno 1960 L'udienza presso la Corte Costituzionale è fissata per il 23 giugno ma i quotidiani già iniziano ad interessarsi della vicenda. Momento sera ricostruisce le posizioni delle parti in causa e riferisce che negli ultimi giorni in Olanda sono state mandati in onda programmi televisivi da un grosso pontone battente bandiera panamense ancorato fuori dalle acque territoriali. E "spara" un titolo: Navi "pirata"
per la televisione nei mari italiani (Momento Sera 9/10/6/60).
12 Giugno 196O. In un articolo apparso sull'Europeo Epicamo Corbino, fatti i conti sul rapporto costi-ricavi della Rai, auspica l'abolizione del canone di abbonamento alla radio che, a suo giudizio, dovrebbe esser sostituito da un incremento della tassa sui materiali radioelettrici e da maggiori proventi pubblicitari. Il provvedimento gioverebbe alle
popolazioni meno abbienti e arretrate del Mezzogiorno. (L'Europeo 12/6/60).
19 Giugno 1960. Un lungo articolo di Settimana Radio-Tv punta l'indice contro il mondo politico italiano. L'autore, Nino Sanzio, scrive che in Parlamento stanno per essere esaminate numerose proposte di legge anti trust. Ma i politici italiani, che pure frequentementene si lamentano del monopolio televisivo, nulla fanno o pensano rispetto a questo settore. Scrive Sanzio. "ognuno pensa, con una sorta di gretta furbizia non estranea al carattere di noi italiani, che un monopolio statale è sempre lì, a portata di mano solo che si arrivi al potere. E, praticamente, ogni partito o quasi, tiene segretamente e gelosamente questo specialissimo conto in banca, pronto a esigerne il pagamento alla prima favorevole occasione. Come questo si concili con gli intendimenti anti-trust e con i propositi di liberizzazione, non sappiamo davvero". (Settimana Radio-tv 19-25./6/60).
21 Giugno 1960. L'on. Lajolo del PCI firma un lungo articolo sulla Rai-Tv nel quale attacca la Dc per l'uso fazioso dell'ente di Stato. Lajolo chiede che per le elezioni amministrative del 6 novembre tutti i partiti siano in grado di usufruire della rete radiotelevisiva. Nell'articolo viene data notizia delle proposte di legge per riformare la Rai
22 giugno 60: A Palazzo della Consulta si discute intorno alla legittimità' del monopolio Rai. La Corte Costituzionale è chiamata a dirimere la controversia Tempo tv- Rai sulla legittimità del monopolio televisivo. Analoga questione di costituzionalità è stata sollevata dal con ordinanza del giudice istruttore presso il Tribunale di Milano
nel procedimento a carico dei dirigenti di TVL imputati di contravvenzione al Codice Postale. I due giudizi, data l'identità delle questioni, sono riuniti. I legali di Tempo Tv e TVL si appellano agi art. 21, 33 e 41 della Costituzione (liberta' di manifestare il proprio pensiero con qualsiasi mezzo di diffusione; liberta' dell'arte, della scienza e del loro insegnamento; liberta' di iniziativa economica privata). I legali della Rai parlano di un "monopolio oggettivo" dovuto alla "limitata disponibilita' di canali televisivi che permette solo a una, o massimo due imprese, di esercitare il servizio televisivo sul piano nazionale". Tempo tv e TVL propongono di risolvere il problema utilizzando la banda UHF, assegnata in Italia ma - come fa rilevare il prof. Mortati avvocato della società romana - utilizzati dalla Rai solo dopo che le intenzioni della società romana erano state manifestate ( ABC 19. 6. 60;Il Giorno 21. 6/60; IL Tempo 21/6/60; ;Corriere della Sera 21/6/60; Il Tempo 23/6/60; Il Resto del Carlino 23/6/60; Il Paese 23/6/60;. Corriere della Sera 23/6/60;L'Unità 23/6/60. Per l'aspetto giuridico della contesa vedi il chiaro intervento dell'avv. Giovanni Bovio su Settimana Radio-Tv 26/6-2/7/60; Domenica Del Corriere 3/7/60;Settimana Radio Tv 17- 23/7/60).
26 Giugno 1960. Prima della decisione della Corte Costituzionale si terrà a Lugano una riunione durante la quale verrà analizzata la situazione italiana. Non si conoscono i nomi dei promotori, ma si tratta dei rappresentanti italiani ed europei dell'unico gruppo nazionale che avrebbe buone possibilità di operare nel caso in cui La Corte si pronunciasse a favore delle società private ricorrenti. Inoltre, accanto all'ipotesi Svizzera, Malta o Corsica, se ne sta delineando una quarta: Telelussemburgo. L'emittente avrebbe effettuato trasmissioni sperimentali irradiando fino in Emilia il proprio segnale captato attraverso antenne direzionali. Lo riferisce Settimana Radio-Tv in un articolo che disegna i possibili sviluppi nel caso di sentenza favorevole ai privati. (Settimana Radio-tv 26/6/-2/7 60)
3 Luglio 1960. Settimana radio-tv continua la sua inchiesta. Rivela che si è formata
una società la I. T. S (International Television Service) con sede a Berna. Ne fanno parte Sergio Salvioni editore svizzero, Luigi Carlo Mazzoldi dirigente di TVL per la parte italiana, Athur Banuer per i tedeschi e il rappresentante di una banca francese. Il progetto ha carattere europeo e prevede la messa in onda degli stessi programmi, doppiati nelle diverse lingue e con la stessa pubblicità inserita in appositi intervalli. La particolarità è costituita dal fatto che la maggioranza della nuova società sarà assunta dal gruppo che per primo riuscirà concretamente ad operare nel proprio paese, visto che di fatto, Inghilterra esclusa, in tutta Europa il monopolio statale della televisione è ancora intatto. Ecco perchè la sentenza della Corte Costituzionale è particolarmente attesa anche nel resto del Continente. Come nell'articolo della settimana precedente si delineano gli scenari possibili in presenza di un giudizio della Corte favorevole ai privati. Si parla, al riguardo, di una misteriosa società con la quale molti politici avrebbero già preso contatto perchè si ritiene che anche ammesso che non ci siano spazi sufficienti per tutti lo Stato dovrà assegnare concessioni a quelle società che forniranno adeguate garanzie. Una ricostruzione della situazione italiana e di quella Svizzera con l'aggiunta di altri particolari appare su Settimo Giorno. (Settimana Radio-Tv 3-9./7/60; Settimo Giorno 14/7/60).
3 Luglio 1960. In attesa della sentenza della Corte Costituzionale, Carlo Gregoretti sull'Espresso interviene sul contenzioso Tempo-Tv TVL/ Rai e dopo aver riassunto tutta la vicenda scrive : "Quel che è certo è che nel caso in cui la sentenza dei giudici della Corte Costituzionale fosse sfavorevole alla televisioni private, non per molto tempo sui nostri schermi televisivi continuerebbero ad apparire le sole immagini della Rai-Tv. Proprio in questi giorni si è svolta a Berna una riunione di grossi gruppi industriali interessati all'impianto d'una vasta rete televisiva commerciale europea. Si sono esaminati progetti arditi ma tutti realizzabili perchè ormai i progressi per la tecnica di diffusione delle immagini a grande distanza sono arrivati a tal punto che un monopolio televisivo entro i confini di un singolo stato sta
diventando praticamente impossibile. E quando i programmi delle compagnie indipendenti arriveranno da paesi stranieri, le leggi restrittive non serviranno più a nulla". (L'Espresso 3/7/60).
3 Luglio 1960. "Peggio del monopolio il monopolio del monopolio". Il gioco di parole è in realtà il titolo di un articolo violentissimo contro il monopolio di Stato della televisione firmato da Achille Campanile e pubblicato sulle colonne dell'Europeo. "Lo stato stesso - scrive Campanile - difendendo il proprio monopolio, diventa difensore anche di quel monopolio privato che è il monopolio di Stato; difensore quindi , del favoritismo che è in ogni monopolio. In altri termini un monopolio privato si può tollerare in tutto, meno che in un azienda che sia già per se stessa un monopolio privato. " (L'Europeo 3/7/60).
4 Luglio 1960: Ugo La Malfa distribuisce alla Camera una proposta di legge per la costituzione di un ente nazionale per la radiodiffusioni e i servizi televisivi. La Malfa sostiene che la condizione attuale della Rai in società per azioni è semplicemente una finzione perchè la Rai è un vero ente pubblico sul quale i controlli parlamentari e d'altro genere non hanno avuto efficacia. La Malfa propone la trasformazione della Rai da società per azioni in ente di diritto pubblico attribuendo veste giuridica ad una situazione di fatto già esistente. Chiede inoltre la costituzione di un comitato di garanti, indipendente da ogni altro organo dello stato, responsabile di fronte al Parlamento dell'obiettività della Rai. (Corriere della Sera 5/7/60).
10 Luglio 1960 Il Paese dedica una pagina intera alla televisione e si dichiara contrario alle iniziative di Tempo -Tv e di TVL perchè si tratta di società gestite da rappresentanti politici ed economici di ristrette minoranze. Sulla base dell'esperienza americana, l'autore dell'articolo Ivano Cipriani solleva dubbi sulla qualità dei programmi prima ancora di vederli in onda. In un altro articolo, esamina la storie dell'emittenza privata in Italia negli ultimi quattro anni e afferma che sarebbero circa quattrocento le società pronte ad impegnarsi nel settore, confermando o
riprendendo la notizia riportata da Settimana Radio-Tv tre mesi prima (vedi 20/3/60). Descrive i diversi progetti televisivi esistenti (Svizzera, Malta, Corsica). (Il Paese 10/7/60).
13 luglio 1960: La sentenza n. 59 della Corte costituzionale sancisce la "legittimità" della riserva di Stato nelle trasmissioni radio-tv". In sostanza - appellandosi a cause tecniche (la limitatezza dei canali disponibili che non possono essere lasciati a privati se non a rischio della costituzione di oligopoli) sia per la considerazione che lo Stato tutela e garantisce meglio dei privati, mossi da interessi particolari, le condizioni di obiettività, imparzialità e completezza, la Corte accoglie le tesi della Rai considerando il regime esistente come un monopolio "naturale". La Corte afferma però che leggi adeguate debbano garantire l'imparzialità" nel vaglio delle istanze d'ammissione all'utilizzazione del servizio non contrastanti con l'ordinamento, con le altre esigenze tecniche e con altri interessi degni di tutela". Insomma la Corte ribadisce il monopolio, ma auspica al contempo una legislazione certa per garantire attraverso il mezzo televisivo la libertà di
manifestazione del pensiero e la sua adeguata diffusione. Diversi i commenti. (Il Tempo 14/7/60; Il Giorno 14. 7/60; L'Unità 14/7/60; Testo della Sentenza in Giurisprudenza Costituzionale 60; Resto Del Carlino 14/7/60 commento di Silvano Tosi; Settimana Radio-Tv 24-30/7/60 commento non firmato; Nord e Sud n/8 60 articolo di commento di Nicola Tranfaglia; Il Ponte n/10 60, commento di Adriano Bellotto; L'Europeo 24/7/60 commento di Achille Campanile; Settimo Giorno 28/7/60 commento di Paolo Glorioso; Domenica del Corriere intervista a Figari presidente di TVL di Alfredo Pigna; Mondo Economico 1/10/60; Il Mondo 22/11/60 commento di Cesare Mannucci).
13 luglio 1960: Nel giorno in cui la Corte emette la sua prima storica sentenza sette partiti chiedono, con una mozione presentata alla Camera , un tempo settimanale uguale per ogni partito all'interno della programmazione Rai. La mozione è firmata
da esponenti del PCI, PLI, PSI, PSDI, PRI, Comunità e PDI. (L'Unità 13. 7/60).
20 luglio 1960: Il problema politico della Rai-Tv è oggetto di un intervento da parte dell'on. Lajolo al comitato centrale del PCI. Lajolo sottolinea la necessità di garantire la democraticità dell'ente. (L'Unità 20/7/60).
27 Luglio 1960: Il Paese riprende un'inchiesta del "confratello" Paese Sera firmata da Felice Chianti nella quale si documentano le la faziosità e le censure politiche della Rai. Viene data notizia di un discorso di Segni ritoccato e di altri episodi ( Il Paese 27/7/1960).
31 luglio 1960: Sergio Pugliese, direttore centrale dei programmi tv della Rai, Vilhelm Zilliacus, direttore della televisione irlandese, Marcel Bezencon, presidente della Commissione per i programmi della European Broadcasting Union e Hugh Greatex della BBC, rispondendo ad un lettore di Epoca che chiede quando sarà possibile arrivare alla mondovisione, illustrano la situazione attuale dell'Eurovisione e le prospettive per la mondovisione ( Epoca 31/7/1960).
23 agosto 1960: L'Unità va all'attacco contro la tv di Stato. Arturo Gismondi scrive che il secondo canale è già pronto e che le sue trasmissioni potrebbero iniziare. Ma al decollo della nuova iniziativa si frappongono due ostacoli. Il primo è la mancanza di programmi: Il secondo, la crescente rivalità all'interno dell'azienda, tra Fulvio Palmieri, vicedirettore dei programmi, e il direttore dei servizi televisivi Sergio Pugliese. Il quotidiano riferisce che in un primo momento l'azienda aveva pensato di utilizzare il secondo canale per trasmettere le Olimpiadi. Ma l'idea viene ben presto accantonata. ( L'Unità 23/8/1960).
4 settembre 1960: Nella polemica contro il monopolio spunta un po' d'ironia. Nino Sanzio, su Settimana Radio-Tv, racconta della nuova frontiera dei liberisti: il satellite americano Echo che gira intorno alla terra ad un altezza variante fra i 1. 638 e i 1867 chilometri, molto lontano dalle leggi italiane. E nel lungo articolo si diverte a prendere in giro gli assertori del monopolio. (Settimana Radio-Tv 4-10/9/60).
10 Settembre 1960. Inaugurando la mostra della radio-tv il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni Spallino annuncia che il secondo canale televisivo inizierà a tramettere entro la fine del 1961. Il Ministro, dopo aver affermato che le critiche al servizio televisivo pubblico sono di carattere politico e comunque infondate, dichiara che la Rai s'impegnerà a servire tutte le zone che hanno ancora problemi di ricezione. (Corriere della Sera 11/9/60).
18 settembre 1960: L'Espresso in un articolo di Andrea Barbato pone sul tappeto la questione dell'uso della televisione durante la campagna elettorale per le elezioni amministrative del 6 novembre. L'esperienza del 1958 ha lasciato il segno ed il tentativo dell'area laica e di sinistra è quello di stabilire criteri certi ed equi. Il settimanale diretto da Arrigo Benedetti riferisce di due proposte. La prima, presentata da autorevoli esponenti del PRI, PCI, PSI, PMP, PLI, PSDI proponeva di riservare a tutti i partiti" un tempo settimanale". La seconda porta la firma dell'on. Nenni che si limita a chiedere al governo provvedimenti adeguati per assicurare ai partiti l'uso della radio e della TV durante la campagna elettorale. Secondo Barbato, il Ministro delle Poste Spallino, d'accordo con la Dc accorderà un tempo proporzionale alla forza numerica dei partiti. Nell'articolo viene rilanciata la proposta degli Amici del Mondo " di concedere un tempo uguale a tutti i partiti che presentino candidati in tutte le circoscrizioni ed un tempo minore a tutti quelli che presentano candidati in alcune circoscrizioni. Vengono inoltre riportati gli esempi inglese e americano. (L'Espresso 18/9/60).
23 novembre 1960:Il consigliere istruttore del Tribunale di Milano, dott. Francesco Palma, proscioglie con formula piena Gian Vittorio Figari, Luigi Mazzoldi, Attilio Volontieri e Francesco De Marsico, dirigenti di TVL. Il procedimento penale nei confronti dei dirigenti dell'emittente milanese era iniziato subito dopo il sequestro degli impianti di trasmissione della stazione televisiva , sequestro avvenuto il 24 ottobre 1958: In sostanza i dirigenti di TVL vengono assolti perchè al momento del
sequestro gli impianti non erano in funzione e la televisione non aveva ancora iniziato le sue programmazioni. (Corriere della Sera 23. 11. 60).
29 novembre 60: Un altro caso Dossetti è giunto a compimento. E' l'inizio di un articolo dell'Unità con il quale si da notizia dell'ingresso in convento dell'ing. Filiberto Guala. Guala, ex amministratore delegato della Rai, lascia tutte le cariche per entrare a far parte dell'ordine dei frati trappisti. L'uscita di scena di Guala costituisce a tutt'oggi uno dei misteri della storia della nostra televisione. L'Unità lo ricorda per il suo maccartismo ma in realtà il personaggio ha dato un impronta molto forte alla TV pubblica. Achille Campanile sull'Europeo scrive a Guala una lettera aperta. (L'Unità 29/11/1960; Europeo 11. 12/60)/
2 dicembre 1960: Trombadori affronta davanti al Comitato Centrale del PCI il problema dei rapporti tra cinema, teatro cultura, potere governativo e coscienza civile dei cittadini. La notizia è ripresa dall'Unità. A proposito della televisione
il quotidiano comunista scrive. "Per quanto riguarda la TV, Trombadori ha proposto che il partito si schieri per la liberalizzazione. Il problema è naturalmente delicato. E' chiaro infatti che sarebbero i monopoli ad impadronirsi di molteplici stazioni televisive. Tuttavia - è l'opinione di Trombadori - si può ritenere che il personale creativo, i registi, gli artisti, i documentaristi, siano schierati, almeno in parte, su posizioni conformiste, anche nel campo della TV come del cinema. (L'Unità 2/12/60).
12 dicembre 1960: In un articolo sul settimanale della DC la Discussione il sottosegretario Domenico Magrì traccia un bilancio della situazione dello spettacolo in Italia esaminando il rapporto tra cinema teatro e televisione (La Discussione 12/12/60)
5 gennaio 1961: Ettore Bernabei, già direttore del Popolo, diventa direttore generale della RAI. Rimarrà in carica fino al 1974. Nuovo presidente è il liberale Novello Papafava dei Carraresi. "In sostanza - commenta Vittorio Zincone sull'Europeo - ci
dovremmo aspettare nei prossimi mesi una maggiore accentuazione politica dei telegiornali e cinegiornali; il professor Papafava potrà riservare qualche sorpresa nei programmi e nelle rubriche di informazione e di cultura. Se Rodinò e Piccone Stella fossero definitivamente travolti (ma non è detta l'ultima parola) si arriverà a parlare di una rivoluzione" (Europeo 21/1/61, Vittorio Zincone, "Il video tripartito").
9 febbraio 1961: Il Consiglio Provinciale di Bolzano approva un disegno di legge del Sudtiroler Volkspartei per la "parità dei gruppi linguistici nelle radiotrasmissioni". Secondo questa legge la provincia assegna a se stessa il diritto di "definire ed elaborare" i programmi delle comunicazioni radio e televisive di Bolzano, insieme alle approvazioni per assunzioni e incarichi del personale della locale sede Rai. L'episodio propone un caso molto particolare di battaglia contro il monopolio Rai, in cui è forte la componente autonomista alto-atesina: "La RAI - scrive Nino Sanzio su Settimana Radio-Tv - sempre pronta ad applicare il controllo più esclusivo sulle trasmissioni, grazie all'esercito di funzionari e di dirigenti di cui attualmente dispone, cede il suo scettro proprio là dove più necessaria sarebbe la sua vigilanza. Qui non si tratta più di vedere se le ballerine mostrano un centimetro in più o in meno di pelle agli occhi furibondi degli spettatori, ma si tratta di rintuzzare un tentativo di sopraffazione fra i tanti che sono stati perpetrati ai danni dell'integrità di un territorio che solo la malafede dei governanti viennesi può mettere in contestazione". (Settimana Radio TV 21-27/2/61). Prima ancora della RAI, comunque, interviene lo Stato: la legge approvata dalla provincia di Bolzano solleva problemi di costituzionalità. E la vicenda si concluderà, nel luglio dello stesso anno, proprio davanti alla Corte costituzionale.
26 marzo 1961: L'Unità lancia un referendum tra i propri lettori sulla TV. Queste le domande che vengono sottoposte: "1) Quali programmi vi sono piaciuti e vi piacciono di pi? 2) Qual è il programma che giudicate più criticabile? 3) Quali programmi desiderereste vedere inclusi nel secondo canale? 4) Avete mai avanzato
proposte e rilievi alla Commissione di vigilanza parlamentare e alla direzione della RAI-Tv? (Unità 26/3/61) I lettori dell'Unità bocciano il Telegiornale e le prediche in chiesa e promuovono Tribuna Politica e Campanile Sera. Il programma più richiesto è una Storia della Resistenza (Unità 16/7/61).
2 aprile 1961: "Banda 4/470, uguale 585 megahertz. Questa formula farà spendere agli italiani nei prossimi mesi una cifra fra i 30 e i 40 miliardi. E' la formula del secondo canale televisivo che inizierà le sue trasmissioni nel prossimo mese di novembre". Inizia così un articolo dell'Espresso, a firma Andrea Barbato, dedicato al secondo
canale e intitolato "La manopola della discordia", in cui Barbato si chiede tra l'altro:"Come si riuscirà a convincere gli italiani a modificare il proprio apparecchio? Quante ore di trasmissione si vedranno ogni giorno? Che indirizzo avrà il secondo canale, frivolo o educativo? E la questione della pubblicità? E quella dei produttori privati di trasmissioni televisive?" (Espresso 2/4/61).
Aprile 1961: Dopo la sentenza della Corte costituzionale in tema di monopolio TV, emessa come è noto nel luglio '60, crescono le polemiche sull'obiettività della Rai. La sentenza, ricorda Rinascita, giustifica la legittimità del monopolio con il fatto che lo Stato si troverebbe "istituzionalmente nelle condizioni di obiettività e di imparzialità più favorevoli" per realizzare il precetto costituzionale, che intende assicurare a tutti la possibilità di diffondere il pensiero con qualsiasi mezzo. "E' evidente - afferma il settimanale comunista - che questa superba (ma bugiarda) persuasione della assoluta democraticità, della perfetta funzione rappresentativa della RAI-TV ha rapidamente avuto la meglio sugli impegni che erano pur stati assunti dal governo all'atto della sua formazione e sull'ammonimento e l'indicazione venuti dalla Corte costituzionale" (Rinascita aprile 1961).
26 aprile 1961: Hanno inizio le trasmissioni, sia radiofoniche che televisive, di "Tribuna Politica" (Annuario Rai).
Aprile-maggio 1961: Riunione a Stoccolma di 35 paesi europei e alcuni stati africani per coordinare l'assegnazione delle frequenze sulle bande VHF e, per la prima volta, UHF. Per una giusta distribuzione viene adottato il criterio di assegnare a ogni paese 4 reti TV a copertura nazionale. Vengono inoltre stabilite le regole di assegnazione in caso di modifica dei piani da parte di ogni paese (A.Bartolomei- P.Bernabei:"L'emittenza privata in Italia dal 1956 a oggi").
14 aprile 1961: La nascita del secondo programma della Rai dà l'occasione al Consiglio Comunale di Milano di scrivere un nuovo capitolo nella lunga battaglia per il predominio sulla televisione scatenato già da anni tra la città lombarda e Roma. Al sindaco viene presentata una mozione del gruppo socialdemocratico che esprime dissenso nei confronti della Rai "per non aver previsto una aliquota di produzioni del secondo canale adeguata all'importanza della nostra città" (Corriere della Sera 14/4/61).
3 maggio 1961: La mozione pubblicata dal Corriere sugli impianti radiotelevisivi milanesi provoca un'immediata reazione da parte della Rai: l'amministratore delegato Marcello Rodinò scrive al sindaco, promettendo un grande piano di sviluppo (entrata in funzione di un complesso per i servizi giornalistici, ampliamento del centro di corso Sempione, ecc.) (Corriere della Sera 3/5/61).
29 maggio 1961: Il ministro delle Poste Spallino risponde a un'interrogazione del deputato socialista Albarello in cui si chiedeva l'abolizione del supplemento serale di pubblicità che, "spostando ad ora tarda il programma normale, impedisce l'ascolto a quelle categorie di cittadini che debbono recarsi
al lavoro di buon'ora il mattino dopo". Spallino ricorda che l'inizio dei programmi è passato dalle 21,05 alle 21,15 soprattutto per l'ampliamento dei servizi giornalistici, mentre la pubblicità incide solo per un minuto e mezzo sullo slittamento (Corriere della Sera 30/5/61).
11 giugno 1961: In una riunione della Direzione Generale della Rai si ventila la
possibilità che il canone, nel giro di qualche anno, possa essere abolito. I programmi, in questo caso, verrebbero interamente finanziati dalla pubblicità. Nel fornire questa indiscrezione, Guido Guarda commenta:"Andiamoci piano, però. Pagando in ogni caso, difendiamo il diritto di giudicare e di scegliere" (Settimana Radio-Tv 11-17/6/61).
giugno 1961: In un articolo pubblicato sulla Rivista Pirelli, lo storico e giurista Arturo Carlo Jemolo affronta l tema del monopolio della televisione. "Qui si pone subito la distinzione tra i monopolio dell'esercizio del mezzo di diffusione del pensiero e quello del contenuto di questa diffusione (che, grosso modo, sarebbe la distinzione tra monopolio delle ferrovie e potere che lo stato pretendesse riservarsi, di stabilire chi possa o meno usare delle strade ferrate). Ossia, se lo Stato ha il monopolio degl'impianti e dei cosiddetti 'canali' - ma c'è poi un sistema legislativo per cui nei limiti del possibile, passando cioè attraverso certe scelte e certi controlli, ogni cittadino può accedere alla televisione come autore - potrà parlarsi di un monopolio dell'impresa statale, ma non di privazione inflitta ai cittadini di un mezzo per la diffusione delle loro idee". In sostanza, Jemolo afferma qui la differenza tra il "monopolio del mezzo materiale" e il "monopolio delle idee", facendo riferimento alla sentenza del luglio '60 in cui la Corte costituzionale ha ammesso il monopolio statale sulla TV in quanto non contrasta con l'art.21 della Costituzione. Inoltre ritiene che la questione non si possa eludere attraverso controlli parlamentari o altri organi "volti ad assicurare l'imparzialità". Perché "quando pure questi organi esistessero o funzionassero (...) non potrebbero mai spingersi oltre all'impedire le faziosità". Cioè non potrebbero mai "sostituirsi a chi forma il programma", l'unico in grado di "chiudere la porta" a questa o a quella influenza. Il problema è dunque arrivato al nodo centrale: "Quando c'è un unico organo che forma insindacabilmente i programmi, e che può respingere richieste e proposte senza che ci sia una possibilità di ricorso, è fatale che la televisione (come la radio) assuma una data
connotazione, un dato colore o tendenza: che normalmente sarà quella del partito al potere". E poi, più avanti, Jemolo prosegue facendo riferimento ancora alla sentenza del '60, e in particolar modo alla motivazione tecnica (mancanza di canali sufficienti) posta come giustificazione di fatto del monopolio:"Se e dove è possibile avere molteplicità di radio e televisioni (non mi addentro nel problema che esige cognizioni tecniche che a me mancano: so solo che vi sono Paesi che hanno la pluralità e altri che hanno l'unica televisione o l'unica radio), evidentemente questo è il miglior modo per consentire che il mezzo di
diffusione sia a disposizione delle tendenze più diverse" (Rivista Pirelli, maggio- giugno 1961, Arturo Carlo Jemolo:"Monopolio e libertà").
11 luglio 1961: Il problema del monopolio torna alla Corte Costituzionale. Questa volta si dibatte sull'iniziativa della provincia di Bolzano, che - come abbiamo visto - ha chiesto di poter provvedere per suo conto alla "predisposizione o all'approvazione di programmi per le trasmissioni radio e televisive delle stazioni locali", ossia di poter gestire in proprio le trasmissioni dei programmi locali in lingua tedesca previsti dalla Rai e dei programmi in partenza da Bolzano (oltre ad arrogarsi diritti in merito ad assunzioni e nomine). A giustificazione delle leggi provinciali approvate, l'amministrazione di Bolzano ha presentato una eccezione di incostituzionalità del monopolio statale nelle regioni a statuto speciale e nelle provincie autonome, dove sarebbe sostituito da un "monopolio provinciale" o regionale. L'eccezione viene però respinta, e la legge provinciale concernente "norme sulla parità dei gruppi linguistici nelle radiocomunicazioni". dichiarata incostituzionale. "La radiotelevisione - si legge nella sentenza - non può essere considerata vera e propria istituzione culturale disciplinabile nel suo uso, se localizzata sul territorio provinciale, dalla potestà amministrativa della Provincia (...). D'altra parte la statualità del servizio televisivo esige che ogni settore della sua organizzazione, ivi compreso il contenuto dei programmi, competa di diritto e di fatto
allo Stato. Lo Stato ha validamente dato il servizio in concessione, e la Provincia non ha potere di interferirvi, ancorché avesse competenza in materia" (Giurisprudenza Costituzionale 1961, pagg.990 e seguenti). Dunque la Corte Costituzionale, ribadendo quanto già espresso dalla precedente sentenza del luglio 1960, conferma la legittimità del monopolio statale delle trasmissioni televisive con una motivazione "culturale-sociologica che mette in evidenza - come sottolinea Enrico Baragli in un articolo pubblicato nel gennaio 1971 da Civiltà Cattolica - "i caratteri di preminente interesse generale delle telecomunicazioni". La difesa della Provincia di Bolzano ha invocato anche, a proprio sostegno, il principio della libertà di manifestare il pensiero con ogni mezzo, che deriva dall'art.21 della Costituzione, sostenendo che la richiesta deve considerarsi "esplicazione del diritto della Provincia alla divulgazione del proprio pensiero, per la tutela delle specifiche esigenze locali". Riguardo a questa questione "occorre ricordare che la Corte, con la sentenza n.59 del 1960, ha ritenuto che l'art.21 non risulta violato per effetto della riserva a favore dello Stato, stabilita per i servizi radiotelevisivi dalle leggi vigenti e dalla conseguente possibilità di farne oggetto di concessione in esclusiva" (Giurisprudenza Costituzionale 1961, pagg.990 e seguenti).
20 luglio 1961: Nel corso della seduta antimeridiana del Senato, i partiti della sinistra portano un duro attacco alla Rai: l'ente televisivo viene definito da Pastore (Pci) un "feudo esclusivo della DC e uno strumento determinante per la clericalizzazione della vita pubblica e per il sottogoverno", mentre Busoni (Psi) pone l'accento sulla mancanza di una regolamentazione legislativa capace di imprimere alle trasmissioni Rai imparzialità e correttezza. (Corriere della Sera 21/7/61). Il PCI presenta una mozione in cui si chiede che "nel consiglio d'amministrazione della RAI-TV siano compresi rappresentanti di tutti i partiti politici, e negli organi direttivi e redazionali siano inclusi intellettuali e giornalisti capaci, senza discriminazione politica, in modo che si stabiliscano equilibri e reciproco controllo". Il senatore Pastore, tra l'altro, si
sofferma sulla sentenza della Corte Costituzionale del 13 luglio 1960: "La Corte ha ritenuto che il monopolio statale non sia anticostituzionale, in quanto la Costituzione ammette, in determinati casi, la possibilità di monopoli statali. Naturalmente la Corte non ha detto che il monopolio statale sia obbligatorio; quindi lo stato potrebbe anche trovare un'altra soluzione non monopolista. Non mi soffermo sulla questione che, al momento, non mi pare di attualità. E' evidente che potrebbe sorgere una soluzione nuova, potrebbe darsi che lo sviluppo dei mezzi tecnici fosse tale da permettere facilmente l'istituzione di altre reti televisive. D'altra parte ci sono molti paesi in cui non esiste monopolio statale o dove, accanto ad un istituto statale di radiodiffusione, esistono anche enti privati che hanno ottenuto la concessione. Ritengo però che in questo momento la sentenza della Corte costituzionale abbia un valore particolare. Riconosciuto dunque che il monopolio statale non è anticostituzionale, la Corte esamina il problema posto dall'art.21 della Costituzione, il quale stabilisce che i cittadini italiani hanno il diritto di diffondere liberamente il proprio pensiero per mezzo della stampa, e con qualsiasi altro mezzo di diffusione. La Corte costituzionale riconosce quindi il diritto ai cittadini italiani di diffondere il proprio pensiero anche con il
mezzo radiofonico e quello televisivo, e giunge ad affermare che, nella situazione italiana attuale, il mezzo migliore per permettere a tutti i cittadini di diffondere il proprio pensiero è precisamente il monopolio statale". Dopo il comunista Pastore interviene il socialista Busoni:"Nella situazione della Rai è anzitutto da rilevare che queto organo di monopolio pubblico (...) vive in una situazione economico finanziaria paradossale. Passata la maggioranza delle azioni all'Iri, la Rai è sottratta, come tutte le società anonime, ai controlli contabili della Ragioneria dello Stato, della Corte dei conti e del Parlamento, organi ai quali sono soggetti tutti gli enti pubblici. Ma una parte delle azioni sono in proprietà di privati tra i quali sono presenti, attraverso il presidente, note società italiane del gruppo svedese Ericson, fornitore di impianti
elettrici e telefoni. E non si comprende come mai non si sia pensato già da molto tempo, né si pensi ancora, a riscattare i pacchetti azionari dei privati in quanto sia gli azionisti già proprietari della maggioranza delle azioni dell'originaria SIP come gli azionisti diretti
della RAI vengono a trarre indebiti profitti dalla posizione di monopolio, dai contributi statali e dai privilegi fiscali concessi dallo Stato alla RAI perché gestisce un pubblico servizio". Poi, più avanti, ancora Busoni esprime, commentando la sentenza del luglio '60, la posizione allora più diffusa tra le forze della sinistra:"La Corte ha affermato, soprattutto a causa della limitazione delle frequenze radiofoniche a disposizione, che non contrasta con la costituzione il permanere dell'attuale situazione di monopolio. Per nostro conto possiamo aggiungere che in una democrazia capitalistica, la disponibilità del costoso mezzo sarebbe sempre a disposizione di chi ha più denaro e perciò, a nome dei poveri, non abbiamo da rivendicare, con la libera disponibilità, un diritto di libertà che, come avviene per altre libertà, sarebbe solo apparente e non reale". (Atti Parlamentari, Senato della Repubblica, Discussioni, seduta del 20/7/61). Il giorno dopo, il ministro Spallino risponde che ciò è impossibile secondo le norme della convenzione tra stato e Rai, che scade nel 1972. Alla fine dell'animato dibattito Pastore ritira la mozione (Corriere della Sera 22/7/61).
13 ottobre 1961: Davide Lajolo, a nome del PCI, chiede nel corso della seduta pomeridiana della Camera la riduzione del canone Rai nella misura del 50% (Unità 14/10/61)
4 novembre 1961: Iniziano i programmi del Secondo Canale Rai, trasmesso sulla banda UHF. La programmazione è di circa due ore ogni sera, dalle 21,05 alle 23,15. "Con l'apertura del Secondo canale - scrive Guido Guarda - l'Italia si è impossessata di un record mondiale assoluto: è l'unica nazione ad usufruire di due reti televisive gestite dallo stesso ente. Purtroppo questo ente è lo Stato e la sua voce è una sola,
quella del più grigio conformismo (Settimana Radio-Tv 29/10-4/11/61, "La vergogna di un primato", di Guido Guarda).
novembre 1961: Nel corso di una seduta del Consiglio dei Ministri, Guido Gonella (allora Ministro di Grazia e Giustizia) accusa la RAI di essere "immorale, filo- comunista, antinazionale e pure offensiva di nazioni amiche". Gli fa eco Mario Scelba (Ministro degli Interni), sostenendo che la RAI si è messa al servizio dei comunisti. Le dichiarazioni dei due esponenti democristiani sono supportate da una campagna di stampa sostenuta dai giornali di destra (Unità 24 e 26/11/61). Si tratta - afferma in un caustico editoriale non firmato il settimanale ABC - di una lotta di correnti democristiane in cui la RAI è solo un pretesto per colpire Fanfani e chiedere la rimozione di qualche dirigente. Gonella e Scelba, afferma l'anonimo autore, hanno colpito giusto quando dicono che la RAI è diventata l'anticamera di una casa di tolleranza, "Ma si sbagliano quando credono che il rimedio sia ala sostituzione di alcuni dirigenti. Qui si salta da un conformismo all'altro, da una finta libertà ad un'altra finta libertà. In Italia, se vogliamo invece un vero confronto delle idee e la libertà sul serio, bisogna che sia permessa la TV libera. Soltanto con la fine del monopolio sarà possibile la soluzione concreta del problema" (ABC 3/12/61).
Gennaio 1962: Lo spettacolo pubblica una tabella che riassume i dati relativi ai confronti e alla diffusione della TV in alcuni paesi del mondo. Nello stesso numero, Lo spettacolo, citando quale fonte il mensile americano Variety rende noti alcuni dati mondiali sulla diffusione della televisione. La TV è ormai presente in 65 paesi. Nel 1948 vi erano quattro milioni di televisori. Oggi sono cento milioni, 3,5 per ogni cento persone. La televisione commerciale inglese ha incassato 243 milioni di dollari con un incremento di 28 milioni rispetto al 1960 e di 80 milioni rispetto al 1959. (Lo Spettacolo Gennaio-Marzo 1962).
21 Gennaio 1962: Renato Filizzola sulla Discussione affronta un tema, quello dei rapporti tra produzione televisiva italiana e produzione estera, che diventerà di stretta attualità quindici anni dopo. L'inizio delle trasmissioni del secondo canale televisivo ha imposto un aumento della programmazione. La Rai è ricorsa ad acquisti massicci sul mercato americano. In questo modo però ,vista la funzione educativa che la televisione deve mantenere, si è in molti casi abbassato il livello dei programmi e i vari telefilm e serial stranieri, potrebbero addirittura inficiare quanto di buono nel settore culturale la TV ha fatto fino ad oggi. Filizzola ricorda che la sentenza n.59/1960 della Corte Costituzionale ha riconosciuto alla Rai il regime di monopolio, ma non inibisce ai privati la ideazione e produzione dei programmi. Il giornalista auspica che le produzioni italiane vengano incoraggiate al fine di creare una " preziosa scorta di idee e programmi realizzati da indipendenti", che potrebbero trovare all'interno del neonato secondo canale terreno fertile, conferendogli valenza diversa rispetto alle programmazioni del primo canale della TV. ( la Discussione 21/1/1962)
10 febbraio 1962:. Si apre a Roma il convegno sulla televisione indetto dall'associazione italiana dei radioabbonati. Al centro degli interventi dei numerosi relatori, i rapporti tra la Rai e il Parlamento. Dal convegno emerge la proposta che alla Rai sia assicurata legislativamente sia l'indipendenza dal potere esecutivo, sia i caratteri organizzativi di ente pubblico. Si richiede inoltre l'ampliamento delle attribuzioni della Commissione Parlamentare di vigilanza. Temi questi intorno ai quali si dibatterà fino alla legge di riforma della Rai nel 1975. (L'Unità 11/2/1962; L'Unità 12/2/1962; vedi anche il Borghese 22/2/1962)..
17 febbraio 1962: Il Corriere della Sera annuncia che tecnici del Ministero delle Poste e Telecomunicazioni e della Rai stanno studiando il sistema della radiodiffusione a colori N.T.S.C. (National Television System Commitee ) e le sue possibili varianti. (Corriere della Sera 17.2.1962).
18 febbraio 1962: Epoca pubblica il testo integrale dello sketch che la coppia Vianello -Tognazzi avrebbe dovuto proporre sul palcoscenico di Sanremo. La censura televisiva infatti respinge il copione e l'esibizione salta. E' uno dei tanti episodi di censura, certamente il più vistoso vista la
popolarità dei protagonisti. Il problema della Censura costituisce un altro dei temi ricorrenti durante l'anno. Sull'esistenza del codice di censura della Rai intervengono in molti. Particolarmente interessante al riguardo è l'articolo che Guido Guarda firma su Settimana Radio-Tv del 14-20/1/1962. (Epoca 19/2/1962).
15 Marzo 1957. La TV italiana ha superato i tre milioni di abbonati e si ha un televisore ogni sedici abitanti. Siamo al sesto posto nel mondo dopo gli USA ( cinquantotto milioni di televisori) l'Inghilterra ( oltre undici milioni), la Germania Occidentale ( quattro milioni e mezzo ) Canadà e Russia (quattro milioni di teleabbonati, assai meno di noi in proporzione agli abitanti). Nel nostro paese la televisione è diffusa soprattutto nelle aree più povere. Un esempio: In Piemonte ci sono ventotto abbonati alla TV ogni cento alla radio, mentre in Campania ci sono quarantatré abbonati alla TV, ogni cento abbonati alla radio. (Oggi 15/3/1962).
21 Febbraio 1962:Antonio Piccone Stella, direttore centrale dei servizi giornalistici della Rai lascia l'incarico. Le sue dimissioni in realtà erano state presentate tre mesi prima e la notizia della loro accettazione avviene in sordina, senza comunicazione diretta all'interessato. Secondo l'Espresso, si tratta di una mossa di Bernabei per continuare a conservare il monopolio democristiano della Rai sulla televisione di Stato. Il settimanale ricostruisce tutta la vicenda con dovizia di particolari. (L'Espresso 4/3/1962)
Aprile 1962: Recenti statistiche mondiali affermano che in Francia il 14% delle famiglie possiede il televisore, contro il 20% delle famiglie in Belgio e in Italia, il 34% nella Germania Federale, il 73% in Gran Bretagna e il 116% in USA, dove una famiglia possiede spesso due o tre televisori. I dati sono riportati dal trimestrale Lo
Spettacolo. (Lo Spettacolo aprile-giugno 1962).
Aprile 1962: La Commissione governativa inglese incaricata di indagare sull'operato della BBC e della TV commerciale in vista della scadenza (che avverrà nel 1964) della legislazione che regola l'attività dei due enti televisivi, ha concluso i suoi lavori. La Commissione ha suggerito l'apertura per entrambe gli enti di un nuovo canale; l'introduzione della TV a pagamento; la trasformazione dei teleschermi da 405 a 625 linee e l'avvento della TV a colori. (Lo Spettacolo aprile-giugno 1962).
Aprile 1962.Sul mensile Il Ponte Giorgio Moscon mette in rilievo il ritardo di intellettuali e politici rispetto ai problemi della televisione. Passa in rassegna diverse proposte di riforma dell'ente sostenendo la necessità di operare al più presto un' inversione di rotta per ridisegnare l'azienda al fine di garantirne il pluralismo.( Il Ponte n.4 1962).
1 Aprile 1962. Tra tutti i settimanali che negli anni precedenti hanno appoggiato la battaglia dei privati per rompere il monopolio della Rai, spicca per combattività Settimana Radio-tv. A distanza di due anni dalla sentenza della Corte Costituzionale, il settimanale annuncia trionfalmente e con una punta di veleno nei confronti
dell'ente di Stato, che il monopolio delle immagini sta per essere minacciato dal centro di produzione televisivo di Lugano. Il centro ha iniziato le sue trasmissioni da circa un anno ed è ricevibile in molte zone del Nord. La Rai nulla potrebbe nei confronti della televisione svizzera. Sia perchè non esiste al riguardo legislazione internazionale certa, sia perchè fino ad oggi, ad operare una sistematica violazione dell'etere elvetico è stata la stessa Rai. L'articolo è ricco di particolari tecnici. (Settimana Radio-Tv 1-7/4/1962; vedi anche Settimana Radio-Tv (8-14/4/1962; Settimana Radio-Tv 6-12/5/1962).
8 aprile 1962: Su Settimana Radio-Tv Guido Guarda denuncia l'assenza dell'Italia dal primo relais televisivo intercontinentale Europa-America in ripresa diretta che
avverrà per mezzo di un satellite NASA. Vi prenderanno parte Stati Uniti, Francia, Germania Federale e Inghilterra che potranno ricevere le stesse immagini. Guarda riporta una Dichiarazione di Lorenzo Spallino, Ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni, che nel settembre 1961 aveva dichiarato che anche l'Italia avrebbe preso parte all'esperimento. Guarda denuncia la mancanza di operatività di Telespazio, società sorta per assicurare all'Italia una presenza nel campo delle telecomunicazioni.( Settimana Radio-Tv 8-14/4/1962).
29 aprile 1962: Settimana Radio-Tv continua la sua crociata contro la Rai. In questo numero contesta le spese (oltre un miliardo) che l'azienda di stato ha effettuato per propaganda e attività dell'ufficio stampa. Ciò che più interessa però è un passaggio relativo alla pubblicità. "...gli esponenti dell'industria pubblicitaria privata non vedono di buon occhio le trasmissioni commerciali radiofoniche e televisive inserite dalla Rai nelle proprie reti. Essi dicono che non è giusto, nè che la Rai detenga il monopolio del veicolo pubblicitario più potente e più efficace, nè che lo Stato se ne avvalga in concorrenza con l'industria privata. La Rai li ha tacitati in due maniere. Indirettamente, evitando di coprire per intero il tempo delle proprie trasmissioni pubblicitarie concessole in base alla convenzione con lo Stato (5% della durata complessiva delle programmazioni aumentabile all'8% in caso di comprovata necessità). Direttamente, passando agli editori di giornali quotidiani e periodici una forte quota annuale che viene coperta dalla pubblicità. (Settimana Radio-Tv 29.4/5.5 1962).
5 maggio 1962: Rinascita, il settimanale del PCI traccia, in un articolo di Ivano Cipriani, il bilancio di un anno e mezzo di gestione Bernabei alla Rai . Cipriani, dopo aver descritto il profilo professionale di Bernabei, afferma che per anni i dirigenti televisivi si erano impegnati a distrarre il pubblico con programmi leggeri e a fare propaganda alla Dc. I Fanfaniani, ai quali Bernabei appartiene, cambiano indirizzo, ridimensionando i programmi popolari e rilanciando l'informazione attraverso la
nomina di Biagi a direttore del tg. Ad una atteggiamento passivo di censura e proibizione sostituiscono una posizione attiva. Alla propaganda scontata si preferisce quella indiretta. Cipriani illustra esempi di
note trasmissioni. (Rinascita 5/5/1962 ).
24 giugno 1962: Nel 1964 potremo vedere le Olimpiadi di Tokio in ripresa diretta . Lo annuncia Settimana Incom, che descrive il perfezionamento degli impianti di Telespazio. (Settimana Incom 24/6/1962).
Luglio 1962: Al 31 marzo del 1961 (che corrisponde alla chiusura dell'anno fiscale in Inghilterra) le compagnie televisive private inglesi hanno battuto il primato degli incassi con 271 milioni di dollari, con un aumento del 19% rispetto all'anno precedente. Lo riferisce Lo Spettacolo (Lo Spettacolo luglio-settembre 1962).
8 luglio 1962: Settimana Radio-Tv affronta il tema della TV regionale. Le reti televisive regionali dovrebbero funzionare secondo questi criteri: controllo dell'Ente Regione di competenza; gestione da parte di un'azienda privata, che abbia ottenuto la licenza dallo Stato su segnalazione dell'Ente Regione; raggio d'azione limitato alla regione; gestione in regime di libera concorrenza sia rispetto alla Rai, sia rispetto alle altre reti regionali; finanziamento attraverso la pubblicità ed assenza di canone; supervisione dello Stato per la censura sui programmi, attraverso la Rai. L'autore dell'articolo, Guido Guarda, rileva come solo poche regioni del nord, insieme a Lazio e Sicilia sarebbero in grado di finanziare una rete televisiva con la pubblicità. I gruppi finanziari del nord poi, opterebbero per una rete macro-regionale che coprirebbe Lombardia-Piemonte e Liguria. Ma il progetto di realizzare una televisione regionale incontrerebbe secondo Guarda altri ostacoli. Il primo è costituto dall'assenza di canali disponibili, essendo tutti di fatto occupati dalla Rai. Il secondo è costituito dalla Convenzione Stato-Rai del 1952 la cui scadenza, prevista nel 1972, potrebbe essere anticipata sulla base dell'art 28.(che concede allo Stato la facoltà di riscatto dopo 15 anni) al 1967. Non rimane dunque che una possibilità. Modificare in sede
parlamentare l'attuale legislazione. (Settimana Radio-Tv 8-14/7/1962 ).
9 luglio 1962: Vengono irradiati da Roma-Monte Mario i primi segnali TV a colori secondo il sistema NTSC.
1O luglio 1962: Il satellite Telstar viene messo in orbita da Cape Canaveral e per la prima volta nella storia ritrasmette in Europa un programma televisivo della durata di 10 minuti. ( Epoca 1/7/1962; Epoca 22/7/1962; per la storia delle comunicazioni via satellite vedi ABC 22/7/1962; Domenica del Corriere 22/7/1962; Il Borghese 2/8/1962). Nei giorni seguenti quotidiani e settimanali danno ampio risalto alla notizia del progetto di collegamento televisivo in mondovisione attraverso l'utilizzazione di cinquanta satelliti. L'Espresso con una corrispondenza da New York racconta che il lancio ha messo in difficoltà Kennedy di fronte all'industria privata e lo ha esposto a pesanti critiche ed attacchi da parte della sinistra del Partito Democratico. Da un lato c'è la necessità di utilizzare al meglio e per fini politici di educazione ed establishment la televisione internazionale. Dall'altro Kennedy deve conciliare l'interesse pubblico con quello delle
potenti compagnie americane che vogliono entrare nel business della "TV spaziale". E la sua idea di creare una società a capitale misto con azioni vendute al pubblico a mille dollari l'una per un tetto massimo del 15% crea diverse reazioni. L'articolo dell'Espresso è molto dettagliato al riguardo. (Corriere della Sera 25/7/1962; Oggi 26/7/1962; Gente 27/7/1962; Espresso 5/8/1962).
14 Luglio 1962: Ivano Cipriani su Rinascita commenta la notizia (non ufficiale) dell'uscita di Biagi dal telegiornale. Riconosce a Biagi la capacità di aver cambiato l'informazione televisiva, ma lo considera una sorta di intelligente trasformista, scomodo alla Dc, ma di fatto disposto al compromesso con tutti i politici che lo avevano chiamato a ricoprire quel ruolo. (Rinascita 14/7/1962).
22 Settembre 1962: In una lettera al Cardinale Siri sui compiti della radiotelevisione Giovanni XXIII afferma di vedere con benevolenza i mezzi audiovisivi. Secondo il
Pontefice occorrono interventi tempestivi per prevenire le influenze negative sia per offrire elementi validi per una vera istruzione. Chiunque sia investito di pubblici poteri ha l'obbligo d'intervenire a tutela della comunità e tale intervento non può essere considerato come indebita pressione sulla libertà dei singoli. (Corriere della Sera 23/9/1962).
17 ottobre 1962: Durante una seduta al Senato l'on. Pastore del PCI pone l'accento sulla necessità di riformare la Rai. Pastore sostiene che l'ente pubblico è uno strumento nelle mani della Dc. In attesa di una riforma è necessario estendere i poteri della Commissione Parlamentare di vigilanza dandole la possibilità d'intervenire prima della messa in onda dei programmi. (L'Unità 17/10/1962).
11 novembre 1962: Davide Lajolo, deputato del Pci, scrive un fondo sull'Unità intitolato "Chi tocca la Rai-Tv muore". Denuncia lo stato di assoluto stallo in cui nel quale versano tutte le proposte di riforma della Rai. Convegni, proteste, denunce di soprusi e petizioni non servono a niente. L'ente continua a rimanere in salde mani democristiane e Lajolo rivolgendosi agli esponenti dei partiti del centro-sinistra chiede. "La questione del mezzo radiofonico e televisivo non aveva e non ha necessità di stare nel programma del centro-sinistra ?" (l'Unità 11/11/1962).
29 novembre 1962: Scoppia il caso Dario Fo-Franca Rame. La celebre coppia di attori abbandona Canzonissima dopo mesi di incomprensioni con i dirigenti della Rai
.La polemica rimbalza sui giornali ed arriva in Parlamento. La vicenda si inserisce nella polemica sulla censura televisiva che nel 1962 riaggiunge il suo apice. (Il Borghese 4/10/1962; L'Espresso 18/11/1962; L'Espresso 9/12/1962; Oggi 13/12/1962; L'Unità 22/12/1962; Domenica del Corriere 30/12/1962). Sul problema della censura vedi Settimana Radio TV 3-9/6/1962; L'Unità 9/6/1962; Rinascita 15/12/1962).
9 Dicembre 1962: A oltre due anni di distanza dalla sentenza n.59 della Corte Costituzionale Enrico Emanuelli sulla Stampa di Torino riaffronta la questione del
monopolio. Analizzando lo scandalo Fo-Rame, afferma che tutti i guai della televisione trovano origine nel monopolio. "Uno, due o tre canali nelle mani dello stesso padrone non saranno mai diversi ". E' inutile - secondo Emanuelli - seguire tutti i misteriosi giochi politici che si celano dietro la TV. E' inutile voler correggere o dare consigli. Il bersaglio dovrebbe essere un altro: alla libertà di stampa corrisponda una libertà televisiva e radiofonica. Ottenuta tale libertà più nessuno sarà spinto a criticare la televisione governativa. Se ci piace tanto meglio, se non ci piace gireremo canale. ( La Stampa 9/12/1962).
5 gennaio 1963: Il settimanale Rinascita pubblica un articolo, dal titolo "Un assurdo sondaggio", dedicato ai sistemi di rilevamento della Rai - il "barometro d'ascolto" e l' "indice di gradimento" - utilizzati per un'indagine (il bilancio della programmazione nell'anno televisivo 1962) in cui la Rai si attribuisce (Canzonissima a parte) un trionfo. "Anche a voler attribuire ai dati del Servizio Opinioni un valore esclusivamente indicativo di certi orientamenti e preferenze, resta indiscussa la sterilità di una ricerca di tal genere, la quale astrae dalla reale tessitura economica e culturale del paese, dalle contraddizioni e dalle differenziazioni che lo caratterizzano. Inoltre occorre tener presente il fatto che la graduatoria dei valori viene compiuta all'interno di una scelta già operata secondo un rigido criterio morale, culturale e spesso politico: infatti il membro del panel è invitato a indicare il proprio gradimento su ciò che è già stato accuratamente scelto per lui. Da qui l'incredibile ipocrisia di quei dirigenti della RAI che si dichiarano 'servi' del pubblico, quando proprio essi sono gli arbitri e i condizionatori dei suoi gusti e delle sue stesse preferenze" (Rinascita 5/1/63).
9 gennaio 1963: Galante Garrone entra nel dibattito intorno al monopolio televisivo con un articolo intitolato "TV e libertà". Dopo aver esposto le tesi anti-monopoliste - sintetizzate nella formula "basterebbe girare un bottone per avere la stesa libertà del
cittadino che sceglie all'edicola il giornale che gli piace di più" - Galante Garrone afferma che, in realtà, il problema non è così semplice. "Prima di tutto, una sentenza della Corte Costituzionale ha riconosciuto (secondo noi, giustamente) che il monopolio statale dei servizi radiotelevisivi non contraddice alla costituzione". Poi, dopo aver suggerito che la maggior correttezza costituzionale suggerirebbe la trasformazione della Rai in ente pubblico (così sa sottoporre i bilanci alla Corte dei Conti), prosegue: "Quand'anche fosse abolito il monopolio radiotelevisivo, e cioè esistessero, a fianco dell'ente concessionario, altri enti privati, il problema delle garanzie di libertà per tutti non verrebbe affatto risolto, ma soltanto spostato. Il confronto con la libertà della stampa non regge. Le bande o fasce di frequenza disponibili sono, come tutti sanno, e per precisi accordi internazionali, limitatissime. In suolo di un monopolio, si avrebbe inevitabilmente un 'duopolio' o u 'oligopolio'. Accanto all'ente concessionario dello Stato, sorgerebbero così alcuni potentissimi 'gruppi di pressione', ovviamente legatui a interessi particolari" (La Stampa 9/1/63). Il tema del monopolio della Rai, dunque, continua a essere di grande attualità anche dopo un anno e mezzo dalla sentenza della corte costituzionale che lo aveva legittimato. A dimostrazione c'è un'inchiesta pubblicata dal Corriere d'Informazione in cui, a dieci anni dall'inizio del servizio sperimentale, si avanzano tre possibili soluzioni ai "mali della Rai": "La prima - scrive Gino Fantin - è la riforma della Rai-Tv con un effettivo sganciamento dell'azienda dal governo (qualunque sia) in carica attraverso una modifica del
meccanismo delle nomine al vertice e l'instaurazione di reali controlli. La seconda è l'autorizzazione a una o più TV indipendenti accanto a quella statale (tipo Inghilterra), la terza la completa liberalizzazione dei canali televisivi (come per i giornali). Ricordiamo subito: la sentenza della Corte Costituzionale non ha affatto chiuso il discorso su una televisione libera e concorrenziale in Italia; il verdetto ha semplicemente stabilito che l'esclusiva accordata dal governo alla Rai-Tv non
contrasta con la Costituzione; ma la stessa corte non ha escluso che, in una futura legislazione, sia assicurata ad ogni manifestazione del pensiero la possibilità di utile e adeguata diffusione nei limiti della disponibilità di tempo e di bene (i canali e le onde esistenti). Nulla pertanto vieta che il Parlamento, spontaneamente o su iniziativa del governo, proceda a una revisione legislativa in materia" (Corriere d'Informazione 9/1/63).
10 gennaio 1963: Il Corriere d'Informazione prosegue la sua campagna con la pubblicazione di un "referendum nel mondo della cultura" intitolato "Sentenza: la TV cambi e subito". Agli intervistati quotidiano milanese del pomeriggio sottopone due domande: 1) Dopo dieci anni di esperienza televisiva, ritiene o no opportuna una revisione dell'attuale sistema di gestione della telediffusione? 2) In caso affermativo, quale strada ritiene preferibile: la riforma dei criteri per sganciare al massimo la TV dall'autorità del governo in carica oppure un riesame per l'istituzione anche in Italia di una "televisione libera" accanto a una televisione di Stato? Tra le varie risposte, Indro Montanelli dichiara: "In nome dei miei 'principii' dovrei reclamare una televisione libera. Ma in nome della mia esperienza ci rinunzio perchè capisco che una TV libera, in Italia, farebbe concorrenza a quella di Stato solo in vista di un successo di massa, cioè cercando di batterla sul peggio invece che sul meglio". Che la TV resti allo stato, suggerisce Montanelli, ma organizzata in modo da godere al tempo stesso di una larga autonomia. Di diverso avviso Giorgio Strehler che, dopo aver auspicato una TV di Stato alle dipendenze del ministero dello Spettacolo, obiettiva ed imparziale, dichiara: "Una gestione privata, uno o più servizi televisivi privati devono essere ammessi. Come è ammessa dalla Costituzione la libertà di stampa, informazione e spettacolo". Questo invece il parere di Paolo Grassi, allora direttore del Piccolo Teatro di Milano: "Se fosse possibile riuscire ad ottenere un reale sganciamento della TV dal governo e dai gruppi di pressione ufficiali o ufficiosi che ci sono in Italia, credo tutto sommato che varrebbe la pena di difendere una TV
statale o parastatale; laddove ciò non potesse verificarsi (e mi pare difficile che possa verificarsi) credo che una o più televisioni libere accanto alla televisione di Stato potrebbero creare delle alternative tutto sommato utili". Particolarmente efficace e divertente l'opinione di Achille Campanile, scrittore e, per lungo periodo, geniale e caustico critico televisivo dell'Europeo: "L'ideale sarebbe la TV libera. Da che esiste la TV non può esserci democrazia senza la TV libera. Senza la TV libera, la
libertà di stampa e perfino la democrazia diventano illusorie. Se la sentenza della Corte Costituzionale vieta per ora di avere in Italia la TV libera, bisognerebbe almeno che il monopolio statale si intendesse come monopolio del mezzo e non del contenuto. La TV dovrebbe disinteressarsi totalmente di quello che viene trasmesso, ma gestire soltanto il mezzo tecnico per trasmettere. Mezzo che dovrebbe essere a disposizione di tutti, sia pure noleggiandolo. Così come lo stesso ministero delle poste e telegrafi, da cui la TV dipende, ha il monopolio della distribuzione delle lettere e dei telegrammi ma si disinteressa totalmente dal controllarne il contenuto" (Corriere d'Informazione 10/1/63). Il giorno dopo ancora un'ampia raccolta di opinioni. Eugenio Montale dice: "Il monopolio statale della TV è un'indecenza; la TV libera non sarebbe meno indecente. Ma tra le due indecenze la più grave è la prima, appunto perchè 'statale', anzi, peggio, governativa. I rimedi ci potrebbero forse essere, ma ne dubito. Se la televisione non fosse strumento di stupidaggine non avrebbe avuto alcuna fortuna". Per Edilio Rusconi "non è opportuno, almeno per il momento, istituire in Italia stazioni private di televisione, a causa dei facili abusi politici che ne deriverebbero e del pericolo di ulteriore aumento della confusione pubblica" (Corriere d'Informazione 11/1/63).
gennaio 1963: Il clima che si respira intorno alla TV italiana è tutt'altro che tranquillo: accanto al dibattito sul monopolio è ancora molto vivo il caso di Dario Fo e Franca Rame in Canzonissima '62. Il Radiocorriere pubblica un articolo che riguarda, al
tempo stesso, le due facce delle critiche piovute nelle ultime settimane sulla Rai. Si intitola "In America usano le forbici quelli che pagano lo show", e si occupa di far capire ai sostenitori della libertà televisiva di stampo americano che negli Stati Uniti la censura esiste, e ha "fonti, radici e ragioni diverse": "I limiti imposti dalle autorità sono molto ampi, ma i programmi vengono talmente riveduti dagli sponsors che quanto resta ha poco a che fare con l'opera originale" (Radiocorriere 13-19/1/63).
20 gennaio 1963: Settimana Radio TV inizia un'inchiesta (firmata da Gino Fantin del Corriere d'Informazione) sulla TV, in cui vengono pubblicate opinioni di intellettuali e di personaggi della politica e dello spettacolo. Gian Carlo Pajetta chiarisce la posizione del PCI: "Noi crediamo che la richiesta di una TV libera non debba significare la contrapposizione tra la Televisione di Stato, che dovrebbe essere di tutti i cittadini, e una o più aziende televisive private, che sarebbero certo di proprietà di gruppi monopolistici. Una televisione libera davvero, quella che noi chiamiamo la televisione di tutti, deve essere praticamente di proprietà degli ascoltatori, vale a dire dei cittadini". Malagodi, a nome del Pli, afferma di essere favorevole alla TV libera "perchè sarebbe il modo migliore per assicurare attraverso la molteplicità dei canali la loro indipendenza" (Settimana Radio-Tv 20-26/1/63). Nel numero successivo due opinioni a confronto: Vittorio Gassman, che sottolinea come "dal punto di vista artistico, un regime di libero scambio
potrebbe essere un bene" e Mario Missiroli, che dice: "Non ritengo utile, desiderabile e neppure tecnicamente possibile una televisione libera. Sono decisamente per il monopolio statale" (Settimana Radio-Tv 27/1-1/2/63).
23 gennaio 1963: Anche il quotidiano "Il Paese" parla di TV e monopolio: in un articolo di Ivano Cipriani viene descritta "l'offensiva iniziata dal Corriere d'Informazione e dal Corriere della Sera" per far "tornare di moda" la TV Libera. "Una televisione 'libera' - scrive Cipriani - ovvero una televisione in mano ai privati e che si regge su basi esclusivamente commerciali, farebbe molto comodo a certi
gruppi induistriali e monopolistici italiani e stranieri, i quali si propongono di sfruttare un mezzo di comunicazione potente come la televisione per penetrare sempre più profondamente nel nostro mercato commerciale e per divulgare in modo sempre più ampio le loro posizioni politiche. Infatti la cosiddetta televisione 'libera' non sarebbe libera affatto, ma vincolata strettamente agli interessi materiali e ideali di alcuni gruppi che oggi dispongono di immensi capitali da investire". Il Paese fa riferimento alla Edison, riferendo "voci" secondo cui ci sarebbe l'intenzione di "aprire una grande battaglia per conquistare una propria rete televisiva". Quindi racconta l'offensiva del Corriere d'Informazione ("giornale appartenente asi fratelli Crespi e portavoce della destra economica") e di Settimana Radio Tv ("che fu a suo tempo l'organo dei gruppi della TVL"). "La battaglia - conclude il quotidiano - riprende, ma ancora una volta nella direzione sbagliata: si cerca cioè di proprorre come alternativa agli errori e alle deficienze della RAI una o più reti in mano agli industriali. Mentre esiste una sola via da proporre: una riforma democratica dell'ente televisivo di Stato (Il Paese 23/1/63).
Aprile 1964: Si parla con sempre maggiore incertezza, scrive il settimanale ABC, del varo della Televisione Vaticana. "Pare che il Papa abbia personalmente incaricato l'Arcivescovo di Milano, cardinale Montini, di studiarne la realizzazione pratica. Della cosa si sta interessando anche il deputato Alessandro Butté. Come probabile sede degli studi si parla di Castelgandolfo. Le future trasmissioni vaticane dovrebbero essere irradiate in tutta Italia, superando notevoli difficoltà giuridiche e tecniche. L'unico esempio di televisione religiosa in Europa è costituito dall'Olanda, che un giorno alla settimana cede gli studi ai tecnici e ai programmisti della Chiesa Protestante" (ABC 14/4/63).
giugno 1963: viene attrezzato a Via Asiago uno studio sperimentale per TV a colori (Annuario Rai).
7 settembre 1963: Inaugurando la XXIX Mostra della Radio, il ministro delle POste
Russo affronta alcuni temi relativi al futuro della televisione: "Nel prossimo mese entrerà in funzione un apposito trasmettitore della società Telespazio per iniziare gli esperimenti di trasmissione attraverso satellite". Un notevole successo hanno riportato inoltre, prosegue il ministro, gli esperimenti di TV a colori: "La televisione a colori potrà essere introdotta gradualmente in
Italia" una volta scelto lo standard (Radiocorriere 15-21/9/63).
29 settembre 1963: Nella pagina dedicata alle curiosità e alle indiscrezioni sulla TV, il settimanale ABC riporta questa notizia: "Dopo i ribassi dei prezzi dei televisori si parla con insistenza della prossima istituzione di un terzo canale televisivo, del quale, almeno finchè durerà l'attuale crisi creativa sia nel primo che nel secondo canale: ma tant'è. Si calcola che in Italia ancora 8 milioni di famiglie non posseggano televisore. Un mercato allettante, alla cui conquista la RAI muoverà puntando, più che sui buoni programmi, sulla adozione del terzo canale e sulla TV a colori" (ABC 29/9/63).
18-19 ottobre 1963: Riunione a Roma del gruppo TV a colori della UER (Union Europeenne de Radiodiffusion). Vengono effettuati esperimenti comparativi di trasmissioni in PAL, SECAM e NTSC (Radiocorriere 22-28/12/63).
17 novembre 1963: L'Unità lancia un "grande referendum sul problema della teletrasmissione diretta" di tutte le partite della nazionale di calcio. "Dopo il successo della bella, vigorosa campagna per ottenere la ripresa di Italia-URSS - scrive il quotidiano comunista - il nostro giornale chiede ora a tutti gli sportivi, a tutti i telespettatori, un importante, decisivo contributo d'opinione per spingere la RAI-Tv e la Federcalcio a trovare, una volta per tutte, un accordo che permetta, senza più bisogno di discussioni e di battaglie giornalistiche, la trasmissione diretta dei match degli azzurri" (Unità 17/11/63).
Dicembre 1963: Vengono modificate le norme, elaborate dalla Sipra per la nascita del Carosello nel 1957, che regolano la pubblicità televisiva. In base a queste regole
le scenette della pubblicità - che fino a quel momento potevano essere trasmesse solo una volta - potranno, a partire dal gennaio '64, essere replicate (Settimana Radio-Tv 1-7 dicembre 1963).
28 dicembre: Rinascita illustra la proposta di legge per la riforma della RAI ("ma sarebbe più esatto dire per la riforma delle strutture radiotelevisive", sottolinea la rivista) elaborata da Ferruccio Parri, presidente dell'Associazione Radio- Teleabbonati. La legge propone innanzi tutto la trasformazione della RAI in ente nazionale (così come aveva proposto il Pri). Poi la nomina di un Comitato di garanzia, il cui compito è di determinare le direttive dell'ente e stabilire i criteri per la compilazione dei programmi. Quindi la formazione di un Comitato centrale per i programmi con carattere consultivo, ma rappresentativo del mondo culturale e artistico, delle associazioni dei radio e teleabbonati e dei sindacati (Rinascita 28/12/63).
3 gennaio 1964: Si festeggiano i primi dieci anni di televisione in Italia. Tempo di ricordi, di celebrazioni e, soprattutto, di bilanci. Sergio Pugliese, direttore centrale dei programmi della RAI, scrive: "Prima della televisione, per larghi strati della popolazione la conoscenza del mondo si racchiudeva nel breve giro delle sue dirette esperienze, assai sovente limitate a quelle del piccolo agglomerato di case in cui viveva. C'erano, si, il cinema e la radio, ma il primo si limitava a presentare degli spettacoli e delle finzioni particolari, e la seconda offriva dei semplici suggerimenti che l'ascoltatore doveva integrare con la sua diretta partecipazione e la sua fantasia. La TV ha offerto invece, con estrema facilità, la possibilità di tutto conoscere e tutto vedere concretamente, quasi con una fisica presenza dello spettatore agli avvenimenti più lontani e disparati" (Radiocorriere 4/1/64). Più politico, come è ovvio, il commento di Rinascita: in questi dieci anni si sono stabilite e poi rotte molte alleanze, scrive Cipriani, ma l'obiettivo di fondo non è cambiato: "Alla Democrazia
Cristiana come organismo politico, come partito di maggioranza sia pure relativa, deve spettare il potere assoluto il monopolio della TV. Ma è anche allo scadere del decennio di vita che la battaglia del partito comunista, una battaglia che dura ormai da anni contro quel monopolio, per una televisione libera, che l'opposizione popolare e democratica trovano nuove e concrete formulazioni, strumenti di lotta più avanzati, un più coerente indirizzo" (Rinascita 4/1/64)
5 maggio 1964: Il Corriere della Sera pubblica in terza pagina un articolo di Indro Montanelli intitolato "Il teleschermo avvelenato". "Ogni sera, accendendo il video - recita il sommario - respiriamo i tossici di una propaganda intesa a scalzare la libertà e quel poco di laicismo che c'è ancora nel nostro Paese. In mano a persone politicamente doppie la televisione viene usata per sabotare e affossare lo Stato democratico che agisce contro se stesso". Prendendo spunto da una serie di trasmissioni sulla resistenza, Montanelli lancia un violentissimo atto d'accusa contro la RAI, colpevole di proporre una costante propaganda filo-comunista. Dopo una serie di esempi su avvenimenti di attualità dell'epoca, Montanelli scrive: "Potremmo continuare all'infinito. Ma non riusciremmo mai a dare la misura di un sabotaggio che ricorre alle malizie più sottili e impalpabili. Fate caso, per esempio, al gioco delle luci e delle inquadrature. Quando è in scena Togliatti vien fuori - non si sa come - un imperatore romano. Quando è di scena Scelba, un questurino. L'altra sera insisterono a riprodurlo di spalle per mostrare la sua collottola corta e tozza. Il primo piano di Malagodi viene inframezzato da quello di un'ascoltatrice: una signora elegante, assunta a simbolo della borghesia reazionaria. Durante la ripresa d'una seduta parlamentare, voi non vedrete mai un deputato comunista che sonnecchia e si distrae. Ma se un socialdemocratico fa una smorfia o si soffia il naso, è visto e preso dal teleobiettivo". Montanelli prosegue ricordando che di queste cose si è discusso anche in Consiglio
dei Ministri, senza però che venissero presi provvedimenti. Il perchè lo spiega poco
dopo: "La TV è intoccabile - prosegue l'articolo - Lo è per una manovra di Fanfani, che quando era capo del governo fece di essa un suo particolare feudo. E' una storia da opera buffa, degna in tutto del nostro paese. La Rai è una società privata per azioni. Queste azioni sono quasi tutte in mano all'IRI, che ne detiene il 95 per cento. L'IRI, azienda di stato, propone il presidente, il consigliere delegato e il direttore generale della TV. Ed è lo Stato che li approva e li nomina. Però il ministro delle partecipazioni statali, che sulla TV avrebbe competenza, ha dichiarato che non può esercitarne nessuna perchè si tratta di un'azienda autonoma. Quindi noi ci troviamo di fronte un'azienda che, in realtà, è dello Stato, ma che lo Stato non può controllare perchè in teoria è privata". In base allo statuto, prosegue l'articolo, il potere di decidere sarebbe nelle mani di un comitato direttivo. "Ma nel '62 questa situazione fu sconvolta da Fanfani, che tolse tutti i poteri amministrativi non solo al comitato, ma anche al presidente, per attribuirli in blocco al consigliere delegato Rodinò. Costui si impegnava a lasciare al direttore generale Bernabei, luogotenente di Fanfani, il controllo politico". Montanelli ricorda poi gli elementi che, leggendo il bilancio Rai, lo hanno lasciato perplesso: oltre 500 milioni in "regali e liberalità verso singole persone" e le centinaia di milioni spesi per "consulenze". Milioni spesi per una cifra indefinita di collaboratori esterni scelti da Bernabei fra le "pecorelle" della sua parrocchia, e milioni spesi per "non andare" in TV, per "comprare i silenzi". La Rai ha bisogno anche di questo, spiega il giornalista del Corriere, per contrabbandare sotto banco la sua merce. "E' la merce più pericolosa che sia in circolazione nel nostro Paese. Ogni sera, accendendo il video, noi respiriamo il gas illuminante condito di acqua santa e di colonia. Nell'arte di disarmare i padroni di turno, Bernabei e soci non hanno rivali. Ogni passo, ogni gesto, ogni parola del Papa è pretesto di un lungometraggio. Non è il Santo Padre che lo chiese, si capisce. Così come non è il presidente Moro, ne siamo sicuri, che ha imposto alla TV d'imbottire per cinque giorni il cranio degl'italiani con la sua visita di Londra (...).
In Italia il servilismo non ha mai avuto bisogno di ordini che lo sollecitino. E' una vocazione. Ma in questo caso non disinteressata". Perchè, pagato il tributo d'obbligo alle autorità, si può impunemente, spiega Montanelli, "procedere al quotidiano avvelenamento". Chirurghi dell'operazione sono due cattolici comunisti, "due volte clericali, dunque". Nessuno chiede al capo del governo di fare della TV uno strumento di regime, conclude Montanelli, perchè "saremmo noi i primi a protestare contro questa truffa totalitaria; chiediamo soltanto che il regime non ne faccia uno strumento per abbattere se stesso. Ci sono dei valori che non appartengono a nessun partito perchè sono patrimonio di tutta la democrazia. Per la loro salvaguardia noi non abbiamo mai contestato il contestabile diritto dello Stato a disporre della TV. Pensavamo che solo lo Stato potesse garantirci una
informazione onesta, oggettiva, senza ammiccamenti, equivoci e sottintesi. Pensavamo che lo stato no avrebbe agito contro se stesso. E ci sbagliavamo" (Corriere della Sera 6/5/64).
9 maggio 1964: Settimo Giorno riferisce di un'indiscrezione secondo cui sarebbero in arrivo alla TV italiana i "programmi offerti" da questa o quella ditta. Alla radio, scrive il settimanale, ci sono già; per la televisione gli esempi arrivano da oltre Atlantico e da oltre Manica, dove però gli utenti non pagano il canone. A favore di questa iniziativa pubblicitaria sarebbero i dirigenti amministrativi. Contrari quelli artistici (Settimo Giorno 9/5/64).
10 maggio 1964: Indro Montanelli scrive un secondo grande articolo dedicato alla televisione, sempre in terza pagina, intitolato "TV: Monopolio di complicità". In questa occasione Montanelli presenta l'anomala situazione della Rai che usufruiisce del canone e riceve, al tempo stesso, i proventi della pubblicità. L'articolo è una risposta alla lettera inviata al Corriere da Rodinò, pubbicata lo stesso giorno (Corriere della Sera 10/5/64).
12 maggio 1964: Divampa la polemica scatenata dagli articoli di Montanelli sulla TV:
Il Giornale D'Italia denuncia il "settarismo" del "gruppo lapiriano" insediato a via Teulada. L'Unità attacca duramente Montanelli anche sul piano personale, mentre alcuni senatori socialisti presentano una interpellanza parlamentare perchè vengano valutate "l'importanza politica e i fini che si propone l'improvvisa accentuazione di certe campagne di stampa di evidente carattere di faziosità e di intimidazione" (Corriere della Sera 13/5/64).
13 maggio 1964: La Corte Costituzionale - riferisce il Corriere della Sera - dovrà pronunciarsi sulla legittimità costituzionale dell'articolo 168 del Codice Postale che prevede la possibilità di dare in concessione l'esercizio dei servizi radiotelevisivi riservati allo Stato. La questione è stata promossa dal tribunale di Ascoli Piceno (Corriere della Sera 14/5/64).
17 maggio 1964: Ironica risposta di Eugenio Scalfari, sull'Espresso, alle tesi di Montanelli. "Le nostre critiche erano giuste, ma avevano sbagliato obiettivo e tu - l'articolo è scritto in forma di lettera - ci hai finalmente fatto cadere il velo dagli occhi. E' vero, la televisione è servile. E' vero, la televisione è faziosa,. E' vero, la televisione diseduca il pubblico italiano. E non perchè sia sempre stata, da quando è nata, un appannaggio della democristianeria, ma perchè è diventata, all'insaputa di tutti, una centrale di comunisti o almeno di filocomunisti. Si, dedica molte ore al giorno delle sue trasmissioni al Papa ed ai preti, fa una strizzatina d'occhi a Moro, dà un ganascino a Fanfani. Ma questo è l'alibi, la parvenza. La realtà che c'è sotto è ben più grave: Bernabei non è l'agente sciocco di Piazza del Gesù, ma l'uomo abilissimo delle Botteghe Oscure e Scelba, povero Scelba, a vederlo di persona ha un profilo da far invidia a Rodolfo Valentino e la televisione perfidamente lo ritrae nelle sembianze di un barbiere di paese. A non dire della
deprecabile propaganda sui formaggini e sui dentifrici, di fronte alla quale la vecchia e fascista EIAR che ci afflisse con la descrizione delle oceaniche adunate e dello smagliante sorriso di Galeazzo Ciano va mandata veramente assolta. Hai ragione
tu, caro Montanelli, tu che sei sempre il più bravo di tutti noi". (Eugenio Scalfari, "I comunisti della Rai-Tv", l'Espresso 17/5/64)
21 maggio 1964: Una pioggia di interrogazione e interpellanze si sono abbattute sul presidente del consiglio dopo gli articoli di Montanelli. Provengono da deputati missini, comunisti, liberali e democristiani (Corriere della Sera 21/5/64).
28 maggio 1964: Pietro Quaroni, attuale ambasciatore a Londra, sarà il nuovo presidente della RAI, annuncia il Corriere della Sera. "Vicepresidenti Italo De Feo, designato dal PSDI e lo scrittore Giorgio Bassani, designato dal PSI. Al vertice dell'organismo verrà inoltre posto un comitato composto dal presidente, dai due vice-presidenti, dal consigliere delegato Rodinò, dall'ing.Terrana, repubblicano, già membro del consiglio d'amministrazione e dal professor Gozio in rappresentanza dell'IRI" (Corriere della Sera 28/5/64).
30 maggio 1964: Sul tema della televisione interviene anche Palmiro Togliatti. Dalle colonne di Rinascita il segretario del PCI accenna alla campagna di stampa aperta da Montanelli. Togliatti prende le mosse da una dichiarazione di Giuseppe Saragat, secondo cui il Pci avrebbe nelle sue mani il 50 per cento delle emissioni televisive, quasi tutto il cinematografo, il controllo di grandi case editrici e altre cose ancora. "Di avere a nostra disposizione tutto questo bendidio, in verità, noi non ci eravamo ancora accorti. Eravamo persino convinti che una parte assai più sostanziosa delle briciole che toccano a noi spettasse proprio alla socialdemocrazia (...) Per conto nostro partiamo dalla costatazione che la campagna di denuncia delle emissioni radiotelevisive come asservite alla propaganda comunista è partita dalla destra. Anzi, dai gruppi peggio qualificati della destra, dai fascisti, dai filofascisti, dai reazionari e dai clericali. Persino alcuni organi governativi sono stati costretti a smentirla, dimostrando ch'era fondata, come a prima vista avevano compreso tutte le persone oneste, su un cumulo di menzogne e di sciocchezze. Ciò malgrado, la campagna è continuata e continua" (Rinascita 30/5/64).
Giugno 1964: Una "nota della redazione" della rivista Nord e Sud commenta la campagna stampa del Corriere scrivendo: "L'offensiva contro la televisione è stata senza dubbio grottesca perchè la tesi che il teleschermo sia avvelenato - in quanto di fatto controllato dai comunisti, sia per mezzo di operatori e di tecnici con simpatie comuniste, sia per mezzo di redattori e dirigenti i cui orientamenti filocomunisti deriverebbero da La Pira - è una tesi degna del peggiore Goldwater, o del Borghese quando insinua che pure Kennedy e Roncalli erano filocomunisti, non del migliore Montanelli, o delle tradizioni del Corriere" (Nord e Sud giugno 1964).
13 giugno 1964: Lentamente la "grande ondata" si sta ritirando, scrive polemicamente Rinascita: per quasi un mese - spiega il settimanale del Pci - contro la televisione hanno sparato tutti, Corriere della Sera in testa. "Televisione asservita ai comunisti, dicevano, televisione clericale - persino questo pareva dar noia ai laici improvvisati - televisione fomentatrice di odio (...). Denunciammo allora le ragioni reali di quella aggressione. Si stavano spartendo le cariche direttive della RAI e bisognava preparare il terreno a un certo tipo di soluzione" (Rinascita 13/6/64). Giugno 1964: "Le porzioni di bande non utilizzate attualmente dalla RAI, concessionaria del servizio TV, sono occupate abusivamente ed illecitamente nei rispetti della Convenzione internazionale di Atlantic City da servizi statali (Aeronautica, Marina, Poste)". L'affermazione è contenuta in un libro intitolato "Il monopolio delle trasmissioni radio-televisive" di Roberto Malaspina-Electron. In sostanza, è la tesi del libro, la motivazione principale su cui poggia la sentenza della Corte Costituzionale del luglio 1960 - che riaffermava la legittimità del monopolio RAI indicando come limite tecnico la scarsezza delle frequenze disponibili - perde ogni valore di fronte a un'attenta disamina tecnica. "Possiamo quindi concludere - si legge a pag.43 - che il presupposto di natura tecnica è inesistente. La limitatezza è riferibile esclusivamente allo Stato e questo non può trarne motivo di giustificare la sua riserva". Le bande disponibili - dice ancora il libro - sono in realtà quaranta. E,
con quaranta bande, potrebbero funzionare due o tre reti autonome su tutto il territorio nazionale, lasciando ancora maggior spazio ale stazioni TV a carattere regionale. (Roberto Malaspina-Electron: "Il monopolio delle trasmissioni radio- televisive", Jandi Sapi 1964).
3/1/1965: La Domenica del Corriere pubblica un articolo a firma Gino Fantin che inizia con le domande di un lettore: "Ma insomma, la Rai-Tv ci guadagna o ci rimette? Quanto incassa? Quanto spende? Possibile che il bilancio di un ente mantenuto dalle lirette di milioni di italiani sia praticamente segreto e nessuno ne sappia nulla di nulla?". Risponde Fantin: "La TV nel 1964 ha guadagnato mezzo miliardo ma lo ha passato all'Iri, proprietaria del pacchetto azionario. Poteva spenderlo meglio impiegandolo per vivacizzare e potenziare i programmi? (...) Forse. Ma finchè esistono le azioni ed esiste (accanto all'Iri) un piccolo gruppo di provati che ne detengono una esigua percentuale, il capitale 'deve essere remunerato', come si dice in termine tecnico. Sta lì l'equivoco di questa singolare azienda che è statale e non lo è, che serve il paese ma ha una struttura ancora a fondo privatistico" (Domenica del Corriere 3/1/65).
Gennaio 65: E' tempo di bilanci per la Rai-Tv. La Eri pubblica il volume "Dieci anni di televisione in Italia", zeppo di dati statistici che dimostrano la distribuzione e la diffusione del mezzo in base all'aumento degli abbonati: nel 1965 si raggiunge la cifra di 10 milioni di abbonati alle radiodiffusioni, di cui 5 milioni 700mila abbonati alla televisione (Oggi n.39). Un'indagine sugli "indici di interesse" delinea le trasmissioni preferite dagli italiani nel corso degli anni: nel '56, ai tempi di "Lascia o Raddoppia?", il quiz raggiungeva l'86% di interesse, dieci punti più del telegiornale (76), della prosa (75), delle riviste di varietà (65), dello sport (58) e della lirica. Nel 1961 il telegiornale balzava in testa, con il 77%, seguito da riviste e quiz (67), film e telefilm a pari merito con le commedie (63) e sceneggiati (60). I dati dell'aprile 1964 danno
invece in testa i film (77) seguiti dal telegiornale (74), dagli sceneggiati (72) dai telefilm (68), dai varietà (67), da commedie (62) e quiz (55) (Vita Italiana n.6/65). Il settimanale Rinascita pubblica i dati di un'indagine-referendum dell'ARCI sulla Rai- Tv. I dati parlano di una netta diminuzione di interesse nei confronti della TV negli ultimi anni (il 58,4% delle risposte va in questo senso; l'interesse è rimasto costante per il 25,1% ed è aumentato per il 16,5%). Analizzando i dati e il giudizio sostanzialmente negativo nei confronti della TV, Ivano Cipriani riflette in particolare sulle ultime due domande del questionario ("Poichè la TV deve essere un servizio pubblico, lei è favorevole a una riforma che ne affidi la direzione a un comitato di personalità elette dal Parlamento in rappresentanza delle diverse correnti politiche e culturali del paese?", e poi: "Per garantire la libertà di espressione è favorevole alla messa in onda di programmi prodotti direttamente dalle maggiori organizzazioni politiche, sindacali e culturali?"). "Le risposte - scrive Cipriani - indicano a quale grado di maturità sia giunto nella coscienza dell'opinione pubblica democratica il problema della riforma strutturale dell'ente (più del 94% delle risposte nei due casi). Una riforma che non soltanto svincoli la Rai-Tv dalla dipendenza del potere esecutivo, ma trovi in rapporti
nuovi con le grandi associazioni politiche, sindacali e culturali del paese la via per una originale e democratica ristrutturazione della propria attività di pubblico servizio" (Rinascita 9/1/65).
Gennaio '65: La polizia olandese, con una rapida operazione di commando, smantella gli impianti di "TV - Mare del Nord", stazione televisiva pirata che trasmetteva programmi pubblicitari da un'isola artificiale posta subito fuori dalle acque territoriali. Nello stesso periodo sono attive tre stazioni radio pirata che trasmettono da navi ormeggiate al largo delle isole britanniche: la celebre "Radio Caroline", "Mi amigo" e "Atlanta" (Domenica del corriere 7/2/65).
9 marzo 1965: Un nuovo passo verso la definitiva affermazione della TV nei
confronti del cinema: in Francia l'associazione dei cinematografi perde una causa intentata nei confronti della Rft (la TV francese) in cui si chiedevano 12 miliardi e mezzo di risarcimento per concorrenza sleale (La Stampa 9/3/65).
21 marzo 1965: E' polemica in Svizzera per la pubblicità: la stazione in lingua italiana, visibile a Milano e diversi atri ventri del Nord, manda in onda spot realizzati in Italia da un'azienda il cui pacchetti azionario è per il 65% in mano alla Sipra (ABC 21/3/65).
Aprile 1965: Riprendono le trasmissioni di "Tribuna Politica", "notevolmente modificata - scrive La Stampa - dalla commissione parlamentare di vigilanza sulle radiodiffusioni". Le interviste non saranno più fatte da giornalisti, ma da due moderatori della Rai. Ogni tre trasmissioni con i segretari di partito verrà effettuata una conferenza stampa del Governo con giornalisti di organi di partito o dei ventisei quotidiani indipendenti con più di venti giornalisti a contratto. Ogni giornalista potrà porre una sola domanda. I giornali saranno sorteggiati dalla Federazione nazionale della Stampa (La Stampa 2/4/65).
2/4/65: Nel corso del convegno "Milano e la Rai-TV" viene formalmente richiesto di spostare nel capoluogo lombardo la direzione del Secondo Programma TV. Le relazioni introduttive sono tenute da Alberto Cavallari, Cesare Mannucci ed Emanuele Tortoreto. Moderatore è Paolo Grassi (La Stampa 3/4/65).
1 maggio 1965: Inizia "Linea Diretta", trasmissione del secondo canale che popone collegamenti da 15 paesi del mondo. Il programma sfrutta il 2 maggio per la prima volta il satellite "Early Bird", mandato in orbita ad aprile dagli americani, che sarà utilizzato per collegare sei paesi europei con gli Stati Uniti, il Messico e il Canada (La Stampa 1/5/65).
12 maggio 1965: La Corte Costituzionale inizia a discutere la legittimità del canone televisivo. Alla causa intentata dall'Intendenza di Finanza a un abbonato moroso di Ascoli Piceno ha risposto infatti un'eccezione della difesa in cui si metteva in dubbio
la costituzionalità dell'obbligatorietà del canone e delle sanzioni previste rispetto agli art.43 e 102 della costituzione sui servizi pubblici essenziali e di utilità generale nei quali è consentita la gestione monopolistica (La
Stampa e Corriere della Sera 13/5/65).
Giugno 1965: Entro il 1966, annuncia la Rai, saranno messi in funzione 180 nuovi ripetitori (50 per il Nazionale, 130 per il secondo) allo scopo di migliorare la ricezione dei programmi. "Attualmente - ricorda Epoca - ce ne sono in funzione 630 per il primo e 63 per il secondo" (Epoca 6/6/65).
20 giugno 1965: La Domenica del Corriere dà grande rilievo alla possibilità di molti spettatori residenti in Lombardia e Piemonte di poter captare le onde della TV svizzera in partenza dal trasmettitore del monte S.Salvatore vicino Lugano. Le province raggiunte dalla TV svizzera sono quelle di Milano, Varese, Como, Pavia, Novara, Vercelli, Alessandria e Piacenza (Domenica del Corriere 20/6/65).
Luglio 1965: In attesa della sentenza della Corte Costituzionale sulla legittimità del canone, Settimana TV pubblica un servizio dedicato a Luigi Talamonti, l'abbonato di Ascoli Piceno che ha fatto nascere il caso. "Tutto nacque, racconta Talamonti a Guido Guarda, nel 1962, quando un finanziere entrò nell'ufficio della mia agenzia di pratiche automobilistiche 'La veloce' e adocchiò sullo scaffale una vecchia radiolina, denunciandomi per detenzione abusiva di apparecchio radio". Talamonti, spiega il giudice di Ascoli Cataldo Caprara, "è imputato solo perché si vuole difendere un privilegio. Quello della rai è l'unico caso in Italia di società provata che abbia il diritto di perseguire penalmente chi non paga i propri servizi" (Settimana TV 4/7/65).
6 luglio 1965: La Corte Costituzionale respinge le istanze sollevate dal Tribunale di Ascoli Piceno, legittimando così il pagamento del canone , il principio della concessione in ambito di radiodiffusioni e lo stesso monopolio Rai. "Il monopolio statale televisivo è da considerarsi perfettamente inquadrato in quei principi costituzionali secondo i quali, ai fini di utilità generale, la legge può riservare allo
stato o a enti pubblici determinate imprese che si riferiscano a servizi pubblici essenziali o a fonti di energia o a situazioni di monopolio che abbiano carattere di preminente interesse generale" (Sentenza della Corte Costituzionale 6/6/65, e Corriere della Sera 7/7/65)."Il caso Talamonti - sottolinea Guido Guarda - ha riproposto la questione se l'utente moroso sia perseguibile penalmente, in quanto il canone di abbonamento alla radio e alla TV è equiparabile ad una qualsiasi altra tassa. Ma dietro a questo problema fiscale sta l'assai più delicato quesito relativo al contrasto evidente fra il diritto-dovere dell'amministrazione statale di esercitare un controllo sulle utenze, alla stessa stregua di un qualsiasi altro servizio pubblico e il presunto carattere privato dell'azienda che gestisce il servizio radiotelevisivo (...) Il pasticcio cominciò una decina d'anni fa, allorché tre società private - di Napoli, di Roma e Milano - chiesero una licenza di gestione d'una stazione televisiva commerciale. La richiesta, dopo numerosi solleciti, fu respinta. Le società si appellarono e la questione venne sottoposta alla Corte Costituzionale. Enrico De Nicola, che ne era il presidente, manifestò in più occasioni quale fosse il suo pensiero in
proposito. Il vecchio presidente era proverbiale per la sua integrità morale, ma, proprio per questo, era l'uomo più dimissionario d'Italia. Dopo aver retto l'importante incarico tra il 1956 e il 1958, rassegnò le dimissioni. Nel 1959 morì. E un anno dopo, nel 1960, la Corte Costituzionale pronunciò la nota sentenza che dava torto alle tre società provate e riconfermava la legittimità della gestione dei servizi radiotelevisivi in esclusiva da parte della Rai. La sentenza provocò numerose e gravi perplessità, non soltanto negli ambienti politici ed economici che potevano essere interessati ad esprimere critiche negative, ma anche nei più qualificati ambienti della magistratura stessa (...). E' il caso di notare che in questi cinque anni trascorsi dalla sentenza il Parlamento non è stato capace nè di rispettarla, nè di farla rispettare, nemmeno nella sua raccomandazione conclusiva, che forse è l'unica parte del documento che
sta in piedi. i riferiamo a quel passo nel quale si afferma che lo Stato monopolista deve gestire il servizio pubblico di radiotelevisione 'in condizioni di imparzialità e di obiettività'" (Settimana TV 25/7/65)
Agosto 1965: Il settimanale ABC segnala che "un gruppo di dirigenti Rai sta studiando l'opportunità di abolire Carosello. I dodici minuti di pubblicità serale verrebbero sostituiti con trasmissioni ritenute propagandisticamente ed economicamente più efficaci (....) Secondo indiscrezioni trapelate dalla direzione generale di Via del babuino la TV si appresterebbe a cedere agli inserzionisti l'onere e il patrocinio di certi programmi pomeridiani e serali, come già accade alla radio" (ABC 1/8/65).
Agosto 1965: Settimana TV si occupa di un'indiscrezione riferita da più parti secondo cui la rai si preparerebbe a varare (pare a settembre, scrive il settimanale) un telegiornale antimeridiano, in onda sul primo canale all'una in punto, affidato a Ugo Zatterin (Settimana TV 22/8/65). "Questo telegiornale - ribatte Massimo Vecchi su Vita - sarebbe contornato da siparietti musicali ed umoristici, da brevi trasmissioni di varietà e da un nuovo programma pubblicitario (Vita 26/8/65). L'annuncio ufficiale però non arriva: "Si è trattata di una voce - scrive Gianni Montanari sulla Domenica del Corriere - che è galoppata velocemente dagli ambienti interessati alle pagine di alcuni giornali: le fantasie si sono sbizzarrite" (Domenica del Corriere 29/9/65).
23 ottobre 1965: Si tiene a Perugia il congresso dell'Associazione Radio Tele Abbonati. Il presidente dell'associazione, Ferruccio Parri, sottolinea "la necessità di "mettere l'ente radiotelevisivo nelle condizioni di agire in un clima di piena libertà e democrazia, cioè svincolarlo dal potere esecutivo, ossia dal governo in carica, considerando soprattutto che la Corte Costituzionale ha sancito il principio del monopolio" (La Stampa 24/10/65).
5 novembre 65: Gli italiani non vogliono pagare l'abbonamento alla televisione, titola il Corriere. "Nel 1964 - scrive Antonio Ciampi, direttore generale della Siae - un
apposito ufficio della Rai ha emesso oltre 500 mila ingiunzioni per
l'ammontare di oltre 4 miliardi, dei quali sono statoi finora riscossi la metà" (Corriere della Sera 5/11/65). "Sei milioni di famiglie hanno il televisore - scrive Amica - e sette ne sono prive. Nella graduatoria internazionale siamo davanti alla Francia, ma dietro Germania Occidentale e Inghilterra. Abbiamo più abbonati alla televisione che al telefono (...) La televisione piace agli italiani, ma piace assai meno il canone: meno di un terzo dei nuovi utenti lo ha sottoscritto spontaneamente" (Amica 21/11/65).
5 Dicembre 1965: Muore a Roma uno dei pionieri della TV italiana, Sergio Pugliese, direttore centrale dei programmi televisivi della Rai.
Dicembre 1965: Panorama pubblica un ampio servizio dedicato a "chi ama a oltranza la televisione": si parla dei progressi registrati nel campo dei registratori d'immagini, o videoregistratori. Un apparecchio della Philips è in vendita a 1 milione 560 mila lire. Un nastro da 45 minuti costa 64 mila lire. In America e in Giappone, sottolinea il settimanale, sono allo studio nuovi apparecchi da parte della Sony e della Ampex (Panorama 6/12/65).
21 dicembre 1965: A seguito degli annunciati spostamenti nelle cariche direttive dopo la morte di Pugliese, lo scrittore Giorgio Bassani, vicepresidente (designato dal Psi) della Rai-tv. Il comportamento dell'azienda radiotelevisiva, scrive l'Avanti, "indica un atteggiamento preoccupante nei responsabili della gestione della Rai, che è azienda con capitale pubblico e con responsabilità pubbliche, chiaramente indicate da una sentenza della Corte Costituzionale e, in particolare, con preminenti responsabilità politiche e culturali, le quali soltanto giustificano il monopolio dell'esercizio radiotelevisivo" (Avanti! 21/12/65) "Spostando il problema della Rai-Tv a livello politico - sottolinea Fausto De Luca sulla Stampa - i socialisti intendono riproporre, in concreto, le loro richieste di due anni fa: la condirezione generale (carica che oggi non esiste) e una serie di altri posti di rilievo ai vari gradini della gerarchia interna. Essi insistono anche sulla esigenza di 'dare avvio' alla riforma
della Rai-Tv, e indicano una possibile 'base di discussione' nel progetto di legge dell'associazione Radioteleabbonati presentato in parlamento dal senatore Parri" (La Stampa 21/12/65). La Voce Repubblicana giudica le dimissioni di Bassani "Una grave crisi scoppiata nella Rai". Anche l'ingegner Terrana, repubblicano, "mosse gravi, fondati rilievi - scrive l'organo del PRI - sulla struttura degli organi dirigenti" (Voce Repubblicana 21/12/65). Per quanto riguarda le nomine, l'ufficio stampa Rai dice che "tutto è stato risolto nell'ambito aziendale, al di fuori dei partiti, e che questa è la strada per garantire l'autonomia della Rai". Ma "Socialisti, repubblicani e liberali
- sottolinea La Stampa - rispondono che un discorso di natura puramente aziendale non può valere per la Rai-Tv, date le sue articolari caratteristiche e il regime di monopolio di cui gode in Italia (La Stampa 22/12/65). "Tutto il trambusto e le proteste provocate da quello che ormai si va chiamando il grande
rimpasto - scrive Paolo Spriano su Vie Nuove - portano con sè il problema irrisolto e decisivo della libertà delle trasmissioni, del rapporto che non è soltanto tra potere politico e potere aziendale, tra monopolio statale e monopolio di partito, ma tra i cittadini e la televisione (...) Attualmente una serie di rubriche, da Cordialmente all'Approdo, da Prima pagina a Tv7 se lo sono conquistate. Ma il guaio più grave resta, ed è il carattere di ufficialità che qualsiasi cosa arrivi sul video possiede, perchè così in alto hanno voluto che possedesse. La TV, si sa, è monopolio dello stato (e, forse, è bene che lo resti), è un servizio pubblico. Ma ciò deve significare che tutto quanto si vede e si ascolta implichi una responsabilità di un governo, subisca un controllo interno da parte dei funzionari? Praticamente, soltanto a Tribuna Politica si ascoltano opinioni non passate al setaccio" (Vie Nuove 30/12/65). 30 dicembre 1965: Vie Nuove pubblica un lungo articolo di Agostino Mantegazza dedicato alla Tsi, Televisione della Svizzera Italiana, visibile com'è ormai noto in alcune zone del Nord: "La televisione svizzera di lingua italiana - scrive tra l'altro il settimanale comunista - è molto modesta come sede e apparato, ma è in costante
sviluppo e già ora dà parecchio filo da torcere alla 'grande' TV italiana" (Vie nuove 30/1265).
1 gennaio 1966: Ancora una battaglia sulla Rai-TV. La recente scomparsa di Pugliese, offre il destro al comitato direttivo per operare una serie di nomine e spostamenti. Il vice presidente dell'azienda, il socialista Giorgio Bassani vota contro insieme al repubblicano Terrana. I due, rimasti in minoranza, sono costretti a dimettersi. Parte l'attacco del PCI. Eloquente il titolo di un articolo su Rinascita: " In piena crisi Il centro sinistra alla TV". Scrive l'autore Ivano Cipriani: "La grande illusione che bastasse essere nella stanza dei bottoni perchè tutto finisse, prima o poi per prendere un nuovo indirizzo, ha trovato anche alla Rai-TV la piu' bruciante delle smentite". Secondo il settimanale comunista, l'unica strada da seguire è quella di una riforma legislativa dell'ente. La sferzata contro i socialisti è evidente. La loro replica è affidata alle pagine del mensile L'Astrolabio. " Il PSI al governo - scrive il periodico - non può no rispondere dell'obiettività, dell'autonomia, dell'attualità dell'ente radiotelevisivo". Nell'articolo si parla inoltre di situazione preordinata, di una catena di spostamenti che doveva in qualche modo essere già decisa, di buona fede socialista nell'attendere incarichi di rilievo che sono stati sempre negati. Sull'argomento interviene anche Davide Lajolo sulle colonne dell'Unità: " I socialisti, pare esistono -scrive Lajolo - quando dicono sì alla Dc. quando invece protestano, rimangono inascoltati e l'unica via di uscita che sembra loro presentarsi è quella di tornare all'ovile". Anche Lajolo rilancia il leit motiv della politica del PCI sulla Rai: riforma legislativa. ( Rinascita 1/1/1966; L'Astrolabio 2/1/1966; L'Unità 4/1/1966).
2 gennaio 1966:Un lettore scrive ad Epoca chiedendo se è proprio necessario il controllo dei partiti sulla Rai. Risponde Italo De Feo, vice presidente dell'azienda in quota PSDI. "Io credo che il governo, designando i nuovi capi della Rai, non abbia voluto ispirarsi soltanto ad un concetto politico, ma abbia anche voluto scegliere
delle persone che per la loro provenienza ed esperienza costituissero, in un certo modo, un punto ideale di incontro tra cultura, politica e funzionalità. ( Epoca 2/1/1966).
13 gennaio 1966: Il Borghese fa i conti in tasca alla Rai e rileva come solo una parte dei proventi derivati dal canone e dalla pubblicità vengono spesi per la produzione di programmi. Calcolando l'alta quantità di introiti, e considerando la gestione folle della spesa da parte dei vertici aziendali, viene proposto di ridurre i proventi, abolendo il canone. ( Il Borghese 13 /1/1966).
20 gennaio 1966:Ancora il Borghese. Riprende un articolo apparso sull'Avanti il 13 gennaio nel quale l'organo socialista afferma che considerando il rilievo di interesse pubblico che ha la Rai, in attesa di una riforma legislativa del settore, se la tesi privatistica relativa alla gestione aziendale dovesse prevalere si avrebbe una inaccettabile irresponsabilità nella gestione dell' azienda. I socialisti riaffermano l'esigenza di un "giusto equilibrio ai vertici della struttura" e rimandano ad un franco confronto con i
partiti della maggioranza. Luciano Cirri, autore dell'articolo, legge nelle intenzioni manifestate sulle pagine dell'Avanti, il desiderio socialista di arrivare ad una "statizzazione" della Rai e si dichiara d'accordo nell' affrontare insieme con gli antichi nemici una nuova battaglia, il cui fine è sempre lo stesso: rompere l'egemonia democristiana all'interno dell'azienda. ( Il Borghese 20/1/1966).
3 febbraio 1966:Convegno socialista a Roma sulla Rai. Vi prendono parte i ministri socialisti Pieraccini, Arnaudi e Corona e gli onorevoli Paolicchi, Giolitti, Mariani e Santi. Le proposte: riforma legislativa che garantisca maggiore libertà politica e culturale per i programmi; gestione piu' rappresentativa della situazione politica esistente nel paese; decentramento dei poteri fino ad oggi affidati all'amministratore delegato; creazione di un comitato ,largamente rappresentativo per fissare le direttive generali dei programmi (La Stampa 4/2/1966).
15 febbraio 1966:Sono sei milioni e 330 mila gli abbonati alla televisione . I dati risalgono al 31 gennaio 1966 e sono pubblicati dalla Stampa di Torino che rileva la forte crescita che si è verificata nell'ultimo anno e che ammonta a 867 mila unità. L'articolo riporta un interessante schema sul numero di abbonati dal 1954 al 1965. ( La Stampa 15/2/1966).
20 febbraio 1966: La Domenica del Corriere da notizia dell'inizio delle trasmissioni in lingua tedesca in Alto Adige. Per il momento i programmi durano un ora e vanno in onda dalle 20 alle 21. Il servizio , unico in Europa, è iniziato la settimana precedente. ( Domenica Del Corriere 20/2/1966).
8 marzo 1966: Settimana Radio-Tv dedica un intervista all'On. Natale Di Piazza . L'esponente socialista ha presentato in Parlamento una proposta per la riduzione del canone TV che nelle sue intenzioni dovrebbe essere dimezzato al fine di rendere accessibile la televisione ad un numero di persone maggiore di quello attuale. Persone lontane dal video per il costo eccessivo del canone (Settimana Radio TV 8/3/1966).
18 marzo 1966: Si tiene a Roma il convegno dei radio-tele abbonati sulla riforma della Rai. L'Unità anticipa la discussione esponendo il punto di vista del PCI in un articolo apparso il 15 marzo. Il problema della TV deve essere affrontato secondo l'organo comunista nella sua interezza: produzione dei programmi, rapporti con il cinema, metodi di assunzione dei funzionari e dei collaboratori, rapporti con la società civile. Dall'articolo si evince la consapevolezza del PCI circa l'importanza del mezzo. Questi argomenti sono all'ordine del giorno nel convegno e offrono spunti per numerose riflessioni da parte dei partecipanti, tutte puntualmente riportate in un articolo del 19 marzo apparso sempre sull'Unità. Eloquente il titolo: "Un vasto movimento per riformare la Rai" ( L'Unità 15/3/1966; L'Unità 19/3/1966; vedi anche Rinascita 26/3/1966).
24 marzo 1966: Critiche del liberale Bignardi alla Rai. In una seduta della Camera
L'On. Bignardi rileva come le trasmissioni del servizio pubblico spesso mancano di obiettività, denuncia il monopolio DC sull'ente e a tutti i livelli. Ribadisce la necessità di sottrarre l'ente al controllo dei partiti. (Corriere Della Sera 25/3/1966).
29 marzo 1966:Feroci attacchi alla faziosità della Rai, vengono lanciati dalle pagine dell'Unità: In un articolo, Alessandro Curzi, accusa la Rai di faziosità per come è stata definita ( comunista o paracomunista) la manifestazione della domenica precedente contro la guerra in Vietnam. Nello stesso giorno, all'interno dello stesso giornale è riportata la notizia che un gruppo di parlamentari del PCI, ha chiesto l'intervento del Parlamento per il poco spazio concesso alla manifestazione da radio e TV. (L'Unità 29/3/1966).
3 aprile 1966: Sandro Viola sull'Espresso mette sotto osservazione la politica della Sipra, la società Rai delegata alla raccolta pubblicitaria. Viola denuncia la politica della società volta a raccoglier pubblicità per quotidiani o giornali di area democristiana che non producono utili ma solo perdite per l'ente che fa la raccolta. Cita gli esempi del Popolo, di Momento Sera, L'Italia e il Nuovo Cittadino. Giornali che non raggiungono mai il fatturato necessario a produrre utili per la Sipra. Si tratta, secondo Viola, di vere e proprie operazioni di finanziamento di queste testate. ( L'Espresso 3/$/1966):
28 aprile 1966:Tutti i giornalisti del re. E' il titolo di un articolo di Luciano Cirri sul Borghese nel quale vengono descritti i profili di Fabiani, Orefice, Guerzoni e Willy De Luca, i principali collaboratori di Bernabei all'interno dell'azienda. ( Il Borghese 28/4/1966).
4 maggio 1966:Canzonissima 1961-62, quattro anni dopo. La Rai perde la causa che Dario Fo e Franca Rame avevano intentato nei confronti dell'ente radio- televisivo, per il mancato pagamento di alcuni dei copioni della Canzonissima "incriminata". La controversia era nata dal fatto che gli attori si erano rifiutati di andare in onda con i copioni che avevano presentato "tagliati". La Rai non aveva
allora saldato alcuni dei copioni che gli attori avevano proposto all'azienda . (Va ricordato che alcune puntate di Canzonissima andarono in onda senza presentatori e solo con canzoni). Il tribunale di Roma nella sua sentenza riconosce il diritto degli autori ad opporsi a qualsiasi deformazione o mutilazione dell'opera e condanna l'azienda al pagamento delle prestazioni ed al risarcimento dei danni. L'Unità 4/5/1966).
29 maggio 1966:"Il canone della TV è illegale". Il titolo a tutta pagina è del settimanale ABC, in prima linea ogni qualvolta c'è da dare battaglia sulla Rai. La tesi del periodico è molto semplice: Non esiste nessuna legge che stabilisce l'entità del canone e questo è in contrasto con l'art 23 della Costituzione che recita: " Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge". e se la legge impone di pagare il canone non fissa l'entità dello stesso che viene stabilita dal Consiglio d'amministrazione della Rai, ratificato dal ministero delle Poste e dal Comitato interministeriale prezzi.( ABC
29/5/1966).
21 giugno 1966: Il governo non ritiene che vi siano motivi per la risoluzione anticipata della convenzione tra Stato e Rai: Lo ha affermato il sottosegretario alle Poste Mazza in risposta ad una interpellanza del parlamentare missino Nencioni, il quale aveva sostenuto la necessità che lo Stato provvedesse in proprio alla gestione dell'ente radio-televisivo per garantirne l'obiettività e la corretta gestione finanziaria. Il sottosegretario ha sottolineato che il governo è contrario ad una diversa forma di gestione " perchè il regime di concessione ad un azienda a prevalente partecipazione statale, non vincolata da rigide e complesse procedure, consente una maggiore rapidità di decisioni". ( Corriere della Sera 22/6/1966)
1 settembre 1966:Il consiglio di amministrazione della Rai nomina Luciano Paolicchi vice presidente dell'azienda. Paolicchi subentra nella carica precedentemente ricoperta da Giorgio Bassani. Secondo Abc, la nomina di Paolicchi ha subito uno
slittamento di alcuni mesi per l'opposizione dell'on. Piccoli (DC) e di settori del suo partito preoccupati che la ventilata unificazione tra PSI e PSDI avesse quale effetto la presenza di due vice presidenti socialisti alla Rai. ( Radiocorriere TV 11/9/1966; ABC 18/91966).
27 ottobre 1966:Il settimanale Vie Nuove dedica un articolo alla politica pubblicitaria della Rai, sottolineando la sistematica violazione da parte dell'azienda della normativa sulle inserzioni pubblicitarie. In base all'art. 19 della Convenzione stipulata nel 1952 tra Stato e Rai, l'ente radiotelevisivo può inserire pubblicità nella misura del 5% della durata dei programmi giornalieri. In casi eccezionali e assolutamente motivati può spostare il limite al'8%. Questi limiti vengono regolarmente elusi e il tempo pubblicità si aggira intorno al 9%. Il trucco è semplice. Nel determinare il tempo degli sketch si prende in considerazione solo i secondi destinati direttamente alla reclamizzazione. Si escludono in questo modo sigle, battute, vignette e musiche. L'autore cita esempi di queste violazioni e si sofferma su Sipra e Sacis. Carosello é comunque in attivo: al 1 ottobre 1966 lo spazio pubblicitario risulta completo e prenotato fino alla fine del 1967. Non a caso su un entrata globale di 88 miliardi ben il 27% delle entrate sono rappresentate dallo spazio pubblicità. (Vie Nuove 27/10/1966).
29 ottobre 1966:In un articolo apparso sul settimanale Rinascita, viene ribadita la proposta del PCI sulla Rai: sottrarre l'ente dalle dipendenze dell'esecutivo per porla sotto il controllo del Parlamento, "avviandola ad essere un istanza autonoma della democrazia italiana". L'autore dell'articolo è Alessandro Curzi, che 20 anni dopo diventerà direttore del TG3. (Rinascita 29/10/1966).
30 ottobre 1966:Prosegue la campagna lanciata dal settimanale ABC contro il pagamento del canone. Il periodico riferisce che circa mille lettori hanno chiesto notizie e consigli circa l'illegalità del canone . Abc spiega nel dettaglio come fare e quali strumenti usare per non pagare il canone e riporta i
casi di due legali che si sono rivolti alla magistratura per ottenere ragione. Alla base dell'iniziativa c'è la protesta per la faziosità e lo scadente livello qualitativo dei programmi televisivi Rai. In un articolo successivo del 6 novembre 1966, il settimanale intervista uno dei protagonisti di questa battaglia, l'avvocato Nino Muzio, presidente dell'associazione italiana dei radio e teleabbonati e presentatore di una di una citazione contro la Rai. (ABC 30/10/1996; ABC 6/11/1966).
20 novembre 1966: Il settimanale ABC continua la sua campagna contro il canone d'abbonamento alla TV. Lo spunto è offerto dalle lettere di alcuni lettori che hanno ricevuto ingiunzioni di pagamento o addirittura sequestro dei mobili. Il settimanale insiste: abbiamo ragione, il canone non va pagato e per ricevere tutela occorre rivolgersi al giudice conciliatore. (ABC 20/11/1966)
8 dicembre 1966: Articolo di G.B.Arduini su Vie Nuove, settimanale "popolare" di area comunista. S'intitola " Il dinosauro sprecone" e pone l'accento su alcuni sprechi che caratterizzano la gestione Rai. Sotto osservazione l'acquisto del palazzo di Viale Mazzini, la gestione economicamente sconveniente di Telespazio e 'attività dell'Urar. Merita menzione il cosiddetto Premio Rai, un premio in denaro (L'autore lo definisce una taglia) annuale erogato dall'azienda ad alti funzionari del ministero delle Finanze, incaricati di riscuotere il canone. ( Vie Nuove 8/12/1966).
5 gennaio 1967: La polemica sul pagamento del canone apre il nuovo anno. Il Corriere della Sera ospita un articolo del dott. Giorgio Lunardini, direttore dell'ufficio registro atti giudiziari di Parma. Lunardini, partendo dall'osservazione che negli ultimi mesi del 1966 molti cittadini hanno fatto ricorso per ottenere la restituzione del denaro speso per pagare il canone televisivo, smonta , sotto il profilo giuridico, gli argomenti dei ricorrenti. Sostiene Lunardini: per i ricorrenti la legge 4/6/1938 n.880, legittimerebbe la riscossione del canone solo per l'abbonamento della radio e non della TV. Quest'ultimo sarebbe stato introitato in contrasto con l'art.23 della
Costituzione in base al quale nessuna prestazione patrimoniale o personale non può essere imposta se non in base alla legge. La tesi secondo Lunardini non è del tutto corretta. In primo luogo perchè secondo l'insegnamento della Cassazione l'interpretazione estensiva è ammessa anche in tema di leggi tributarie. Si badi bene : interpretazione estensiva e non per analogia. In secondo luogo il legislatore tributario nel 1938 non poteva prevedere le diffusioni televisive e quindi non poteva specificarle. Ecco perchè il decreto del 19 novembre 1953 definisce il servizio TV come ampliamento del servizio radiocircolare. In questo senso il pagamento del canone riguarda sia radio che TV. Una sentenza della Corte Costituzionale (n. 48 del 11/7/1961) stabilisce che l'art. 23 della Costituzione non esige che i tributi siano istituiti per legge bensì in base alla legge consentendo che sia rimandata a provvedimenti amministrativi la determinazione delle prestazioni. Inoltre, secondo Lunardini, giudice competente sulla materia è il tribunale civile, dato che la riscossione del canone è affidata ad uffici dipendenti dal ministero delle Finanze. ( Corriere della Sera 5/1/1967).
15 gennaio 1967: Hanno inizio a Torino le trasmissioni sperimentali di Tele Torino 1, televisione a circuito chiuso e via cavo. Cinquanta televisori sono stati installati in vari punti della Stazione ferroviaria centrale di Porta Nuova. La TV è gestita da una società, la Video-Color, della quale fanno parte quindici persone tra tecnici, presentatrici e registi. La programmazione prevista nella fase iniziale è di sole quattro ore al giorno, dedicate per il 40% a trasmissioni pubblicitarie e per il restante 60% a notiziari sportivi e regionali e a programmi di intrattenimento. Direttore dell'emittente è Ornella Zanelli, aiutata da Guido Leoni che cura la regia. Ne fanno parte anche Franca Oggerino, attrice del Piccolo Teatro e Anna Sada, figlia del campione di tennis. Ma non passano neanche 24 ore e subito insorgono problemi per i responsabili della TV. Funzionari di polizia verificano se la società ha ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie. Funzionari delle F.S. chiedono di riesaminare
alcuni contratti pubblicitari e funzionari del ministero delle Telecomunicazioni muovono rilievi sostenendo che per stendere i cavi coassiali occorre un autorizzazione del circolo delle costruzioni delle linee telegrafiche e telefoniche del ministero al quale appartengono. A quanto riferisce il Corriere della Sera, la concessione per il sonoro è stata
rilasciata tre anni prima e non esiste conflitto d'interessi con la Rai o violazione di legge perchè la TV trasmette via cavo. In attesa di risolvere ogni aspetto burocratico il quotidiano annuncia che le trasmissioni dovrebbero iniziare entro breve. Tele Torino 1 rappresenta il primo concreto tentativo di rompere il monopolio Rai negli anni 60 e apre un nuovo fronte televisivo: quello del cavo. (Corriere della Sera 16/1/1967; Corriere della Sera 17/1/1966; Vita 8/2/1967; vedi anche Domenica del Corriere 29/1/1967).
22 gennaio 1967: " Incredibile l'Italia televisiva si arricchisce. Cinque programmi in una sera". Titolo altisonante per Settimana Radio-Tv che dà notizia della possibilità di ricevere in Valle D'Aosta, in alcune zone della Liguria, del Piemonte e della Toscana, i programmi televisivi di Telemontecarlo e due canali della televisione francese. ( Settimana Radio-tv 22/1/1967).
8 febbraio 1967: Causa civile tra il signor Giulio Fumagalli e la Rai. Oggetto della contesa, il triangolino bianco che appare regolarmente sui teleschermi per segnalare l'inizio di un nuovo programma sull'altro canale. Il signor Fumagalli, contabile veneziano, sostiene di aver presentato un progetto dettagliato alla Rai fin dal maggio del 1963. L'azienda gli avrebbe risposto sollevando però problemi di natura tecnica. Nella risposta, comunque, la Rai precisava che in caso di utilizzazione dell'idea nessun compenso gli sarebbe stato corrisposto. Il signor Fumagalli chiede un risarcimento. La prima udienza è fissata per il 15 aprile. (Corriere della Sera 8/2/1967; Vita 16/2/1967).
6 aprile 1967: Un telegiornale alle ore tredici? L'ipotesi non sembra essere così
remota e avrebbe ricevuto l'assenso dei vertici Rai. Ne da notizia il settimanale Vita. ( Vita 6/4/1967).
13 aprile 1967: Voto a sorpresa nella commissione affari costituzionali della Camera che conferma la validità del monopolio statale delle radiodiffusioni, esclude la possibilità di concedere concessioni ai privati, ma stabilisce la piena validità di un ordinamento diverso da quello attuale, in cui al potere della maggioranza subentri quello di una rappresentanza piu' ampia, comprendente anche le minoranze. Il relatore dc Tozzi Condivi si è dimesso in segno di protesta. In apertura dei lavori aveva dichiarato di non poter esprimere un parere sulla costituzionalità di tre proposte di legge di riforma avanzate da DC, PCI e MSI. Le opposizioni hanno giudicato questo comportamento come una manovra e sono andate subito al voto. Di qui le dimissioni di Tozzi. Ammessa la costituzionalità delle proposte di legge, l'esame delle stesse dovrebbe proseguire presso le commissioni interni e telecomunicazioni. L'Astrolabio esamina l'argomento nel numero del 7 maggio. Espone per sommi capi le proposte di legge, e riferisce di una riunione nella quale i rappresentanti dei diversi partiti sono rimasti sulle rispettive posizioni senza trovare un punto d'incontro. Un nulla di fatto insomma per la riforma della Rai. (La Stampa 13/4/1967; Domenica del Corriere 30/4/1967; L'Astrolabio 7/5/1967).
19 maggio 1967: Presa di posizione del PCI sulla riforma della Rai. Davide Lajolo sulle pagine di Rinascita ,attacca il monopolio democristiano della RAI, polemizza con l'inerzia socialista e dei repubblicani, e scrive "Proporre la liberalizzazione, cioè dare facoltà a chiunque lo voglia di costruire delle reti radiofoniche e televisive, sarebbe appena il giusto in un libero paese, se non fosse anche troppo chiaro che per far ciò occorrono montagne di miliardi, e i miliardi non stanno di casa dove si ama la libertà. Di conseguenza, sarebbero le stesse forze economiche che già dominano la vita del paese a poterselo permettere. Ne consegue la necessità di accettare il monopolio della Rai TV. Statale, non governativo, non democristiano.
Nell'articolo si da ampio spazio alla riunione della commissione Affari Costituzionali, svoltasi un mese prima. (Rinascita 19/5/1967).
8 giugno 1967: Presentazione alla stampa dei bilanci Rai. Nel 1966 le entrate dell'ente hanno raggiunto i 106 miliardi e seicento milioni ( con un aumento del 10,6% rispetto al 1965): la Rai si colloca al dodicesimo posto nella graduatoria delle grandi aziende italiane. I proventi derivanti dal canone ammontano a 24 miliardi per la radio e 50 per la televisione, mentre quelli derivanti dalla pubblicità assommano a 12 miliardi per la radio e 16 miliardi e mezzo per la TV. Un ora di televisione costa, in media 10 milioni. (Vita 8/6/1967)
18 giugno 1967: Arriva la Mondovisione. Cinquecento milioni di telespettatori assisteranno, la sera del 25 giugno, ad un giro del mondo in 120 minuti, realizzato da 42 stazioni televisive di 19 paesi, in collegamento con cinque satelliti. Per rendere possibile il progetto verranno utilizzati trecento telecamere e tremila uomini.( Sorrisi e Canzoni TV 18/6/1967; Radiocorriere 25/6/1967; Domenica del Corriere 4/7/1967)
23 giugno 1967: Il giudice conciliatore di Sesto San Giovanni, avvocato Aldo Andreini, emette una sentenza nella quale, in buona sostanza, riconosce che parte del canone pagato dal contribuente alla Rai è illegale. Il giudice accoglie il ricorso della signora Scaringi che reclama la restituzione di parte del canone da lei versato, perchè delle 12.000 lire richieste, solo 2.000 sono previste da una legge. Il giudice, di fatto, fa suoi i rilievi mossi dagli "oppositori" al pagamento del canone ed enunciati in precedenza ( il canone non è una tassa; il regio decreto che regola la materia si riferisce solo alla radio; il CIP non può supplire in presenza di una carenza legislativa). La Rai ricorre in appello e sostiene che la decisione spetta al tribunale civile. In un articolo apparso il 25 giugno del Corriere della Sera, si afferma che la sentenza ha avuto una vasta eco e si annunciano nuovi ricorsi. Il settimanale ABC, che di fatto ha lanciato la campagna contro il canone riporta nel numero del 9 luglio
le motivazioni della sentenza. Per la cronaca, l'azienda di stato deve risarcire alla signora Scaringi 23.400 lire. Se però perdesse anche in appello, allora sarebbe costretta a risarcire diversi miliardi ai suoi abbonati. Il Radiocorriere, nella rubrica lettere al direttore, pubblica uno schema europeo del costo del canone televisivo: Svizzera 17.030;
Austria 16.930; Svezia 16.620; Finlandia 15.520; Norvegia 15.280; Germania
13.100; Danimarca e Francia 12.640; Italia 12.00; Belgio 11.980; Olanda 9.300; Inghilterra 8.730; (le cifre sono in lire). (Corriere della Sera 24/6/1967; Corriere della Sera 25/6/1967; ABC 9/7/1967; Amica 11/7/1967; Domenica del Corriere 11/7/1967;L'Europeo 13/7/1967 Radiocorriere 23/7/1967).).
25 luglio 1967: Altra sentenza" contro" il canone. Il pretore di Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, dà ragione al sign. Francesco Pipitone, il quale si era opposto al pagamento di un decreto penale che lo obbligava a pagare il canone della televisione. Il settimanale Vita nel numero del 3 agosto riprende la notizia e ipotizza la cifra che la Rai dovrebbe rimborsare agli utenti: 500 miliardi. (La Stampa 26/7/1967; Vita 3/8/1967; vedi anche ABC 13/8/1967).
3 agosto 1967: Monopolio e libertà di stampa. Il tema è affrontato in un articolo apparso in prima pagina sul Corriere della Sera. Il quotidiano milanese tratta un problema ancora oggi attuale: i rapporti tra TV e mercato pubblicitario. La Rai, operando in regime di monopolio, non rischia nulla. Non ha concorrenza, ha introiti garantiti dal canone e tende ad allargare la sua fetta all'interno del mercato pubblicitario. Il Corriere rileva come questo trend produca quale effetto primario la contrazione dell'offerta di quotidiani, alle prese con stringenti problemi economici. Contrazione che di fatto attenta alla libertà di stampa. E per questi motivi, trattandosi di un problema essenzialmente politico, chiede l'intervento del Governo, nella persona del Presidente del Consiglio, On. Aldo Moro. (Corriere della Sera 3/8/1967; Tempo 8/8/1967; Gente 16/8/1967; Il Borghese 17/8/1967).
17 agosto 1967: La pretura della Repubblica di Palermo, per mezzo del dott.Puglisi, presenta ricorso contro la sentenza del pretore di Piana degli Albanesi. Sul canone sarà chiamata a pronunciarsi la Cassazione. La procura sostiene l'incompetenza a decidere da parte del pretore sulla materia. (La Stampa 18/8/1967).
15 settembre 1967: La Stampa riprende i commenti apparsi sul Messaggero e il Tempo, due quotidiani della capitale, i quali hanno criticato aspramente una dichiarazione del vice presidente della Rai Italo De Feo. De Feo aveva sottolineato come la spesa pubblicitaria globale è aumentata e come la Rai volesse mantenere inalterata la sua quota pubblicitaria. Il Messaggero invita la Rai a utilizzare i soli introiti provenienti dal canone. L'ampliamento della quota pubblicitaria della Rai costituirebbe un attentato per la democrazia, perchè danneggerebbe in maniera rilevante i giornali, i quali, a differenza della Rai, non operano in regime di monopolio. Montanelli dice la sua in un articolo apparso sulla Domenica del Corriere: " ..la verità è un altra: il nostro Stato non resiste alla tentazione di confiscare la pubblica opinione, riducendone gli strumenti d'informazione a uno solo di sua assoluta esclusiva. E ci può riuscire benissimo, senza violare, almeno in apparenza le norme statutarie relative alla libertà di stampa, solo consentendo
alla TV, privilegiata dalla sua condizione di monopolio, di distruggere i giornali sottraendo loro l'alimento principale e insostituibile". Sulla polemica interviene anche il Radiocorriere. Il settimanale della Eri afferma che la pubblicità televisiva rappresenta in Italia il 13% della raccolta pubblicitaria nazionale. In Giappone e negli Stati Uniti, dove però gli unici proventi delle compagnie televisive sono quelli pubblicitari, le percentuali sono del 34% e del 27%. In Gran Bretagna, dove operano TV pubblica e privata, si arriva al 25% e in Germania, dove vige la stessa formula adottata in Italia, canone e pubblicità, la percentuale è del 14%. Gli argomenti portati a favore della televisione: la TV soddisfa annualmente solo 387 inserzionisti mentre le richieste sono circa un migliaio. I tempi pubblicitari sono rimasti immutati, mentre
l'ascolto negli ultimi sei anni è raddoppiato. L'UPA sostiene, secondo il Radiocorriere, che l'aumento della pubblicità in TV, produce un aumento della pubblicità sulla stampa come le esperienze degli altri paesi dimostrano. L'Italia non è l'unico paese a far convivere la formula canone pubblicità. Come lei, Germania
,Svizzera, Austria, Finlandia e Francia e Gran Bretagna si stanno orientando sula stessa strada. Uno sguardo riassuntivo su tutta la vicenda è contenuto in un articolo dell'Espresso del dicembre 1967. ( La Stampa 16/9/1967; Domenica del Corriere 19/9/1967; Radiocorriere 24/9/1967; Espresso 3/12/1967).
20 settembre 1967: Assolto un altro abbonato che non paga il canone televisivo. Accade a Caltanissetta, dove il tribunale ha assolto con formula piena Giovanni Lo Cascio, accusato di non aver voluto pagare il canone. Come riferisce un altro articolo apparso il 12 ottobre sulla Stampa, i giudici, hanno ritenuto di dover assolvere l'imputato, perchè in tema di pagamento di canone televisivo manca sia un espresso precetto, sia una qualsiasi sanzione legislativamente determinante. ( La Stampa 21/9/1967; La Stampa 12/10/1967).
27 settembre 1967: Il presidente del Consiglio Aldo Moro, inaugura nel Fucino il nuovo impianto di trasmissione e ricezione di circuiti televisivi, telegrafici e telefonici via satellite. L'impianto è il più moderno d'Europa. (La Stampa 28/9/1967.Vedi Vita 5/10/1967; Radiocorriere TV 8/10/1967; Panorama 12/10/1967)
7 ottobre 1967: La Stampa da per certa l' edizione di un tg alle 13, con annesso spazio pubblicitario. Le trasmissioni dovrebbe iniziare a novembre. ( La Stampa 7/10/1967)
13 ottobre 1967: I parlamentari liberali presentano una proposta di legge per riformare la Rai. Questi i punti salienti: 1) Accanto al consiglio d'amministrazione, che dovrà occuparsi della gestione, la creazione di un comitato di garanti incaricato di garantire l'imparzialità delle trasmissioni e composto da studiosi e esperti nominati dal Capo dello Stato. 2) Controllo politico delle trasmissioni affidato alla
Commissione parlamentare di vigilanza 3)Controllo parlamentare sulle nomine di competenza governativa. 4) Assunzione di personale a mezzo di concorsi pubblici.
5) Regolamentazione da un punto di vista
quantitativo della pubblicità televisiva in modo che tutti possano accedervi. 6) Obbligo di rettifica per notizie e fatti non rispondenti a verità secondo quanto già avviene per la stampa e l'estensione alla radio e alla TV della responsabilità civile e penale per i reati commessi a mezzo stampa. ( La Stampa 13/10/1967; La Stampa 14/10/1967; Corriere della Sera 14/10/1967)
11 novembre 1967: E' ancora calda in Italia la polemica sulla pubblicità in TV che in Francia a quanto riferiscono quotidiani e settimanali, De Gaulle si dichiara contrario all'introduzione della pubblicità in televisione: La TV francese trasmette pubblicità di prodotti e non di marche. Pompidou spera di risolvere il problema con una finzione giuridica: la pubblicità in TV è questione di regolamenti e non di legislazione. (Corriere della Sera 12/11/1967; Panorama 16/11/1967).
6 gennaio 1968: All'inizio dell'anno, Settimana Radio-Tv, ospita un articolo dell'avvocato Corso Bovio. Argomento: il canone. Bovio delinea il quadro della battaglia sul canone, le incongruenze giuridiche e alcune delle sentenze sfavorevoli al canone. Ma la battaglia contro il canone non è finita e la Rai, secondo Bovio, non resterà a guardare. " Per ora il teleutente potrà anche non pagare - scrive - ma si dovrà armare di sacro coraggio. Dovrà affrontare i perigli di una causa e correre il rischio che la crociata contro il canone gli venga a costare assai piu' del suo stesso ammontare. (Settimana Radio-Tv 6/1/1968)
15 gennaio 1968: E' la novità televisiva dell'anno: la TV di stato inaugura la fascia della tarda mattinata. Si inizia alle ore 12 con una replica di Sapere, poi programmi d'intrattenimento, previsioni del tempo e telegiornale. Un tg diverso da quello serale, piu' snello, meno ufficiale e con una particolare attenzione alle notizie di cronaca
bianca. In America ed in Francia, l'esperimento è riuscito. In Italia il servizio opinioni della Rai, basandosi sui dati d'ascolto del giornale radio delle ore 13 e 30, calcola una potenziale audience di 5 milioni di persone. Non mancano però i commenti feroci. Il Borghese in un paio di articoli scrive che il tg delle ore 13 e 30 serve solo ad accrescere gli introiti pubblicitari della Rai; a permettere nuove assunzioni; a fare propaganda elettorale in vista delle prossime elezioni e a danneggiare i quotidiani della sera, pochi dei quali in sintonia con il governo, che non hanno e mai potranno avere gli strumenti per competere con un mezzo come la televisione. In un articolo dell'8 febbraio Panorama fa un rudimentale mini sondaggio dal quale emerge che numerosi italiani non vedono la TV all'ora di pranzo per i piu' svariati motivi. (non sono informati, hanno alter abitudini, mangiano in tinello o in cucina e hanno il televisore solo in salotto). (La Stampa 14/1/1968; L'Unità 14/1/1968; Il Borghese 18/1/1968; Panorama 18/171968; Il Borghese 25/1/1968; Panorama 8/2/1968).
21 gennaio 1968: Duro attacco dell'Unità sui silenzi del telegiornale relativamente allo scandalo SIFAR e al relativo e mancato colpo di Stato. Il tg omette sistematicamente le notizie piu' delicate per il governo e Giovanni Cesareo, critico televisivo del quotidiano comunista parla di "truffa politica ai danni della popolazione italiana". In un articolo successivo del 23 gennaio lo stesso Cesareo riferisce una circostanza che, se vera, avrebbe dell'incredibile. Una signora telefona al servizio opinioni della Rai. Chiede ragione della mancata notizia relativa all'arresto del sindaco di Roma Petrucci. Un solerte funzionario le risponde che il procedimento giudiziario è coperto dal segreto istruttorio. La signora replica affermando che il Messaggero e altri giornali danno la notizia con dovizia di particolari. Il funzionario risponde: "cara signora lei per comprare il Messaggero spende 60 lire, per le radio- tele audizioni 27 lire al giorno. Cosa pretende?" La signora denuncia l'accaduto all'Unità. Lo stesso Cesareo riporta il fatto in un articolo di fuoco che alimenta la polemica. E invita a non pagare il canone, sostenendo che
la TV non è un servizio pubblico ma privato come il fatto riportato e cento altri episodi testimoniano. (L'Unità 21/1/1968; L'Unità 23/1/1968).
15 febbraio 1968: La battaglia sulla TV si combatte con un nuovo mezzo: il dossier. Il Borghese pubblica a puntate i risultati di una esame costante delle trasmissioni televisive d'attualità, prendendo in considerazione i tg e alcune delle rubriche più seguite (Memorie del nostro tempo, Tribuna politica, Cronache del cinema e del teatro, Zoom, Tempo dello spirito, Cronache del lavoro e dell'economia, Panorama economico, Tuttilibri e Tempo di credere). La ricerca mira a stabilire: 1) Cosa ha trasmesso la TV. 2)Quante volte l'ha trasmesso; 3) Quali tesi ha sviluppato nel trasmettere. Il periodo di tempo preso in considerazione va dal 18 ottobre al 18 novembre 1967. Scelta voluta, perchè nel periodo preso in esame, cadevano le celebrazioni per la rivoluzione sovietica del 1917 e tutti i comunisti del mondo- secondo il giornale della destra- erano stati sollecitati a dare ampio risalto alla ricorrenza. I risultati? La Rai democristiana e socialista, come sostengono le opposizioni, è in realtà- secondo il Borghese- filo-comuninista. Le notizie sono favorevoli ai comunisti e comunque anti-occidentali. Nell'arco di trenta giorni la rivoluzione bolscevica è stata citata o commentata per 32 volte, mentre di Krusciov si è parlato per ben 182 volte. 89 volte in maniera favorevole, 64 con neutralità e 29 volte in maniera critica. Il Papa Paolo VI è stato citato solo 141 volte e Stalin ha battuto Saragat, Presidente della Repubblica, di una lunghezza (41 a 40). Il rapporto sulla televisione del Borghese viene pubblicato in diverse puntate. La parte piu' interessante è quella apparsa in data 15 febbraio. I dati sopra riportati sono naturalmente un estratto. Per gli altri occorre fare riferimento agli articoli. Il rapporto è stato preceduto da un articolo apparso il 5 febbraio e intitolato "Compagno Speaker" nel quale si riportano trascrizioni, totali o parziali, delle notizie date dal telegiornale. (Il Borghese 5/2/1968; 15/2/1968; 22/2/1968; 29/2/1968).
7 marzo 1968: A colpi di dossier. Il dibattito intorno alla televisione si arricchisce di
numeri, statistiche e percentuali. Il fine ultimo di tutte le forze in campo, indipendentemente dalla matrice politica, è dimostrare la faziosità della Rai. Dopo il rapporto pubblicato dal Borghese, è la volta della sinistra. Il settimanale Vie Nuove, pubblica i risultati di una ricerca effettuata dal Gruppo di studio strumenti audiovisivi e pubblico. Una ventina di persone che fanno riferimento all'Arci di Bologna e che per 100 giorni a partire dal 29 gennaio 1967 hanno sistematicamente registrato il tg della Rai. Alla ricerca, da spazio anche l'Unità in un articolo dell'8 marzo. I risultati? Sconcertanti ma diversi da quelli proposti dal Borghese. Sotto il profilo tecnico i tg della Rai sono primitivi. L'uso della diretta ammonta, su un totale di 38 ore e 13 minuti di trasmissione all'1,17% delle trasmissioni. Il volto dello speaker solo compare il 7,38% del tempo. Lo speaker piu' fotografie l'11,62%. Speaker piu' servizio filmato il 33,83%. Insomma il tg è tecnicamente rozzo e per di piu' fazioso. Secondo il rapporto, la coalizione governativa, rappresentata in Parlamento dal 55,9% degli elettori gode all'interno dei tg del 71,35% del tempo di trasmissione. Le opposizioni di sinistra, PCI e PSIUP, che rappresentano il 28,9% del corpo elettorale, scendono a 17,24%. Ma c'è di piu'. Da un raffronto con sei testate ( Avvenire, Avanti, Unità, Corriere della Sera, Messaggero, Il Giorno), prese in considerazione nello stesso periodo, risulta che il tg non ha trattato o ha trattato male vicende di grande importanza sotto il profilo giornalistico o politico. Un esempio su tutti (per gli altri si rimanda al resoconto del rapporto pubblicato da Vie Nuove): Il caso Sifar compare sulle prime pagine dei giornali il 31 gennaio del 1967. Il Tg ne parla a partire dal 15 aprile e per giunta in maniera evasiva. Nello studio le notizie sono state suddivise in lunghissime e brevissime. Le brevissime hanno una durata non superiore ai 15 secondi. Sono di carattere politico e si riferiscono ad incontri o inaugurazioni che hanno per protagonisti Presidente della Repubblica, Presidente del Consiglio, ministri e altri personaggi politici. Le lunghissime sono quelle notizie a cui è stato dedicato un tempo superiore ai 5 minuti e 30 e rappresentano il 3,4% pari
a 6 ore e 23' su un totale di 38 ore 13 minuti e 45 secondi. (Esempio di lunghissime: celebrazione del 1 maggio 17 minuti, la vicenda di Svetlana Stalin 14 minuti e 15 secondi; Saragat ricorda Toscanini 13 minuti e 45 secondi. E cosi' di seguito visto che l'elenco è molto lungo). Morale finale: la Rai è faziosa e filo-governativa. (Vie Nuove 7/3/1968; L'Unità 8/3/1968).
10 marzo 1968: "Arriva dalla Jugoslavia il terzo programma TV": Il titolo a tutta pagina è del settimanale ABC. Si riferisce alla trasmissione in lingua italiana messa in onda dalla TV jugoslava il 9 ed il 23 gennaio, il 6 e il 20 febbraio, il 5 e il 10 marzo. Si tratta di 15-20 minuti di trasmissione durante la quale viene inserita la pubblicità. Il programma può essere ricevuto in Veneto e sulla costa adriatica. Il rilievo che il settimanale da alla notizia è in linea con la battaglia contro il monopolio Rai che da anni conduce. Lo spunto di riflessione più interessante è il ragionamento fatto sulla pubblicità. Il periodico ipotizza in prospettiva l'abbassamento delle tariffe e la fine del monopolio Sipra. (ABC 10/3/1968).
14 marzo 1968. L'Unità tira fuori denti e artigli. A fare andare in bestia il foglio comunista e i dirigenti del partito, è lo spazio concesso la sera precedente al Presidente del Consiglio Aldo Moro. Scopo del programma, durato due ore e che vedeva la presenza di otto giornalisti della carta stampata, era quello di tirare le somme di un quinquennio di vita politica. Solo che nella stessa mattinata, il presidente della Repubblica Saragat aveva sciolto le Camere. L'intervento di Moro si è trasformato, secondo l'Unità, in un comizio a favore del governo. Comizio televisivo non previsto. Bernabei, direttore generale e padre padrone della Rai per molti anni, convocato d'urgenza dall' On. Delle Fave, presidente della
commissione parlamentare di vigilanza, si giustifica dicendo:" scusate non lo sapevamo. Non ritenevamo che la campagna elettorale fosse aperta". Per I rappresentanti del PCI la scusa e puerile e i capigruppo alla Camera e al Senato Terracini e Ingrao, inviano una dura lettera di protesta al Presidente della
Repubblica. In un articolo successivo intitolato" Il Video Dc" il giornale comunista ritorna sull'argomento. (L'Unità 14/3/1968; 17/3/1968).
31 marzo 1968: E' polemica dura sul comportamento della Rai durante la campagna elettorale. L'Unità è in prima linea e pubblica una serie di articoli di denuncia, sull'assetto interno dell'azienda e sui comportamenti del tg. Che il clima sia surriscaldato lo dimostra un intervento di Giancarlo Pajetta apparso sulla prima pagina dell'Unità il 12 aprile. Pajetta scrive che come già il comizio di Moro ha ulteriormente dimostrato, la Rai è un feudo della Democrazia Cristiana. Accusa il centro sinistra di voler giocare ,sera per sera, la carta della sopraffazione come ricatto che si spera di poter far valere nei confronti dell'elettorato. Chiama in causa gli uomini socialisti della Rai, Paolicchi e il social democratico De Feo, polemizza con Nenni e invita a prendere in considerazione una clamorosa forma di protesta: l' organizzazione di massa del rifiuto di pagare il canone. ( L'Unità 31/3/1968; 7/4/1968; 12/4/1968).
25 aprile 1968: Le parole di Pajetta si traducono in realtà. L'Unità pubblica un documento della direzione del partito nel quale, accanto alle accuse di faziosità contro l'ente di stato, si annunciano tre interventi. Il primo prevede la costituzione di una commissione parlamentare che abbia il compito di indagare su come sono stati preparati i programmi realizzati con i soldi dei cittadini. Il secondo consiste nella presentazione di un disegno di legge, nella prossima legislatura, per garantire il pluralismo e la democraticità della Rai. Il terzo e politicamente più importante, consiste nel rifiuto di pagare il canone, inteso come forma di disobbedienza civile, accompagnato dall'organizzazione della difesa di coloro che per questo venissero minacciati o colpiti. La ragione di questo atteggiamento così duro e da scontro frontale va rintracciata, come scrive Rinascita, nel fatto che mai, nel nostro paese, era stata fatta una campagna elettorale così dura e violenta attraverso la Rai. La durezza dei vertici del PCI, discende inoltre dalle mancate risposte alle proteste
inoltrate negli ultimi mesi, a tutti i livelli istituzionali, e dal non rispetto delle indicazioni contenute nella sentenza della Corte Costituzionale del 1960, che garantiva il monopolio a patto che governo e Parlamento varassero una legge atta a garantire una maggior democraticità dell'ente, come ampiamente ripetuto in quasi tutti gli articoli citati. Sul tema va segnalato un lungo articolo de L'Astrolabio, un intervento di Davide Lajolo sull'Unità e una curiosità riportata sempre dal quotidiano del PCI: a Campo, frazione di san Giuliano Terme in provincia di Pisa, paese natale del vice presidente della Rai Paolicchi, è stata lanciata con successo una petizione popolare contro la TV di
stato. ( L'Unità 25/4/1968; Rinascita 26/4/1968; L'Astrolabio 28/4/1968; L'Unità 30/4/1968; L'Unità 1/5/1968).
2 maggio 1968: Vie Nuove annuncia una iniziativa dell'Unitelefilm. Si chiama Terzo canale ed è la prima iniziativa di cinegiornale svincolato dalle logica di un informazione governativa. Lo scopo è quello di limitare al massimo la sperequazione tra il materiale fornito da TV e stampa governativa e la reale portata degli avvenimenti politici e giornalistici. La distribuzione sarà capillare attraverso un circuito di millecinquecento proiettori e il rapporto con il tg viene definito come quello che intercorre tra un quotidiano e un rotocalco. L'iniziativa è chiaramente legata all'area del PCI. (Vie Nuove 2/5/1968)
4 maggio 1968: Settimana Radio-tv inizia un giro d'interviste con alcuni esponenti politici. I politici intervistati sono Luigi Longo (PCI), Flaminio Piccoli (Dc) e Giacomo Brodolini PSI, allora vice segretario). Le Interviste chiariscono ulteriormente le posizioni dei diversi partiti in precedenza riportae. Tutti i politici intervistati sottolineano la necessità di una riforma. Naturalmente se per Longo la Rai, avvantaggia le forze di governo e la DC, per Piccoli i veri favoriti dai programmi televisivi sono le opposizioni. Tutti gli articoli sono firmati da Marlisa Trombetta, oggi inviata del TG2. (Settimana Radio-Tv 4/5/1968; 11/5/1968; 18/5/1968).
19 maggio 1968: Sulle pagine dell'Unità, Ferruccio Parri espone il suo pensiero sulla televisione. La TV secondo Parri è un bene della collettività. Il problema dell'indipendenza della televisione è questione politica centrale. La sentenza della Corte Costituzionale del 1960, rimandava ad una normativa che non è mai stata emanata e che risulta essere necessaria. Ma Parri pone l'accento sul ritardo del PSU nel comprendere l'importanza del mezzo televisivo. Parri deplora e non condivide il rifiuto socialista di inserire nel programma del centro sinistra la questione televisiva: E' aggiunge che forse, la scelta, deriva dalla necessità di non incrinare o rompere i difficili rapporti di governo con la Dc. In ogni caso, la sua posizione appare più vicina a quella del PCI che a quella del PSU. (L'Unità 19/5/1968).
25 maggio 1968: Preziosa tabella e raccolta di dati sulla pubblicità a mezzo stampa e radio-televisione negli anni che vanno dal 1963 al 1966. La tabella fornisce i numeri per comprendere i termini della polemica sviluppatasi nei due anni precedenti sull' ampliamento degli spazi pubblicitari in televisione. Al di là dei numeri, per i quali si rimanda al documento originale, vale la pena notare come dal 1963 al 1966 ad un tasso d'incremento medio annuo del 8,3% fa riscontro un incremento del 9,8% e del 14,2% per le spese pubblicitarie effetuate tramite radio e televisione, mentre il saggio medio d'aumento a mezzo stampa è stato dell'8,2%. I dati riportati provengono dalla F.I.P. e lo schema permette di avere un quadro completo del rapporto pubblicità- stampa quotidiana e periodici del periodo sopra considerato. (Mondo Economico 25/5/1968).
14 giugno 1968: E' Alessandro Curzi sull'Unità ad affrontare ancora una volta, in un quadro di analisi politica molto più ampio, la questione della TV nel nostro paese. Curzi sostiene che "il risultato della nostra azione non deve essere solo quello di fare della TV uno specchio del Parlamento oltre quello del governo, ma di farne uno specchio del Paese. Di fare dell'informazione e della cultura un elemento della dialettica tra Paese e istituti, non uno strumento con cui gli istituti governano il
Paese.... Se questi sono gli obbiettivi ne discendono due conseguenze: innanzitutto, quanto alla struttura per cui lottare, ciò significa una televisione in cui i corpi culturali, la massa degli utenti abbiano spazi e poteri...... In secondo luogo, quanto alle forma di lotta, significa fare della battaglia per la TV una battaglia di massa, che nella minaccia dello sciopero del canone può avere il suo strumento più efficace" (L'Unità 14/6/1968).
15 giugno 1968: Giancarlo Pajetta, intervistato da Settimana Radio-Tv, espone il suo punto di vista sulla riforma della Rai. Pajetta ed il suo partito intendono porre l'azienda sotto il controllo del Parlamento sia per quanto riguarda i programmi che per quanto riguarda l'amministrazione. Si dichiara contrario alla privatizzazione dell'ente e lascia intravedere due possibilità: presentare la legge insieme ad altre fore politiche oppure farla accompagnare da una raccolta di firme (circa 50.000). Pajetta afferma di non essere pregiudizialmente contrario al canone. (Settimana Radio-Tv 15/6/1968).
19 giugno: I giornalisti della Rai denunciano le pressioni politiche. E' il titolo della Stampa di Torino che inaugura l'ennesima polemica estiva intorno all'ente radio- televisivo. I giornalisti in sostanza chiedono, autonomia professionale, presupposto fondamentale per poter svolgere con indipendenza di giudizio il proprio lavoro. Denunciano inoltre le discriminazioni politiche che regolano le assunzioni e le promozioni, chiedono che loro rappresentanti siano presenti nella valutazione e nella realizzazione di programmi giornalistici e nella scelta delle assunzioni e delle promozioni da effettuare. Settimana Radio-Tv e l'Espresso riferiscono che la protesta si è estesa anche ad altre categorie professionali. (La Stampa 19/6/1968; L'Unità 19/671968; La stampa 21/6/1968; Settimana Radio-Tv 29/6/1968; L'Espresso 30/6/1968; Vie Nuove 4/7/1968)
15 luglio 1968: Il senatore Merzagora prende la parola in Senato per chiedere al senatore Leone come mai quando si parla di Rai, si omette di parlare di 280
collaboratori con contratti di consulenza, che fanno riferimento ad un determinato mondo parapolitico. Merzagora non entra nella polemica Rai, limitandosi a questa affermazione. Che però suscita scalpore, da qualcuno viene interpretata come uno strappo e viene più volte ripresa, nelle settimane seguenti, dai giornali dell'opposizione. Dell'accaduto riferisce in prima battuta. Settimana Radio-Tv che nello stesso articolo ospita l'opinione di alcuni esponenti del mondo politico: tra questi, il senatore liberale Veronesi, che si dichiara contrario al monopolio statale della radio-televisione e
auspica la nascita e il rilascio di concessioni anche a soggetti privati. (Settimana Radio-Tv 27/7/1968; Vie Nuove 1/8/1968)
20 luglio 1968: Nell'inverno del 1965, l'ingegner Giorgio Rosa di Bologna, titolare della ditta SPIC, specializzata in rilievi sottomarini, inizia a costruire al largo delle coste di Rimini e fuori dalle acque territoriali, una piattaforma. Si scatenano le ipotesi sulla sua destinazione: complesso alberghiero, casinò, locale a luci rosse. Poi prende corpo l'idea che la piattaforma, costata 70 milioni, servisse ad ospitare una radio-televisione "pirata". Lo Stato, in ogni caso, non da alcuna autorizzazione e l'ingegner Rosa minaccia di far saltare la piattaforma. (Settimana Radio-Tv 20/7/1968).
6 agosto 1968: Settimana Radio-Tv riferisce che la Corte di Cassazione ha posto la parola fine sulla controversia legata al canone, affermando che sottrarsi a tale pagamento costituisce reato. Rifiuta la tesi che il canone televisivo debba essere previsto dalla legge e accoglie le tesi della Rai che sostiene che ogni distinzione tra radio e TV è assurda, perchè ogni apparecchio televisivo contiene un' apparecchio radioricevente. Ecco perchè può valere un unico abbonamento con la variante dell'aumento di prezzo. (Settimana Radio-Tv 6/8/1968)
12 settembre 1968: Il tribunale di Ferrara dichiara illegittimo il canone TV. La causa, intentata dall'avvocatura dello Stato di Bologna, concerneva l'inserimento in un
passivo fallimentare del credito del non avvenuto pagamento da parte della persona fallita, del canone TV. Il tribunale accoglie la tesi difensiva, comune a tutti i soggetti e parti politiche, contrarie al pagamento del canone televisivo, ed afferma che il canone TV non può essere posto a carico degli utenti con atto amministrativo, ma con una precisa disposizione di legge. Rimane un dubbio: come mai il tribunale di Ferrara non ha considerato la sentenza della Cassazione di cui si riferisce in precedenza? (L'Unità 13/9/1968).
13 settembre 1968: Il governo vieta le trasmissioni televisive a circuito chiuso all'interno del festival nazionale dell'unità di Bologna. Le trasmissioni violerebbero la legge sulle telecomunicazioni. Il quotidiano del PCI ne dà notizia con tono polemico. La TV "libera", è effettivamente una televisione con tecnici e giornalisti. Il suo scopo non è quello di fare concorrenza alla Rai, ma di dimostrare che è possibile fare televisione in maniera diversa dalla Rai. Un ampio resoconto sul suo funzionamento è contenuto in un articolo del settimanale Vie Nuove. (L'Unità 14/9/1968; Vie Nuove 19/9/1968).
12 ottobre 1968: 18 regole per fare guerra alla Rai. Si tratta di 18 consigli che Settimana Radio-Tv dà ai propri lettori, per battersi contro il canone TV. L'articolo non ha valore politico. Costituisce una curiosità, indice di un malcontento diffuso, anche di ordine economico nei confronti dell'ente radio-televisivo. (Settimana Radio- Tv 12/10/1968):
19 ottobre 1968: Settimana Radio-Tv pubblica un articolo riassuntivo sulle intricate vicende giudiziarie legate al canone. L'articolo, di cui rimandiamo alla lettura integrale, fornisce uno schema ordinato di molte delle vicende citate nelle pagine precedenti. ( Settimana Radio-Tv 19/10/1968)
16 novembre 1968: In un articolo apparso su Settimana Radio-Tv, vengono riportate sinteticamente le posizioni dei partiti circa la riforma della Rai. Per il PCI c'è un solo modo per riformare l'ente. Ricorrere alla democrazia diretta, chiamando gli abbonati
a decidere in che modo debba funzionare e chi debba gestirlo. La riforma deve essere radicale: controllo del Parlamento; affrontare il problema di tutto il corso della programmazione; proporre forme di partecipazione degli abbonati alla vita dell'ente; decentrare l'organismo e inquadrarlo nelle regioni. Per il PSI la Rai va riformata in senso democratico. L'azienda non deve essere più chiusa alle diverse correnti culturali che animano il paese. I socialisti propendono per la creazione di un organo di garanzia, composto da uomini di assoluto prestigio. Anche i repubblicani auspicano una riforma. Ma per procedere in questa direzione, occorre conoscere a fondo la situazione interna dell'ente sia sotto il profilo della gestione, sia sotto quello programmatico e di indirizzo complessivo. Per la DC, l'unico modo per garantire l'imparzialità dell'ente è quello di garantire l'autonomia, l'indipendenza e la sicurezza dei giornalisti che vi lavorano. E questo lo può fare solo il Parlamento. I liberali intervengono sul problema per bocca di Aldo Bozzi che ripete le proposte riportate nelle pagine precedenti (vedi 13 ottobre 1967). Ma Bozzi riafferma ancora un altro concetto, del quale i liberali si fanno portabandiera: rompere il monopolio della Rai, affidare a soggetti privati che abbiano tutti i requisiti richiesti, le concessioni necessarie per trasmettere programmi televisivi. ( Settimana Radio-Tv 16/11/1968). 28 novembre 1968: Il giudice della prima sezione del tribunale civile di Roma si trova ad esaminare una causa con un imputato imbarazzante: il Ministro delle Poste e Telecomunicazioni. A chiamarlo in giudizio è Alfredo Bini, produttore cinematografico e marito di Rosanna Schiaffino, amministratore unico di Teledistribuzione italiana. Nel 1964, Bini aveva chiesto la licenza per trasmettere film in circuito chiuso. La legge (art. 169 comma A del codice postale approvato con decreto n: 645 del 27 febbraio 1936) lo consente, escludendo altresì le teletrasmissioni circolari che sono appannaggio della Rai. Il sistema pensato da Bini è quello della televisione: una sede centrale dotata di una macchina elettronica in grado di leggere le immagini e di ritrasmetterle in circuito chiuso, per mezzo di onde
hertziane o di cavi coassiali. Dal 1964 al 1967 i funzionari del Ministero delle Poste e delle Telecomunicazioni, chiedono documenti e chiarimenti, profondendosi in accurati supplementi d'indagine. Nell'ottobre del 1967, il Ministro lo rassicura promettendogli la licenza. Ma dopo 5 mesi è ancora silenzio. Bini a questo punto decide di procedere per vie legali e lo cita in giudizio. L'articolo-intervista è firmato da Lietta Tornabuoni. (L'Europeo 12/12/1968).
23 gennaio 1969: I dipendenti Rai aderenti alla Cisl presentano un documento per la riforma dell'ente. Si pone l'accento sul "conformismo e sulla presentazione di schemi di comportamento e di scale di valori di gruppi al potere", definendo inoltre la Commissione parlamentare di vigilanza un organo che opera quasi esclusivamente sul piano formale, e la direzione Rai un' "oligarchia verticale e accentratrice che controlla l'azienda attraverso uomini di fiducia" (La Stampa 23/1/69).
24 gennaio 1969: Ferruccio Parri presenta una proposta di legge sulla riforma della Rai, che sviluppa i temi già illustrati da quella firmata dallo stesso Parri e dal comunista Lajolo, presentata nel corso della precedente legislatura. La proposta prevede la nazionalizzazione della radio e della TV, "sevizi pubblici di preminente interesse generale, in considerazione della loro importanza politica, culturale, educativa e informativa". L'articolo 2, a sostegno del monopolio, afferma: "L'ente ha l'esercizio esclusivo dei servizi radiofonici e televisivi. Deve esercitarli in maniera che essi costituiscano effettivamente strumenti d'informazione, di educazione civile e di diffusione della cultura, in modo da assicurare la piena libertà d'espressione garantita dalla costituzione a tutte le concezioni e forze politiche e religiose, nel rispetto delle diverse tendenze" (La Stampa 24/1/69).
31 gennaio 1969: Intervenendo a sostegno della proposta di legge presentata da Parri (insieme al socialista Jacometti e al comunista Caprara), Ivano Cipriani scrive su Rinascita: "Tre, grosso modo, sono le ipotesi che si fanno in questo anno 1969
per la riforma della radiotelevisione in Italia. La prima prevede una serie di correttivi che, lasciando intatte le strutture attuali, migliorino la funzionalità dell'ente e garantiscano nel settore politico-sindacale una maggiore 'obiettività' e maggiore spazio ai diversi raggruppamenti (...). La seconda si colloca esattamente sul versante opposto ed è un'ipotesi dagli accenti assoluti: se la radio e la televisione sono strumenti del potere, mezzi attraverso i quali il potere esercita il proprio controllo, ricerca il consenso, tende a una graduale omogeneizzazione della società, ogni riforma è impossibile. Soltanto con il rovesciamento del potere capitalistico avremo una TV o una radio nuova, al servizio della nuova classe dirigente (...): Vie è poi la terza ipotesi, ed è quella della proposta di legge elaborata dall'ARTA e presentata da Parri". Principio base della proprosta, spiega poi Cipriani, è quello del distacco dall'esecutivo, inteso come "distacco dal monopolio delle forze sociali che dominano attualmente il nostro paese" (Rinascita 31/1/69).
2 febbraio 1969: Si schiera a favore della proposta Parri anche l'Astrolabio. Si legge sulla rivista: "L'organico progetto legislativo è guidato dalla ricerca di un armonico ed organico sistema di direzione, di controllo politico e di organizzazione, che desse ampia base alla elaborazione dei programmi, largo decentramento, garanzie di libertà, accesso a
tutte le forme di manifestazione del pensiero d'interesse nazionale. Resta, a parere dei proponenti, il principio del monopolio statale, parendo pericoloso lasciare nelle mani di grossi interessi mercantili la possibilità di accrescere la diseducazione pubblica. Ma sopprimendo tutte le attuali convenzioni, e semplificando i complicati rapporti col Tesoro e col ministero delle Poste, si giudica necessario affidare la gestione del servizio a un ente autonomo del tipo ENEL, posto sotto la vigilanza della Presidenza del Consiglio e, per la parte tecnica, delle Telecomunicazioni. Mantenuto il criterio di un organo direttivo, assolutamente non burocratico, che assommi i poteri di decisione sulla condotta generale dell'ente e la relativa
responsabilità pubblica, si è stimato necessario allargarne democraticamente l composizione oltre al nucleo dei nominati dal parlamento con alcuni rappresentanti dei collaboratori interni, dei sindacati e - novità interessante - con un gruppo di eletti dagli utenti" (L'Astrolabio 2/2/69).
22 febbraio 1969: Il repubblicano Adolfo Battaglia fa il punto sulla situazione della Rai-Tv. La Rai, dice, dovrebbe seguire "la politica della completezza dell'informazione, della massima imparzialità di giudizio, della dignità dello spettacolo; e per ottenere questo ci deve essere un equilibrio garantito al vertice dell'azienda da uomini che rappresentino differenti correnti, culture e politiche" (Settimana TV 22/2/69).
23 febbraio 1969: I sindacati premono sulla Rai, titola il Giorno. E' ancora la Cisl a intervenire, con un documento in cui si legge, tra l'altro: "Un'ambigua natura, privatistica e pubblica, dell'azienda ha favorito il massiccio inserimento di uomini d fiducia a tutti i livelli, una sistematica politica di conservazione e di violenza culturale" (Il Giorno 23/2/69).
8 marzo 1969: Il liberale Giovanni Malagodi espone il punto di vista del suo partito sulla televisione in Italia: "Come noi liberali siamo contrari a un teatro di stato, ad un cinema di stato, a un giornalismo di stato, esistenti in regimi totalitari, lo siamo a una televisione così come è gestita in Italia". Riferendosi alla sentenza della Corte Costituzionale del 1960 relativa alla legittimità del monopolio, Malagodi sottolinea che la corte "non ignorava certamente l'art.21 della costituzione per il quale tutti hanno diritto a manifestare liberamente il proprio pensiero con le parole, lo scritto ed ogni atro mezzo di diffusione; nè il principio di uguaglianza sancito dall'art.3". In questo quadro "lo stato monopolista si dovrebbe trovare istituzionalmente nelle condizioni migliori per garantire il rispetto di queste norme; di qui l'esigenza, sottolinea dalla Corte, di leggi destinate a disciplinare tale possibilità potenziale e ad assicura adeguate garanzie di imparzialità. Il vero problema è di creare quindi un
sistema legislativo che garantisca stabilmente una reale imparzialità e il libero accesso alla TV di tutte le voci, di tutte le correnti, culturali e politiche senza predilezioni e discriminazioni". Malagodi illustra poi brevemente la proposta di legge liberale sulla riforma della
Rai, che prevede 1) L'istituzione, accanto al consiglio di amministrazione, di un comitato di garanti che assicuri qualità e imparzialità (formato da studiosi di varie discipline designati da organismi pubblici e privati e nominati dal capo dello stato. 2) Il controllo politico delle trasmissioni da parte di una commissione parlamentare di vigilanza. 3) Il controllo parlamentare sulle nomine. 4) L'assunzione del personale tramite concorso. 5) L'obbligo di rettifica di fatti e notizie false o lesive della dignità.
6) Estensione alla TV delle norme relative alla responsabilità civile e penale dei reati a mezzo stampa. 7) La regolamentazione anche quantitativa della pubblicità. (Settimana TV 8/3/69).
15 marzo 1969: Il tema del monopolio televisivo è tutt'altro che dimenticato. Settimana TV, proseguendo nel suo "Processo alla TV. Cosa non funziona nell'ente di stato", fa intervenire a proposito il noto avvocato romano Franco De Cataldo: "Il nostro ordinamento - dice De Cataldo - ha voluto riconoscere il diritto dello stato ad imporre il monopolio radiotelevisivo senza temer conto del fatto che un simile monopolio viola in modo palese quella libertà di espressione del pensiero che la Costituzione garantisce". Seguendo i concetti che hanno ispirato la sentenza, e in particolare quelli relativi alla necessità di non dar vita a oligopoli privati, prosegue il penalista, "si dovrebbero statalizzare e monopolizzare anche i giornali, visto che soltanto pochi individui o imprese possono dar vita a simili pubblicazioni". All'interno dello stesso articolo viene interpellato anche Davide Lajolo, saggista, scrittore e parlamentare del Pci. "Questi lunghi anni di gestione a senso unico - dice tra l'altro l'esponente comunista - hanno dimostrato l'impossibilità di migliorare i programmi senza una legislazione coerente e moderna (...): Solo arrivando ad una organica
proposta di riforma di struttura della Rai si può risolvere il problema di fondo". Quanto all'organizzazione dell'ente e alla qualità della programmazione, Lajolo ritiene assurda la scarsezza di mezzi finanziari che la Rai pone come giustificazione: "Il canone ha superato i 6 milioni di abbonati per un totale di 14 milioni tra radio e TV. La Rai ha un gettito pubblicitario elevatissimo per cui non solo ha tutti i mezzi sufficienti per programmi migliori, ma dovrebbe ridurre il canone del 50%" (Settimana TV 16/3/69).
17 marzo 1969: Si dimette Gianni Granzotto, consigliere delegato della Rai-Tv. Negli ultimi mesi si è parlato spesso di movimenti e di nomine ad alto livello, in base a un "ordine di servizio" elaborato da Ettore Bernabei (Dc) e da Luciano Paolicchi (Psi). Inoltre, da molte indiscrezioni, si apprende che lo studio tecnico sull'ente e sui suoi difetti, commissionato dalla rai a tre studiosi, conterrebbe un giudizio notevolmente negativo (Corriere della Sera 18/3/69).
20 marzo 1969: Cesare Zappulli, in un articolo pubblicato in prima pagina sul Corriere, scrive: "Il silenzio e l'evasività dei partiti del centro-sinistra, con la sola e meritoria eccezione dei repubblicani, sulla crisi determinatasi in seno alla Rai-Tv per le dimissioni di Granzotto dipendono
versosimilmente dal fatto che nessuno dei gruppi dominanti ha le carte in regola nella 'lottizzazione' del potere verificatasi all'interno dell'ente radiotelevisivo. Nessuno può negare che la politica debba avere la sua parte nella direzione della Rai-Tv come grande organo d'informazione. Ciò che invece non può ammettersi è che i singoli partiti o addirittura le correnti di partito arrivino a sopraffare e travolgere i congegni istituzionali previsti per il controllo politico dell'attività dell'ente; si dividano il comando secondo il rispettivo peso e le reciproche gelosie; si ingeriscano nelle questioni di menagement dell'azienda. Sebbene le aziende municipalizzate, con le loro commissioni amministratrici di estrazione politica, ci abbiano assuefatto ad assurdità del genere, è impossibile guidare un'impresa con la proporzionale"
(Corriere della Sera 20/3/69).
21 marzo 1969: Scrive Rinascita: "Le dimissioni di Granzotto sono il segno di un tempo in cui non è più possibile risolvere i conflitti di potere e le battaglie di fazione nel chiuso delle segreterie dei partiti al governo o negli uffici di Viale Mazzini" (Rinascita 21/3/69).
22 marzo 1969: Il democristiano Donat-Cattin, esponente della corrente di minoranza "Forze Nuove", pone il problema della Rai alla direzione Dc, denunciando di non essere stato interpellato nella formazione di un comitato di studio sul futuri dell'azienda. I repubblicani chiedono intanto che la questione venga risolta approvando una generale riforma della Rai, così come gli indipendenti di sinistra Parri e Antonicelli. Il Psiup propone invece un'inchiesta parlamentare sulla Rai (La Stampa 22/3/69).
3 aprile 1969: In un'intervista pubblicata da Panorama, il vicepresidente Psi della Rai Luciano Paolicchi entra nella polemica sulla lottizzazione, che vede in prima linea il PRI, affermando: "Siamo di fronte alla esasperazione di un problema che anche i repubblicani conoscono. E' il problema degli equilibri culturali e politici nella gestione e nella responsabilità di un'azienda che produce informazione politica, divulgazione culturale e spettacolo. A me la polemica non interessa (...) Non si tratta di un problema di spartizione di posti, si tratta di condizionare la corrispondenza della Rai alla sua funzione di servizio pubblico. Non è questione di partiti, ma della presenza di aree culturali e politiche diverse a ulteriore garanzia di un orientamento aperto ed equilibrato dei problemi" (Panorama 3/4/69).
12 aprile 1969: La crisi nell'assetto dirigenziale della Rai-Tv è risolta. Il consiglio d'amministrazione accetta le dimissioni del presidente Quaroni e nomina al suo posto Aldo Sandulli, che lascia così la presidenza della Corte Costituzionale. Paolicchi (Psi), già vicepresidente, prende il posto di Granzotto come amministratore delegato. De Feo (psi, confermato) e l'ex ministro Delle Fave (Dc) sono i due
vicepresidenti. Direttore Generale è confermato Ettore Bernabei (La Stampa 13/4/69). Il professor Sandulli, ricorda L'Astrolabio, è stato come giudice costituzionale l'estensore
della sentenza del 6 luglio 1960 con la quale "respingendo il ricorso della società Tempo TV si giudicava fondata, anche ai sensi delle disposizioni costituzionali, l'avocazione di quei servizi allo stato 'dato che questo, istituzionalmente, è in grado di esercitarli in più favorevoli condizioni di obiettività, di imparzialità, di continuità e di completezza in tutto il territorio nazionale'" (L'Astrolabio 20/4/69).
19 aprile 1969: Settimana TV annuncia: "Tra pochi giorni la campagna s'inizierà ufficialmente, con la raccolta delle firme: si vuol ricorrere al referendum popolare per togliere il monopolio televisivo alla Rai. E, contemporaneamente, nasce a Milano la TID, Televisione italiana democratica, che sarà una televisione libera (...). Un referendum popolare potrà raggiungere il risultato di strappare alla RAI il monopolio della televisione in Italia. Nascerebbe allora la TID, instaurando il regime di concorrenza: in queste condizioni la RAI non potrebbe più seguitare nella sua politica di menefreghismo nei confronti del pubblico. Perchè questo pubblico la abbandonerebbe e i suoi giochetti di potere sarebbero sterili schermaglie nell'indifferenza generale. Quanto alla nuova televisione, la Televisione Italiana Democratica, si sta già lavorando alla sua attuazione. Si vuole essere pronti per andare in onda il giorno stesso in cui il referendum dovesse sancire la nuova legge (...). La TID vorrà essere esclusivamente televisione. E come tale basare i propri programmi all'ottanta per cento sull'attualità (...). In questi giorni la TID sta costituendosi legalmente in società ed alcuni esperti elaborano le norme che dovranno regolarla (...) Non sappiamo quando il marchio della TID apparirà per la prima volta sul vide. La Rai non resterà immobile ad aspettare questo colpo che la metterebbe in ginocchio: è chiaro che un referendum le sarebbe sfavorevole a stragrande maggioranza e che la concorrenza della TID (per quanto questa rete
possa essere modesta e povera) sarà spietata. Perchè non sarà combattuta sul piano della spettacolarità e dello spreco, bensì su quello del coraggio e della verità" (Settimana TV 19/4/69).
Sull'argomento interviene anche Vie Nuove: "Come rompere il monopolio televisivo della Rai? - si chiede Renato Nicolai - Si potranno studiare riforme, invocando controlli pubblici eccetera, ma certamente l'idea migliore viene dalla Tid, cioè dalla Televisione Democratica Italiana, la cui esistenza, almeno come società, è stata annunciata recentemente a Milano. Si tratta infatti di una nuova fonte di emissione televisiva che dovrebbe cominciare a funzionare su tutto il territorio nazionale tra circa un anno o anche prima. Cioè più o meno quanto potrà bastare, com'è noto, per indire un referendum sulla abrogazione di un articolo legislativo o su un intero complesso di norme (...) E non c'è dubbio che i teleutenti di fronte alla prospettiva di avere un'altra società con programmi alternativo, votino a favore della rimozione di quei privilegi esclusivistici (...) La prospettiva è senza dubbio di grande interesse e, se attuata secondo le intenzioni fin qui dichiarate, potrà assestare un bel colpo al monopolio della TV. La cui direzione, infatti, sembra preoccupatissima
per questa eventuale, spietata concorrenza, assai temibile perchè impostata tutta sul piano della qualità politica sul malcontento attualmente esistente tra i teleutenti italiani. E, al fine di impedire sul nascere questa nuova temibile esperienza, la TV attraverso i partiti governativi metterà in atto ogni espediente per ritardare l'approvazione della legge. Quando poi la legge sarà approvata, ricorrerà ad ogni cavillo giuridico per boicottare la messa in opera della nuova rete. Ma a questo punto varrà davvero la pena di mobilitare l'opinione pubblica" (Vie Nuove 24/4/69).
28 aprile 1969: Il ministro delle Partecipazione Statali Arnaldo Forlani parla della riforma della Rai: "Ritengo di poter assicurare fin d'ora che obiettivo di tale revisione non è solo una maggiore efficienza in termini puramente aziendali, ma anche una crescente qualificazione della funzione culturale, educativa e ricreativa del mezzo
radiotelevisivo in termini di contenuti e di qualità dei programmi" (La Stampa 29/4/69).
30 arile 1969: L'assemblea generale degli azionisti approva il bilancio 1968 della Rai, chiuso con un utile netto di 638 milioni. Sono inoltre confermate le nuove nomine. "In pratica l'assemblea odierna non ha fatto altro che sanzionare il recente accordo di vertice raggiunto tra i tre partiti della maggioranza governativa" (La Stampa 1/5/69).
1 maggio 1969: Giancarlo Pajetta interviene sul tema "chi comanda alla Rai". L'esponente comunista, allora vicepresidente della Commissione Parlamentare di Vigilanza sulle Radiotelediffusioni dichiara a Panorama: "La chiamano commissione di vigilanza, ma di vigilanza su che cosa? Non ha poteri di alcun genere, si riunisce quando capita ma non più di due o tre volte l'anno, viene boicottata da tutti, specialmente dal governo, i dirigenti televisivi ti sbattono il telefono in faccia se non di peggio" (Panorama 1/5/69).
2 maggio 1969: Il professor Leopoldo Elia, consigliere d'amministrazione della Rai, si dimette per protesta sui metodi usati per l'assegnazione della cariche direttive (La Stampa 3/5/69).
21 maggio 1969: Il Consiglio direttivo della Rai approva un ordine di servizio che nomina tre vicedirettori generali (Luigi Beretta, Leone Piccioni e Brano Vasari) e affida la direzione del telegiornale a Villy De Luca. Per protesta i programmisti della Rai proclamano l'occupazione simbolica di Viale Mazzini. Anche a Milano il centro di Corso Sempione viene occupato simbolicamente (La Stampa e Corriere della Sera 22/5/69), per poi proclamare uno sciopero di 24 ore.
28 maggio 1969: Il dibattito sulla Rai-Tv alla Camera si chiude con un ordine del giorno, presentato dai gruppi della maggioranza, nel quale si prende atto dell'impegno del governo di presentare al più presto un disegno di legge per il riordinamento dell'azienda. "Il provvedimento - dichiara il ministro delle Poste Mazza
- terrà conto delle esigenze di autonomia dell'azienda, di libertà e di obiettività dell'informazione, definirà chiaramente la natura giuridica, la responsabilità della gestione, le caratteristiche e la
portata dei controlli anche sulla base delle osservazioni fatte dalle varie parti politiche, dalle forze culturali e sindacali" (La Stampa 29/5/69).
30 maggio 1969: Sul tema della televisione interviene anche Alessandro Natta con un articolo di prima pagina su Rinascita in cui si auspica una veloce soluzione alla necessità di una riforma della Rai. Natta scrive, tra l'altro: "Una nuova struttura, una nuova gestione democratica della Rai-Tv possono essere un passo avanti essenziale nel processo di rinnovamento e di sviluppo della democrazia e dei suoi istituti" (Rinascita 30/5/69).
15 giugno 1969: Giancesare Flesca, su l'Astrolabio, espone le linee del progetto dell'emittente francese Radio Europe n1 di impiantare su territorio jugoslavo una stazione televisiva riservata all'Italia, che avrebbe potuto sfruttare un vantaggioso contratto pubblicitario garantito dalla Sipra. Il progetto, nel quale - scrive Flesca - "si parlò di interessi Fiat", fallì. "In questi giorni - prosegue l'articolo - corre voce con insistenza di capitali americani fatti confluire in Italia attraverso Pesenti e destinati a favorire l'installazione di un canale televisivo privato sul territorio nazionale o fuori; già si sa che all'accordo fra Mondadori e la CBS per la produzione delle cassette audiovisive è interessata anche la Fiat. Un simile cospirare di fatti fa sorgere senza dubbio degli interessi preoccupanti: è già in atto l'offensiva contro la Convenzione di Monopoli tra lo Stato e la RAI-Tv che scadrà nel 1972. Quali sono le forze interessate a privatizzare il nostro sistema televisivo? Forse esse non fanno parte dell'estabilishment politico che governa la Rai-Tv e il paese, su cui ricadono certamente le maggiori responsabilità di una gestione scadente e faziosa, rispetto alla quale la privatizzazione potrebbe addirittura apparire come una brillante e dinamica alternativa. Ma con il miglioramento qualitativo del prodotto si assisterebbe
ad un fenomeno che non può lasciare indifferenti: quello della ulteriore concentrazione dei mass media nelle mani di pochi gruppi monopolistici che se ne servirebbero per i loro fini. Questo è chiaro e contro una simile ipotesi bisogna battersi con forza" (L'Astrolabio 15/6/69).
25 ottobre 1969: Si parla si un sensibile deficit nel bilancio della Rai. Dall'analisi dei dati consuntivi del 1969 il passivo sarebbe di circa 17 miliardi, scrive il settimanale Vita (25/10/69).
Novembre 1969: Si parla ancora della nascita di una TV privata. Dovrebbe nascere in svizzera, e potrebbe essere vista sul territorio nazionale grazie a due ripetitori. A questa iniziativa dovrebbe aver dato la sua adesione anche Enzo Tortora, che ha da poco lasciato la Rai (Vie Nuove 13/11/69).
20 dicembre 1969: Il bilancio della Rai per il 1969 si chiude in pareggio. Ne dà l'annuncio Paolicchi, amministratore delegato., indicando anche il numero degli abbonati alle radiotelediffusioni: sono in tutto 11 milioni 250 mila, di cui 9 milioni e 70 mila alla televisione e 2 milioni 180 mila alla radio (La Stampa 21/12/69).
Gennaio 1970: Prendendo in esame le diverse proposte di legge sulla riforma del sistema radiotelevisivo, Enrico Baragli scrive su Civiltà Cattolica: "Ovviamente, quasi tutte le proposte tengono presente la prossima scadenza del 15 dicembre 1072. E' indicativo però che nessuna, come alternativa della concessione in esclusiva, proponga una liberalizzazione totale tipo USA, tanto inevitabili e macroscopici si prevedono gli inconvenienti di un oligopolio radiotelevisivo in Italia che venisse a fiancheggiare quello che, almeno di fatto, già pesa sulla stampa" (Civiltà Cattolica vol.I, 1970).
15 gennaio 1970: Il tempo dedicato alla pubblicità in televisione è aumentato dall'inizio dell'anno. "Tutto è accaduto in sordina - scrive Vie Nuove - . Le rubriche televisive di pubblicità, che fino al 31 dicembre dello scorso anno erano 9, sono ora
diventate 12. Di conseguenza anche il numero degli inserti è notevolmente aumentato: dai 28 giornalieri si è passati agli attuali 36. Che non si tratti di un'operazione di normale amministrazione lo dimostra il fatto che non sono stati inventati titoli di rubrica nuovi, e si è preferito ricorrere alla reiterazione delle rubriche già esistenti. Così sono nati Break 2, Gong 2, e Arcobaleno 2, cosa che dà evidentemente meno nell'occhio della istituzione di rubriche dal nome nuovo. E' inoltre annunciato l'aumento del tempo a disposizione di Carosello, che passerebbe da cinque a sei 'spettacoli' quotidiani" (Vie nuove 15/1/70).
17 gennaio 1970: Si parla con sempre maggiore interesse delle videocassette, e in particolare dell'accordo tra Mondadori e Zanussi - un investimento di 12 miliardi - per la realizzazione e il lancio di film registrati. La previsione di Mario La Ferla è molto realistica, ma decisamente in anticipo sui tempi: "L'entrata in servizio di questi nuovi mezzi non avverrà prima del 1971 (...) I film, allora, li potremo acquistare nelle librerie o nelle edicole al prezzo di un buon disco" (Vita 17/1/70)
Febbraio 1970: Il 3 febbraio il quotidiano Il Tempo attacca TV7 per un servizio di Zavoli sul codice Rocco intitolata "Il codice da rifare". Due giorni dopo, sullo stesso quotidiano, viene pubblicata una lettera del vicepresidente Psdi Italo De Feo - titolo "Vergogna in TV" - in cui si parla ancora di Tv7 in termini molto negativi: "Ciascuno - scrive tra l'altro De Feo - prenda ora pubblicamente posizione e assuma le proprie responsabilità", rivendicando la sua funzione di "garante della libertà e della obiettività dell'informazione, con l'incarico specifico di sorvegliare i programmi tanto nella loro ideazione che nella loro attuazione". Il 4 febbraio il consiglio direttivo Rai approva un documento a maggioranza sulla "libertà di espressione" stilato da Sandulli. De Feo vota contro insieme al repubblicano Bogi, mentre il socialista Fichera si astiene. Il 5 febbraio anche l'Avanti attacca duramente De Feo, seguito nei giorni successivi dalla Voce Repubblicana (La Stampa, il Corriere della Sera e altri quotidiani, 3-18/2/70). De Feo, attaccando Zavoli, intendeva in realtà attaccare
direttamente il presidente Sandulli, suggerisce la Domenica del Corriere. "Non si riesce a capire
nulla dell'iniziativa di De Feo se non si tiene conto che nel 1971 scade la convenzione che garantisce il monopolio (...). Il pasticciaccio di via Teulada ha aperto in sostanza le grandi manovre. Così accade che la vita politica italiana vede spuntare un'altra scadenza futura a fare da ombra in tutte le contrattazioni tra i partiti" (Domenica del Corriere 17/2/70).
19 febbraio 1970: Sandulli si dimette delegando i propri poteri al vice Delle Fave. In una lunga lettera motiva il proprio gesto con il venir meno della "fiducia" di una delle parti che avevano sottoscritto a suo tempo l'accordo quadripartitico sulla Rai, e afferma l'impossibilità di una presenza "oggettiva" al di sopra delle parti (Corriere della Sera 20/2/70). Lo stesso giorno viene pubblicata da Avanti e Unità una lettera di De Feo in cui il vicepresidente socialdemocratico sostiene che i quattro quinti dei compilatori dei programmi TV sono comunisti, comunistoidi e affini e chiede accertamenti sul personale (Avanti e Unità 19/2/70).
20 febbraio 1970: Giornalisti e programmisti della Rai proclamano per il 23/2 una giornata di sciopero. La corrente di maggioranza della Cisl (guidata da Storti) non aderisce (pur protestando contro l'azienda). La corrente d Rinnovamento della Cisl invece, assieme alle Acli, diede di partecipare alla mobilitazione. L'Unità chiede di sapere dall'amministratore delegato, il socialista Paolicchi, quale sia stata la sua posizione sulle lettere di De Feo prima che diventassero pubbliche (Unità 20/2/70, Europeo 5/3/70).
21 febbraio 1970: Paolicchi risponde dalle colonne dell'Avanti! alle domande del quotidiano comunista: "Non ho mai ricevuto la lettera di De Feo a Sandulli e ho sempre votato a favore di TV7" (Avanti 21/2/70)
22 febbraio 1970: La Voce Repubblicana giudica la risposta di Paolicchi insufficiente, accusandolo di "connivenza" con De Feo. La corrente di sinistra del
Psi emette un comunicato di duro attacco verso De Feo, definito il "poliziotto socialdemocratico". Il documento viene pubblicato da Unità e Paese Sera, ma non dall'Avanti (Voce Repubblicana 22/2/70, Il Ponte febbraio '70, Unità 23/2/70, Panorama 5/3/70).
23 febbraio: Sciopero Rai con telegiornale ridotto, in cui viene data la notizia, ignorata per tre giorni, delle dimissioni di Sandulli (La Stampa, Corriere della Sera, Unità, Avanti 24/2/70).
marzo 1970: Intervenendo ancora sul Caso De Feo-Zavoli, il settimanale Tempo scrive tra l'altro: "Come in tutti i monopoli di Stato, nella Rai-Tv pregi e difetti sono di natura istituzionale. Per capire gli uni e gli altri basta capite cosa accadrebbe con la rottura del sistema monopolistico. L'organizzazione di una stazione televisiva non è impresa facile.. Per realizzarla occorrono investimenti ingenti. Gli esperti hanno calcolato che per realizzare un impianto che dall'alto delle Alpi (per esattezza dal Monte Bianco) copra l'intera pianura padana occorrono circa 70 miliardi di lire. Possono dunque realizzarla solo gruppi economici o industriali molto potenti, il sui fine, dato l'attuale regime economico
del nostro paese, non può essere volto al profitto. Una siffatta stazione (che, del resto, è tutt'altro che ipotetica, giacchè è allo studio) per diventare competitiva deve entrare in concorrenza con la televisione di Stato e con i giornali nell'accaparrarsi la pubblicità". E poi, più avanti, si ritorna a parlare del vecchio progetto di una televisione dedicata all'Italia che sarebbe dovuta sorgere su territorio jugoslavo, e di altri simili progetti: "Tra il furore delle polemiche - scrive Tempo - a Zara i dirigenti del quotidiano Borba e i rappresentanti di alcuni gruppi americani e italiani si erano accordati per la creazione di una stazione radio-televisiva commerciale le cui antenne e i cui ripetitori avrebbero coperto l'intera pianura padana e oltre, verso le Alpi Piemontesi. Avuta notizia del progetto, dopo essersi consultato anche con il Governo (e assistito dalla nostra organizzazione diplomatica) Gianni Granzotto inviò
una nota di protesta a Belgrado: il progetto di Zara, visto nel quadro di armonia delle relazioni tra Italia e Jugoslavia, salta. Ma, intanto, ad opera di gruppi italiani e francesi (s'è fatto il nome di un familiare dell'attuale presidente Pompidou) andavano maturando due nuovi progetti: uno per organizzare una stazione televisiva sul territorio monegasco con solito obiettivo di concentrare l'attività nel triangolo industriale e nei centri più ricchi del Settentrione ed un altra in territorio elvetico, mentre Malta, avviata, malgrado l'indipendenza, ad una recessione economica, si offriva come base per una stazione televisiva per 'aggredire commercialmente' il Sud in fase (più o meno imminente) di decollo economico e consumistico" Tempo 7/3/70).
25 marzo 1970: Umberto Delle Fave viene nominato presidente "ad interim" della Rai-Tv, in sostituzione del dimissionario Sandulli (La Stampa 26/3/70).
27 marzo 1970: La polizia interviene a Partinico, nella Valle del Belice, per interrompere le trasmissioni di un emittente clandestina, impiantata da Danilo Dolci, che dà notizie sulla situazione dei comuni terremotati. Tra i porimi brani messi in onda dall'emittente - riporta Vie Nuove - c'è il seguente: "Costituzione Italia, articolo 21: Tutti hanno il diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di espressione. Cosa significa tutti? Vi deve essere esclusa la gente che lavora più faticosamente? VI deve essere esclusa la gente che più soffre?" (Vie Nuove 12/4/70).
17 aprile 1970: A Genova una radio pirata si inserisce sul programma nazionale della televisione e lancia proclami antifascisti e minacce contro i padroni - l'occasione è un comizio di Almirante nella città ligure - a nome dei Gap, Gruppi di Azione Partigiana. Secondo i tecnici, il messaggio è partito da un'emittente di scarsa potenza (non più di 2 watt) manovrata da un vero esperto di elettrotecnica che è riuscito a inserirsi nella frequenza TV dell'0emittente di Portofino (Corriere della Sera e Stampa 18/4/70).
4 giugno 1970: Cresce la popolarità della televisione svizzera, che si può facilmente ricevere in diverse zone del Nord. Le richieste per istallazione delle apposite antenne si sono moltiplicate, e insieme al pubblico si è moltiplicata la pubblicità, diretta per la maggior parte verso il pubblico italiano La TV svizzera in lingua italiana ha infatti certamente più spettatori in Italia che in casa propria: il Canton Ticino, con 240 mila abitanti, ha solo 55 mila televisori (Panorama 4/6/70).
18 agosto: Il direttore generale Ettore Bernabei chiede al presidente del consiglio Emilio Colombo di aumentare il canone da 12 a 15 mila lire. Analoghe richieste, in precedenza bocciate, erano già state effettuate da Bernabei nel 1964, nel 1968 e nel 1969 (Panorama 3/9/70).
19 ottobre 1970: Il consiglio nazionale del PRI approva un documento sulla >Rai TV: "Di fronte alla precarietà della vita dell'ente, caratterizzata economicamente dagli squilibri di bilancio e politicamente viziata da elementi e rischi di autoritarismo (...) il PRI ritiene che si ponga tutte le forze e in particolare a quelle della maggioranza a) l'obbligo di elaborare quella riforma dell'ente che è resa ormai indispensabile non solo dalla scadenza della concessione, ma dallo stesso stato odierno del dibattito sulla Rai; b) il compito urgente di impiegare il tempo intermedio che separa dalla riforma per conseguire due fondamentali obiettivi: ripristinare il ruolo istituzionale della Rai e realizzare il principio dell'economicità di gestione dell'ente" (La Stampa 20/10/70).
2 gennaio 1971: Le agenzie battono in anteprima ampi stralci di un'intervista del democristiano Arnaud e del socialista Finocchiaro al settimanale Tempo. "C'è chi vuole la riforma - afferma Arnaud - per spezzare il monopolio statale, c'è chi punta sulla mezzadria tra capitale pubblico e privato, c'è chi punta sulla nazionalizzazione. La riforma della Rai è un grande banco di prova e non si può realizzare evitando il più ampio confronto". Per superare la crisi istituzionale, dice Finocchiaro, la Rai
"dovrà avere la struttura di un servizio pubblico che assicuri la presenza del più ampio arco di forze politiche, sindacali e culturali, ispirato dal principio dell'autonomia e da quello del decentramento" (Corriere della Sera 3/1/71).
6 gennaio 1971: La procura della repubblica di Milano solleva un'eccezione di incostituzionalità intorno al problema della punibilità penale di chi evade il canone di abbonamento radiotelevisivo. La questione sorge perchè il 15/12/69 è stata approvata una legge che prevede sanzioni amministrative per chi non paga il canone su apparecchi istallati su auto o natanti. Il mantenimento delle sanzioni penali per chi "detiene nella propria abitazione" apparecchi radiotelevisivi senza pagare il canone è dunque da considerarsi - si legge nell'ordinanza del P.M - "una inammissibile discriminazione" (Corriere della Sera 6/1/71). Ma a Grosseto, tre giorni dopo, una signora di 63 anni, colpevole di non aver pagato nè il canone nè la successiva contravvenzione, viene condannata a due giorni di reclusione (Corriere della Sera 10/1/71).
9 gennaio 1971: A seguito di un dibattito intorno alla "crisi della Rai", la direzione del PRI approva un documento in cui si avanzano queste proposte: ampliamento dei compiti della Commissione parlamentare di vigilanza; comitato direttivo più ristretto nel numero; unificazione delle cariche di amministratore delegato e di direttore generale; determinazione di obiettive procedure di formazione dei programmi; adeguamento delle strutture dell'ente alla necessità, anche in ordine all'istituzione delle regioni, di assicurare un grado di autonomia e di responsabilità decisionale dei centri periferici; assunzione del personale tramite concorsi; pubblicità degli atti del consiglio di amministrazione e del comitato direttivo; incompatibilità della funzione di membro del consiglio di amministrazione e di membro del comitato direttivo con l'esercizio di attività retribuite da parte dell'azienda o di aziende consociate (Corriere della Sera 10/1/71).
10 gennaio 1971: Inizia a trasmettere Tele Capodistria, emittente jugoslava
destinata alle minoranze di lingua italiana, la cui ricezione è possibile in Friuli, nel Veneto, in Emilia-Romagna e nelle Marche. La stazione trasmette a colori secondo il sistema tedesco PAL (Settimana TV 23/1/71).
13 febbraio 1971: Si svolge Milano il convegno "Una Rai nuova per l'Italia delle Regioni", organizzato dalla federazione milanese del Psi e da Nucleo Aziendale Socialista della Rai. Nel comunicato presentato dalla presidenza del convegno si legge "A) Facendo proprio il documento unitario della
direzione del partito sulla riforma della Rai, si sottolineano come momenti qualificanti
1) l'aver annoverato la forma del mezzo radiotelevisivo fra le grandi riforme di struttura della società; 2) l'aver individuato in tutte le forze politiche che hanno dato cita alla Costituzione repubblicana le componenti necessarie per attuare una profonda riforma democratica dell'ente. B) Tenendo conto della realtà del paese, che già esprime equilibri politici più avanzati, si pone come obiettivo a breve scadenza lo spostamento dal governo al parlamento delle funzioni di controllo e di indirizzo della linea culturale e informativa della Rai, 1) attribuendo al Parlamento l'autorità di garantire il diritto d'antenna di tutte le forze sociali presenti nel paese, anche se non istituzionalizzate; 2) affidando al Parlamento l'effettiva vigilanza su tutti i programmi della radio e della televisione" (Vie Nuove 17/3/71).
17 marzo 1971: Si apre a Vidiciatico il seminario organizzato dall'Arci: "Uso, gestione ed effetti dei mezzi per l'informazione". Partecipano dipendenti Rai e operai. I temi sono ancora quelli del decentramento e del diritto di accesso.
27 marzo 1971: Il Vaticano è già pronto, annuncia il settimanale Tempo, per la produzione delle videocassette. E sarà il primo passo verso la Televisione Vaticana. "A Palazzo Pio - scrive Tempo - sta sorgendo il centro di produzione. A dirigerlo sarà padre Mantegani, della Compagnia di Gesù, 68 anni, dal 1967 direttore della Radio Vaticana" (Tempo 27/3/71).
14 aprile 1971: In sede di discussione del bilancio delle Poste il Pci chiede che
vengano sospese tutte le erogazioni a favore della Rai e che, inoltre, vengano restituiti i 12 miliardi ottenuti nel dicembre 1969 grazie a un decreto legge (Siliato: L'antenna dei Padroni).
20 aprile 1971: Telebiella, destinata a diventare la prima televisione via cavo in Italia, ottiene con questo nome la registrazione come "giornale periodico a mezzo video" dal tribunale cittadino. A dirigerla un regista televisivo, Peppo Sacchi (Bartolomei-Bernabei: "L'emittenza privata in Italia...").
27 aprile 1971: A Milano si svolge l'ennesimo seminario sull'informazione. Organizzano Arci e lavoratori Rai. Titolo: "Struttura produttiva Rai e strategia per un uso di classe dell'informazione".
24 aprile 1971: Tra le tante proposte di riforma della Rai-Tv - scrive Settimana TV - ce ne sono de che fanno perdere il sono all'attuale gruppo dirigente. La prima parla di privatizzazione pura e semplice e questo comporterebbe la caduta e la frantumazione di alcuni piccoli e grandi imperi creatisi col tempo all'interno di questo ente ormai diventato carrozzone. La seconda, assai più intelligente e pratica, parla di suddivisione regionale: questo consentirebbe, quanto meno, una brusca ondata di ridimensionamenti a livello centrale e una maggiore aderenza alle situazioni e alle esigenze locali" (Settimana TV 24/4/71).
6 maggio 1971: Dibattito alla Camera sulla situazione della Rai. Bignardi, a nome del PLI, interviene a favore della pluralità delle reti televisive, ossia alla fine del monopolio. Il socialista Di Primio afferma al contrario: "La fine del monopolio, che peraltro è prescritto da una sentenza della corte costituzionale, contrasterebbe con la natura pubblica del servizio" (Corriere della Sera, Stmpa, Giorno 7/5/71)..
Maggio 1971: Una delegazione di metalmeccanici della Fiat e di lavoratori della Rai chiedono alla sede di Torino di poter realizzare un servizio. La Rai rifiuta. Sciopero congiunto.
19 maggio 1971: Il presidente del Consiglio Emilio Colombo interviene alla
Commissione parlamentare di vigilanza per affermare che il governo presenterà un progetto di riforma della Rai entro la fine dell'anno, e che contemporaneamente saranno aumentati i poteri della commissione stessa (Quotidiani vari 20/5/71).
28 maggio 1971: Giorgio Bogi, repubblicano, si dimette dalla Rai. Il PRI decide di non occupare più alcuna carica all'interno dell'ente fino all'attuazione della riforma (La Stampa 30/5/71).
2 luglio 1971: A Milano è in programma il convegno "La Regione di fronte alla riforma Rai-Tv". Partecipa anche De Feo, che dichiara :"Noi siamo favorevoli all'anticipo della scadenza della convenzione per dare alla Rai un assetto definitivo" (Corriere della Sera 4/7/71)
5 luglio 1971: Nel corso del convegno indetto dalle confederazioni unitarie dello spettacolo - il titolo è "I lavoratori Rai e la riforma" - i sindacati si schierano apertamente per la riforma dell'ente chiedendo nomine parlamentari, potere alle Regioni e diritto di accesso (Siliato: "L'antenna dei Padroni).
25 agosto 1971: La Corte di Cassazione stabilisce che la Rai è una società per azioni di diritto privato. Pertanto, come tutte le società private, ha i suoi diritti e i suoi doveri. "La Rai -afferma la sentenza - è una società per azioni di diritto privato. Il sistema giuridico dei suoi beni, ancorchè essi siano destinati a un pubblico servizio, non subisce modificazioni dal rapporto di concessione di un pubblico servizio stabilito tra la Rai e lo Stato. Tale regime rimane puramente privatistico". I giudici, spiega la Stampa, hanno dunque considerato la Rai "come un qualsiasi privato e hanno disposto un altro procedimento di merito per stabilire quanto l'amministrazione finanziaria dello Stato debba incassare per la costruzione di un ripetitore su un terreno acquistato nella zona di Serravalle Scrivia" (La Stampa 26/8/71). "La Rai pagherà le giuste tasse - commenta invece Settimana TV - Certo che, per un'azienda sollecita fino allo spasimo, fino alla violazione di domicilio nell'esigere i tributi degli abbonati, è un bello smacco" (Settimana TV 4/9/71). A
rincarare la dose ci pensa ABC: la sentenza della Cassazione, scrive il settimanale, porta con sè alcune inevitabili considerazioni: "Le conseguenze sono ovvie. Se la Rai- TV è un ente privato il monopolio del servizio è illegale. Quando si tratta di monopolio, infatti, com'è nel caso dell'esclusiva ventennale
della Rai e come ha detto chiaramente la Cassazione, lo Stato non può affidarne la gestione a un ente privato. L'articolo 43 della Costituzione indica tre vie: o è lo Stato a gestire direttamente l'impresa, o è un ente pubblico, o è una comunità di lavoratori e di utenti. Qui nulla di tutto ciò. A meno che non si voglia sostenere che Delle fave, De Feo e Bernabei costituiscano, a nostra insaputa, una comunità di lavoratori o di utenti!...La via del monopolio privato deve essere dunque abbattuta. I cittadini hanno il diritto di partecipare alla divulgazione del pensiero, dell'arte, della scienza e dell'informazione anche al di fuori dei due canali della TV" (Abc 10/9/71).
Ottobre 1971: Diversi giornali si occupano dei sei volumi pubblicati da Guido Zerilli Merimò (industriale, presidente della Lepetit, fondatore di organismi culturali e direttore di organizzazioni umanitarie) con il titolo "Uomo, televisione, libertà", una monumentale opere dedicata al confronto dei sistemi televisivi mondiali, considerata da molti una dichiarazione di guerra ideologica al monopolio televisivo. In un'intervista rilasciata alla Domenica del Corriere, Merimò spiega tra l'altro che, nel 1960, la Corte Costituzionale giustificò il monopolio per la limitatezza delle frequenze televisive disponibili. "Oggi però - aggiunge - grazie al progresso tecnico, la situazione è cambiata. Per esempio i programmi si possono trasmettere anche per cavo coassiale. In un solo cavo possono essere trasmessi anche 40 programmi nello stesso tempo. Il secondo argomento della Corte era questo: mettere su un'azienda televisiva costa tanto che deve averla soltanto lo Stato nell'interesse di tutti, altrimenti diventerebbe monopolio di qualche gruppo di ricchi. Ma oggi un'azienda televisiva costa come una piccola industria: con una forma di azionariato popolare anche i gruppi sociali più modesti potrebbero avere una 'loro' TV. (...) Da
noi si potrebbe anche ammettere il monopolio del mezzo tecnico, degli impianti, degli studi, delle telecamere; ma lo Stato dovrebbe rinunciare al monopolio sul contenuto delle trasmissioni. Oggi è come se lei andasse a fare un telegramma - il telegrafo è un monopolio tecnico dello Stato - e lo Stato le imponesse di scrivere il telegramma così e non cosà, a questa persona e non a quella" (Domenica del Corriere 19/10/71).
25 ottobre 1971: Intervenendo al congresso dell'Agirt, l'amministratore delegato della Rai Paolicchi affronta il tema della riforma dell'ente. "Credo che il senso generale della riforma - ha spiegato - consista in un'estensione dell'area di intervento del Parlamento che oggi può realizzare solo un controllo occasionale e a posteriori". Inoltre Paolicchi punta su programmazione locale e decentramento: l'informazione locale, afferma, troverà una prima fase di realizzazione nell'informazione televisiva, con prospettive di sviluppo in tempi successivi fino all'ipotesi di una terza rete televisiva (Corriere della Sera 26/10/71).
4 novembre 1971: La soluzione per trovare un equilibrio finanziario della Rai va cercato non tanto nell'aumento del canone, quanto nell'incremento del numero degli abbonati, da ottenere con l'introduzione del colore e con la creazione di un terzo canale TV: queste le indicazioni del ministro delle Poste, Bosco, intervenuto a un convegno. Il terzo canale TV, annuncia il ministro, "entrerà in funzione nel 1973 e irradierà soprattutto programmi di divulgazione culturale e scientifica" (Corriere della Sera 5/11/71).
10 novembre 1971: E' all'esame al Senato il Bilancio dello Stato. Il ministro delle Poste Bosco, intervenendo in aula, ha confermato l'impegno del governo Colombo di presentare al più presto possibile - "Colombo disse entro l'anno", sottolinea il Corriere della Sera - lo schema di riforma della Rai-Tv. "Il provvedimento si propone di adeguare la struttura dell'ente radiotelevisivo alle norme della costituzione, alle sentenze della corte costituzionale, ai rilievi e alle proposte della commissione
parlamentare d vigilanza, alle osservazioni della corte dei conti, ai suggerimenti della stampa, dell'opinione pubblica e delle organizzazioni sindacali". In particolare, Bosco ha "espressamente escluso che vi possa essere la privatizzazione del mezzo radiotelevisivo" (Corriere della Sera 11/11/71).
7 dicembre 1971: Il Corriere della Sera ospita un intervento del direttore generale della Siae Antonio Ciampi, dedicato all'imminente scadenza della convenzione Stato-Rai, prevista come è noto alla fine del '72. "Non si tratta soltanto di modificare la configurazione giuridica e l'ordinamento interno della Rai -scrive Ciampi - di attribuire controlli e più ampie facoltà al Parlamento, attenuando il predominio del potere esecutivo, di affidare a un comitato di garanti, con maggiori poteri dell'attuale commissione di vigilanza sui programmi, la cosiddetta promozione culturale. Non sarà neppure sufficiente disciplinare 'il diritto all'accesso' al mezzo radiotelevisivo, reclamato da più parti, in conformità al dettato costituzionale del 1960, e nemmeno assicurare un indispensabile equilibrio al pesante bilancio aziendale. Tutti codesti sono problemi importanti, e taluni urgenti, che hanno formato e formano oggetto di varie proposte di legge, di piani di riforme, di convegni e dibattiti nelle sedi più diverse, ma non toccano la questione di fondo che è, invece, quella di accertare e di stabilire, pregiudizialmente, i nuovi criteri e i nuovi limiti che oggi giustificano il fondamento politico e giuridico di un monopolio radiotelevisivo (...) Ricordiamo che la Corte Costituzionale ha riconosciuto il monopolio radiotelevisivo legittimo quanto alla sua esistenza, ma non ha esitato a dichiararlo illegittimo quanto al modo nel quale viene esercitato. La verità è che il regime di monopolio può giustificarsi per il controllo degli impianti tecnici (e nessuno ragionevolmente lo contesta), può disciplinarsi e dimensionarsi, con alcune garanzie e riserve, per i servizi di informazione e di attualità, ma non ha alcuna ragione di sussistere e di perpetuarsi per la circolazione dei programmi culturali e ricreativi" (Corriere della Sera 7/12/71).
20 gennaio 1972: L'Europeo pubblica un articolo di Aldo Santini, dal titolo "Basta con questa televisione", che offre un quadro molto lucido della situazione televisiva all'inizio del 1972, a dodici mesi dalla scadenza della convenzione tra Stato e Rai: "Gli attacchi contro questa televisione salgono di asprezza. Li sparano i gruppi industriali, i partiti, i giornali. l suo monopolio di timbro governativo è il bersaglio più vistoso nel tiro a segno degli scandali nazionali (...). Sulla necessità di mutare indirizzo televisivo sono tutti d'accordo, anche i dirigenti della Dc, il partito di maggioranza che regola l'alchimia dei poteri dentro la TV". L'articolo di Santini, dopo aver preso in esame i tentativi effettuati negli anni '50 per rompere il monopolio Rai, prosegue: "La Rai-Tv è proprio statale o è una società per azioni? E' una società per azioni, però il 98,35 % di queste azioni sono nella cassaforte dell'IRI. Ma l'IRI ha solo due rappresentanti su venti nel consiglio amministrativo e non riesce a frenare le spese. E con l'IRI, la Rai-Tv ha altri tutori: la Tesoreria dello Stato, il ministero delle Poste, la Corte dei conti, il governo, il Parlamento. L' IRI si libererebbe volentieri della Rai-Tv ma non può farlo. La Rai è sostanzialmente uguale all'Eiar con la differenza che l'ente torinese era controllato da un solo partito, quello fascista, e la Rai-Tv, dominata fino al 1965 dalla Dc, dopo il '65 è stata lottizzata da diversi partiti. Chi tenta di scalfire il suo potere viene quanto meno imbavagliato". Santini ricorda il caso di Alfredo Bini, che nel 1964 tentò l'esperimento della TV a circuito chiuso nei cinema, o il successivo tentativo di TV a circuito chiuso a Torino, nel 1967. Quindi prosegue: "Da Montecarlo parte l'iniziativa più pericolosa per la Rai-Tv. Vogliono drizzare un'antenna per raggiungere con la loro TV gran parte del Nord Italia, da Torino a Cuneo, Alessandria fino a Milano. La società TV di Montecarlo è privata, c'è dentro anche Dassault, quello dei Mirage, e se il campo d'azione della sua antenna si spingerà così profondamente nel triangolo industriale italiano, la latitudine economica della società si allargherà. Circolano alcuni nomi di casa nostra, forse appartengono al medesimo gruppo che sei mesi fa ha scaraventato
kappaò la Rai con le immagini della TV svizzera. Che cosa ha fatto questo gruppo? Semplice. Ha messo una rete di ripetitori nelle località strategiche del Piemonte, nel Biellese, nell'Astigiano, a Superga vicino alle antenne della Rai (...). In ottobre la procura è intervenuta e ha impiombato i ripetitori. Il gruppo ha atteso un po' e ha collocato un ripetitore nel Canavese". L'articolo offre poi una efficace sventagliata di opinioni: "I primi a chiedere la privatizzazione della Rai sono stati i missini. Roberti ha detto: 'Rai TV uguale filocomunismo e partitocrazia. Fuori tutti'. E Bignardi, liberale: 'Siamo contro il monopolio e per la TV privata'. Galluzzi, comunista: 'La Rai- Tv è conservatrice, controriformista, filogovernativa. Vogliamo nazionalizzarla e articolarla regionalmente per avere tante TV quante sono le regioni, come in Germania e Jugoslavia'. Compagna, Repubblicano: 'Le trasmissioni appaiono di sinistra
ma sono di una cultura più presuntuosa che intelligente'. Reggiani, socialdemocratico: Bisogna trasformare radicalmente la Rai e porla sotto il controllo del Parlamento'. Di Primo, socialista: Dobbiamo riformare il monopolio, ma conservarlo. Niente privatizzazione, e niente agnosticismo aziendalistico, come vogliono le destre'. Il ministro Bosco: 'Privatizzare no. La riformeremo su basi moderne'". E, per concludere, spiega Santini, "Dietro ogni soluzione stanno obiettivi molto chiari. Le destre vogliono la TV privata per alimentare gli affari degli industriali che sostengono la loro politica. I comunisti vogliono le TV regionali per esercitare meglio il potere nei territori dove sono più forti. I democristiani preparano una TV meno impegnata con più tagli di nastri, cioè, più discorsi di ministri, con moltissimi giornalisti da pagare e pochissime notizie da dare. I socialisti la vogliono nazionalissata e più consapevole per salvarsi dal centro-destra. I repubblicani pongono l'accento sulla grave situazione finanziaria dell'ente e sulla situazione di sottogoverno in cui è precipitata. De Feo sostiene che tutte le polemiche saranno cancellate dai satelliti artificiali (...) Ma anche senza i satelliti il monopolio della Rai-
Tv può considerarsi infranto. L'Italia è assediata dalle antenne straniere che la invadono di immagini e presto la sommergeranno. La TV svizzera copre buona parte del triangolo industriale. Presto Montecarlo coprirà il Nord e la costa tirrenica. Si parla di una stazione a Malta per coprire il nostro Meridione. E da Capodistria, fin dal 1971, i programmi a colori e in b/n della TV slovena sono ricevuti dal Veneto e dalla costa adriatica fino ad Ancona e oltre, cioè da una zona tra le più popolate, le più evolute e con la maggiore densità di apparecchi televisivi del paese. E' necessario trovare una via d'uscita. Perchè pensare che i gruppi industriali e pubblicitari italiani, ansiosi di avere una TV privata, non realizzino almeno in parte i loro disegni attraverso queste TV straniere , è da ingenui".
23 gennaio 1972: L'Espresso pubblica un articolo destinato a diventare una pietra angolare nel dibattito sull'emittenza pubblica e privata in Italia. Si intitola "E ora libertà d'antenna", e lo firma Eugenio Scalfari, allora deputato eletto nelle liste del Psi, sulle pagine dell'Economia. Il 1972, scrive Scalfari, sarà certamente l'anno della battaglia sulla Rai-Tv: "scade infatti la concessione ventennale dello Stato, i partiti stanno elaborando progetti di riforma, la Corte Costituzionale è stata chiamata a giudicare un'eccezione sollevata dal pretore di Poggibonsi sulla costituzionalità del monopolio televisivo, i giornalisti protestano, gli editori protestano ancora di più, i pubblicitari sono pronti a scatenare un'offensiva campale contro la Sipra". Quindi passa a esporre le proprie opinioni personali sul tema "monopolio o libera concorrenza?", "televisione di stato o reti commerciali in gara fra loro". Sono opinioni espresse "come utente della televisione, come giornalista e come deputato". Per un lungo periodo - spiega Scalfari - ogni democratico degno del nome giurò sulla bontà del monopolio radiotelevisivo come su un oggetto di fede. Le motivazioni non mancavano. Non si trattava
soltanto di una pur lecita estensione al settore dei mezzi di comunicazione della preferenza della gestione pubblica rispetto a quella privata. Si trattava di qualcosa di
assai più concreto. I costi d'impianto di una rete televisiva erano assai alti; per conseguenza consentire in questo settore un regime di libera concorrenza sarebbe equivalso in pratica a consegnare il più potente mezzo d'informazione nelle mani di pochi gruppi detentori della ricchezza. La libertà di concorrenza e la pluralità delle voci sarebbero rimaste scritte sulla carta, mentre di fatto si sarebbe costutuito un oligopolio abbastanza monocorde che avrebbe potuto manipolare a suo piacimento l'opinione pubblica, presumibilmente al servizio di corposi interessi finanziari e politici. In queste condizioni la scelta del monopolio di stato sembrò il male minore e come tale fu appoggiata da tutta l'opinione democratica nella presunzione che una gestione pubblica avrebbe comunque consentito un'articolazione maggiore e una qualità migliore d'un fittizio regime di concorrenza privata. Tutti sapevano naturalmente che gestione pubblica significava in larga misura gestione del governo. Ma si sperava che un barlume di senso dello stato evitasse situazioni patologiche e il totale asservimento dell'informazione radiotelevisiva agli interessi esclusivi delle 'lobbies' al potere. E' stato un mito assai duro a morire e tutt'ora, dopo vent'anni di vergogne radiotelevisive, resiste ancora. Ancora nel fuoco delle polemiche di questi ultimi mesi, s'è visto per esempio che i socialisti e perfino i comunisti (di fatto esclusi, i primi quanto i secondi, da ogni influenza sulla Rai) continuavano a difendere il principio del monopolio pubblico anche nel momento in cui attaccavano a fondo 'questo' monopolio e 'questa' Rai. Ma il tempo passa per tutti e l'esperienza dovrà pur contare per qualcosa. Continuare a discutere oggi, dopo quanto abbiamo visto e vediamo ogni sera sui nostri teleschermi, in termini astratti, recitando giaculatorie in luogo di confrontare situazioni e affrontare problemi concreti, è un esercizio abbastanza ripugnante a chiunque conservi un minimo di dignità intellettuale. Non dobbiamo decidere se il monopolio pubblico sia, in linea teorica, preferibile all'oligopolio privato. Dobbiamo invece stabilire se il monopolio di Ettore Bernabei, appena velato dalla benevola copertura di Luciano paolicchi e d'una mediocre e
corrotta frangia di sedicenti intellettuali progressisti, abbia reso e possa rendere al paese dei servizi informativi migliori di quanto non facciano quotidianamente i Crespi col 'Corriere della Sera', Agnelli con la 'Stampa', i Perrone col 'Messaggero' e il partito comunista con 'l'Unità'. Un'ipotesi alternativa sarebbe quella di sostenere che i Bernabei e i Paolicchi sono necessariamente inamovibili e che quindi si può legittimamente discutere sugli uomini senza per questo dover modificare le strutture. Ma anche un bambino sa che ragionamenti del genere, in un paese dove la circolazione dei gruppi dirigenti è totalmente sclerotizzata, non sono neppure ingenui: sono soltanto sciocchi, quando non sono in malafede. La prospettiva è dunque di tenersi Bernabei ( e Paolicchi) a
consumo. E' un'ipotesi accettabile? E' una battaglia che merita l'appoggio delle forze democratiche e liberali di questo paese? Può essere questo l'0biettivo della sinistra italiana?". E qui Scalfari, passando al punto 3 del suo ragionamento, passa all'attacco: "Di fronte a questo monopolio - prosegue infatti l'articolo - che per essere cambiato nei metodi, nelle ideologie e negli uomini presuppone un rovesciamento dei rapporti di forza oggi difficilmente immaginabile, un regime di libera concorrenza tra televisione pubblica e reti commerciali private presenterebbe alcuni vantaggi. Intanto bisogna dire che i costi d'impianto (e di gestione) di una rete televisiva sono in questi anni sensibilmente diminuiti. D'altra parte, secondo punto essenziale da ricordare, i progressi tecnici dei satelliti e delle videocassette stanno sempre più avvicinando il momento in cui il monopolio cadrà per ragioni tecniche. Stiamo dunque discutendo di qualcosa che tra due o cinque anni non esisterà per mancanza di oggetto. Certo l'impresa di creare e gestire una rete radiotelevisiva non è di quelle che possano esse tentate da chiunque; come per i giornali quotidiani, soltanto potenti gruppi editoriali potranno cimentarsi in iniziative di questo genere. Ma non sarà sempre un passo avanti rispetto alla situazione attuale? Basti immaginarsi quale sarebbe stato il livello d'informazione degli italiani durante le
recenti elezioni presidenziali (come in mille altre occasioni) se in Italia si fosse stampato un solo giornale, controllato dal governo, anzichè una pluralità di testate, condizionate quanto si vuole dai grandi interessi conservatori, per dare una risposta a a questa domanda. Il coro dei Ronchey, degli Spadolini, dei Bartoli, dei Perrone, indipendentemente dal valore professionale delle persone, realizza comunque un tipo di struttura informatica infinitamente più avanzata da quella dominata dalla sola voce del governo. Di questa verità credo che tutti i democratici di buona fede si siano ormai fatti persuasi, senza con ciò rinunciare a correttivi anche sostanziali per mitigare e controllare i pericoli dell'oligopolio dell'informazione. Aggiungo che il nuovo decentramento regionale offrirebbe una soluzione istituzionale assai interessante, ove si tenga presente per esempio l'organizzazione televisiva della Germania Federale.
C'è da considerare, tra i problemi di maggior rilievo, quello della concorrenza pubblicitaria e giornalistica che le reti televisive commerciali potrebbero fare alla stampa, creando seri problemi ai giornali quotidiani (...). Una soluzione potrebbe essere quella di favorire largamente i giornali attraverso la concessione gratuita della carta. Un'altra soluzione potrebbe essere di riservare la proprietà e la gestione delle televisioni commerciali agli stessi giornali o meglio ancora a consorzi tra giornali, dimodochè le eventuali perdite da una parte fossero compensate da profitti dall'altra parte. E' inutile aggiungere che le televisioni commerciali non dovrebbero riscuotere alcun canone di abbonamento e dovrebbero vivere unicamente sui ricavi pubblicitari. Un'apposita legge, in analogia a quanto avviene per la stampa, dovrebbe disciplinare l'obbligo delle rettifiche e delle smentite di notizie inesatte da parte degli interessati. Si potrà obiettare a queste mie proposte che, se è vero che non esistono attualmente le forze politiche per trasformare il monopolio di Bernabei in qualche cosa di più decente, a maggior ragione non vi saranno forze sufficienti per sostituire il regime di monopolio con quello della concorrenza. Ma si tratta di un
errore. La battaglia interna alla Rai vedrà sempre soccombenti le minoranze associate al governo; quella esterna contro la Rai può suscitare un'imponente coalizione di forze economiche e sindacali, capitalistiche e operaie, liberali e socialiste, capace di raggiungere la vittoria. Personalmente sono convinto che la sinistra debba impegnarsi a fondo in questa battaglia, dove ha molto da guadagnare e, data la situazione attuale, assolutamente nulla da perdere" (L'espresso 23/1/72). 23 gennaio 1972: La Cgil, attraverso la voce di Lionello Bignami, interviene sul tema del monopolio affermando: "Siamo per il monopolio televisivo trasformato in un vero servizio sociale pubblico di tipo culturale, a a carattere nazionale, seppure fortemente decentrato nelle regioni, ed a disposizione di tutti i i cittadini, tramite i loro raggruppamenti politici culturali e sociali. E sosteniamo una riforma che si muova in questa direzione e faccia del Parlamento nazionale e di quelli regionali le forze che danno vita all'ente pubblico, esercitano il controllo permanente (in concorso con le forze sociali e culturali) e ne garantiscono il rispetto delle funzioni sociali e politiche" (Rassegna Sindacale 23/1//2).
3 Febbraio 1972: Il vicepresidente socialdemocratico della Rai, Italo De Feo, rilascia un'intervista ad Aldo Santini dell'Europeo. Anche in questo caso siamo di fronte a prese di posizione destinate a segnare profondamente il dibattito sulla TV in Italia. "Non è da oggi che combatto il monopolio - esordisce De Feo, ma da molti anni. Da quando, cioè, il processo tecnologico ha cancellato gli ostacoli che lo giustificavano e da quando la TV, malgrado i miei interventi, è diventata politicamente faziosa". Dopo aver raccontato il suo ingresso in Rai, de Feo ricorda che, agli inizi, "il monopolio sembrava ed era la soluzione migliore, i costi d'impianto erano troppo alti, solo il grosso capitale avrebbe potuto gestire una stazione privata con le evidenti conseguenze. La gestione pubblica offriva al contrario una garanzia democratica su cui tutto il Parlamento convenne". Il vicepresidente sostiene che il monopolio è alle corde grazie, soprattutto, alle nuove tecnologie. Il satellite, innanzi tutto, ma anche la
TV via cavo: "Si è scoperto che i comuni cavi del telefono - spiega - sono vettori perfetti per i programmi televisivi trasmessi elettronicamente con le microonde, Ogni apparecchio telefonico è capace di fornire 40 programmi, mentre sono allo studio cavi capaci di trasportarne 4000". De Feo, rifacendosi alla situazione americana, ossia al luogo dove nacque la TV via cavo, traccia un nuovo scenario televisivo in cui la TV via cavo potrà "svolgere le funzioni che all'inizio del secolo aveva la stampa locale: serve le
minoranze, serve le arie comunità, serve città per città, quartiere per quartiere. Un canale per i medici, un canale per le casalinghe, un canale per gli studenti medi, uno per gli studenti superiori, tutti i canali che si vogliono per le università. Il costo delle attrezzature è minimo: una stazione trasmittente via cavo non supera i 5000 dollari". Quanto all'Italia, però, De Feo vede molte difficoltà: "C'è buio pesto. I signori della commissione parlamentare di vigilanza fino a poco tempo fa ignoravano del tutto la rivoluzione tecnica televisiva e preparavano una nuova legge senza tener conto di quello che avviene in America. Il rinnovo della concessione alla Rai-Tv deve essere subordinato ai nuovi dati tecnici. Sono stato io a spiegare alla commissione quello che succede. E sono stato io a mettere in guardia i giuristi informandoli della situazione. E siccome la maggior parte dei giuristi è favorevole al monopolio, allora ho parlato chiaro: non possiamo nè dobbiamo fare una legislazione reazionaria. Gramsci diceva che la libertà è elemento dirompente della storia. E qui si tratta della libertà d'espressione. La TV via cavo deve avere libero corso. se in Italia questa libertà sarà negata sprofondiamo in un regime totalitario" (Europeo 3/2/72). Sullo stesso numero dello stesso giornale viene pubblicata un'opinione di Aldo Sandulli, ex presidente Rai ma, soprattutto, ex presidente della Corte Costituzionale, che afferma :"Nella deteriorata situazione attuale della Rai e del paese, in cui tutto il potere è oggetto di lottizzazione tra le forze dominanti, appare impresa disperata la conquista dell'obiettività e dell'imparzialità della televisione di stato (...) Nè i risultati
potrebbero essere molto migliori, nonostante gli indubbi vantaggi che, in materia, ogni pluralismo può comportare, nel caso della realizzazione, anche da noi, di una molteplicità di enti televisivi regionali o pluriregionali (sul modello germanico) o di una molteplicità di canali autonomi nell'ambito di un ente statale unico (sul modello francese) (...) La liberalizzazione non può venirci se non dalle videocassette, dai satelliti e dalle microonde. Certe libertà di cui la società ci espropria, talvolta ce le restituiscono le cose. In effetti una società frastagliata e frammentata come quella nostra attuale non potrà riconoscersi e vedersi rispecchiata se non in una pluralità televisiva (...) Ma non dobbiamo dimenticarci che anche il pluralismo televisivo (il quale non vuol dire che non debba esservi anche una televisione statale) avrà bisogno di una disciplina, e che la liberazione che esso potrebbe portarci con le sue dialettiche ha come presupposto l'onestà legislativa nella regolamentazione dei procedimenti autorizzatori. Altrimenti saremo sempre al punto di prima (Europeo 2/3/72).
3 febbraio 1972: Si parla anche altrove di TV via cavo. Che possibilità ci sono di introdurla in Italia?, si chiede Panorama. "La Stet - scrive il settimanale - finanziaria telefonica del gruppi Iri, sta studiando da anni il problema da un punto di vista tecnico. Sono ricerche avvolte dal più fitto segreto (...). Quello che si sa, tuttavia, è che la Stet ha coinvolto la Pirelli sezione cavi proprio per vedere fino
in fondo quali sono le possibilità di creare una rete, fitta come quella telefonica, che copra l'intero territorio nazionale. Dapprima si tratterebbe di gettare una serie di cavi base: lungo la dorsale appenninica lungo il Tirreno e l'Adriatico, da Torino a Trieste. Una volta completato lo scheletro, sarebbe possibile allacciare tutti i paesi, anche i più sperduti". Ma, prosegue il settimanale, "se da un punto di vista tecnico la Cable television appare più che fattibile, molto più controversa sembra invece la sua realizzazione dal punto di vista economico". Il calcolo della Rai, per far arrivare la TV a tutti (il primo canale era allora visto dal 98,3% della popolazione, il secondo dal
91%) era di 35 miliardi (contro i 15 necessari per nuovi ripetitori). "I conti della Rai sono esatti - prosegue Panorama - solo se si pensasse di usare i cavi per gli attuali sue canali televisivi. In base all'esperienza americana, è dimostrato invece che la messa in opera dei cavi-base diventa economica nel momento in cui si possono trasportare più di 5-6 canali. Ma per arrivare a 5-6 canali e più in Italia bisognerebbe cambiare l'attuale regime di monopolio e affidare a gruppi privati la concessione di stazioni televisive libere" (Panorama 3/2/72).
6 febbraio 1972: Scalfari, sempre dalle colonne dell'Espresso-Economia, torna a parlare di TV. Rispetto al suo precedente articolo il giornalista-deputato dice di sapere benissimo "quale sassata" stava tirando in uno stagno d'acqua putrida e quali effetti ne sarebbero derivati". Quanto alle critiche, Scalfari ricorda che "un volenteroso redattore dell'Unità" lo ha rimproverato di "essere troppo impaziente (lusso borghese, l'impazienza) e di non saper aspettare il tempo necessario per 'spostare le masse'. Dico la verità - taglia corto - certi spostatori di masse che dopo vent'anni di televisione stanno ancora al punto di prima mi ricordano più Carmine Gallone quando muoveva le comparse dei suoi filmacci che non una seria avanguardia del movimento operaio". Dopo aver esaminato altre critiche, Scalfati attacca: "Tra i tanti che sono intervenuti in questa discussione senza averne alcun titolo ce n'è invece un paio che avrebbero dovuto rispondere e che da anni stanno a bocca cucita. Parlo dei massimi responsabili della società per azioni Rai-Tv, concessionaria privata della gestione monopolistica del servizio, e precisamente del direttore generale democristiano Ettore Bernabei e del consigliere delegato socialista Luciano Paolicchi". Più avanti, Scalfari torna a parlare del monopolio: "Il monopolio pubblico (che, attenzione, non va scambiato con la concessione alla società per azione Rai-Tv) è diventato un feticcio che, chissà perchè, mi ricorda la delimitazione della maggioranza. I socialdemocratici per esempio, da vent'anni, vogliono sconfiggere la Dc, ma lo vogliono fare all'interno di una maggioranza
'delimitata'. E' chiaro che in questo modo non riusciranno mai a raggiungere l'obiettivo. La stessa cosa accade con la riforma del sistema radiotelevisivo: volete il monopolio pubblico o non lo volete? chiede Bernabei. Risposta: naturalmente lo vogliamo.
Benissimo. La riforma dunque si deve fare all'interno della situazione esistente". E conclude: "Dico solo questo: una stazione radiofonica costa ormai pochissimo e le lunghezze d'onda utilizzabili sono moltissime. Cessi dunque, come propone Pintor sul 'Manifesto' il monopolio radiofonico. Libertà piena, come vuole l'articolo 21 della Costituzione (...) Per quanto riguarda la televisione quasi tutto è migliore della soluzione attuale. La parlamentarizzazione del servizio non ha senso: un Parlamento che non riesce neppure ad eleggere un giudice costituzionale come volete che possa dirigere un servizio televisivo? Basta poco per capire che questa proposta è priva di senso comune. Ha senso una cosa sola: che lo stato, il 31 dicembre 1972, non rinnovi la concessione alla società per azione Rai-Tv la quale, con i suoi Bernabei e i suoi Paolicchi, potrà utilmente occuparsi di altre meno dispendiose attività. Ci sono quattro canali televisivi: si facciano quattro reti nazionali indipendenti l'una dall'altra. Se ne dia la gestione a consorzi di regioni (...), se ne dia magari una all'Ansa, si mettano in concorrenza quattro direttori e, possibilmente, quattro orientamenti politici diversi tra loro. Insomma, si aprano le finestre, senza di che moriremo soffocati dal puzzo " (Espresso 6/2/73).
13 febbraio 1972: Scalfari riprende ancora la questione, portando ulteriori elementi di dibattito. Punto di partenza rimane l'idea di poter sfruttare quattro canali televisivi con stazioni affidate a quattro diversi enti in concorrenza. "Il primo problema da decidere - spiega Scalfari - riguarda le fonti di entrata di ciascuna delle quattro nuove reti televisive. Vivranno soltanto con la pubblicità commerciale o riscoteranno anche il canone d'abbonamento? La questione è grossa, anzi grossissima, perchè la raccolta della pubblicità fatta da quattro reti indipendenti una dall'altra è un
fenomeno di qualità assolutamente diversa dalla raccolta fatta in regime di monopolio. La prima tentazione sarebbe probabilmente di abolire il canone: la pubblicità affluirà a quelle reti che avranno un indice di ascolto di quantità e di qualità più ricercata dai vari inserzionisti e in questo modo sarà il pubblico dei telespettatori a determinare in larga misura
il tipo dei programmi. Con tutti i difetti, è ancora questo l'unico sistema per dare allo spettatore-utente un potere di pressione sulla stazione emittente (...) Una miglior riflessione consiglia tuttavia di mantenere anche il canone di abbonamento. Per due ragioni. Anzitutto perchè la ripartizione del canone potrebbe essere fatta almeno in parte attraverso la concessione di 'premi di qualità' a specifici programmi meritevoli di particolare menzione; in secondo luogo perchè si potrebbe creare, manovrando appunto la ripartizione del canone, una specie di strumento di conguaglio che attenui le differenze tra consorzi regionali 'ricchi' e consorzi 'poveri'. Poichè comunque il gettito del canone non basterebbe a coprire i costi, rimarrebbe pur sempre l'afflusso pubblicitario a fornire mezzi addizionali e (quel che più conta) ad esprimere tangibilmente le preferenze del pubblico verso i vari programmi" (Espresso 13/2/72).
14 febbraio 1972: Si svolge al Club Turati di Milano un dibattito sul tema: Riforma o fine del monopolio". Partecipano Scalfari, Pio Baldelli, Paolo Barile, Massimo Fichera. Coordina Enzo Forcella. "Scalfari - scrive Giorni-Vie Nuove- è stato praticamente l'imputato della serata: ha sconfessato e tenuto a puntualizzare il proprio punto di vista e la sua personale convinzione di un 'monopolio pluralistico'". Il dibattito - prosegue il settimanale - è stato utile per avere un quadro aggiornato delle varie posizioni concorsi nel riconoscere che "per un partito come il Psi che è volto verso un mondo di liberi e di eguali pluralismo televisivo significa trovare oggi, in termini pratici, la soluzione meno peggiore" (Giorni Vie Nuove 1/3/72)
19 febbraio 1972: Il settimanale Settimana Extra propone di raccogliere le 500 mila firme necessarie per indire un referendum popolare per l'abolizione del monopolio TV della Rai (Settimana Extra 19/2/72).
20 febbraio 1972: L'Unità pubblica un inserto dedicato alla televisione italiana. Si parla di disinformazione e di lottizzazione, si traccia un profilo dei 2padroni" della Rai, si illustra - naturalmente - la proposta di legge di riforma del Pci. E si parla anche della TV privata: "La Rai-Tv così com'è oggi - scrive il quotidiano comunista - è insopportabile e occorre cambiarla radicalmente. Partendo da questa ovvia affermazione una parte di quelle forze che hanno contribuito in maniera determinante a creare questa Rai-Tv hanno avanzato in queste settimane la proposta di eliminare la televisione di stato anzichè riformarla e chiedendo che i
'privati' siano autorizzati a impiantare reti televisive private. Sembra una affermazione di libertà, ma in effetti non tutti i privati potrebbero fare televisione, bensì soltanto quei gruppi economici che dispongono degli enormi capitali necessari. E infatti. Chi è che chiede, oggi, di togliere la TV allo stato e, anzichè riformarla, fare nuove reti televisive: UMBERTO AGNELLI è il primo ad aver avanzato questa proposta in un'intervista al settimanale Panorama, nel 1971. Si tratta, dunque, di una proposta della Fiat. ITALO DE FEO è il 'tecnico' che difende con più furore la proposta di Agnelli. E' il vicepresidente socialdemocratico della Rai responsabile dei più reazionari interventi censori sui programmi radiotelevisivi. MONDADORI, RIZZOLI hanno già espresso il proprio interessamento. Sono dunque i più autorevoli padroni dell'attuale sistema dell'informazione privata" (Unità
20/2/72).
27 febbraio 1972: L'Unità rivela che dieci giorni prima, il 17, a Milano, si sono incontrati "tutti i maggiori gruppi economici che già da tempo hanno iniziato una furibonda offensiva per distruggere la televisione pubblica e avviare anche in Italia un sistema di TV privata". La notizia, emersa nel corso di un convegno su "Democrazia o restaurazione", è stata diffusa dal Centro Tecnici Socialisti Rodolfo Morandi. Nella nota, presentata dall'Unità in un articolo intitolato "Accordo segreto dei monopoli per combattere la TV pubblica" si legge: "In una sede privata, messa a disposizione dal presidente della Regione Lombardia Bassetti, si sono riuniti dirigenti amministrativi ed editoriali della Rizzoli, della Mondadori, della catena Monti (che pubblica il Carlino, la Nazione, il Telegrafo e il Giornale d'Italia), della Etas-Kompass (che controlla l'Espresso e la Stampa nel settore pubblicitario e che è in stretto collegamento con la Fiat), i rappresentanti della famiglia Crespi (che pubblica il Corriere della Sera e alcuni settimanali) e della famiglia Perrone (era presente lo stesso Perrone, direttore e comproprietario del Messaggero di Roma e del Secolo XIX di Genova)". L'ipotesi scaturita da questo incontro, scrive l'Unità, "sarebbe
quella di installare un centro televisivo in Svizzera in grado di 'coprire' tutta l'Italia settentrionale (cioè almeno un quarto degli utenti italiani, che rappresentano economicamente più della metà del reddito nazionale e sarebbero dunque assai 'convenienti' da un punto di vista pubblicitario). Non sarebbe stato raggiunto, tuttavia, alcun accordo preciso: anche per i costi spaventosi dell'opera" (Unità 27/2/72).
4 marzo 1972: Settimana Extra continua la sua campagna-referendum contro il monopolio. Ed entra nel dettaglio delle proposte, giudicando "insostenibile" la proposta delle quattro TV affidate a consorzi di regioni, avanzata dall'Espresso e modellata sull'esempio della Germania Federale. La proposta avanzata da Extra è di dare due canali allo stato e quattro ai privati (Settimana Extra 4/3/72).
9 marzo 1972: Prosegue anche da parte dell'Europeo la serie degli articoli a firma Aldo Santini dedicati alla TV. I toni sono particolarmente duri: "Nessuna legge costituzionale, nessuna legge dello stato - si legge nell'occhiello dell'articolo 'Abolire la Rai-Tv' - stabilisce che il monopolio televisivo debba essere gestito dalla Rai-Tv. E allora che cosa aspettiamo ad abolire un ente che ha fatto fallimento in modo così clamoroso?". Tesi di Santini è che il grande dibattito in corso, affrontando il tema delle TV private, dei satelliti e della TV via cavo, sia "stata spostata" dal suo obiettivo principale: "E invece il problema è la Rai-Tv. E il nostro scopo è che gli italiani abbiano una radio e una televisione diverse, fatte meglio. Se il monopolio televisivo sia o meno compatibile con i principi della nostra Costituzione lo dovrà stabilire la Corte costituzionale. Come toccherà al libero gioco delle forze politiche, economiche, d'opinione, definire un diverso assetto delle radio-telecomunicazioni nel caso che il massimo organo costituzionale riconoscesse l'inaccettabilità del sistema monopolistico. Oggi come oggi, però, c'è un dato sicuro: nessun principio costituzionale, nessuna legge dello Stato stabiliscono che la gestione della radio e della televisione debba restare a un'azienda chiamata Rai-Tv, con la struttura
societaria attuale, con la dirigenza attuale, con le compromissioni attuali (...) Dunque, il vero, importante problema che è possibile risolvere subito è questo: abolire la Rai-v. Nessuna legge ce la impone (...) e, visto che non funziona, che la sua riforma è solo un'ipotesi e neppure troppo allettante, la via più sicura è di sciogliere il contratto con il quale lo stato ha delegato alla Rai-Tv il suo monopolio. Creare una nuova struttura, ecco il problema, anche a costo di ricominciare daccapo". E l'attacco continua, più avanti, spostandosi sul fronte pubblicitario: "Il carrozzone non è solo la Rai - scrive Santini - c'è n'è un altro, legato ad essa, ed è costituito dalla Sipra". Santini prova a spiegare il complesso meccanismo, che definisce di "scatole cinesi" che regola il pacchetto azionario della società del gruppo Iri, per poi concludere: "In questo gioco chi comanda alla Sipra è il gruppo dirigente della Rai. Bernabei, direttore generale della Ra, è uno dei cinque membri del consiglio direttivo della Sipra; Paolicchi, amministratore delegato della Rai, lo è anche della Sipra. E direttore generale della Sipra è Pozzilli, già funzionario della Rai, direttore della segreteria generale della Rai, uomo di stretta fiducia di Bernabei". La Sipra, spiega Satini, gestisce la pubblicità radiotelevisiva: spazi molto ambiti venduti a basso costo. Ma è entrata anche nella carta stampata, tramite il Radiocorriere e, in seguito, attraverso la gestione pubblicitaria di ben 22 testate di quotidiani e periodici e altre 18 società collegate. "La Sipra accetta a basso costo la pubblicità ambitissima della TV dopo una laboriosa selezione dei candidati, che ovviamente giungono al tavolo dei contratti con animo grato,. La Sipra li consiglia di investire altri milioni sui giornali della sua cerchia". Santini ricorda infine un'interpellanza parlamentare presentata da Scalfari in cui si chiede "a quali fini camorristici obbediscano i criteri di gestione della Sipra" (L'Europeo 9/3/72).
21 marzo 1972: Anche Montanelli si occupa della libertà d'antenna. Sulla Domenica del Corriere racconta che a Cortina non è più possibile vedere la TV austriaca e la TV jugoslava, stazioni che arrivavano in territorio italiano grazie a un ripetitore
abusivo installato sulla vetta più alta della Tofana di Mezzo. "E' a tutti nota in Italia- scrive Montanelli- l'esistenza di duemila ripetitori non meno abusivi di quello della Tofana e contro cui tuttavia carabinieri e magistratura non muovono un dito (...). Che alcuni cittadini possano usufruire delle trasmissioni straniere perchè il loro pretore chiude un occhio, ed altri no perchè il loro pretore lo apre è roba da 'Paese dei campanelli' (...). E' utile, è giusto proibire i ripetitori? Crediamo proprio di no. Anzi, siamo convinti che questo veto è incompatibile con la Costituzione, che non ricordo in quale articolo dichiara intoccabile, come garanzia di libertà, la circolazione delle notizie, di dovunque vengano, e di cui anche radio e televisione sono strumenti. Quindi il cittadino che si mette in contatto con trasmittenti straniere, siano essere dell'Est o dell'Ovest, non fa che esercitare un suo sacrosanto diritto, e chi gliene fornisce il mezzo, cioè il ripetitore, non può essere perseguibile dalla legge. Se la legge lo fa, si mette in contrasto con la Costituzione e quindi deve essere revocata" (La Domenica del Corriere 21/3/72).
4 maggio 1972: Panorama dà notizia di un'emittente a circuito chiuso in funzione a Roma presso il locale di Trastevere "Rising Workshop". Dai primi giorni di febbraio, scrive Enrico Morbelli, "L' 'Officina ha cominciato a trasmettere un videogiornale registrato su cassette. Un numero la settimana, qualche volta monografico, qualche altra con tre o quattro servizi per una durata totale di mezz'ora circa, ripetuto tutte le sere. Lo realizza Alberto Cavallone, regista milanese (Le salamandre, Dal nostro inviato a Copenaghen, Quickly), proprietario del circolo insieme con tre studenti. I primi numeri hanno avuto la supervisione di Sergio Saviane, critico televisivo dell'Espresso. 'E' stato un esperimento per dimostrare che si può fare televisione d'attualità con pochi soldi" (Panorama 4/5/72).
23 maggio 1972: Il regista Roberto Rossellini scende in campo a favore del servizio pubblico. Nell'articolo "Arringa in difesa della televisione di Stato", pubblicato dal settimanale Tempo, si legge tra l'altro, "La televisione di Stato non risponde sempre
alle mie attese. (Ma) almeno ho, negli organismi statali, degli interlocutori sensibili a questi problemi. Dove li troverei in una televisione commerciale?" (Tempo 23/5/72)
2 luglio 1972: L'Espresso si occupa della proposta di riforma della Rai elaborato dall'Istituto per la documentazione e gli studi legislativi dai professori Paolo Barile, Enzo Cheli e Aldo Loiodice, base di discussione per un convegno del Psi. "Secondo gli estensori della proposta - scrive Bultrini - la Rai dovrebbe sparire ed essere sostituita da un ente pubblico analogo all'ENEL. La più evidentecaratteristica amministrativa di questo ente è la limitazione del suo campo d'azione: deve occuparsi di produrre esclusivamente programmi televisivi pere l'ente televisivo; non può mascherare i suoi eventuali passivi straripando, come avviene oggi, in attività diverse e più remunerative. Un'altra novità è costituita dagli organi che devono gestire e controllare l'ente (...): nel progetto il Parlamento oltre che controllare dovrebbe gestire: la direzione dell'ente viene infatti affidata a un comitato di 15 membri, di cui 3 eletti dai dipendenti dell'azienda e 12 dalle due camere con una maggioranza di due terzi (...) E' una proposta da condividere o da rifiutare? Dicono i suoi promotori: è un progetto aperto a tutti i contributi" (Espresso 2/7/72).
23 luglio 1972: Si torna a parlare dei ripetitori delle TV estere sul territorio italiano. Scrive l'Espresso: "Se pure la legge del monopolio impedisce ai cittadini singoli di trasmettere via televisione, può con uguale diritto proibire di 'ricevere'? Perchè un cittadino italiano non dovrebbe essere libero di far entrare in casa propria come fa già abitualmente con la radio (a parte gli anni di Radio Londra) tutte le trasmissioni televisive che è in grado di ricevere sullo schermo? Per questa ragione è probabile che il problema verrà smistato alla Corte costituzionale, perchè si pronunci nel merito della libertà di 'ricezione' rivendicata dagli utenti di immagini" (Espresso 23/7/72).
30 luglio 1972: L'elettrotecnico che aveva messo in funzione il ripetitore di Cortina (di cui aveva parlato anche Montanelli) viene assolto con formula piena "perchè il fatto
non costituisce reato" (Epoca 30/7/72). "Non era la prima volta che si arrivava a un fatto del genere - ricorda Panorama - . Il tribunale di Firenze il 7 gennaio '72 e il pretore di
Mondovì il 6 giugno '72 avevano assolto gli imputati per aver installato, a scopo sperimentale, dei ripetitori televisivi. Ora, probabilmente, la sentenza di Cortina verrà rimandata alla Corte Costituzionale" (Panorama 3/8/72)
12 agosto 1972: L'attenzione intorno alla Rai è puntata sulla questione del colore, vista l'imminenza dell'appuntamento con le Olimpiadi di Monaco. Il ministro Gioia, in serata, autorizza trasmissioni sperimentali a partire dal 26 agosto (Stampa, Corriere della Sera, Unità 13/8/72). Contemporaneamente, passato quasi inosservato sulla stampa dell'epoca, viene approvato il decreto legge che affida alla Sip-Stet il monopolio della posa e della gestione dei cavi coassiali.
30 agosto 1972: Italo De Feo invia alle agenzie un comunicato in cui afferma di "auspicare che la Rai-Tv, mantenendo il monopolio, possa essere autorizzata a subconcessionarie, con determinate garanzie, l'uso di possibili futuri canali, usufruibili per l'introduzione della TV via cavo e via satellite. Tale subconcessione potrebbe essere data ad associazioni di vario genere: culturali, politiche, e sindacali, editoriali, giornalistiche". Commenta l'Unità: "In pratica il vicepresidente dell'ente pubblico cambia formula ma ripete la sostanza: e conta poco che la chiami subconcessione in luogo di privatizzazione (Unità 31/8/72).
16 settembre 1972: Scrive Paese Sera: "Esiste oggi sul tavolo della segreteria della Dc un progetto di Ettore Bernabei nel quale si prevede il passaggio alla Stet di tutta una serie di attività inerenti la comunicazione, compreso il controllo su un certo numero di giornali. La formazione di questa 'holding', per dirla in termine tecnico, sarebbe una delle più gravi minacce per la libertà di stampa e di espressione nel nostro paese. Se l'operazione riuscisse, a dirigere questa holding sarebbe destinato lo stesso Bernabei, che lascerebbe quindi la Rai-Tv per salire a un gradino di
controllo più alto" (Paese Sera 16/9/72).
20 settembre 1972: All'interno del Festival Nazionale dell'Unità, in programma a Roma, viene messa in funzione una stazione televisiva a circuito chiuso. La TV interna del festival, spiega l'Unità, "darà in diretta le manifestazioni politiche principali del festival, l'apertura, la serata delle donne in solidarietà con il Vietnam, il comizio conclusivo di Berlinguer. Verranno infine registrati e proiettati i tre grandi cortei che attraverseranno Roma l'ultimo giorno" (Unità 20/9/72).
1 ottobre 1972: L'Unità si accorge di quello che è avvenuto il 12 agosto contemporaneamente alla grande polemica sul colore, ossia l'approvazione di una "nota aggiuntiva alla convenzione" che assegna alla Sip-Stet la posa e la gestione dei cavi coassiali. "La Stet Sip -rivela il quotidiano del Pci- sarebbe stata autorizzata ad investire, per l'impianto di cavi, 2500 miliardi in cinque anni (...).La Stet non soltanto controlla le comunicazioni telefoniche, ma controlla in Italia la futura TV via satellite (via Telespazio), ha già una mano sulla Rai-Tv, ha ottenuto adesso il monopolio della TV via cavo" (Unità 1/10/72) Sulla questione interviene anche l'Espresso, che pone l'accento sulla segretezza del decreto preparato dal ministro Gioia, in vista del "trasferimento della Rai dal portafoglio Iri a quello Stet", e la "creazione di un superministero delle Informazioni in cui la Rai sarebbe
ridotta ad un rango secondario, di semplice agenzia per l'appalto dei programmi, e di cui Ettore Bernabei sarebbe l'unico e fidato padrone (Espresso 8/10/72).
10 ottobre 1972: Si svolge a Fiuggi un convegno sulla Rai organizzato dal Centro Cattolico Cinematografico. "Non amiamo i monopoli, tuttavia nella presente situazione italiana non ci sembra vedere alternative al monopolio statale. Non riteniamo infatti che potrebbe assicurare maggiore spazio di libertà e di partecipazione un oligopolio del potere economico e di parte" (Giorni Vie Nuove 25/10/72).
12 ottobre 1972: Proroga di un anno alla convenzione con la Rai in attesa della
definizione della riforma, rinvio dell'introduzione del colore a dopo il 1974 e blocco dei canoni. Sono i temi in discussione alla commissione parlamentare si vigilanza sulle radiodiffusioni, alla quale partecipa anche il presidente del Consiglio Andreotti. Nella sua replica, Andreotti conferma l'impegno del governo per presentare entro aprile '73 un disegno di legge di riforma. "intorno alla convenzione tra la Sip e il ministero delle Poste - scrive Il Giorno - Andreotti ha precisato che i mezzi per la diffusione televisiva su cavo saranno messi a disposizione dell'ente concessionario, aggiungendo che sono 'curiose' le polemiche su questo tema. Sia la Stet che la Sip sono infatti società a gran maggioranza di proprietà pubblica" (Il Giorno 13/10/72).
26 ottobre 1972: Aldo Santini, sull'Europeo, fa luce sulla questione della concessione del monopolio della posa e gestione dei cavi alla Sip-Stet. "Il decreto è stato firmato il 12 agosto dal ministro delle Poste senza consultare il parlamento. L'Italia ne viene a conoscenza più tardi, per un'indiscrezione giornalistica. L'Iri, che possiede il 57% delle azioni della Stet, smentì l'indiscrezione. Ma gli attacchi della stampa libera divennero sempre più perentori, minacciando di provocare una valanga di interpellanze. L'11 ottobre Andreotti ammetteva che la convenzione con la Stet per diffondere insieme alla Sip la TV via cavo c'era stata" (Europeo 26/10/72).
9 novembre 1972: E' ancora Santini sull'Europeo a fornire il quadro più lucido ed efficace della situazione televisiva italiana. Il nodo è ora la convenzione Stet-Sip per la TV via cavo: "Una stazione TV via cavo costa pochi milioni. La TV via cavo, perciò, non è accessibile solo alle grandi potenze finanziarie. Il monopolio statale che si basa sul principio (buono in teoria, pessimo in pratica, come ha dimostrato la Rai ) che solo una società di stato può assicurare l'effettiva indipendenza del servizio TV, per la TV via cavo non ha più ragione di esistere. E l'impiego della TV via cavo è così ampio che tenere in gabbia questo strumento è molto arduo. Per la TV via cavo si prepara dunque una battaglia durissima. Ma l'Italia non ha ancora
valutato la sua importanza. O, meglio, l'ha valutata la Rai e una parte della Dc, ma non il Parlamento, non le Regioni, forse nemmeno il governo. Non l'ha valutata soprattutto l'opinione pubblica".
16 novembre 1972: Il Consiglio di stato ha deciso che la domanda presentata otto anni prima dalla Teledistribuzione Italiana di Alfredo Bini, per l'esercizio di una televisione via cavo, venga esaminata. Entro 60 giorni, spiega L'Europeo, il ministero delle Poste dovrà fornire tutti i dati tecnici relativi alla domanda presentata il 26 novembre del 1964 nonchè
l'atto di concessione rilasciato dal ministero alla Stet per l'esercizio della TV via cavo. "L'Italia potrà così conoscere l'esatta portata della concessione (...): se la Stet avrà solo il compito insieme alla Sip di creare la rete dei cavi coassiali nella penisola e di amministrare la loro gestione concedendone l'uso alle regioni, ai partiti, ai sindacati, alle scuole, agli enti, alle società, ai provati che ne facciano richiesta per trasmettere i loro programmi, oppure se la Stet ha ricevuto anche il monopolio delle trasmissioni". Singolare la storia della Teledistribuzione Italiana raccontata da Bini: "La prima richiesta di licenza la presentai nel '64. Io porto la richiesta e quelli cominciano col domandarmi qual è l sistema tecnico scelto(...) Insomma, per due anni è un continuo sollecito di documentazioni, aggiornamenti, dettagli, e poi di ulteriori documentazioni, ulteriori aggiornamenti, ulteriori dettagli, ulteriori garanzie...Gli presento tutto: piani pratici, prototipi dei trasmittenti e dei riceventi, tutto. Così credo di essere a posto e invece è solo l'inizio della farsa (...) Nel '66 decido di rivolgermi al Consiglio di Stato, e il consiglio di stato impone al ministero di pronunciarsi e lo condanna a centomila lire di spese di giudizio. E' fatta, penso. E invece, un'altra volta, non è fatta proprio per niente". Bini riesce a parlare con tre ministri, ricevendo assicurazioni, finchè nel '67 decide di citare il ministro delle Poste per danni. Di rinvio in rinvio passano quattro anni e, alla fine, la magistratura ordinaria rimanda il tutto al Consiglio di Stato. "Il consiglio - prosegue Bini - accoglie
la mia domanda e il 20 aprile del '70 intima nuovamente al ministero delle poste di presentare tutti i documenti della pratica". Ma il ministero lascia passare altri due anni, fino alla nuova ordinanza (Europeo 16/11/72). L'intenzione di Bini era quella di trasformare il sistema di distribuzione dei film, basata sulla stampa di 50 copie di ogni film fatte girare a mano città per città. Così Bini studiò la possibilità di utilizzare una macchina elettronica capace di leggere le immagini istallata in una sede centrale e collegata per mezzo di cavi alle sale cinematografiche interessate. Si trattava, in pratica, di una televisione a circuito chiuso proiettata su grande schermo (Panorama 23/11/72).
15 dicembre 1972: Alla scadenza della convenzione, come già annunciato da tempo, viene concessa alla Rai la proroga di un anno (DPR n.782 15/12/72). Una settimana dopo il comunista Valori chiede che il governo renda noto l testo dell'atto amministrativo con il quale la proroga è stata concessa (Unità 22/12/72)
23 dicembre 1972: Viene pubblicato il decreto-legge che affida alla Sip-Stet posa e gestione dei cavi coassiali.
4 gennaio 1973: Tempesta sulla Rai. L'assemblea degli azionisti si riunisce e nomina consiglieri di amministrazione Umberto Delle Fave, Giovan Battista Cavallaro, Enrico Mattei, Giovanni Prini, Italo Borsi, Angelo Magliano, Guido Ruggero. La presidenza del Consiglio nomina suo rappresentante Renato Giancola. Successivamente si riunisce il Consiglio di amministrazione che nomina Delle Fave presidente, Italo De Feo vice-presidente, Luciano Paolicchi amministratore delegato, Ettore Bernabei direttore generale. Il consiglio d'amministrazione della Rai si compone di venti membri che durano in carica per tre anni. Tredici sono nominati dall'IRI, sette dal Governo. Nell'assemblea di oggi dovevano essere rinnovati sette membri del consiglio di amministrazione, sei dei quali scaduti ed uno (il repubblicano Bogi) dimissionario. Sono stati confermati Delle Fave, Prini, Magliano, Ruggero e
Cavallaro. Il posto di Bogi è preso da Italo Borsi, mentre quello del socialista Fichera è assegnato al liberale Enrico Mattei. Cambia anche la composizione del comitato direttivo. Ne fanno parte Cavallaro, Prini, Silvio Golzio, Pietro Fortunato (designato dal ministero del Tesoro), Michele Principe( per le Poste), Pietro Camillucci( per le Partecipazioni Statali), Mattei e Borsi (funzionario della presidenza del Consiglio); Insomma grandi manovre interne, caratterizzate da riconferme e sostituzioni. Il fatto politicamente più rilevante è costituito dall'esclusione del socialista Massimo Fichera, che diventa la scintilla di una generale e durissima protesta politica da parte delle opposizioni nei confronti del Presidente Del Consiglio Andreotti. Per miglior comprensione occorre fare un passo indietro. Nell'agosto del 1972 Andreotti fa annunciare l'introduzione del colore, firma una convenzione" clandestina "con la SIP-STET,, nomina una commissione di riforma. Il Parlamento è chiuso, la Commissione Parlamentare di Vigilanza non ancora insediata. Quando riapre il Parlamento la protesta è generalizzata. Andreotti fa marcia indietro sul colore, s'impegna per la riforma da effettuarsi l'anno seguente, giustifica con ragioni di tempo la necessità della proroga di un anno della convenzione tra Stato e Rai in scadenza il 15 dicembre, e assicura che di tutti i problemi investirà il Parlamento e la Commissione. Passano le settimane ma non accade nulla. Di nuovo si fanno sotto le opposizioni e Andreotti in un nuovo dibattito alla Camera (13 dicembre), riconosce la straordinarietà della gestione dell'anno di proroga durante il quale la Rai dovrebbe operare in una condizione di "libertà vigilata" in attesa della riforma, ammette che nuove funzioni e nuovi poteri dovranno esser dati alla Commissione Parlamentare di Vigilanza. Circolano però strane voci sul testo della convenzione di proroga che non coinciderebbe con quello della convenzione precedente. Vengono richiesti chiarimenti ma nel frattempo, con il placet governativo, si procede alle nomine in Rai ed all'inserimento di uomini dc o che fanno riferimento al governo, eliminando il socialista Fichera. Sul nome di Mattei piovono critiche a iosa. Mattei, come di fatto il
suo partito "di riferimento",
hanno fatto della rottura del monopolio e della privatizzazione del sistema televisivo punto costante della loro battaglia politica. Le reazioni sono numerosissime e variano di giorno in giorno. Durezza assoluta da parte di PCI e PSI, che accusano Andreotti di aver violato gli impegni presi alla Camera. Il PSI per diverso tempo fa capire che potrebbe chiedere a Paolicchi di dimettersi. Il PRI è fortemente critico tanto che la Voce repubblicana parla "del vizio di sempre...alchimie lottizzatrici, manovre delle persone fatte pagare alle persone". Il PSDI si dissocia dall'accaduto per bocca di Francesco Piotti ( che chiede le dimissioni di De Feo) e Giampiero Orsello, salvo rientrare nei ranghi successivamente. Una polemica accesissima, accompagnata da una pioggia di interrogazioni parlamentari, che occupa le pagine dei giornali per diversi giorni. L'Unità che segue intensamente la polemica da spazio anche alle reazioni delle diverse categorie dei lavoratori Rai, che sono fortemente in polemica con quanto accaduto. Poi arrivano le spiegazioni di Andreotti riportate dalla Stampa del 7 gennaio. Il Presidente del Consiglio dichiara che nel dibattito nell'aula della Camera del 13 dicembre, non si era mai impegnato a non toccare l'organico dirigente della Rai. A riprova di questo ricorda l'interruzione da lui fatta all'On.socialista Manca, il quale gli chiedeva di non toccar nulla. Risposta: "Lei vuole troppo". Le nomine secondo Andreotti erano necessarie per ricreare una situazione di "equilibrio". E' evidente che sotto il profilo politico l'equilibrio Rai corrisponde all'equilibrio governativo, con la configurazione di quel pentapartito che si vorrebbe realizzare in sede governativa. Ad allinearsi e dire okay sono solo i socialdemocratici. I commenti degli altri partiti sono duri quanto, o addirittura, più di prima. Nervi scoperti nelle file del PSI e del PCI. Benzina sulla polemica la getta involontariamente anche il Corriere della Sera che il 9 gennaio illustra il significato di una disposizione nascosta all'interno del decreto delegato sull'IVA. La riprende l'Unità del giorno seguente. In breve: la riscossione del canone non sarebbe più
affidata agli Uffici del Registro, ma effettuata direttamente dalla RAI. Il canone ( 56 miliardi l'anno), perderebbe la sua natura di tassa per diventare un entrata patrimoniale. Per l'Unità il risultato finale di questa operazione è la sottrazione del bilancio della Rai al controllo della Corte dei Conti. Tesi questa immediatamente smentita dall'azienda e da Palazzo Chigi. (Corriere della Sera 5/1/1973; La Stampa 6/1/1973;L'Unità 6/1/1973; La Stampa 7/1/1973; L'Unità 8/1/1973; L'Unità 9/1/1973; L'Unità 10/1/1973;L'Unità 11/1/1973;
12 gennaio 1973: Paolicchi si dimette da amministratore delegato della Rai, ma non da membro del consiglio di amministrazione .Il PSI apre di fatto una crisi al vertice di viale Mazzini, preludio di un chiarimento politico più generale con la DC. I socialisti, in sostanza, rifiutano l'idea di" pentapartito strisciante" anche se la permanenza in consiglio d'amministrazione dell'esponente socialista suona al contrario come una conferma. Lombardi, esponente della
sinistra socialista chiede addirittura il ritiro di tutti gli uomini del partito che ricoprono cariche di rilievo all'interno di enti pubblici. L'Unità del 13 gennaio riferisce di una dichiarazione di La Malfa all'Espresso: Secondo La Malfa "il governo non ha la maggioranza necessaria per far approvare le leggi importanti". Affermazione che suona come un monito su una più generale crisi politica. Secondo L'Unità del 14 gennaio la manovra di Andreotti, tesa a creare un pentapartito di fatto all'interno della Rai, per poi forse riproporlo in sede governativa, tendeva ad evitare la riforma della Rai. Il settimanale Tempo nel numero del 14 gennaio ricostruisce la vicenda sostenendo che Andreotti ha scelto di muoversi in questo modo per ragioni esclusivamente politiche, quando a Montecitorio sono circolate indiscrezioni su due interviste di Rumor e De Martino che rilanciavano, in prospettiva, la politica del centro-sinistra. Indiscrezioni e ricostruzioni dei fatti sono contenuti anche in articolo dell'Espresso. (La Stampa 13/1/1973;L'Unità 13/1/1973; L'Unità 14/1/1973; Tempo 14/1/1973; L'Espresso 14/1/1973;vedi anche l'Europeo 18/1/1973; Panorama
18/1/1973)
7 gennaio 1973: Un lungo articolo di Paese Sera da notizie relative alla diffusione europea della TV via cavo. In Germania il 12% delle famiglie è collegata ai sistemi via cavo. Non si tratta di una TV cavo (CATV) autonoma. Molti programmi sono ad alta specializzazione e riguardano il mondo degli affari. In Olanda la CATV è diffusa dal 1965. E' regolamentata rigidamente attraverso una normativa che ne consente l'uso ad organismi senza fini di lucro. Sono tra le 8000 e le 10.000, le famiglie che la possono ricevere. La rete in Belgio è estesa. e alla fine del 1970 erano già stati effettuati 87.930 allacciamenti. in Svizzera - continua Paese Sera- sono state concesse migliaia di licenze per piccoli impianti limitati a comuni. Sono solo 12 le grandi aziende che hanno ottenuto l'autorizzazione a trasmettere. Rigida la regolamentazione: il concessionario non può trasmettere programmi propri, ha l'obbligo di trasmettere i tre programmi nazionali e non può trasmettere pubblicità supplementare. In Francia la CATV deve ancora nascere. Non va dimenticato poi il dato americano. Negli Usa esistono 2800 sistemi di distribuzione di programmi TV via cavo che servono almeno 18 milioni di spettatori. (Paese Sera 7/1/1973).
17 gennaio 1973: PSI e PCI chiedono un dibattito in aula sulla questione Rai-tv. In precedenza la Commissione Parlamentare di vigilanza si era spaccata, quando, chiamata a votare circa le decisioni dell'assemblea degli azionisti Rai, i rappresentanti delle opposizioni avevano abbandonato l'aula, mentre Donat-Cattin si era rifiutato di votare. (L'Unità 18/1/1973).
19 gennaio 1973: Denuncia l'Unità: Andreotti viola ancora una volta gli impegni assunti e si prepara a rifinanziare la Rai grazie alla proroga della convenzione. Convenzione che il governo ha imposto come atto amministrativo, sottraendolo dunque alla super visione del Parlamento. (L'Unità 19/1/1973)
21 gennaio 1973: Nel coro di voci favorevoli al mantenimento del monopolio statale, si distingue quella contraria di Arturo Carlo Jemolo. Sulle pagine della Stampa, in un
articolo intitolato "La televisione che vorrei", Jemolo scrive: "Penso che, poichè la tecnica lo consente, dovrebbe cadere il monopolio della Rai-Tv, lasciando spazio a più imprese, consentendo pure la ritrasmissione di televisioni straniere che possano essere viste in Italia. Naturalmente dovrebbe esser limitato il numero delle imprese, a raggio nazionale o regionale: concessionarie dello Stato, sulla base di una gara di capitolato. Si alimenterebbero della pubblicità, ma dovrebbe darsi rigorosa distinzione tra quella televisiva e quella lasciata ai giornali. Manterrei il canone ma lo devolverei interamente all'erario....Lascerei nei programmi un posto ai partiti e ai sindacati e facoltà al governo di parlare da ogni televisione agli italiani". Sulla Rai, Jemolo sostiene che i politici difficilmente rinunceranno ai loro strumenti di potere e che sarebbe ingiusto far ricadere su nuove aziende televisive, gli oneri del personale Rai. "Si lasci dunque questa com'è: agisca in regime di concorrenza alimentandosi essa pure con la pubblicità...Lascino però la sana impresa privata, non la soffochino con una concorrenza esercitata dalla posizione di chi può sempre chiudere in perdita, che poi lo Stato ricostituisce il capitale perduto". E conclude " La Rai che desidero mantenuta, non farà quindi film spettacolari, non indulgerà al sesso, non si assicurerà l'esclusiva delle partite di calcio: conserverà Canzonissima e Rischiatutto. Ma continuerà ancora a svolgere inchieste, a promuovere tavole rotonde, operare ricostruzioni di periodi storici e conserverà le edizioni che ne sono la patente di nobiltà. ( La Stampa 21/1/1973).
23 gennaio 1973: La Rai rimarrà sotto il controllo della Corte dei Conti. Lo afferma il ministro delle Poste e Telecomunicazioni Gioia, il quale ha ricordato che il governo presenterà il piano di riforma dell'azienda entro il 31 marzo. Inoltre il governo, secondo il ministro, intende tutelare il monopolio statale dei servizi radio-televisivi. (La Stampa 24/1/1973)
26 gennaio 1973: Rinascita dedica due pagine alla proposta comunista per la riforma della Rai. Proposta non nuova : togliere la Rai dal raggio d'azione del
Governo e sottoporla al controllo del Parlamento. Creazione di un ente nazionale che eserciti l'esclusiva nelle trasmissioni radio, TV, e via cavo e al quale sia trasferito l'intero patrimonio della Rai. Sottoporre annualmente al Parlamento, bilancio preventivo e conti consultivi dell'ente. Controllo e partecipazione delle Regioni, dei sindacati e dei cittadini. Struttura decentrata, presenza in consiglio direttivo delle Regioni, diritto all'accesso da parte dei cittadini. Scrive il periodico del PCI: "Vogliamo un ente di tipo nuovo, non un carrozzone allargato alla partecipazione dell'opposizione".( Rinascita 26/1/1973)
2 febbraio 1973. Il Corriere della Sera scrive che la Rai intende bloccare Telebiella, emittente via cavo che opera nella cittadina piemontese. E questo nonostante il pretore di Biella, Silvio Grizio, avesse assolto Giuseppe Sacchi, regista
rai e titolare dell'emittente, dall'accusa di aver violato l'art.178 del codice postale, accusa mossagli da un privato cittadino. Il pretore ha deciso che il fatto non costituisce reato perchè l'emittente trasmette via cavo e non via etere, e quindi non rientra nel monopolio. Nello stesso giorno della sentenza il ministero delle Poste denuncia Telebiella per violazione dell' art. 178 del codice postale. La denuncia, dopo il pronunciamento del magistrato, appare priva di fondamento. Secondo il Corriere della Sera, il pretore nella sua sentenza è andato oltre. In primo luogo, perchè del problema dovrebbe esser investita la Corte Costituzionale. E in secondo luogo perchè ha affermato che ministero delle Poste e Rai, potrebbero chiedere il risarcimento dei danni in sede civile, anche se si dovrà stabilire se un'azione del genere sia compatibile con l'art.21 della Costituzione. Epoca del 18 febbraio dedica ampio spazio al'argomento. Traccia la storia di Telebiella, e riferisce che iniziative analoghe sono sorte o stanno per sorgere a Rimini, Genova, Bologna, Siena, Messina, Faenza e Bari. (Corriere della Sera 2/2/1973; Epoca 18/2/1973)
12 febbraio 1973: Il ministro delle Poste Giovanni Gioia, invia a Telebiella una lettera di diffida con l'ordine di disattivare gli impianti entro quindici giorni. La lettera
giunge solo il 27 febbraio. Telebiella continua a trasmettere. (L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
22 febbraio 1973: Polemiche nella maggioranza e attacchi dall'opposizione. L'intervento del ministro Gioia, fanfaniano di ferro, in Commissione al Senato, aumenta la tensione sulla Rai. Gioia, secondo repubblicani e comunisti, in due diversi interventi, avrebbe detto che occorre concedere alla Rai 10 miliardi in più di pubblicità e 20 miliardi a spese del bilancio dello Stato. Battaglia, vice segretario del PRI, in un articolo pubblicato sulla Voce Repubblicana, afferma che si tratta di una violazione degli impegni assunti in Parlamento dall'On. Andreotti ( il quale nel dicembre del 1972 aveva detto che in attesa della riforma la Rai operava in una sorta di libertà condizionata: Come dire: si all'ordinaria amministrazione, ma nessun atto straordinario)." Il ministro delle Poste - scrive Battaglia - ha il dovere di tacere o di dimettersi, se non approva l'impegno del suo Presidente". Oppure Andreotti "deve spiegare perchè la volontà del ministro delle Poste, prevalga sulla sua". Insomma i repubblicani alzano il tiro. Di più minacciano di ritirare l'appoggio esterno al governo. Durissimi anche i commenti sull'Unità che parla di illegalità e pericolosità delle misure finanziare adottate dal governo . Nei giorni seguenti botta e risposta tra Dc e PRI, affidata ai rispettivi giornali di partito . Intanto il governo cerca di smorzare la polemica annunciando per il 25 del mese, la presentazione della proposta Quartulli per la riforma dell'ente televisivo. (La Stampa 23/2/1973;L'Unità 23/2/1973; La Stampa 24/2/1973)r.
26 febbraio 1973: Il governo rende noto il testo del progetto di riforma della Rai, elaborato da una commissione governativa presieduta dal consigliere di Stato Aldo Quaroni. Il progetto ribadisce il monopolio via etere, conferma la gestione IRI dell'azienda, ipotizza un futuro in cui potrebbero esserci spazi di libertà per le trasmissioni via cavo e prevede la creazione di un comitato di garanti denominato "commissione civica di garanzia" che dovrebbe assumere poteri di indirizzo e
controllo sulla gestione RAI. Il progetto prevede anche la tutela degli interessi regionali, che però potranno trovare spazi in trasmissioni locali. In sostanza una TV regionale può essere fatta, secondo il progetto, solo su impianti diversi da quelli esistenti. Vale a dire aprendo una terza rete. Il progetto riceve un coro di no da parte di PCI, PSI PRI, PSDI: per questi partiti il progetto è insufficiente: Solo i liberali manifestano interesse, considerandolo un passo in avanti, in attesa di una liberalizzazione del sistema. Contrario anche il dc Donat-Cattin. (Corriere della Sera 27/2/1973; La Stampa 28/2/1973)
Marzo 1973: Il senatore Giovanni Pieraccini, capogruppo socialista, presenta una proposta di legge al fine di vietare l'uso privato del cavo. (L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi)
9 marzo 1973: "TV privata con soldi italiani". Lo annuncia il settimanale ABC che parla di una televisione privata via cavo che si nascerebbe a Sanremo Questa la storia. Una società La OMA, si sarebbe già costituita con un capitale iniziale di 100 milioni di lire. Ne farebbero parte il principe Ranieri di Monaco, Richard Jareky, giocatore d'azzardo che ha sbancato il casinò di Montecarlo, più altri sei soci. Procuratore della società è l'avvocato Alfonso Carella. Sulla scorta degli esisti positivi avuti da Telebiella, la società avrebbe intenzione di iniziare a trasmettere da Sanremo, dapprima nella sola provincia di Imperia e successivamente arrivando anche a Genova. L'idea è quella di finanziarsi con la pubblicità. 150 milioni la spesa per i cavi, mentre la programmazione è di tre ore la giorno a partire dalle ore 20. (ABC 9/3/1973)
25 marzo 1973:v Biella,Aula Magna di un convitto non più in uso. Si riuniscono, quattordici rappresentanti di altrettanti gruppi che vogliono dar vita a televisioni via cavo. Il convegno è indetto da Telebiella. (Rinascita 30/3/1973)
10 aprile: I repubblicani ritengono inaccettabile l'aumento di 11 miliardi delle entrate pubblicitarie della Rai. Convocano un incontro con socialdemocratici e liberali, per
esaminare insieme l'eventualità di lasciare alla DC la completa responsabilità della gestione Rai. Come spiegherà l'On. Battaglia in una intervista ad OGGI del 17 maggio, la Rai incamera gli 11 miliardi con uno stratagemma: non tocca nè i tempi nè le tariffe. Cambia gli schemi riducendo di 5 o 10 secondi ogni inserto. ( Corriere della Sera 11/4/1973; Oggi 17/5/1973)
10 aprile 1973: Il Giorno, come del resto i più importanti quotidiani, da ampio spazio alle notizie, alle opinioni ed alle proposte che animano la riforma della Rai. Una moltitudine di progetti e idee che solo parzialmente troveranno conferma nella legge di riforma dell'ente. Tra
queste opinioni va segnalata quella di Luca Di Schiena, direttore giornalistico della Rai. Secondo Di Schiena, al di là delle parole, la grande armata dei riformatori non ha fatto i conti con le possibilità di sviluppo che le nuove tecnologie, e in primo luogo il cavo, offrono. Perchè con la nascita e lo sviluppo di nuovi soggetti televisivi, finiranno i privilegi, i corridoi preferenziali e le rendite parassitarie. Saranno rimessi in discussione i modi di operare, si moltiplicheranno le occasioni per comparare il grado di autenticità delle informazioni. Giornalisti, operatori e tecnici Rai, secondo Di Schiena, dovranno dimostrare di saper essere all'altezza della situazione. Occorreranno, a prescindere dal dilemma monopolio, non monopolio, nuove energie, maggiore sensibilità, più scrupolosa vigilanza. (IL Giorno 10/4/1973)
16 aprile 1973:v L'interesse dei giornali per le televisioni via cavo aumenta. In un articolo apparso sul Corriere della Sera, Vittorio Monti, descrive Tele Ancona Conero III, un'altra emittente nata sulla scia di Telebiella. Studi angusti, piccole attrezzature e lavoro affidato ad una equipe di ragazzi giovani. in ogni parte d'Italia iniziano a fiorire le prime iniziative. Tele Alessandria, Tele Ivrea, Tele Vercelli, in Piemonte. Telepiombino Costa-Etrusca in Toscana. Telediffusione italiana a Napoli. (Corriere della Sera 17/4/1973; L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi)
16 aprile 1973: A Bologna si tiene un convegno sulla riforma della Rai. E' uno dei
tanti convegni che si tengono sulla riforma della Rai nei primi anni settanta. Merita menzione non tanto per le proposte che da esso scaturiscono ( di fatto in linea con quelle del PCI), quanto per il fatto che ad organizzare l'incontro sia stato un ente locale, la Regione Emilia Romagna. (L'Unità 17/4/1973; L'Unità 18/4/1973)
22 aprile 1973: Dario Natoli, in due articoli apparsi sull'Unità, spiega il punto di vista del PCI sulla TV via cavo. Secondo i comunisti la TV via cavo deve essere riservata al monopolio dello Stato, affidando alle regioni un ruolo di preminenza per garantire un rapporto democratico tra cittadini e istituzioni e per assicurare una moltiplicazione di informazione, necessaria allo sviluppo democratico dell'informazione. La tesi di Natoli e del suo partito è semplice e non nuova. La convenzione Stato Sip/STET attribuisce a questa società l'esclusiva per stendere i cavi in tutto il paese. Sulla base della convenzione ad erogare i programmi dovrà essere l'ente concessionario, cioè la Rai. Ma niente esclude che in un futuro prossimo con un colpo di mano l'esercizio dei programmi possa essere dato ad altri soggetti. E dato che, gestire una TV, anche se via cavo su scala nazionale, costa, ad approfittarne sarebbero i grandi gruppi industriali. "A quel punto - scrive Natoli_ le esigenze di libertà avanzate a piene mani in questi giorni, sarebbero messe nel sacco". Gli risponde indirettamente senza nominarlo Alberto Dell'Ora sulle colonne di Panorama (3 maggio). Scrive " Si ha paura della libertà e si gonfia il rischio di un caos immaginario, evocando ombre mitiche di potenti in agguato. Ma perchè non ci prendiamo la briga di osservare che cosa è
accaduto in altri paesi, dove la TV via cavo è da tempo una realtà diffusissima? Chi gestisce le innumerevoli reti? Sono università popolari, collages, giornali, riviste, editori, società telefoniche e gruppi di cittadini qualsiasi...Diciamo pure che siamo in ritardo. E ricordiamo agli oppositori che una qualsiasi legge repressiva dovrà fare i conti con la Corte Costituzionale, correndo il rischio considerevole, divenire colpita di illegittimità, perchè in grave contrasto con il citato art.21. Nello stesso numero di
Panorama c'è un lungo articolo sulle TV via cavo, accompagnato da una mappa secondo la quale le TV operative o che stanno per iniziare le trasmissioni sono oltre trenta diffuse principalmente al nord ma presenti anche al centro ed al sud. Nell'articolo si citano Telepiombino Costa etrusca TV, Telebiella, Televeneto, Teleroma cavo. Le città con due TV via cavo sono Roma e Bergamo. Nell'articolo si riferisce della proposta socialista a firma Giovanni Pieraccini, contraria all'uso privato del cavo. Si accenna a quella comunista e si dice che la corrente DC che fa capo a Forlani, segretario del partito, vorrebbe invece favorire un gruppo misto gestito da società pubbliche e private. ( L'Unità 22/4/1973; L'Unità 24/4/1973; Panorama 3/5/1973).
11 maggio: La scoperta la fa Carlo Pierleoni, redattore dell'agenzia Italia ed amico di Giampaolo Cresci, fanfaniano e capo ufficio stampa della Rai. E' un fulmine a ciel sereno. L'art 195 del nuovo codice postale approvato il 29 marzo con decreto n.156 del Presidente della Repubblica ed in vigore dal 4 maggio, dopo la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del 3, dispone che " chiunque stabilisce ed esercita un impianto di telecomunicazioni senza prima aver ottenuto la relativa concessione o l'autorizzazione è punito con l'arresto da tre a sei mesi e con l'ammenda da 20 a 200 mila lire se il fatto riguarda impianti radioelettrici". La norma precisa che tra gli impianti radioelettrici sono annoverati gli impianti di distribuzione sonora o visiva via cavo. Insomma la TV via cavo è illegale, grazie ad un atto unilaterale del Governo, che produce effetti già da una settimana. Il Giorno del 13 maggio, riporta una dichiarazione di Michele Principe, direttore generale del ministero delle Poste, il quale annuncia che il provvedimento verrà applicato in maniera rigorosa. Numerose le reazioni. Critica la Voce Repubblicana, il liberale Quilleri, membro della Commissione Parlamentare di Vigilanza manifesta preoccupazione ed amarezza. Craxi, vice-segretario PSI afferma che per le sue implicazioni costituzionali, la questione andava sottoposta al Parlamento. Tesi comune a tutti i partiti, dc esclusa.
Amarezza e stupore è il sentimento comune di tutti i responsabili delle diverse emittenti. La Stampa, sempre il 13 maggio, riprendendo un agenzia dell'ADN Kronos, sostiene che tutti i titolari delle emittenti sono stati denunciati. Telebiella manda regolarmente in onda i suoi programmi, ma Fausto Banino, presentatore e dirigente della stazione annuncia che probabilmente " questa è forse una delle ultime trasmissioni di Telebiella". Nel tardo pomeriggio, riferisce il quotidiano piemontese, Giuseppe Sacchi, uno dei
fondatori dell'emittente, ha deciso di continuare le trasmissioni. Fortemente critico anche Roberto Martinelli che sulle colonne del Corriere della Sera del 14 maggio scrive: "L'uomo della strada si è chiesto come mai, in un regime di libera democrazia parlamentare, il governo abbia potuto emanare, all'improvviso, delle norme fortemente lesive di quel principio costituzionale che garantisce a tutti la libera espressione del pensiero". (Resto del Carlino 12/5/1973; La Stampa 12/5/1973; Corriere della Sera 12/5/1973, Il Giorno 13/5/1973; La Stampa 13/5/1973; Corriere della Sera 14/5/1973; Panorama 24/5/1973).
15 maggio 1973: Dopo il fulmine la tempesta. Il PRI chiede la sostituzione del ministro delle Poste Gioia. Solleva dubbi sulla costituzionalità del provvedimento e considera inammissibile la procedura seguita. Andreotti si dichiara disposto a fornire in Parlamento ogni ragguaglio. A Gioia insomma, manca la fiducia di un partito della maggioranza. I repubblicani collocano una mina sotto il governo. Dubbi sulla costituzionalità del provvedimento sono sollevati sulle pagine del Corriere della Sera da Paolo Barile, mentre nella stessa giornata un decreto del ministro Gioia ordina a Giuseppe Sacchi di smantellare entro dieci giorni la sua emittente. Altrimenti si provvederà d'ufficio. Coro di critiche a Gioia da parte del PCI, che pur favorevole al monopolio statale del cavo, sostiene che la questione doveva essere discussa in Parlamento. Il PSI, per voce di Fabrizio Cicchitto sollecita la riforma del sistema radiotelevisivo in senso democratico. L'ipotesi che La Malfa intenda regolare i conti
con il governo senza tornare indietro, a costo della crisi trova conferma nei giornali del 17.Il Giorno: La Malfa: sulla TV via cavo non intendiamo cedere. Corriere della Sera: Rischia di saltare il governo su la TV via cavo. L'Unità: La questione della TV via cavo rende più aspre le polemiche nella coalizione. Sempre sul Corriere del 17 maggio viene data la notizia che il decreto del ministro Gioia, relativo allo smantellamento di Telebiella è stato bloccato dalla magistratura. Un eccezione di incostituzionalità è stata sollevata da Alberto Dall'Ora, l'avvocato di Sacchi che tutela gli interessi dell'emittente piemontese. (Il Giorno 16/5/1973; La Stampa 16/5/1973; Corriere della Sera 16/5/1973; L'Unità 16/5/1973; Il Giorno 17/5/1973; Corriere della Sera 17/5/1973; L'Unità 17/5/1973; Corriere della Sera della Sera 17/5/1973)
16 maggio: Si costituisce a Venezia la Federazione Italiana TV cavo. Lo scopo è quello di rappresentare la categoria presso enti ed autorità politiche, nazionali ed internazionali, presso gli editori e l'opinione pubblica. Vi aderiscono queste stazioni: Abruzzo, Veneto, San Benedetto del Tronto, Versilia, Porto San Giorgio, Telenapoli, Telediffusione italiana , Teleromacavo, Telelario, Telesud-Foggia, Friuli- Venezia Giulia, Etvc Milano, Toscana, Sapro Film TV Piacenza, Rapallo, Camogli Golfo Paradiso, Chiavari e Teleroseto. Diciassette società per un complesso di trentadue emittenti. (La Stampa 17/5/1973)
16 maggio: Il pretore di Biella trasmette gli atti del procedimento penale iniziato contro Sacchi, alla Corte Costituzionale. ( La Stampa 17/5/1973)
17 maggio.: In Commissione di vigilanza, Andreotti difende il decreto sulla tv-cavo". Secondo le leggi vigenti, non era e non è lecito impiantare queste installazioni". Ed ha aggiunto: "Non si deve assolutamente compromettere la riforma della Rai-Tv creando di fatto una rete di piccole televisioni via cavo, che eluderebbero il sistema del monopolio che fino a prova contraria è vigente e per il quale si sono espressi quasi tutti i gruppi politici". (Il Giorno 18/5/1973).
24 maggio 1973: Il governo si ritrova in minoranza alla Camera. L'assemblea di
Montecitorio approva (nonostante l'astensione del PRI) la proposta del capogruppo comunista Natta che chiede che il dibattito sul cavo si tenga il 28 maggio. Il governo proponeva l'11 giugno. L'ipotesi di una crisi di governo inizia a prendere quota come riferiscono i giornali di quei giorni
25 maggio 1973: Telebiella continua a trasmettere. Alla mezzanotte di ieri, scadeva l'ultimatum del ministero delle Poste che imponeva a Sacchi di smantellare gli impianti. Durante un dibattito in diretta Sacchi dice: " Siamo pirati, banditi, perchè abbiamo il torto di amare la verità. Purtroppo la nostra è una democrazia in cui molti sono costretti a dire ciò che fa piacere a pochi". (Il Giorno 25/5/1973; L'Unità 25/5/1973; L'Unità 26 /5/1973; Corriere della Sera 26/5/1973)
27 maggio 1973: Franco Bassanini, oggi deputato del PDS, firma un articolo sull'Espresso intitolato "Nove ministri e un Furbo". Bassanini solleva critiche all'operato di Gioia e del governo che probabilmente hanno giocato le proprie carte nella partita sul cavo per ritardare la riforma della Rai. Muove critiche sotto il profilo giuridico all'operazione cavo fatta dal governo che ha proceduto tramite decreto delegato, sottratto al'approvazione del Parlamento, invece che per decreto legge. E poi aggiunge " Pluralità dei mezzi d'informazione non equivale, certo, a libertà di iniziativa economica privata in materia di informazione. La libertà di iniziativa imprenditoriale privata, può essere accolta come strumento della pluralità, come oggi accade per la stampa, se è possibile garantire (anche mediante interventi pubblici) che le leggi del mercato non spingano verso la concentrazione in poche mani dei mezzi d'informazione, pregiudicando di fatto la pluralità delle fonti d'informazione e comprimendo il diritto di manifestazione del pensiero". Accanto all'Espresso va menzionato un fondo del Corriere della Sera critico nei confronti di Gioia, per il suo comportamento sulla vicenda cavo. Scrive il Corriere: "Non vorremmo che i difensori di Andreotti o i fautori della crisi immediata considerassero la TV via cavo come il pretesto per le solite grandi manovre politiche, dimenticando
che domani non sono in gioco le sorti di Telebiella, ma è in gioco anche il principio della libertà di informazione che invece riguarda 50 milioni di italiani. (L'Espresso 27/5/1973; Corriere della Sera 27/5/1973)
28 maggio 1973: Alle 21,15 l'On. Ugo La Malfa prende la parola alla Camera durante il dibattito sulla TV via cavo: " Con rammarico annuncio che i deputati repubblicani non voteranno la fiducia al governo". Il che sta a significare: il governo può rimanere in carica, ma alla prima occasione di voto lo facciamo cadere. In pratica è crisi di governo, con un accorgimento politico come questo per consentire lo svolgimento del congresso Dc e quindi evitare una crisi lunga e difficile. Di fronte alla Camera Andreotti parlando del cavo ha detto: " Noi avevamo il dovere d'impedire che, senza autorizzazione amministrativa, si potessero installare impianti televisivi anche modesti. Se non l'avessimo fatto saremmo stati manchevoli, poichè l'intera sistemazione del servizio radiotelevisivo sarebbe stato condizionato dal mancato intervento. Lo dico nel modo più impegnativo: l'amministrazione non darà alcuna concessione fino a quando il Parlamento non avrà deciso su tutto il tema della riforma". Di fatto Andreotti non sconfessa Gioia e La Malfa fa partire il siluro. E la sfiducia. Del discorso di Andreotti si dicono invece soddisfatti il socialdemocratico Reggiani ed il liberale Quilleri. Va però specificato che come La Malfa ha dichiarato in un intervista ad Epoca, del 25 maggio "la politica economica e finanziaria è stato il principale punto di debolezza del governo. Il caso della televisione via cavo ha rappresentato un vero e proprio infortunio per la compagine ministeriale nel suo complesso".( La Stampa 29/5/1973; Corriere della Sera 29/5/1973 Epoca 25/5/1973).
31 maggio 1973: L'Europeo pubblica stralci di un documento riservato e ufficioso formulato dalla Rai. Riguarda il cavo. S'Intitola " Considerazioni sulla rete di distribuzione televisiva via cavo". Secondo il settimanale dal documento risulta chiaramente l'intenzione di Bernabei e dei democristiani di impadronirsi della TV via
cavo. Un affare colossale. Qualcosa come 800 miliardi del 1968 ( il bilancio Rai è di 233 miliardi). Indicativi sono gli stralci del documento riportati dal settimanale. Ne citiamo uno: "Per mantenere in vita un legittimo monopolio dello Sta
to sembra opportuno, se non addirittura indispensabile, che il nuovo mezzo tecnico costituito dalla televisione via cavo, ossia non convenzionale, sia regolato e considerato quale accessorio di quello convenzionale e principale, costituto dalla radiotelevisione per mezzo di onde hertziane. (L'Europeo 31/5/1973)
1 giugno 1973: I funzionari dell'ESCOPOST disattivano gli impianti di Telebiella. (L'emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
3 giugno 1973: Lunga inchiesta del settimanale Tempo sulle TV via cavo. Si tratta di un articolo riassuntivo che ripercorre le tappe della battaglia sul cavo. Viene data voce ad alcuni dei direttori delle televisioni e viene raccolta l'opinione di Massimo Fichera favorevole alla gestione del cavo da parte delle regioni. (Tempo 3/6/1973)
3 giugno 1973: L'Espresso pubblica un supplemento dedicato alla TV. S'intitola "Un video diverso da questo". Contiene un progetto di riforma di tutto il sistema televisivo, che il settimanale ha commissionato a due studiosi: Lio Rubini e
Pietro Gennaro. Il progetto prevede la creazione di tre diverse reti differenziate per gruppi di regioni, controllo statale degli impianti, autonomia dei programmi, regole più rigide per il controllo della spesa. I due studiosi partono da un concetto: l'unificazione nello stesso soggetto degli strumenti tecnici e di quelli produttivi: La centralizzazione di tutto il meccanismo della produzione e della comunicazione genera, secondo Rubini e Gennaro, un infeudamento difficilissimo da evitare. I due propongono lo scioglimento della Rai e la creazione di una società con capitale statale incaricata della sola gestione degli impianti e soggetta a controlli permanenti. Quattro altre società si ripartiranno il tempo della programmazione. Tre di queste sono a carattere macroregionale (Nord, Centro-Est, Centro-Sud) con sedi a Milano Firenze e Roma e capitali all'80% degli enti locali. La quarta nazionale che per la
sua programmazione( solo il sabato e la domenica) si avvarrà del contributo delle tre regionali. Ognuna delle tre reti contribuirà per un terzo ai programmi d'intrattenimento di quella nazionale, ma ognuna delle tre reti regionali avrà un suo tg e sarà libera di avvalersi o meno dei contributi degli altri tg. Concorrono a formare il nuovo schema del servizio radiotelevisivo: la commissione parlamentare di garanzia e controllo delle convenzioni radiotelevisive, investita dal governo, con compiti di controllo della distribuzione fondi (fondi di dotazione all'ente, abbonamenti e pubblicità). L'Ente Radiotelevisivo (ERT), incaricato della gestione impianti di proprietà dello Stato. Le tre società interregionali che gestiscono ognuna una rete, più una società che ha in carico la gestione del canale nazionale nei week- end. Una società per la misurazione qualitativa e quantitativa degli ascolti e degli indici di gradimento. Una società per la formazione del personale ed un altra per la raccolta pubblicitaria radiotelevisiva. Una società per la gestione dell'archivio programmi ed un altra per la raccolta della pubblicità cinema e piccoli e medi quotidiani. (L'Espresso 3/6/1973)
7 giugno 1973: L'Unità riferisce di un esperimento in corso a Rimini. Si tratta di una televisione a circuito chiuso che manda in onda programmi, (precedentemente registrati su video cassette) di carattere civico all'interno della Rocca Malatestiana. L'iniziativa è organizzata dal comune. Il quotidiano da ampio risalto all'avvenimento, in sintonia con il dibattito in corso in quel periodo circa il carattere regionale e il ruolo centrale delle regioni nella riforma della Rai.( L'Unità 7/6/1973).
15 giugno 1973: Dario Natoli, deputato del PCI, interviene sull'Unità con un articolo relativo alla TV via cavo. Il punto di partenza della sua analisi poggia su un preciso postulato: l'informazione è il terreno privilegiato dello scontro di classe. Quindi rispetto al cavo, Natoli avverte del pericolo ricorrente della concentrazione in poche mani e rifiuta le posizioni di coloro che, o vogliono la liberalizzazione assoluta della materia, oppure esigono una legge che finirebbe per favorire l'arbitrio dei grandi
gruppi. Natoli spiega come
l'esperienza americana di liberalizzazione non sia, dal suo punto di vista, un'esperienza positiva. E aggiunge " Sia sviluppando l'ipotesi Gioia, sia perseguendo nell'illusione delle mille Telebiella, il risultato finale non cambierebbe e la libertà di informazione riceverebbe in Italia un colpo veramente mortale. Occorre individuare una diversa via di sviluppo...utilizzando tutti gli strumenti della democrazia: dal Parlamento alle Regioni, dagli Enti locali alle organizzazioni democratiche di ogni tipo. ( L'Unità 7/6/1973)
16 giugno 1973: Settimana Radio-Tv riporta in un articolo le posizioni di alcuni uomini politici sulla TV via cavo. Idee manifestate nel corso di un convegno tenutosi al Piccolo teatro di Milano. Paolo Grassi, espone l'idea del suo partito, il PSI, che è propenso ad una TV gestita e controllata dalle Regioni, dai comuni o da consorzi regionali, al fine di sottrarla a minoranze detentrici di capitali. Intermedia la posizione del socialdemocratico Pillitteri contrario al monopolio come alla liberalizzazione. Secondo Pilletteri prima di ogni discorso bisognerà sapere chi gestirà le reti via cavo perchè il mezzo tecnico non potrà essere contrastato da decreti legge di sorta. Spadolini, riconosce il diritto dovere dello Stato alla regolamentazione della materia. "Fondare il diritto di proprietà - è la sua tesi- con larghe concessioni ad enti, gruppi, comunità istituzionali e non solo alle Regioni in modo da assicurare sia il monopolio del mezzo d'informazione sia il pluralismo delle voci". (Settimana Radio-Tv 16/6/1973).
21 giugno 1973: Natoli sull'Unità scrive che entro il 1977, sarà pronta la rete via cavo su tutto il territorio nazionale. TV, telefoni e giornali useranno un unica rete di cavi coassiali. Il groviglio di interessi economici messi in moto dalla convenzione voluta da Gioia con Sip e Stet, induce, secondo Natoli, ad un attenta vigilanza da parte della collettività e rende necessaria una revisione politica di tutto il settore. (L'Unità 21/6/1973).
23 giugno 1973: La Corte di Appello di Genova da ragione alla Rai sulla vicenda della Canzonissima del 1962. Durante il primo giudizio, il tribunale aveva dato ragione a Dario Fo e Franca Rame, i quali avevano ottenuto anche il versamento di alcuni emolumenti. La Corte di Genova riconosce invece come legittimo il diritto dell'azienda di modificare o addirittura sopprimere i testi della trasmissione.( La Stampa 24/6/1973).
28 giugno 1973: Anche la Confindustria scende in campo. Panorama riporta un progetto televisivo elaborato da una commissione della Confindustria. Il progetto, il cui scopo è il riassetto di tutto il sistema, prevede la conservazione del monopolio statale per le trasmissioni TV e la liberalizzazione di quelle radiofoniche. Il piano prevede tre reti: il primo e il secondo canale interamente a capitale pubblico. Il terzo canale a capitale misto (51% pubblico, il restante 49% a disposizione delle organizzazioni culturali e sociali ed economiche presenti nella società italiana). Autonomia dei centri di produzione esistenti che si dovrebbero trasformare in altrettante società, tutte a prevalente capitale pubblico.
I giornalisti dovrebbero confluire in un agenzia sul modello dell'Ansa mentre la raccolta pubblicitaria sarebbe affidata ad una società a capitale privato. Come nella proposta dell'Espresso, si rifiuta la concentrazione in un unico ente dei mezzi di trasmissione e di quelli di produzione. Secondo il settimanale l'ispiratore della proposta è Gino Ceriani, vice-presidente della Confindustria. (Panorama 28/6/1973).
3 luglio 1973: La Stampa dedica un articolo al successo di Teletorino,. La TV, nonostante il decreto Gioia, continua a trasmettere allargando la sua audience, arrivata a 10.000 persone . L'emittente ha eluso il divieto trasmettendo i programmi attraverso video cassette, senza stendere nessun cavo. I programmi di Teletorino sono quasi esclusivamente basati su cronaca e inchieste d'interesse cittadino. (La Stampa 3/7/1973).
25 luglio 1973: Il tribunale di Biella ricorre alla Corte di Giustizia della CEE perchè si
pronunci sulla compatibilità del monopolio Rai con il Trattato di Roma. Questa la questione sollevata dai giudici biellesi: Lo Stato italiano, firmatario del trattato di Roma sul quale si basano i rapporti comunitari, ha conferito ad una società per azioni (la Rai-tv il cui pacchetto azionario è posseduto dall'IRI) un diritto esclusivo di effettuare ogni sorta di trasmissioni televisive comprese quelle via cavo, anche per la pubblicità commerciale. La Corte di Giustizia dovrà accertare se questo fatto impedisca o meno a tutti gli altri cittadini della CEE di far pervenire in Italia messaggi pubblicitari ( intesi come prodotti in sé e come messaggi necessari per favorire l'incremento degli scambi commerciali) se non ricorrendo alla società che detiene il monopolio. Ricordiamo che Telebiella era stata chiusa il 1 giugno funzionari dell'ESCOPOST e Peppo Sacchi denunciato per non avere pagato il canone di alcuni apparecchi televisivi da lui usati per controllare la qualità tecnica dei programmi della stazione (La Stampa 26/7/1973)
16 settembre 1973: Contestazioni per l'iniziativa di Canale Tre, emittente a circuito chiuso che opera con un sistema di trasmissione mediante video cassette. L'emittente appartiene a Renato Tagliani, uno dei protagonisti di Campanile Sera, storico programma della TV. Tagliani ha ottenuto un finanziamento di 120 milioni di lire dalla regione Piemonte per girare e mandare in onda in tutti i principali centri piemontesi programmi televisivi sui problemi della Regione. L'intera operazione denominata Piemonte 73 ha suscitato reazioni e rilievi sia per l'ampiezza del contributo, considerato troppo elevato, sia per la qualità dei programmi, definiti superficiali. (Epoca 16/9/1973).
29 settembre 1973 : Regione Emilia Romagna alla ribalta. Tutto il 1973 è segnato da dibattiti intorno alla riforma della Rai. La sinistra, PCI e PSI in particolare, sostengono la necessità di far partecipare attivamente gli Enti locali alla gestione delle televisione, per costruire un modello televisivo che parta" dal basso". E la regione Emilia Romagna, in prima linea nel rivendicare un ruolo alle autonomie
locali in materia televisiva, vara un progetto di TV regionale che finanzia direttamente. Ne dà notizia La Stampa di Torino che cita Elda Ferri, il regista torinese Roberto Faenza e Giuseppe Licheri come i responsabili del progetto. Progetto che per ora è in fase sperimentale ma che entro ottobre novembre diventerà operativo. (La Stampa 29/9/1973).
31 ottobre 1973: L'Unità riporta la proposta di riforma del PCI sulla Rai, elaborata da un gruppo di lavoro costituitosi presso la Direzione del PCI . Questi i punti determinanti: conferma del monopolio pubblico sulle trasmissioni televisive via etere e riaffermazione della riserva statale sul cavo nella prospettiva di una regolamentazione globale del mezzo. Distacco dall'esecutivo, quale garanzia necessaria per consentire un vero pluralismo televisivo. Decentramento, diritto di accesso, garanzie di tutela per i lavoratori e, in materia pubblicitaria, ripristino della regolamentazione precedente alla proroga della convenzione fatta dal governo Andreotti. Nella fase transitoria spetterà alla Commissione Parlamentare di vigilanza dettare gli indirizzi programmatici dell'ente, favorendo lo sviluppo del pluralismo in collegamento con le Regioni, i sindacati e le realtà sociali e culturali. (L'Unità 31/10/1973)
10 novembre 1973.In un articolo apparso sulla Stampa, poi di fatto confermato da uno successivo apparso il 22 novembre sull'Europeo, emerge il giudizio favorevole della commissione consultiva della CEE sul ricorso presentato dai legali di Telebiella. L'Europeo, in particolare, pubblica stralci del parere formulato dal consigliere Marchini Camia. In sostanza il giudizio sul ricorso presentato dall'emittente piemontese è fondato. Marchini-Camia, sostiene che la TV via cavo può accelerare gli scambi all'interno del mercato comune, allargando la possibilità di scelta per il consumatore attraverso la fruizione di diversi tipi di messaggi pubblicitari. E senza rinunciare necessariamente al monopolio pubblico della TV, i sistemi via cavo e via etere possono convivere.( La Stampa 10/11/1973; L'Europeo
22/11/1973).
21 novembre 1973: Convegno indetto da Regioni, FNSI, e Federazione Unitaria sindacale, sulla televisione via cavo. A conclusione di lavori si chiede che sia affidato alle regioni il compito di disciplinare le iniziative relative alle TV via cavo.(L'emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi)
13 dicembre 1973: Il presidente del Consiglio Rumor, annuncia che la convenzione Stato-Rai sarà prorogata di 4 mesi per il periodo 10 gennaio 30 aprile 1974. Ciò al fine di consentire al comitato di esperti designato dai partiti di governo di elaborare le proposte per la riforma Rai. Il governo adotterà il provvedimento mediante un decreto legge approvato il 20 dicembre. (Il Giorno 13/12/1973)
Gennaio 1974: Nel dibattito circa la riforma del sistema radio televisivo interviene anche Civiltà Cattolica. In un articolo di Enrico Baragli S.I., viene formulata una proposta per il riassetto del sistema. Civiltà Cattolica sceglie un monopolio pubblico temperato: sul modello inglese a livello centrale, un ente radiotelevisivo concessionario, affiancato da un altro espressione della libera iniziativa privata. A livello regionale, sul modello tedesco, altri enti concessionari affiancati da altrettanti enti televisivi privati autorizzati. L'assetto giuridico degli enti concessionari è quello di enti di diritto pubblico. L' ente concessionario centrale e quelli regionali devono essere finanziati col canone o con sovvenzioni statali. Devono privilegiare l'informazione, la cultura e l'istruzione scolastica. Interdetti i quiz, e la pubblicità commerciale. Non devono invadere la sfera della iniziativa privata. Gli enti liberi autorizzati, centrali o regionali, invece sono liberi di definire la propria programmazione e si finanziano attraverso la pubblicità. La gestione tecnico amministrativa culturale dell'ente concessionario centrale è affidata ad un organismo eletto prevalentemente dal Parlamento e composto da soggetti indicati dai ministeri
economico tecnico culturali ed altri eletti dal Presidente della Repubblica, su una rosa di nomi proposti dai Consigli Regionali. Per quanto riguarda gli enti concessionari regionali la gestione è affidata ad organismi eletti prevalentemente dai Consigli Regionali con membri designati da gruppi tecnico economico culturali locali o regionali. Per tutti gli enti concessionari è prevista la pubblicità annuale dei bilanci. Gli organi di controllo competenti sull'obiettività dell'informazione sono: per l'ente concessionario centrale una Commissione Parlamentare con rappresentanti di tutti i partiti presenti in Parlamento, ai quali si aggiungono rappresentanti degli utenti. Per gli enti regionali invece il controllo è affidato a Commissioni Consiliari Regionali, integrate da rappresentanti di associazioni di utenti a livello regionale. Il controllo sul livello tecnico culturale è affidato per quanto concerne l'ente concessionario centrale ad un Comitato di Garanti eletto per metà dal Presidente della Repubblica e per l'altra metà da istituzione pubbliche qualificate. Rifiuto della censura e ampia regolamentazione del diritto di accesso completano la proposta.( Civiltà Cattolica Vol.1 1974).
4 gennaio 1974: Il settimanale Tempo da notizia della nascita di un emittente privata a Milano. Si chiama Milano non intende operare via cavo ma mediante un sistema di trasmissione capillare e decentrato che si basa sull'utilizzo e la messa in onda in edifici, aree o quartieri di programmi preregistrati su video cassetta, immessi su un lettore collegato con l'antenna centralizzata di ogni palazzo. La TV si dovrebbe finanziare con la pubblicità e dovrebbe iniziare a trasmettere da settembre o ottobre. I responsabili contano di aver un bacino di utenza di 300.000 persone e di iniziare utilizzando 70.000 cassette. Responsabile dell'emittente è il giornalista
Angelo Rozzoni. (Tempo 4/1/1974).
24 gennaio 1974: Il Senato approva la conversione in legge del decreto governativo che proroga la convenzione Stato Rai per altri quattro mesi (1 gennaio 30 aprile). Votano a favore i partiti di governo. (L'Unità 25/1/1974).
7 febbraio 1974: Anche la Camera approva la proroga della convenzione Stato Rai con 251 voti favorevoli e 184 contrari. Nel dibattito in aula, il ministro Togni ha smentito le voci, apparse su alcuni quotidiani nei giorni precedenti, di un possibile aumento degli introiti pubblicitari Rai. Il canone subisce un lieve aumento per effetto dell'applicazione dell'iva. (Corriere della Sera 8/2/1974; La Stampa 8/2/1974).
28 febbraio 1974: Teleabruzzo viene diffidata dalla questura di Pescara a trasmettere un dibattito sul divorzio che si terrà nell'aula magna dell'università alla presenza tra gli altri di Marco Pannella e Mauro Mellini. L'idea di Veniero De Giorgi, responsabile dell'emittente, era quella di registrare il dibattito e di trasmetterlo pubblicamente, attraverso una videocassetta collegata ad un lettore, su un apparecchio televisivo posto in Piazza della Rinascita. La diffida da parte della questura è fatta sulla base del decreto Gioia che vieta le trasmissioni via cavo. Divampa la polemica ripresa dai giornali. La Stampa del 14 marzo riferisce che i funzionari della questura non si sono mossi per ragioni politiche come era stato detto, ma semplicemente sulla base di ordini provenienti da Roma. Secondo quanto dichiarato da un anonimo interlocutore, in questura arrivò un telegramma proveniente dal ministero delle Poste con il quale si dava notizia delle intenzioni di De Giorgi. De Giorgi dichiarò ai funzionari della questura di non voler recedere dalle sue intenzioni. E così si arrivò al sequestro. De Giorgi, in una dura intervista rilasciata all'Europeo il 28 marzo, rivela che sapendo del sequestro, in Piazza della Rinascita mise in onda una cassetta con alcune interviste raccolte in margine al dibattito. La cassetta completa andò in onda su un emittente via cavo di Napoli, senza che nessuno dicesse o facesse niente. De Giorgi fa rilevare come le motivazioni che hanno portato al sequestro siano state pretestuose. La trasmissione in piazza infatti non venne effettuata tramite cavi coassiali, ma mediante video cassetta. L'unico cavo esistente serviva per l'alimentazione della corrente elettrica. (La Stampa 1/3/1974; La Stampa 14/3/1974; L'Europeo 28/3/1974).
marzo 1974: I radicali propongono un referendum per la libertà di antenna, al fine di abrogare le norme che vietano la TV via cavo. (L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi; Panorama 27/6/1974).
3 aprile 1974: IL Giorno da la notizia che i partiti di centro sinistra hanno trovato un accordo su quattro punti della riforma Rai. I punti riguardano il decentramento operativo e produttivo da parte delle diverse sedi, la regolamentazione del diritto d'accesso, (riconosciuto a partiti e associazioni religiose o culturali espressione della società civile), i compiti della Commissione Parlamentare di Vigilanza ( esprime parere sui nomi che il presidente del Consiglio proporrà per
la presidenza, stabilisce i criteri del diritto di accesso, formula indirizzi generali sul contenuto dei messaggi pubblicitari, esprime parere sul consuntivo annuale delle gestione economica), sull' inserimento di rappresentanti delle regioni nel CDA dell'azienda (le regioni avrebbero il 10% delle azioni della società e 5 consiglieri. Nel cda siederebbero anche rappresentanti dei sindacati oltre a quelli di nomina governativa e a quelli designati dall'IRI, per un totale di 25-26 membri). Quest'ultimo punto, in particolare non troverà conferma nell'accordo definitivo stipulato qualche mese dopo. (Il Giorno 4/4/1974).
11 aprile 1974: Il repubblicano Bogi, nell'intento di garantire il pluralismo dell'informazione televisiva, propone di dare settimanalmente spazio a programmi della durata di 15-20 minuti realizzati dai quotidiani italiani più rappresentativi. Le testate verranno scelte dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza. (Panorama 11/471974; Il Mondo 13/4/1974).
30 aprile 1974: I partiti, al termine di due settimane di incontri ufficiali e non, raggiungono un accordo di massima sula riforma della Rai. Su richiesta di De Martino (PSI) si sono svolti una serie di incontri tra i rappresentanti della maggioranza per arrivare alla riforma dell'ente. Il punto di partenza del confronto è rappresentato dal progetto elaborato dall'on. Restivo. I partiti su richiesta del PSI e
del PRI decidono la creazioni reti e testate giornalistiche separate per ogni canale radiofonico e televisivo. Il governo s'impegna a prorogare per decreto la convenzione Stato-Rai fino al 30 novembre. L'intesa è contenuta in un protocollo di gestione che prevede la nomina di un presidente socialista, uno o più vice presidenti, un direttore generale democristiano (lo stesso Bernabei) e la soppressione della carica di amministratore delegato. Gli organismi dirigenti previsti sono: 1) Comitato Nazionale, in carica per tre anni e composto da 27 membri, 7 nominati dalla Commissione Parlamentare di Vigilanza per rappresentare le minoranze; 7 eletti dal Parlamento sulla base di tre nominativi indicati da ogni Consiglio Regionale; 7 di nomina governativa; 3 designati dai sindacati e altri 3 dalle organizzazioni nazionali degli imprenditori e lavoratori autonomi. Il Comitato riferisce alla Commissione Parlamentare ed esamina le richieste di accesso. 2) Consiglio Di Amministrazione. Sarà composto da 15 membri: 9 saranno designati, dall'IRI, 6 nominati con decreto presidenziale su proposta del Presidente del Consiglio il quale dovrà scegliere tra una rosa di 12 nomi designata dalla Commissione Parlamentare. Nel CDA, dovrebbero sedere 7 rappresentanti Dc, tre del Psi, 2 socialdemocratici, 2 del PSDI uno ciascuno per PRI, PLI, PCI. Il CDA nomina il presidente e il direttore generale. L'accordo prevede anche che la nuova convenzione preveda la costruzione di una terza rete TV della Rai. I primi commenti di alcuni quotidiani e dei principali settimanali( che escono la settimana precedente) sono di segno negativo. Prima ancora di essere varata la Riforma non piace. (Il Giorno 1/5/1974; L'Unità 1/571974; La
Stampa 1/5/1974; Corriere della Sera 1/5/1974).
30 aprile 1974: La Corte di Giustizia della Comunità Europea deposita la sentenza relativa alla causa intentata da Telebiella. Il giudizio è secco. Il monopolio televisivo in Italia non contrasta con le leggi del trattato di Roma riguardanti la libera circolazione delle merci. Telebiella aveva sostenuto che il monopolio Rai sulle
trasmissioni di messaggi pubblicitari contravenisse ai regolamenti comunitari. Nel secondo punto del dispositivo della sentenza si legge che " la circostanza che in uno Stato membro, un impresa sia titolare del diritto esclusivo di trasmettere messaggi pubblicitari televisivi, non è di per sé incompatibile con la libera circolazione dei prodotti di cui gli stessi messaggi mirano ad incrementare il commercio" Si afferma inoltre che "l'art. 37 del Trattato si riferisce agli scambi di merci e non può applicarsi al monopolio dei servizi". Il dispositivo al terzo punto ribadisce che "l'esistenza di un monopolio a favore di una impresa cui uno Stato membro abbia conferito ai sensi dell'art. 90, determinati diritti esclusivi, come pure l'estensione di tali diritti, conseguente a un nuovo intervento di detto Stato, non è incompatibile con l'art. 86 del Trattato". Frase questa che si riferisce all'estensione del monopolio alla TV via cavo. L'avvocato italiano definisce illiberale la sentenza. Telebiella aveva sostenuto davanti alla Corte che il monopolio Rai era in contrasto con gli art. 2, 3, 37,86 e 90 del Trattato di Roma. Articoli relativi alla libera circolazione delle merci nei paesi CEE e al divieto di sfruttare abusivamente una posizione di mercato. Amarezza e rammarico a Telebiella. Giuseppe Sacchi non rilascia commenti e l'ultima speranza è affidata al giudizio della Corte Costituzionale. (La Stampa 1/5/1974).
18 maggio 1974: Sandro Fontana, assessore alla cultura e informazione della Regione Lombardia, rispondendo ad una lettera di un lettore di Epoca, esprime il suo dissenso rispetto al progetto di riforma della RAI. Fontana la definisce una operazione gattopardesca, che di fatto esclude le regioni e che mortifica anche il principio del diritto di acceso. Ricorda che la Regione Lombardia aveva inviato al Parlamento un suo progetto di legge e che le Regioni avevano formulato insieme una proposta articolata in 7 punti. 1) Conferma del monopolio pubblico. 2) Creazione di un ente pubblico in luogo dell'IRI. 3) Presenza delle Regioni nella gestione del nuovo ente televisivo e rifiuto del ghetto della terza rete. 4) Derivazione degli organi direttivi dell'ente dalle assemblee regionali: Parlamento e Consigli regionali. 5)
Autonomia professionale dei giornalisti e degli operatori televisivi. 6) Larga applicazione del diritto di accesso per associazioni culturali, sociali e religiose. 7) Controllo pubblico delle trasmissioni via cavo e facoltà delle Regioni, nei limiti del loro territorio di provvedere alla realizzazione dei programmi. (Epoca 18/5/1974).
7 giugno 1974: Un decreto del ministro delle Poste Togni, intima la chiusura entro tre giorni dei ripetitori che irradiano programmi a colori delle TV estere. Il ministero dispone la chiusura sulla base dell'art. 195 del Testo Unico in materia di telecomunicazioni, approvato con decreto presidenziale del 29 marzo 1973 n.156. L'iniziativa nelle intenzioni del ministro, è stata intrapresa per evitare manovre speculative in vista dei mondiali di calcio. Manovre tendenti a realizzare vistosi guadagni tramite la vendita di apparecchi televisivi a colori, in contrasto con le direttive espresse sulla TV a colori dal Parlamento e dal Cipe. Le televisioni che irradiano programmi a colori sono la TV svizzera e Capodistria. Il PCI contesta il metodo e per bocca dell'on. Dario Valori, sostiene che la materia deve essere regolamentata dal Parlamento. Al riguardo presenta anche una interrogazione parlamentare. Al divieto sfugge la Val D'Aosta che il 27 aprile dello stesso anno ha siglato una convenzione con Rai e Governo, in base alla quale nella regione è possibile ricevere programmi in lingua francese. Il provvedimento riguarda principalmente l'Italia del nord, dove il segnale delle emittenti oscurate è captabile da diverso tempo. L'ANIE, l'associazione dei costruttori TV, protesta sostenendo che potrebbe verificarsi un crollo nelle vendite degli apparecchi TV. Il provvedimento è giudicato impopolare da buona parte della stampa. Di fatto si apre un altro fronte nella battaglia per la rottura del monopolio. L'Europeo del 20 giugno avanza un sospetto: il decreto Togni non è altro che la vendetta democristiana per il modo con il quale si sono comportate le TV straniere in occasione del referendum sul divorzio. E in un numero successivo scrive che quattro milioni di italiani vedevano la TV svizzera. (L'Unità 11/6/1974; L'Unità 12/6/1974; L'Unità 14/6/1974; Rinascita
14/6/1974; La Stampa 15/6/1974; Settimana Extra 15/6/1974; L'Espresso 16/6/1974; L'Europeo 20/6/1974; Panorama 20/6/1974; Borghese 23/6/1974; L'Europeo 27 giugno 1974).
15 giugno 1974. Si tiene ad Aosta un convegno sulla riforma della Rai e la partecipazione delle regioni. Le regioni contestano il monopolio della Rai, e approvano una risoluzione nella quale chiedono di partecipare direttamente alla gestione dell'ente televisivo attraverso l'acquisizione di una quota del pacchetto azionario, di proceder realmente al decentramento produttivo dei programmi, di poter liberamente installare ripetitori per ricevere programmi dall'estero, di avere poteri in materia di disciplina della TV via cavo. Chiedono inoltre garanzie di legge per impedire la formazione di poteri oligarchici all'interno dell'ente radiotelevisivo e precise indicazioni sulle strutture e l'autonomia dei tg previste nel progetto di riforma. (La Stampa 16/6/1974; Corriere della Sera 16/6/1974; Corriere della Sera 17/6/1974, L'Unità 17/6/1974).
17 giugno 1974: I socialisti presentano un progetto di legge di un solo articolo che riguarda i ripetitori. " L'installazione di apparecchi ripetitori di ricezione e di trasmissione al pubblico di programmi televisivi stranieri non è soggetta da alcuna autorizzazione. Chi effettua tali impianti deve, prima di attivarli, darne comunicazione al ministro delle Poste e Telecomunicazioni, con lettera raccomandata,
indicando le generalità del titolare e la localizzazione dell'impianto". (Corriere della Sera 18/6/1974)
24 giugno 1974. Un ingiunzione del ministro Togni impone a Teletorino, emittente via cavo che opera nel quartiere Europa, di spegnere i trasmettitori. Teletorino è nata nel 1973. Inizialmente trasmetteva con dei televisori in piazza San Carlo ed in altre zone della città. E' gestita da una società la Hibla, ed ha una particolarità. Ha un permesso ufficiale, come un giornale, un editore, un direttore responsabile, Bruno Faussone ed una precisa politica: diventare un agenzia d'informazione regionale. In
u intervista all'Europeo del 11 luglio, Silvano Alessio, il promotore di Teletorino, afferma che l'emittente è collegata con 9.000 televisori. Spiega che sulla TV via cavo esiste una disinformazione generale riguardo ai costi, che sono elevati. Disinformazione che giova ai grandi gruppi, pronti, una volta aperta la strada, a entrare con prepotenza nel mercato. Alessi auspica TV via cavo che si sviluppino nella direzione di un decentramento regionale. E nonostante Togni continua a trasmettere. (L'Espresso 7/7/1974; L'Europeo 11/7/1974).
28 giugno 1974. Si conclude a Pescara il primo congresso della Fiet, la Federazione italiana editori via cavo. Viene nominato Presidente Veniero De Giorgi di Teleabruzzo e accanto a lui vengono nominati sei consiglieri. Il documento conclusivo dei lavori auspica l'acceso alla TV via cavo da parte di tutti i cittadini a fianco del pubblico potere, per un confronto vitale e costruttivo. (La Stampa 29/6/1974).
8 luglio 1974: Tra il 3 ed il 5 luglio molti quotidiani anticipano la notizia circa un pronunciamento favorevole della Corte Costituzionale, riguardo la TV via cavo e la liberalizzazione dei ripetitori delle TV straniere. Prima ancora di apprendere con certezza la notizia, La Discussione, settimanale della Dc, manda in stampa un durissimo articolo, contro la decisione della Corte sui ripetitori. Non abbiamo nulla contro il colore, scrive il periodico, ma non si può accettare che grandi gruppi privati eludano le direttive del Parlamento e del CIPE sul colore, vendendo una grande quantità di apparecchi che adottano il sistema PAL. Si tratta, di un condizionamento del mercato e si pone una ipoteca sulle future scelte del Parlamento. Insomma si è in presenza di una vera e propria aggressione, confermata dal fatto che queste emittenti mandano in onda programmi in lingua italiana. Cosa questa che costituisce una vera e propria rottura del monopolio della televisione nel nostro paese. La Discussione ritiene incomprensibile il progetto di legge del PSI sui ripetitori, così come le dichiarazioni di Craxi, che aveva definito illiberale l'operato di Togni (vedi
Panorama del 20/6/1974). "Accettare i ripetitori abusivi - si legge nell'articolo - significa rinunciare alla prospettiva di un terzo canale tv...significherebbe anche la peggiore delle liberalizzazioni TV: gruppi privati punterebbero sulle TV straniere, senza alcun controllo e per fini di speculazione commerciale". Per quanto riguarda il cavo è illusorio pensare, secondo il settimanale, che possa costituire una alternativa alla TV via
etere, visti i costi che sono proibitivi. E auspica uno sviluppo del cavo in dimensione locale. Ma allora perchè non prevedere fin da ora l'assegnazione delle concessioni alle regioni, al fine di evitare il rischio di concentrazioni monopolistiche? (La Discussione 8/7/1974).
10 luglio 1974. E' una giornata decisiva nella storia della televisione in Italia. La Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi dalle questioni poste da 20 ordinanze di rinvio poste da diverse autorità giudiziarie, circa la violazione degli art.21, 41 e 43 della Costituzione, per contrasto con le norme che sanciscono il monopolio statale della TV, emette due sentenze la 225 e la 226. La prima sentenza stabilisce che il monopolio statale sulla TV via etere è legittimo solo in presenza di una legge di riforma della Rai che garantisca il pluralismo e l'obiettività dell'ente. "In assenza di una disciplina legislativa -è scritto nella sentenza - il mezzo radiotelevisivo rischia di essere uno strumento a servizio di parte e non certo della collettività". La Corte non esprime un giudizio sulla gestione del mezzo ma si limita ad indicare sette "condizioni minime necessarie perchè il monopolio statale possa essere considerato conforme ai principi costituzionali". Queste condizioni sono: 1) Gli organi dirigenti della Rai non devono essere espressione esclusiva e preponderante del potere esecutivo e la loro struttura deve essere tale da garantire l'obiettività. 2) le direttive devono garantire che tutti i programmi, d'informazione e non, siano improntati a criteri di imparzialità. 3) Il Parlamento deve avere poteri per la concretizzazione ed il controllo di tali direttive. 4) I giornalisti televisivi devono essere posti in condizioni tali
da veder garantita la propria autonomia. 5) La pubblicità deve essere limitata per non arrecare pregiudizio alla libera stampa. 6) Deve essere stabilita la garanzia del diritto di accesso a gruppi politici, religiosi e culturali presenti nella società. 7) Obbligo di rettifica di tutte le notizie inesatte trasmesse da radio e TV. Nella stessa sentenza si stabilisce che le norme che vietano la ritrasmissione in Italia di programmi esteri sono da considerarsi illegittime. "L'esclusiva statale per cui sono vietati i ripetitori di trasmittenti straniere, si legge nella sentenza, sbarra la via alla libera circolazione delle idee, compromette un bene essenziale della vita democratica, finisce per realizzare una sorta di autarchia nazionale delle fonti di informazione". Nella sentenza 226, la Corte affronta il problema delle TV via cavo. Riconosce la libertà di trasmissione per i privati in ambito locale. Ribadisce le ragioni del monopolio per le trasmissioni in circuito nazionale o comunque la di fuori di tale ambito. La Corte rileva che il pericolo di formazione di oligopoli nel settore via cavo non è così grave e comunque non è diverso da quello esistente per la stampa. Positive le reazioni dei partiti. Con toni e sfumature diverse, tutti gli esponenti dei partiti intervistati ( La Malfa, Orlandi, Fanfani, Valori, Giomo) sottolineano la necessità di procedere nella direzione indicata dalla Corte: Riforma della Rai quindi, ma anche legge
di regolamentazione delle TV via cavo e regolamenti per i ripetitori delle TV straniere. Entusiasta l'ex presidente della Corte costituzionale, Giuseppe Branca, il quale afferma: "Avrei voluto essere io il presidente che ha emanato la sentenza". I settimanali, a partire dalla settimana successiva alla decisione della Consulta, riprendono la notizia dandogli ampio spazio. Su Panorama del 18 luglio, Giuseppe Sacchi dichiara che porre le TV via cavo sotto il controllo delle regioni, aumenta il rischio di condizionamento politico da parte dei partiti. Eloquente il titolo scelto da Settimana Radio-Tv: "La Rai sconfessata. Ha vinto la libertà". Anche l'Espresso affronta l'argomento ripercorrendo le tappe di tutta la vicenda. Ma il settimanale
tocca subito uno dei problemi lasciati aperti dalla sentenza. Le TV via cavo hanno un costo molto elevato ( a Milano occorrerebbe una spesa di 10 miliardi. La stazione per essere autosufficiente economicamente dovrebbe avere 179.000 abbonati) ma in realtà si potrebbe tranquillamente trasmettere via etere. L'Italia non dispone infatti dei 26 canali dichiarati e utilizzati per ripetere il segnale Rai, ma di complessivi 56 canali. Se la Rai usasse i cavi coassiali da un ponte all'altro, con le bande residue si potrebbero impiantare numerose emittenti locali. Scalfari, ex direttore del settimanale, in un piccolo fondo non cela la sua soddisfazione, ricordando che lui stesso aveva sollevato il problema del monopolio TV in un articolo, oramai divenuto storico, intitolato "E ora libertà di antenna". Su Giorni Vie Nuove Davide Lajolo, deputato comunista, dichiara che le decisioni della Corte sul monopolio, "non è che la ripetizione di quanto andiamo chiedendo da almeno vent'anni". E continua, sostenendo che il nodo oggi è la riforma della Rai. Scrive Lajolo "Il tempo prenderà alla gola il Parlamento, sovrastato da due precisi pericoli: il primo è che la Dc e chi sta insieme nel governo e nella cosiddetta lottizzazione della Rai TV, riescano a ricucire una riforma strangolata che lasci ancora la televisione nelle mani governative. Il secondo, più serio ancora, che i gruppi capitalistici privati che lavorano da tempo per la rottura del monopolio, aiutati anche da qualcuno all'interno dell'ente, riescano finalmente nello scopo". L'avvocato Alberto Dall'Ora, il legale di Telebiella, afferma sulle pagine dell'Europeo (25 luglio) che " la sentenza della Corte, là dove proibisce la TV cavo nazionale, ha impedito in pratica la nascita della STET, del gruppo Fanfaniano. (La Stampa 10/7/1974; Corriere della Sera 10/7/1974; L'Unità 11/7/1974; la Stampa 11/7/1974; Panorama 18/7/1974; Settimana Radio TV 20/7/1974; Epoca 20/7/1974; Espresso 21/7/1974; Giorni Vie Nuove 24/7/1974; Oggi 24/7/1974; L'Europeo 25/7/1974).
14 luglio 1974: L'Espresso denuncia che la Rai, in tempi di crisi e austerity per tutto il paese, è riuscita ad incrementare il suo fatturato pubblicitario. E questo, nonostante
le condizioni imposte dai partiti della maggioranza che per la gestione 1974, avevano stabilito che non sarebbe stato superato il tetto del 4% dell'orario complessivo delle
trasmissioni e che le tariffe e il numero degli inserti sarebbe rimasto uguale al 1973. Rassicurazioni erano state date anche dal ministro delle Poste. In realtà, secondo il settimanale, la Rai ha realizzato 3 miliardi e 600 milioni in più di fatturato pubblicitario. Cifra rastrellata dalla Sipra, per contratti all'interno delle reti radiofoniche. La Rai ribatte che nei primi quattro mesi dell'anno l'azienda è rimasta sotto la media prevista e che dunque si tratterebbe di un adeguamento in corsa. L'Espresso poi fa una serrata analisi dei diversi escamotage usati dall'azienda per incrementare le entrate pubblicitarie. (L'Espresso 14/7/1974).
19 luglio 1974: A Pescara si riuniscono le emittenti della FIET, la Federazione editori Via Cavo. Vi aderiscono 17 società che controllano 32 emittenti cittadine. La Fiet si "contrappone" alla Rete A 21, l'associazione di Giuseppe Sacchi, alla quale aderiscono 5 stazioni. Entusiasmo tra partecipanti per le decisioni della Corte. La proposta elaborata da Veniero De Giorgi, il presidente della FIET, consiste nella creazione di una finanziaria che veda appunto la partecipazione mista di enti locali, sindacati associazioni ed editori privati con una cooperativa di gestione indipendente dalla proprietà, che realizzi i programmi e l'informazione. La proposta viene illustrata ampiamente in una lunga intervista rilasciata da De Giorgi e pubblicata sull'Europeo del 1 agosto. ( Tempo 26/7/ 1974; Tempo 2/8/1974; L'Europeo 1/8/1974).
20 luglio 1974: Si conclude il processo a carico di Veniero De Giorgi (vedi 28 febbraio 1974). Il verdetto è di assoluzione. (L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
29 luglio 1974: Alla Discussione la decisione della Corte Costituzionale sulla libertà di installazione dei ripetitori stranieri non è andata proprio giù. Già prima di conoscere il testo della sentenza, sulla base di indiscrezioni raccolte dai quotidiani, il
settimanale democristiano, aveva mosso rilievi e critiche alla decisione della Consulta. Il settimanale sostiene che la decisione della Consulta è giusta. Ma nel nostro paese sono all'opera gruppi privati che installano ripetitori non per trasmettere i programmi delle TV straniere, ma per irradiare trasmissioni destinate al pubblico italiano e finanziate con pubblicità italiana. In sostanza, secondo La discussione, nasce ila TV commerciale a colori e inizia a tramontare di fatto il concetto di TV come servizio pubblico. Le conseguenze sono di carattere economico (creazione di oligopoli, spostamento di risorse finanziare all'estero per pagare la pubblicità) e politico (limitazione della sovranità dello Stato sule bande di frequenza ad esso assegnate). E invita a discutere ed ordinare in Parlamento la materia. La discussione 29/7/1974).
1 agosto 1974: Panorama annuncia che molto presto sugli schermi delle TV via cavo appariranno programmi prodotti dalla Polivideo, società controllata da un gruppo fondatore di finanzieri svizzeri, dalla TV svizzera con il 10% delle azioni e dalla Mondadori con il 20%. La Mondadori, proprio per questo, avrebbe creato una divisione audiovisivi. (Panorama
1/8/1974).
4 agosto 1974: a partire dall'8 ottobre 19 emittenti via cavo trasmetteranno contemporaneamente sotto la sigla di Rete A 21. ne da notizia Sorrisi e Canzoni, che intervista Giuseppe sacchi. Il circuito si finanzierà con la sola pubblicità. accanto al palinsesto comune, ogni stazione potrà produrre programmi per la realtà locale nella quale opera. (Sorrisi e Canzoni TV 4/8/1974).
15 agosto 1974. Panorama rivela che indiscrezioni prima e un breve accenno di Fanfani poi, fanno ritenere che la Dc abbandoni l'idea del monopolio TV e si prepari a garantire la liberalizzazione delle trasmissioni televisive. Tutti i politici intervistati considerano la sortita come un ricatto rispetto alla riforma Rai. Il ragionamento attribuito ai dc è molto semplice. O fate la riforma sulla base degli accordi già presi,
senza grandi rivoluzioni, o noi appoggiamo l'iniziativa privata, tanto più che troveremmo sicuramente qualcuno disposto ad impiantare per noi un emittente. Si tratta naturalmente di ipotesi e di segnali, anche perchè le posizioni espresse negli articoli sulla Discussione sono molto chiaramente orientate verso la difesa del monopolio. (Panorama 15/8/1974).
5 agosto 1974. Un film a colori di poche pretese, "La Città Del Sole". E trasmissioni ricevibili da poche centinaia di telespettatori tra Ventimiglia e Bordighera. Telemontecarlo inizia in sordina le sue trasmissioni in italiano, annunciandole subito dopo il film. I piani sono ambiziosi: arrivare a coprire tutta la costa tirrenica grazie ad un ripetitore collocato in Corsica. Controllano l'emittente monegasca, Europa 1 stazione radio di Parigi (27,5%), la Publicis, società francese di pubblicità (22%), il Principato di Monaco (18,5%9 e il costruttore aeronautico Marcel Dassault (18,5%). La pubblicità italiana è raccolta dalla Opus Proclama, società del gruppo SPE. (Panorama 22/8/1974).
5 agosto 1974: Una calda sera d'estate. A Firenze tremila persone assistono alla prima trasmissione via etere di una TV italiana diversa dalla Rai. L'emittente si chiama Firenze Libera e subito viene ribatezzata TV pirata. Il programma che va in onda è un documentario di 40 minuti sulla liberazione di Firenze. Intervengono il sindaco Luciano Bausi, Lelio Lagorio, presidente della Regione, Carlo Ludovico Ragghianti, presidente del CNL toscano, e Luciano Tassinari, presidente della Provincia. Per ricevere Firenze Libera basta avere un antenna capace di ricevere Capodistria. L'Espresso cita, nel corso di un articolo che fa il punto della situazione all'indomani della sentenze della Corte Costituzionale, la frase di Fanfani relativa al monopolio (vedi 15 agosto 1974)." L'idea che la Dc sia aprioristicamente per il monopolio è uno dei tanti luoghi comuni che spetta a noi sottoporre a verifica e a critica, nel ricordo coerente dei nostri principi ed in una visione corretta della realtà". (l'Espresso 25/8/1974).
21 agosto 1974. Dario Natoli sull'Unità svolge un a lunga analisi sulla televisione via cavo e su i suoi possibili sviluppi. E alla fine ipotizza uno scenario dominato da grandi gruppi privati che potrebbero di fatto aggirare Parlamento e istituzioni, minando con il loro comportamento la stessa riforma della Rai. In che modo? Semplice. Secondo Natoli basta che i segnali delle TV straniere siano ricevuti a livello locale dalle stazioni via cavo. Queste sarebbero in grado di offrire programmi competitivi, riducendo fortemente i costi. A quel punto è pensabile che gruppi italiani o stranieri partano alla conquista delle stazioni locali costituendo una vera e propria rete. (L'Unità 21/8/1974).
14 settembre 1974: Il governo annuncia che il ministri Togni presenterà a breve due disegni di legge per regolamentare la TV via cavo (Corriere della Sera 15/9/1974; Il Giorno 15/9/1974).
19 settembre 1974: Firenze Libera manda in onda la sua seconda trasmissione. Si tratta di un programma sulle libertà al quale partecipano Marco Pannella, Padre Balducci, Valdo Spini, l'on. Speranza (DC), Giovanni Lombardi della redazione fiorentina dell'Unità. Moderatore Enzo Tortora. L'Unità nel dare la notizia, annuncia l'inizio ufficiale delle trasmissioni regolari dell'emittente. I responsabili della società dichiarano che intendono finanziarsi solo attraverso la pubblicità, evitando ogni tipo di condizionamenti esterni. Panorama del 3 ottobre precisa che l'inizio delle trasmissioni regolari è fissato al 3 ottobre. (L'Unità 20/9/1974; Panorama 3/10/1974). 20 settembre 1974: Il ministro Togni denuncia Firenze Libera alla luce dei nuovi principi indicati dalle sentenze della Corte Costituzionale. Secondo il ministro l'iniziativa di Firenze Libera appare in contrasto con la riaffermata legittimità della riserva allo Stato delle radio diffusioni. (L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
21 settembre 1974: Convegno a Rimini su "l'informazione e la costruzione dello stato regionale". Le Regioni sollecitano la riforma della Rai. Auspicano un sistema di
regole per garantire che l'apporto dei privati attraverso reti territorialmente limitate e non collegate tra loro serva a garantire il pluralismo dell'informazione. Le Regioni si candidano a diventare il punto di riferimento per una produzione culturale e informativa rispetto a quella di derivazione nazionale, per la dimensione e la diversità degli interessi rappresentati e non per pura e semplice contrapposizione. (Il Giornale Nuovo 22/9/1974).
24 settembre 1974: Hanno inizio le trasmissioni di Telemilano cavo. La stazione appartiene a Silvio Berlusconi. Ne sono responsabili Alceo Moretti e Giacomo Properzi. I finanziamenti provengono dalla Polivideo. (L'emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
1 ottobre 1974: A Genova inizia a trasmettere Tele Superba. Per la prima volta in Italia manda in onda un programma a colori. Le cronache riferiscono la nascita di altre stazioni, molte delle quali risultano in realtà, come testate. Tele Superba sarà denunciata nel giro di pochi giorni dal ministro delle Poste Togni. (L'emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
14 ottobre 1974. Si costituisce a Viareggio L'Anti, (associazione nazionale delle teleradiodiffusioni indipendenti) Ne fanno parte 24 emittenti ed è presieduta dall'avvocato Porta, dall'avvocato Mucci, e dal ragionier Alessi. L'ANTI è la prima vera associazione di categoria. (L'Emittenza privata in Italia dal 1956 ad oggi).
11 ottobre 1974. Indetto ed ospitato dalla Regione Lombardia ha inizio un convegno denominato "Forze politiche, Regioni e sindacati di fronte all'imminente riforma del monopolio TV". Dal dibattito emergono due indicazioni. Si al monopolio, purchè vi sia una reale garanzia di pluralismo, decentramento produttivo e ideativo, autonomia degli operatori e dei giornalisti. E maggior partecipazione delle Regioni, necessaria secondo l'assessore all'informazione della Regione Lombardia, Fontana per impedire in sede locale, la formazione di monopoli o oligopoli. (Corriere della Sera 12/10/1974; Il Giorno 13/10/1974).
27 ottobre 1974: Il Giorno rende noto il contenuto dello schema del disegno di legge presentato da Togni per regolamentare il cavo. Si tratta di 16 articoli che riservano al governo il rilascio di concessione per tramettere in ambito locale in presenza di numerosi requisiti individuali e tecnici richiesti ai soggetti che intendessero operare nel settore. Le autorizzazioni scadono dopo 10 anni ma sono suscettibili di rinnovo. Per i particolari si rimanda all'articolo. (Il Giorno 27/7/1974).
4 novembre 1974: Il 1974 sarà ricordato come l'anno dei convegni sulla televisione. Convegni importanti, e incontri quasi informali si succedono rapidamente. A Saint Vincent, però si danno appuntamento i rappresentanti delle due associazioni di editori via cavo, La FIET, (definiti dalla Stampa come politicizzati) e Rete A 21 che fa capo a Telebiella (i disimpegnati) e i rappresentanti dei partiti. Gli editori chiedono il riconoscimento della funzione pubblica che le emittenti svolgeranno con criteri privatistici, la pubblicità dei bilanci, rapporti privilegiati con gli enti locali, definizione degli apporti pubblicitari e del numero di collegamenti possibili con gli utenti. Il PRI sostiene che non tutte le richieste potranno essere oggetto di regolamentazione. Il PCI si dichiara favorevole all'iniziativa privata, in ambito locale, delegando alle Regioni la regolamentazione di attività che abbiano un raggio d'azione più vasto. Preoccupato per i risvolti finanziari della questione cavo, il PSI sollecita la creazione di società a capitale misto, pubblico privato, per la gestione delle stazioni. Il PSDI è favorevole sia al cavo che alla TV via etere in presenza di regolamentazione. Per la Dc, presente nella persona del sindaco di Torino, la questione cavo andrebbe ricondotta direttamente alle Regioni. (La Stampa £/11/1974; La Stampa 5/11/1974).
7 novembre 1974: Televisione via cavo anche in uno dei quartieri storici della capitale. Panorama da notizia della nascita di Teletrastevere. L'iniziativa vede coinvolti tra gli altri, il regista Nanni Loy e l'attrice Paola Pitagora.
(Panorama 7/11/1974).
15 novembre 1974: Inizia le trasmissioni Qui Telemodena. Le trasmissioni sono via
etere ma i responsabili si dichiarano pronti ad operare via cavo. La TV dichiara apertamente la sua vocazione locale, "anche se non provinciale". (Tempo 22/11/1974).
22 novembre 1974: "Togni pronto a sferrare un attacco alle TV private" titola il Corriere della Sera. Secondo indiscrezioni raccolte nella Capitale - scrive il quotidiano milanese - il ministro ha convocato il presidente della Rai, Delle Fave e il direttore tecnico, chiedendogli di occupare immediatamente le due bande di frequenza rimaste ancora inutilizzate, delle quattro assegnate all'Italia. L'iniziativa tende a bloccare il sorgere di emittenti via etere o l'eventuale connessione di quelle esistenti. Facendo occupare le due bande libere, il ministero potrà, senza attendere il giudizio della magistratura, abbattere sulla base dell'art 240 del codice postale, le attrezzature delle emittenti private che inevitabilmente finirebbero per disturbare la Rai. (Corriere della Sera 22/11/1974).
28 novembre 1974: Veniero De Giorgi, presidente della FIET ed editore di Teleabruzzo, cita in tribunale per violazione del diritto di informazione Franco Carraro, presidente della Lega Calcio professionisti e Ugo Cestani, presidente della Lega calcio semiprofessionisti. La Lega Calcio aveva impedito l'ingresso negli stadi alle TV via cavo, ritenendo lo spettacolo come non riconducibile al diritto di cronaca. Per De Giorgi, si tratta di un arbitrio, di un abuso che impedisce la libertà di informazione. La Lega ha un contratto con La Rai per un importo di 860 milioni, a fronte della concessione del diritto di ripresa delle partite dei diversi campionati. L'impresa di De Giorgi, sembra impossibile. Una sentenza della Cassazione, risalente al 1963 dice che "il CONI, nell'ambito dei recinti cui si accede mediante biglietti di ingresso (stadi, teatri, campi sportivi, piscine ecc) può inibire, o condizionare al suo assenso, le riprese fotografiche o cinematografiche da parte degli spettatori, siano essi semplici dilettanti o professionisti. (Panorama 28/11/1974).
30 novembre 1974: I partiti trovano l'accordo sulla Riforma della Rai. Un provvedimento atteso da molti anni, che la decisione della Corte Costituzionale e prima ancora la serrata battaglia politica sul cavo, non hanno reso più differibile. L'accordo in realtà è stato molto travagliato. Più volte nel corso degli incontri, le delegazioni dei partiti hanno minacciato di abbandonare il tavolo della trattativa. Il governo ha varato in extremis il decreto legge per la riforma dell'ente, visto che la convenzione Stato-Rai scadeva proprio il 30 novembre. La riforma prevede la separazione dei due canali TV esistenti e la creazione di altrettante testate giornalistiche. Le reti radiofoniche saranno tre e tre saranno i gr. Circa un ora al giorno dei programmi radio-tv saranno riservati ai movimenti politici non rappresentati in Parlamento ed alle minoranze linguistiche, culturali e religiose. E' prevista l'istituzione di una tribuna stampa per
i giornali quotidiani che non siano organi di partito. I nuovi poteri sull'ente sono distribuiti tra Commissione Parlamentare di Vigilanza, Comitato nazionale e Consiglio di Amministrazione. La Commissione Parlamentare formulerà gli indirizzi dei programmi e i piani di massima annuali; i piani per il diritto di accesso; il parere sulla gestione economica, i programmi delle tribune: politica, sindacale, elettorale e stampa. La Commissione è composta da deputati e senatori in misura proporzionale ai gruppi parlamentari. Il Comitato nazionale per la radio e la televisione da direttive sui programmi e la gestione dell'ente; approva i programmi trimestrali; esercita il controllo sulle società concessionarie definisce i criteri per gli investimenti e le spese. Si compone di 21 membri: 10 letti dalla Commissione Parlamentare (di cui 5 fra i designati dalle regioni), 5 nominati dal governo; 3 designati dai sindacati; 3 designati dagli imprenditori. Il Consiglio di amministrazione ha il dovere di garantire il diritto di accesso, l'imparzialità dei giornalisti, dei programmisti e la molteplicità delle correnti di pensiero. Il CDA nomina il direttore generale, il quale ha la responsabilità del servizio radio televisivo nei confronti del Consiglio di Amministrazione. Sulla TV
via cavo, nell'accordo si prevede la regolamentazione di quella locale. Vietate le interconnessioni, liberalizzate le TV che hanno una fascia non superiore alle 50 utenze, anche se è vietata in questo caso la riscossione del canone e la pubblicità. La TV via cavo potrà essere installata in località o aree con non più di 150.000 abitanti( 200.000 se riferite a comuni con più di un milione di abitanti). Le autorizzazioni saranno rilasciate da Regioni e ministero delle Poste. Le decisioni sul colore e sul canone sono rimesse rispettivamente al CIPE e al governo. Autorizzati anche i ripetitori stranieri, purchè trasmettano programmi depurati dalla pubblicità. I proprietari degli impianti, saranno ritenuti responsabili in proprio in caso di violazione. Coda polemica sul decreto varato dal governo, che secondo i socialisti sarebbe stato ritoccato senza aver interpellato i socialisti in un punto che nella stesura originaria conferiva al Presidente del Consiglio il potere di richiedere trasmissioni televisive per comunicazioni al paese. Nel Testo approvato si estende tale diritto al Presidente della Repubblica, ai presidenti delle due Camere e a quello della Corte Costituzionale. Il Corriere della Sera del 3 dicembre pubblica i nomi di cento emittenti via cavo che operano in Italia. I commenti dei settimanali non sono certo favorevoli alla riforma. Titola L'Europeo "Tutto fatto all'insaputa del paese". Panorama "Zampata sulla riforma". Epoca "Un video a te un video a me" ( Il Giorno 29/11/1974; L'Unità 30/11/1974; Corriere della Sera 30/11/1974; Il Giorno 1/12/1974, Il Giornale Nuovo 1/12/1974; Corriere della Sera 1/12/1974; La Stampa 1/12/1974; L'Unità 1/12/1974; Corriere della Sera 2/12/1974; L'Unità 2/12/1974; Il Giorno 2/12/1974; La Discussione 2/12/1974; Corriere della Sera 3/12/1974; Europeo 12/12/1974; Panorama 12/12/1974; Epoca 18/12/1974).
6 dicembre 1974: Il progetto di Tele Busto Arsizio viene illustrato in una breve nota del settimanale Tempo. In luogo di diverse emittenti l'idea è quella di creare una stazione che attraverso un unica antenna trasmetta sul modello delle TV via cavo americane dieci programmi in contemporanea, lasciando anche canali riservati
all'amministrazione cittadina. (Tempo 6/12/1974).
31 dicembre 1974. Il canone Rai viene aumentato. Si passa da 12 a 17 mila lire all'anno. Il maggior introito previsto è di 80 miliardi. Alla Rai ne andranno 70. (L'Unità 31/12/1974).
...
1 gennaio 1975: Inizia a trasmettere Radio Parma, E' la prima stazione radio con un programma di emissioni quotidiane. "Il primo a gettare il guanto di sfida al monopolio della Rai-Tv è stato un agente di cambio e immobiliare di Parma, Virginio Menozzi, 41 anni, iscritto alla DC da 23. Insieme a Carlo Drapkind, socialista, ex addetto stampa del sottosegretario al Commercio Attilio Ferrari e con l'aiuto di Marco Toni, un tecnico di radiotrasmissioni che è diventato in pochi mesi il maggior esperto di radio cittadine (ne ha già progettate e fatte realizzare 12 e ne ha in cantiere altre 10) fondò Radio Parma" (Panorama 11/9/75). In precedenza, nel novembre del '74, c'era stato un esperimento dimostrativo di trasmissioni radio in modulazione di frequenza promosso dalla cooperativa "Lavoratori dell'informazione" di Roberto Faenza. Prima ancora, nel '69, Danilo Dolci aveva creato nel Belice terremotato una stazione radio clandestina (da "L'antenna dei padroni").
8 gennaio 1975: Riapre la Camera dopo la pausa di fine anno (il Senato riapre l'indomani). Fittissimo il calendario, con la discussione del decreto-legge di riforma della Rai, che dovrà essere approvato entro il 29 del mese (Unità 8/1/72). "Si farà in tempo? - si chiede Manfellotto sul Corriere - In giro c'è molto scetticismo. All'interno della maggioranza, in sede di commissione, non è stato raggiunto un accordo totale e completo (...). Al di fuori dell'area governativa liberali e comunisti hanno già pronto un pacchetto consistente di modifiche". Ma il vero percolo, scrive il Corriere, viene da destra: "Se si trattasse di una cattiva legge - ha detto il capogruppo missino De Marzio - il Msi avrebbe fatto una normale opposizione essendo il Msi favorevole alla
liberalizzazione del sistema radiotelevisivo. Trattandosi però di una legge che discrimina il Msi, l'ostruzionismo è legittimo, anzi doveroso" (Corriere della Sera 9/1/72)
9 gennaio 1972: Alla camera inizia il dibattito, segnato dall'opposizione liberale (il Pli contesta la scelta di emanare un decreto-legge) e dall'ostruzionismo del Msi, oltre che dalla "benevola attesa" del Pci. Davanti al rischio di veder decadere il decreto a causa dei franchi tiratori, il Governo si prepara anche a porre la fiducia (Stampa, Unità, Corriere della Sera, Giorno 10/1/72). E intanto è polemica sull'aumento del canone approvato alla fine del '74. "Siamo l'unico paese al mondo nel quale l'ente radiotelevisivo percepisce canoni di abbonamento e introiti dalla pubblicità, e oggi ci dicono che ciò non basta", dichiara il deputato liberale Sam Quilleri a Panorama. "E' realistico supporre - sottolinea Bogi, del Pri - che molti di questi denari andranno a coprire gli errori commessi dalle passate gestioni". Di fronte a questa situazione, spiega il comunista Valori, l'aumento del canone era inevitabile: "D'accordo. Ma per il futuro dobbiamo avere la garanzia che questi soldi siano spesi bene, e alla luce del sole. E' ora di voltare pagina". Solo così, gli fa eco Finocchiaro, Psi, "possiamo pensare che l'aumento venga accettato senza troppa rabbia dai telespettatori". Il canone era passato da 12 mila a 18.890
lire annue (Panorama 9/1/75).
10 gennaio 1975: Si affievoliscono le possibilità che il decreto possa essere approvato entro il 29 gennaio. Continua l'ostruzionismo missino, mentre i partiti della maggioranza non sembrano volersi impegnare con la necessaria durezza (La Stampa 11/1/75).
14 gennaio 1975: Il decreto legge sulla riforma della Rai è tecnicamente decaduto. La ratifica della legge non è più possibile entro il 29 gennaio e il governo si prepara a varare un nuovo testo (Corriere della Sera, Giorno, Unità 15/1/75).
15 gennaio 1975: Il Corriere della Sera pubblica, nello spazio "Tribuna aperta", un
intervento del deputato liberale Sam Quilleri, che riprende la polemica sul "numero limitato di frequenze" che è alla basa delle sentenze della Corte Costituzionale con cui si giustifica il monopolio delle trasmissioni via etere: "In Italia sono disponibili 56 canali e la Rai-Tv ne utilizza 25 con un evidente spreco si frequenze, nel senso che non sono stati usati tutti gli accorgimenti tecnici nella scelta delle frequenze stesse per i trasmettitori installati. Comunque, pur accettando questa situazione, la realtà ci dice che in Italia sono possibili almeno otto programmi nazionali. Ma ci dice anche un'altra cosa notevolmente più importante e che cioè le frequenze non si consumano, non si danno per sempre, ma si possono anzi utilizzare contemporaneamente in zone diverse. E quindi da una mappa delle frequenze, che tenga conto anche della conformazione orografica del nostro territorio e della potenza di emissione, sarebbe possibile dedurre il numero esatto delle emittenti locali via etere. Un numero assai elevato (oltre 3000), e tale comunque da consentire la possibilità in ambito regionale di almeno venti stazioni, con un costo di impianto non superiore a 200 milioni ciascuna. Mentre invece raggiungere i 40.000 utenti che la riforma pone inspiegabilmente come tetto massimo per le TV via cavo, rappresenta un costo non inferiore a 4 miliardi" (Corriere della Sera 15/1/75).
16 gennaio 1975: Durissimi giudizi da parte di De Feo alla riforma della Rai. In un'intervista all'Europeo, il vicepresidente della Rai, parlando dell'ormai certa nascita di due telegiornali, uno cattolico e l'altro laico, afferma: "Facendo questo si dà soltanto un'amplissima sfera d'influenza all'estrema sinistra. Avremo da vedere soltanto programmi comunisti, filo-comunisti o para-comunisti in un canale, e nell'altro un sedicente giornale di indirizzo cattolico, il quale in realtà sarebbe soltanto l' 'espressione di una corrente particolare della DC, quella di sinistra, che ha apertamente incoraggiato questa riforma" (Europeo 16/1/75).
18 gennaio 1975: Il consiglio dei ministri approva il decreto sulla riforma della Rai. Il testo del decreto viene inviato il 21 sera alla firma del capo dello Stato, e il 223 è
presentato alla Camera.
26 gennaio 1975: In un'intervista all'Espresso, il responsabile della sezione cultura del Psi, Beniamino Finocchiaro, affronta il tema delle TV via cavo e dei canali
via etere non utilizzati dalla Rai. Chiede Bultrini: "Che spazio si lascerà ai privati?". Risponde Finocchiaro: "I canali ancora disponibili sulla 5° banda sono in tutto 35, che dovrebbero essere assorbiti dalla 3° rete (nazionale) e dalla 4° (urbana): anche se c'è chi afferma il contrario, non ci sono altri canali liberi. Noi riteniamo che questi canali debbano essere utilizzati da organizzazioni pubbliche (enti locali, università, gruppi d'interesse generali): se qualcuno vuole lasciarli ai privati lo dica apertamente, senza ricorrere a manovre sotterranee. Lo stesso vale per la TV via cavo: il decreto permette ai privati di coprire con una sola stazione fino a 40 mila utenze, cioè città di un milione, un milione e mezzo di abitanti. Dati i costi (a Nizza, per un impianto da 50 mila utenze, si sono dovuti investire 12 miliardi) questo significa lasciare la TV cavo nelle mani di pochi monopolisti, oppure far pagare allo stato gli impianti dei privati (il noleggio dei cavi Stet-Sip non potrà mai essere remunerativo". Lo stesso giornale ospita l'intervento di Federico Federici di "Firenze Libera". E si parla ancora della disponibilità dei canali. "L'errore di fondo della corte costituzionale - spiega Federici - è di non aver voluto distinguere fra i canali disponibili su tutto il territorio dello Stato e quelli utilizzabili in sede locale. Faccio solo qualche esempio. Si dice che i canali 21 e 22 dell'UHF non sono impiegabili, mentre in Toscana sono stati impiegati tre volte il 21 e tre volte il 22; in Emilia ben 5 volte il 22, in Liguria 3 volte sia il 21 che il 22...Con i soli canali utilizzati dalla Rai-Tv è dunque possibile una molteplicità di televisioni locali via etere" (Espresso 26/1/75).
26 gennaio 1975: A chiarire la posizione del Msi, impegnato in un duro ostruzionismo al decreto di riforma Rai, è il segretario Giorgio Almirante, in un'intervista al Borghese. "Se il monopolio fosse soltanto un furto - dice Almirante - potremmo sopportarlo brontolando. Ma il monopolio è veleno; il monopolio nella sua
attuale espressione è aperta violazione del dettato recente della Corte Costituzionale; il monopolio è sfida alla larghissima maggioranza della opinione pubblica italiana; il monopolio è attuazione spavalda del compromesso storico sul terreno più delicato, che è quello dell'informazione; il monopolio è discriminazione ostentata ai danni di molti milioni di italiani. Faremo tutto quello che è umanamente possibile, in Parlamento e fuori, contro i lottizzatori del video e dell'audio. E non saremo soli. Se alla camera abbiamo trovato, abbastanza numerosi, i franchi tiratori (e se il governo non si fosse arreso ne avremmo trovati sempre di più) nel Paese troveremmo masse di cittadini che ci daranno ragione, masse di cittadini che rifiuteranno di pagare l'abbonamento aumentato, masse di cittadini che preferiranno ascoltare le televisioni libere straniere piuttosto che subire la straniera e non libera televisione del regime nostrano" (Il Borghese 26/1/75).
27 gennaio 1975: Oltre mille emendamenti e tutti i 56 deputati eletti iscritti a parlare: ricomincia alla Camera l'ostruzionismo del Msi contro il decreto bis.
10 febbraio 1975: Il presidente del tribunale di Ragusa autorizza la registrazione di Tele Iblea Ragusa via etere, una società editoriale che gestirà una stazione televisiva (Bartolomei-Bernabei: "L'emittenza privata in Italia...").
7 marzo 1975: Si rende necessario un terzo decreto.
22 marzo 1975: La Gazzetta Ufficiale pubblica il decreto 18/3/75 n.51 che proroga fino all'entrata in vigore della legge di riforma la convenzione tra lo Stato e la Rai. Nel testo si legge: "Appartengono in esclusiva allo Stato i servizi di telecomunicazione salvo quelli indicati nel comma successivo. Sono soggetti ad autorizzazione (..) l'istallazione e l'esercizio di: impianti ripetitori privati di programmi sonori e televisivi esteri e nazionali; impianti locali monocanali di diffusione sonora e televisiva via cavo" (Il Giorno 23/3/75). "Da oggi - scrive Ivano Cipriani su Paese Sera - chi vuole istallare una stazione TV via cavo monocanale o un ripetitore può farlo (...). E chi, in barba alla legge e ai regolamenti, ha già impiantato una stazione
TV cavo o una serie di ripetitori può stare tranquillo. Basta che comunichi al ministero, entro 30 giorni l'esistenza degli impianti e le loro caratteristiche, obbligandosi a non apportare modifiche al rilascio dell'autorizzazione di cui sopra. Altro impegno da prendere è quello di non trasmettere messaggi pubblicitari stranieri (...) Attualmente esistono nel nostro paese più di una cinquantina di stazioni telecavo sparse in tutte le regioni (...) Trasmettono poco di questi tempi, in attesa delle disposizioni governative, ma il silenzio maschera di fatto il fiorire di molte altre iniziative e un lento processo di organizzazione e di concentrazione (...) Anche la faccenda dei ripetitori è nota. Oggi esistono nel nostro paese vaste reti di ripetitori privati che permettono alla TV svizzera di Lugano di arrivare in tutta la valle Padana e di spingersi, attraverso l'Emilia e la Toscana fino nel Lazio e fino a Roma. Con antenne speciali si possono seguire dalla Capitale quattro programmi: i due italiani, quello di Lugano e quello della seconda rete francese (...). Nei giorni scorsi notizie di stampa hanno parlato di interferenze che la Rai-Tv starebbe provocando sui canali generalmente utilizzati dalle stazioni straniere. Anzi, a quanto sembra, il nostro 'secondo' si sposterebbe da un canale all'altro provocando molta confusione nella trasmissione e nella ricezione dei programmi esteri (...) Il cambio di frequenza è un fatto ormai comune, perchè alcuni tecnici - il fatto è stato scoperto in provincia di Pisa - avevano messo a punto una 'macchinetta' con cui riuscivano a inserirsi sulle frequenze 'segrete' della Rai-Tv, cioè su quelle che il monopolio pubblico utilizza per collegare gli studi e registrare i programmi prima che vadano in onda. Le 'macchinette' erano andate a ruba, specie nei circoli ricreativi. Permettevano, infatti, di far vedere ai soci le partite di calcio domenicali, in diretta e per intero (...) Quando la Rai si è resa conto di quello che stava accadendo ha mobilitato i carabinieri prima e poi ha cominciato a spostare le frequenze di trasmissione" (Paese Sera 25/3/75). 26 marzo 1975: La Camera approva la legge di riforma della Rai. Il provvedimento passa ora all'esame del Senato. I punti essenziali della riforma sono (dal Corriere
della Sera): 1) Le diffusioni radiofoniche e televisive, via etere e via cavo, costituiscono "un servizio pubblico essenziale ed a carattere di preminente interesse generale, in quanto volto ad ampliare la partecipazione dei cittadini a concorrere allo sviluppo sociale e culturale del Paese". 2)L'attuazione dei principi di servizio pubblico, di partecipazione, di indipendenza, di obiettività e di apertura alle diverse tendenze politiche è di competenza della commissione parlamentare di vigilanza. Essa è composta da 40 membri (senatori e deputati) in modo da rispecchiare la forza dei singoli gruppi. 3) Lo Stato concede alla Rai la gestione dei servizi per sei anni. La concessione può essere rinnovata per altri sei anni. La concessionaria ha capitale totalmente pubblico. 4) Il consiglio di amministrazione è composto da 16 membri: 6 eletti dall'assemblea dei soci, dieci dalla commissione parlamentare, dei quali quattro designati dalle Regioni. 5) La pubblicità è ammessa nel servizio radiotelevisivo come fonte di proventi accessori a quelli raccolti con i canoni. La durata complessiva dei programmi pubblicitari no può superare il 5% dei tempi di trasmissione. 6) Impianti di diffusione sonora o televisiva via cavo: sono ammessi per le zone geografiche con popolazione non superiore a 150 mila abitanti. Sono anche ammessi ripetitori per trasmittenti straniere purchè autorizzati dal ministero delle poste e a condizione che non interferiscano con le reti del servizio pubblico nazionale. 7) Una norma transitoria concede alla Sipra di assumere, fino all'entrata in vigore della concessione, nuovi contratti per pubblicità per un importo non superiore al 10% del fatturato 1974. 8) I nuovi organi della Rai saranno costituiti entro 30 giorni (Corriere della Sera 27/3/75)
4 aprile 1975: Il Consiglio superiore delle telecomunicazioni sceglie il sistema PAL per le trasmissioni a Colori in Italia.
11 aprile 1975: Anche il Senato approva la legge di riforma Rai.
12 aprile 1975: Scrive il Corriere: "Dopo il capitolo Togni, all'epoca dei mondiali del '74, orse siamo alla vigilia di un'altra guerra dei ripetitori TV. La sentenza della corte
costituzionale garantisce la libertà di traliccio e chiude la porta al monopolio di Stato. Afferma che l'impianto e l'uso dei ripetitori non sono sottoposti ad autorizzazione, cioè a un atto amministrativo. Però c'è la riforma della Rai-Tv, varata definitivamente ieri a Palazzo Madama. In un articolo è detto che nei programmi delle televisioni estere (Capodistria, Montecarlo, Svizzera) che giungono in Italia dev'essere censurata la pubblicità (...) Non è difficile che si arriverà presto a una prova di forza. Se lo Stato intimerà ai ripetitori di cancellare la pubblicità e questo non sarà fatto (i gestori sostengono che è tecnicamente impossibile), prima o poi si metterà di nuovo in movimento ESCOPOST. Come ha abbattuto i tralicci nel giugno del '74, così potrebbe smantellarli domani" (Corriere della Sera 12/4/75).
13 aprile 1975: L'Espresso annuncia che a Bologna sono già pronti quattro schermi giganti da collocare nelle maggiori piazze della città per le trasmissioni delle TV comunale. La stazione via cavo, prosegue l'articolo, trasmetterà "i normali telegiornali della Rai più altri telegiornali originali curati da un'equipe diretta da Pietro A.Buttitta e di cui fanno parte gente come Umberto Eco, Furio Colombo, professori e studenti dell'università che per anni hanno fatto studi e ricerche sui mezzi di comunicazione di massa" (L'Espresso 13/4/75).
17 aprile 1975: La Gazzetta Ufficiale pubblica la legge 14/4/75 n.103, cioè il testo di legge di riforma della Rai. Intervistato dal telegiornale, il ministro delle Poste Orlandi, scrive il Corriere, "ha chiarito che ci sarà una legge apposita per le tv-cavo, mentre il governo chiede la reciprocità per le TV straniere: cioè anche la Rai-Tv deve poter trasmettere in Svizzera, Francia e Jugoslavia" (Corriere della Sera 18/4/75)
20 aprile: Scade a mezzanotte il termine concesso dal ministero delle poste ai responsabili dei ripetitori di TV estere per la cancellazione della pubblicità. L'ARTI, associazione ripetitori televisivi indipendenti annuncia di voler proseguire l'attività e dare battaglia sul fronte giuridico (Domenica del Corriere 22/5/75).
1 giugno 1975: Alle ore 19, a Bologna, sul canale inutilizzato da Tele Capodistria,
inizia a trasmettere "Video Bologna, edizione locale di Tele Biella". Un'ora di programma realizzata, in realtà, "dai giornalisti del Nuovo Quotidiano, giornale creato dall'industriale Luciano Conti - come scrive l'Espresso- in appoggio alla destra DC". Ogni giorno dalle 19 alle 20 l'emittente pirata manda in onda spettacoli di sport, cronaca, folklore (Espresso 15/6/75).
13 giugno 1976: Scrive il settimanale "Tempo": "La legge del 14 aprile 1974 che riafferma il monopolio statale delle emissioni radiotelevisive via etere e liberalizza la via cavo rappresenta uno dei provvedimenti più illiberali che la paura di una perdita di potere potesse suggerire a chi il potere di informare vuole tutto per sè (...) Comunque ben 115 televisioni via cavo funzionano in Italia mentre decine di televisioni via etere si accingono, spesso con mezzi di fortuna, a iniziare le trasmissioni. Alcune sono già attive ma si contano sulla punta delle dita (...) Ma quali sono i pericoli a cui vanno incontro coloro che promuovono e organizzano una emittente televisiva cittadina? Chi lo fa compie un reato di carattere penale per il quale può essere perseguito tanto da un comune magistrato sia dalla polizia postale che può sequestrare e smantellare gli impianti per impedire le trasmissioni. Per i responsabili è prevista un'ammenda da 200 mila lire a 2 milioni e una reclusione da due a sei mesi. Ma è opinione di molti costituzionalisti e penalisti che, in attesa di una legislazione più consona ai criteri della libertà di informazione e alla pluralità delle testate, la Corte costituzionale non potrà che accettare il principio costituzionale che ogni cittadino, o gruppo di cittadini, può liberamente esprimere la sua opinione" (Tempo
13/6/75).
10 luglio 1975: Il pretore di Ragusa Paolo Occhipinti deposita una sentenza destinata ad aprire la via alle televisioni via etere. A pochi giorni dalla nascita, l'emittente di Carmelo Rocca, Tele Iblea, veniva "invitata amichevolmente" a smettere le trasmissioni da parte di un agente dell'ESCOPOST. Al rifiuto di Rocca
scattava la denuncia per contravvenzione alla legge 14/4/75 (che riafferma, come è noto, il monopolio Rai). Il pretore Occhipinti, però, ha trovato che su questa legge "pende un ragionevole dubbio di incostituzionalità", e perciò l'ha rimandata alla Corte costituzionali. "Le ragioni principali sono tre - scrive l'Espresso - 1. Il parere consultivo sui costi e le possibilità di installazione di teletrasmittenti che il Consiglio superiore delle Telecomunicazioni ha fatto pervenire alla corte stessa il 9 aprile dell'anno scorso è tecnicamente fallace, dunque la legge 14 aprile è stata fondata su un falso grossolano. 2. E' la TV via cavo, molto più costosa, che può generare fenomeni di oligopolio, e non la TV via etere. 3. La legge contraddice i principi della carta dei diritti dell'uomo, che l'Italia si è impegnata ad accettare come legge dello stato".
"A questo punto - prosegue l'Espresso - anche le altre cause in corso per fatti similari, a Brescia, ad Ancona, a Livorno, ad Arezzo, a Cagliari e a Bari rimarranno sospese in attesa del parere della Corte. Ma questa non si pronuncerà, verosimilmente, prima di un anno. Nel frattempo è presumibile che i pretori non autorizzeranno nuovi provvedimenti di sequestro. La via è quasi libera" (Espresso 20/7/75).
18 luglio 1975: Si torna a parlare della televisione vaticana. In attesa dei satelliti meno cari, si legge sul settimanale Tempo, nascerà una TV via cavo (Tempo 18/7/75).
20 settembre 1975: Il pretore di Pescara ammette la possibilità che un TV via cavo, Teleadriatica, riprenda le partite di calcio del Pescara (La Stampa 21/9/75)
17 ottobre 1975: Un nuovo colpo contro il monopolio. Il pretore di Reggio Emilia Franco Mazza ha infatti riconosciuto la possibilità che un'emittente possa trasmettere via etere. Unica limitazione: il raggio dei messaggi non deve avvenire su un arco di 360 gradi. L'idea di trasmettere a 45° via etere (e quindi non contravvenendo, secondo il pretore, al monopolio delle trasmissioni "circolari") è di
Telereggio, che trasmette "a spicchio" inserendosi sui canali di Telecapodistria (Tempo 17/10/75).
20 novembre 1975: La nascita e lo sviluppo delle radio private sono elementi importantissimi nella battaglia contro il monopolio della Rai. "In questo momento nel nostro paese trasmettono circa 130 emittenti locali - scrive Il Quotidiano dei Lavoratori - E' una rottura di fatto del monopolio delle trasmissioni. Le linee su cui sembra muoversi il fronte delle radio libere è disomogeneo e molto differenziato, ma le strade principali imboccate sono due. Da un lato le radio fortemente caratterizzate in senso commerciale, veicolo attraverso cui passa agevolmente la strada della privatizzazione 'dura' della radio locale come prodotto speculativo, competitivo, economicamente vantaggioso, 'privato' nella conduzione, nella struttura, negli obiettivi. Sempre di più, questo primo schieramento, il fronte della privatizzazione, mostra nelle sue fila la presenza o le avances della grossa impresa (Etas Kompas, Mondadori, case discografiche, industriali dell'Hi.fi e altri). La seconda direzione in cui procede la rottura del monopolio Rai è rappresentato dal nascere di emittenti locali, caratterizzate in senso democratico e antifascista, legate al movimento di classe che tentano di sviluppare un discorso su un nuovo modo di fare informazione e cultura, tanto più importante quanto più sgangherata, antidemocratica e squalificata diventa di giorno in giorno l'informazione Rai" (Quotidiano dei Lavoratori 20/11/75).
12 gennaio 1976: Il deputato DC Marcello Simonacci presenta un disegno di legge il cui scopo è modificare e integrare la legge 14 aprile 1975 (la riforma Rai). Nell'art.4 si legge che "l'istallazione e l'esercizio degli impianti di diffusione, sia etere che via cavo, sonora e/o televisiva di programmi, sono ammessi relativamente a territori limitati al comune, alla provincia o, al massimo, alla regione" (Corriere della Sera
13/1/76). "Per quanto intempestiva (il caso ha voluto che la presentazione della proposta di legge sia coincisa con la crisi di governo)- commenterà nei giorni successivi Telesio Malaspina - l'iniziativa dimostra che nella classe politica l'esigenza di una maggiore diversificazione dei programmi televisivi sta prendendo sempre più vivacemente piede, anche in settori non propriamente progressisti come quello in cui milita l'onorevole Simonacci. Alla fine, chi legalizzerà le nuove emittenti via etere, il governo o la Corte costituzionale? Anche i più convinti sostenitori del monopolio pubblico temono che quando la Corte costituzionale dovrà nuovamente pronunciarsi in materia, finirà con l'ammettere l'errore tecnico (sui canali a disposizione delle emittenti, n.d.r.) e col dare il via alla liberalizzazione della radio e della televisione" (L'Espresso 1/2/76).
18 gennaio 1976: Il Radiocorriere pubblica un'intervista al direttore generale della Rai Michele Principe, in cui si affrontano i temi del monopolio televisivo, del decentramento regionale, della terza rete, ecc. "Credo che la vigilanza del monopolio - esordisce Principe - non debba diminuire. Il monopolio è una realtà sancita dalla legge di riforma e protetta dalla suprema corte costituzionale, che al riguardo si è espressa con chiarezza con una sentenza. Il monopolio inoltre è ora regolato dalla nuova convenzione tra la Rai e lo Stato, ma con ciò non lo pone assolutamente al riparo dall'attacco dei gruppi privati italiani e stranieri, grandi e piccoli. Attacchi ce nel saranno sempre, di ogni tipo. E per difendere il monopolio da questi attacchi abbiamo, a mio avviso, un solo modo: osservare e applicare correttamente la legge di riforma, assicurare l'accesso effettivo e non formale a tutte le componenti politiche, culturali e ideologiche del paese. La porta alla privatizzazione, la strada per la rottura del monopolio può essere spianata dalle nostre omissioni, dalla nostra pigrizia nell'attuare prontamente e completamente la riforma. E quando dico 'nostra' non intendo certo soltanto le mie personali responsabilità e il mio impegno ma l'impegno di tutti coloro che lavorano nell'ambito
dell'azienda a qualsiasi livello (...) Il monopolio ha motivo d'essere se la legge sarà rispettata e con essa gli obblighi che ci chiede. Solo se non saremo obiettivi, se resteremo sordi alle voci di coloro che - minoranze anche esigue e riconosciute - chiedono accesso ai nostri studi, se lasceremo il potere nelle mani di pochi anziché decentrarlo e distribuirlo, solo allora daremo ragion d'essere ai fautori della privatizzazione" (Radiocorriere 18/1/76).
18 gennaio 1976: "Nove mesi, ma la nuova Rai-TV non è nata", titola l'Unità. I nove mesi sono quelli trascorsi
dall'approvazione della legge di riforma. "Il monopolio pubblico - scrive Mario Ronchi
- si difende e si consolida rendendolo 'credibile', vale a dire adeguandolo ai principi democratici di effettivo pluralismo, autonomia, decentramento, professionalità che hanno ispirato la legge di riforma e che sono stati ribaditi dalla Commissione parlamentare di vigilanza e presentati, dopo un ampio e talvolta aspro dibattito, dal Consiglio d'amministrazione in un progetto di ristrutturazione che, nel suo complesso, pur contenendo 'zone d'ombra' non irrilevanti, rappresenta un'ipotesi di rottura del vecchio feudo centralistico-burocratico, gerarchizzato e autoritario" (Unità 18/1/76).
20 gennaio 1976: Si parla della Terza Rete TV, la cui inaugurazione era prevista, secondo la convenzione tra Rai e Stato, all'inizio dell'anno in corso. Gli ostacoli, scrive Franco Recanatesi su Panorama, sono di origine economica, per il costo degli impianti, ma nascono anche da difficoltà tecniche: "Quale banda di frequenza utilizzare e soprattutto la scelta e l'assegnazione dei canali. In Italia ce ne sono 45, 8 dei quali già occupati dal primo programma, 16 dal secondo. Ne rimangono 21. 'Pochissimi', osserva Riccomi (direttore tecnico degli impianti TV della Rai) 'considerando che bisognerà lasciarne una parte a disposizione del quarto canale, che rientra in un programma a lunga scadenza della Rai'. Questo dignifica - conclude l'articolo di Recanatesi - prima di tutto che non appena entrerà in funzione
il terzo canale, per le v straniere (Svizzera, Francia, Capodistria) in Italia non ci sarà più posto" (Panorama 20/1/76).
Gennaio 1976: Intervista a Beniamino Finocchiaro, presidente della Rai, alla Domenica del Corriere. Si parla dei problemi dell'ente, della riforma, dei nuovi telegiornali. E, anche, di pubblicità: "Personalmente - dice Finocchiaro - troverei giusto che la Rai rinunciasse alla pubblicità commerciale, consumistica. Secondo me l'unica pubblicità che dovrebbe essere accettata dovrebbe essere quella civile, cioè la pubblicità per i servizi pubblici, per le linee di programma. Insomma una pubblicità formativa, non una pubblicità invadente come quella corrente. Niente più pubblicità per marche, pubblicità speculativa; per questo io mi sono battuto ferocemente prima di assumere la presidenza della Rai, quando ero nel quadro dei promotori della riforma dell'ente. Mi si dice da più parti che la pubblicità commerciale è fonte di finanziamento. E' vero: basta però considerare il volume delle pubblicità ministeriali e i relativi finanziamenti occulti, cioè che non emergono come voci di finanziamento pubblicitario, per capire che se questi finanziamenti fossero concentrati sulla Rai avremmo già creato un canale sostitutivo agli introiti della pubblicità commerciale" (Domenica del Corriere 29/1/76).
30 gennaio 1976: La Rizzoli dichiara guerra alla Rai e alla Sipra. Contesta la legittimità del monopolio, accusa la Sipra di concorrenza sleale e chiede un risarcimento danni. "La Rai, oltre al servizio radiotelevisivo - spiega Roberto Chiodi su Repubblica - ha facoltà di gestire in regime di monopolio
anche la relativa pubblicità. Il settore è stato affidato alla Sipra, società privata, la quale ha il diritto di trattare atri affari di pubblicità. Cosicché la Sipra si è trovata a gestire contemporaneamente, in regime di monopolio per conto della Rai, la pubblicità radiotelevisiva; e in regime di libera concorrenza le altre forme di pubblicità in genere. Secondo Rizzoli, la società ebbe in tal modo la possibilità di premere sugli utenti di pubblicità a mezzo stampa che aspiravano a spazi
pubblicitari radiotelevisivi, inducendoli a distrarre a favore delle testate gestite dalla Sipra stessa somme destinate altrove. Detto in altre parole la Sipra faceva questo discorso: 'Volete fare un Carosello? D'accordo, però vi impegnate a fare anche una pagina di pubblicità sul giornale che dico io'. Nel 1972 alla Sipra fu vietato di assumere pubblicità in campi diversi da quello radiotelevisivo, con l'autorizzazione a dare esecuzione a quelli in corso. 'Fiducia mal riposta', è scritto nella citazione, perchè la Sipra continuò a spadroneggiare (...). Le conclusioni della Rizzoli sono sostanzialmente queste: vagliare la validità costituzionale del monopolio radiotelevisivo; eccepire formalmente la illegittimità del monopolio della pubblicità radiotelevisiva, rimettendo gli atti alla corte costituzionale. Ove non fosse ritenuto illegittimo il monopolio, è certamente illegittimo il sistema attuale, mancando quei 'fini di utilità generale' che soli possono autorizzare una gestione monopolistica. Essendosi concretata una situazione di privilegio a favore della Sipra, Rizzoli chiede il risarcimento dei danni subiti a causa di questa concorrenza sleale" (Repubblica 31/1/76).
3 febbraio 1976: "A due mesi dalla composizione del nuovo organigramma sulle nomine dei direttori, e a nove dall'entrata in vigore della riforma, la situazione della Rai è ancora in alto mare: i due nuovi telegiornali e i tre nuovi giornali radio non esistono ancora neppure sulla carta...Dietro questo clamoroso ritardo non ci sono problemi tecnici, ma solo feroci giochi di potere, sfide, ripicche" (Panorama 3/2/76). 7 febbraio 1976: Grazie a un accordo con la catena di ripetitori SIT, di proprietà del gruppo Marcucci, Telemontecarlo diventa visibile anche a Roma (Bartolomei- Bernabei: "L'emittenza...").
15 febbraio 1976: "A quanto pare - scrive Settimana TV - imprenditori privati starebbero per dare un nuovo, duro dispiacere all'ente di stato: infatti alcuni editori di programmi radiofonici avrebbero preso in considerazione la possibilità di irradiare via etere programmi televisivi a colori e tutto ciò per venire incontro alle aspettative
di un pubblico che si è stancato delle promesse della Rai-Tv (...) Ciò che cosa significa? Che iniziative nate per restare indipendenti potrebbero essere condizionate dal bisogno di finanziamenti e si può star certi che le grandi industrie di apparecchi televisivi, se la Rai non si deciderà a dare il via ai programmi a colori, tenteranno di inserirsi nell'apparato di qualche emittente radiofonica non condizionata dal potere centrale, apportando dei capitali per installare anche un centro TV e tutto ciò rappresenterebbe la fine dell'indipendenza della emittente stessa" (Settimana TV 15/2/76).
20 febbraio 1976: Le Regioni danno vita a un "fronte comune contro le scelte verticistiche della Rai-Tv (...) L'obiettivo è quello di conquistare un reale potere a livello delle trasmissioni regionali attraverso il decentramento e la gestione diretta della regolamentazione del diritto di accesso" (Repubblica 21/2/76).
22 febbraio 1976: Il Radiocorriere pubblica un'intervista al vicepresidente della Rai Gian Piero Orsello. "La Rai opera già - dice tra l'altro Orsello - in regime di concorrenza: la compresenza sul territorio italiano di programmi televisivi stranieri, anche a colori, per non parlare di quelli radiofonici, consente all'opinione pubblica di fare confronti, di valutare iniziative altrui, di misurare la produzione nazionale al metro dei programmi esteri. In passato la Rai ha retto degnamente sul piano qualitativo il confronto con la produzione altrui, anche se il giudizio era necessariamente limitato agli addetti ai lavori, ai tecnici, ai critici specializzati; ora la situazione è mutata e i giudizi sono divenuti espressione di una valutazione di massa. C'è quindi ora il rischio che alle passate contestazioni di atteggiamenti censori, di manipolazioni politiche e di un certo manicheismo culturale, che alle critiche di metodo gestionale e di conduzione politica si aggiunga la concreta contestazione della produzione attraverso il più facile ricorso alle trasmissioni estere. Come si può evitare un tale evidente pericolo? Proprio attraverso il meccanismo della competitività - potremmo dire della concorrenza - posto in essere dalla riforma,
con il pluralismo delle reti e delle testate cui si è dato vita all'interno del monopolio. A tale spirito, che garantisce nella sostanza la validità del monopolio stesso, occorre si manifestino coerentemente fedeli tutte le decisioni sull'applicazione della riforma se ne vogliono perseguire gli obiettivi e raggiungere i traguardi" (Radiocorriere 22/2/76) 15 marzo 1976: Iniziano le trasmissioni dei telegiornali e giornali radio "riformati".
Aprile 1976: Orlando (PSI) e Baslini (PRI) presentano un progetto di legge sulla regolamentazione delle emittenti private. Secondo la proposta la diffusione televisiva su scala nazionale viene riservata allo stato, mentre l'iniziativa privata deve limitarsi all'ambito locale. Gli operatori di radio e TV private si dichiarano favorevoli a una regolamentazione (Repubblica 23/4/76).
3 giugno 1976: La corte costituzionale inizia il dibattimento sulla legittimità delle emittenti private. "La questione che dieci pretori di diverse città hanno portato all'esame della corte riguarda alcuni articoli della legge di riforma. La legge afferma che sono riservati allo Stato, che l'ha dati in concessione alla Rai, tutti i servizi di telecomunicazioni eccetto gli impianti di TV via cavo locali (per i quali è però necessaria l'autorizzazione) e i ripetitori privati di programmi nazionali e stranieri.
L'articolo 1 dice che è
riservato allo stato il servizio di 'diffusione circolare di programmi radiofonici via etere e di programmi televisivi via etere' senza la specificazione 'su scala nazionale' citata invece per la diffusione di programmi via cavo. La mancata specificazione che il servizio pubblico è quello su scala nazionale sarà alla base della discussione della corte costituzionale, così come la definizione di 'circolare' per quanto riguarda la diffusione dei programmi radiofonici. Infatti, per molti pretori che hanno rimesso gli atti alla corte le radio private non hanno impianti 'circolari', poiché irradiano le loro trasmissioni localmente, a raggio limitato, e perciò non contrastano con il monopolio e con la legge" (Messaggero 3/6/76).
25 giugno 1976: La corte costituzionale emette una sentenza, la 202, che legittima
le stazioni radio e TV private "di portata non eccedente l'ambito locale". La notizia viene data in un comunicato stampa pubblicato sui giornali del giorno dopo (che danno però maggior rilievo a un'altra sentenza, quella sul cumulo familiare dei redditi). Le motivazioni della sentenza saranno rese note all'atto della pubblicazione, avvenuto successivo il 28 luglio. A favore della liberalizzazione - rivelerà Repubblica il 3 luglio - votano undici giudici costituzionali, contro soltanto due. "La Corte ha voluto punire i politici - scrive il quotidiano di Scalfari - che hanno approvato e soprattutto gestito la riforma della Rai-Tv ignorando le precise condizioni poste dalla Corte stessa alla legittimità del monopolio pubblico radiotelevisivo: apertura delle trasmissioni alla collettività e garanzia di pluralismo e imparzialità dell'informazione" (Repubblica 3/7/76).
Si legge nella sentenza: "E' da rilevare che dalle sentenze n.59 del 1960 e n.255 del 1974 risulta in modo del tutto evidente che questa Corte al riconoscimento della legittimità del monopolio statale è pervenuta sul presupposto della limitatezza dei canali utilizzabili. Ma, nel contempo, emerge la considerazione dell'attività di impresa di cui si tratta, come servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale. Stante ciò, ove si constati - come è ragionevole fare sulla base delle diffuse cognizioni tecniche e delle pratiche realizzazioni in atto esistenti - la ingiustificatezza, allo stato attuale, della tesi secondo cui sussisterebbe una concreta limitatezza in ordine alle frequenze utilizzabili per le trasmissioni radiofoniche e televisive, deve riconoscersi su scala locale che il relativo presupposto non possa ulteriormente essere invocato" (Giurisprudenza Costituzionale, 1976). In questo modo anche la corte riconosce che le ragioni tecniche con cui si era giustificato il monopolio a partire dal 1960 erano errate o, comunque, non più attuali, almeno per quanto riguarda le trasmissioni in ambito locale. Ma poi aggiunge: "Il che non richiede nè tanto meno comporta che debba escludersi la legittimità costituzionale delle norme che riservano allo Stato le
trasmissioni radiofoniche e televisive su scala nazionale. Giacché - e ciò giova ribadirlo in modo espresso -
la radiodiffusione sonora e televisiva su scala nazionale rappresenta un servizio pubblico essenziale e di preminente interesse generale" (Id.). La legge è anticostituzionale, dunque, in riferimento agli articoli 3 e 21. "Sotto il profilo della violazione dell'art.3, in quanto che, se non sussiste la illimitatezza di frequenze, propria delle trasmissioni via cavo, esiste, tuttavia, per le trasmissioni su scala locale via etere una disponibilità sufficiente a consentire la libertà di iniziativa privata senza pericolo di monopoli od oligopoli privati, dato anche il costo non rilevante degli impianti, cosicché il non consentirla - al contrario di quanto si è fatto per le trasmissioni via cavo - implica violazione del principio di eguaglianza, sancito dalla norma a riferimento. Sotto il profilo della violazione dell'art.21 della Costituzione, giacché, esclusa la possibilità di monopoli od oligopoli per le trasmissioni su scala locale, viene meno l'unico motivo che per queste ultime trasmissioni possa giustificare quella grave compressione del fondamentale principio di libertà, sancito dalla norma a riferimento, che anche un monopolio di Stato necessariamente comporta" (Id.) Proprio quest'ultima frase appare come l'affermazione più importante contenuta nella sentenza: impedire le trasmissioni delle TV locali via etere è una "grave compressione della libertà". "Prima - scrive Cheli su Problemi dell'Informazione - la libertà di manifestazione del pensiero da esercitare attraverso il mezzo televisivo si considerava tutelata attraverso la separazione della stessa libertà dalle libertà economiche; oggi, libertà di espressione e libertà di iniziativa economica vengono considerate complementari e ricondotte alle stesse esigenze di tutela" (Problemi dell'Informazione n.4, 1976). La sentenza, tuttavia, "subordina l'esercizio del diritto di impresa radiotelevisiva locale alla previa determinazione per legge di un complesso di autorizzazione che stabiliscano, tra l'altro, condizioni idonee a salvaguardare il servizio pubblico e ad impedire qualsiasi forma di
concentrazione che vanificherebbe non solo il limite dell'ambito locale, ma le stesse ragioni giustificatrici della liberalizzazione " (Bartolomei-Bernabei: "L'emittenza privata in Italia.."). La corte, infatti, "postula la necessità dell'intervento del legislatore nazionale" (ossia invita il Parlamento) a stabilire quale organo dell'amministrazione dello Stato sia competente a "provvedere all'assegnazione delle frequenze e all'effettuazione dei conseguenti controlli, e fissi le condizioni che consentano l'autorizzazione all'esercizio di tale diritto in modo che questo si armonizzi e non contrasti con il preminente interesse generale di cui sopra e si svolga sempre nel rigoroso rispetto dei doveri ed obblighi, anche internazionali, conformi a Costituzione". In particolare, prosegue la sentenza, si dovranno stabilire: "a) i requisiti personali del titolare dell'autorizzazione e dei suoi collaboratori, che diano affidamento di corretta e responsabile gestione delle trasmissioni; b) le caratteristiche tecniche degli impianti e la relativa zona di
servizio, nonché la specificazione delle frequenze e dei canali utilizzabili; c) l'esatta indicazione dell'ambito di esercizio, il cui carattere 'locale' deve essere ancorato a ragionevoli parametri d'ordine geografico, civico, socio-economico, che consentano di circoscrivere una limitata ed omogenea zona di utenza, senza, peraltro, eccessive restrizioni, tali da vanificare l'esercizio medesimo; d) eventuale fissazione di turni ed adozione di ogni altro accorgimento tecnico, al fine di non turbare il normale svolgimento del servizio come sopra riservato allo Stato ai sensi degli art. 1 e 2 della citata legge n.103 del 1975 (la riforma della Rai, NDR) e di ogni altro servizio parimenti riservato allo Stato; ed al fine di rendere possibile il concorrente esercizio di attività da parte degli altri soggetti autorizzati; e) limiti temporali per le trasmissioni pubblicitarie, in connessione con gli analoghi limiti imposti al servizio pubblico affidato al monopolio statale; f) ogni altra condizione necessaria perchè l'esercizio del diritto, previa autorizzazione, si svolga effettivamente nell'ambito locale e non dia luogo a forme di concentrazione o situazioni di monopolio o oligopolio"
(Giurisprudenza Costituzionale, 1976).
26 giugno 1976: Il presidente della Rai Beniamino Finocchiaro contesta la decisione della corte: "A prima vista si possono fare le seguenti considerazioni: 1) In Italia, la Corte continua ad assolvere ad un ruolo che avrebbe dovuto essere proprio del Parlamento, e ciò in quanto, di fatto, l'intera legislazione radiotelevisiva viene modificata; 2) il nostro è il primo paese in Europa in cui avremo la legalizzazione del caos nel sistema radiotelevisivo; 3) avendo degradato a livello amministrativo un problema eminentemente politico nessun rigore legislativo potrà più tutelare il monopolio pubblico e quindi il diritto di accetto a tutti i cittadini, a tutte le comunità e di tutte le istituzioni al mezzo televisivo; 4) è capzioso sostenere il concetto che la dimensione locale può impedire la creazione di un sistema alternativo: la territorialità delle iniziative, infatti, non potrà impedire collegamenti mimetizzati o articolati che in concreto consentono un sistema oligopolistico alternativo" (Messaggero 26/6/76).
29 giugno 1976: Anche il direttore generale della Rai Michele Principe interviene sulla sentenza della corte costituzionale. "Questa decisione non indebolisce né intacca i servizi gestiti dalla Rai poiché la Corte, in un certo senso, ha ribadito la priorità del servizio pubblico; sono quindi eccessivi gli allarmismi nei confronti del monopolio radiotelevisivo, che non corre pericoli (...). La sentenza pone limiti precisi e inderogabili alle radio e TV private, che potranno agire soltanto in ambito locale. In secondo luogo queste emittenti dovranno utilizzare solo le frequenze disponibili, che non interferiscono con quelle del servizio pubblico di cui la corte ha riaffermato la priorità. In terzo luogo spetta adesso al Parlamento predisporre una rigida disciplina che contemperi le esigenze del servizio pubblico radiotelevisivo con quello
delle radio e TV private e stabilisca procedure più idonee per circoscrivere gli ambiti entro i quali la Corte costituzionale ha ricondotto la portata di radio e TV private" (Messaggero 29/6/76).
3 luglio 1976: Scrive Miriam Mafai su Repubblica: "Dove sono gli eserciti compatti e
minacciosi che fino a pochi anni fa hanno difeso, con successo il monopolio televisivo? Sparse pattuglie se ne incontrano ancora, su un campo di battaglia ormai ridotto a un cumulo di macerie e di fortini espugnati. Sono combattenti sperduti, avviliti, feriti, alla ricerca di una linea di difesa e di un comandante che sappia almeno dirigere la ritirata, visto che non sembra possibile andare di nuovo all'attacco". La Mafai spiega le diverse posizioni assunte dai partiti: divergenze in casa socialista, tra Finocchiaro - molto duro, come abbiamo visto - e Manca, più possibilista ("Non è possibile, e non sarebbe giusto mettere a tacere radio e TV private: basta fare una legge che obblighi a rispettare certe norme", dice l'esponente PSI). "Anche alle Botteghe Oscure - prosegue l'articolo di Repubblica - c'è aria di polemica, sia pure più discreta, un po' ovattata. Ma anche qui i fautori del monopolio sembrano ridotti in minoranza o, comunque, costretti a difendere con qualche difficoltà posizioni che una volta erano quelle ortodosse". Galluzzi parla del progressivo indebolimento della riforma: "La sentenza è l'ultimo colpo portato alla riforma. Non c'è dubbio che la sentenza accoglie certe esigenze che dobbiamo considerare legittime: una maggiore articolazione delle iniziative, un maggior pluralismo di voci. Aver paura di questo significherebbe aver paura della realtà: non è nel nostro stile". La Mafai riporta quindi le dichiarazioni di Alessandro Curzi, allora segretario della Federazione Nazionale della Stampa: "In tutti i paesi di democrazia consolidata esiste un monopolio delle trasmissioni radiotelevisive. Il monopolio quando sia correttamente gestito è un principio positivo, al quale non ci sentiamo di rinunciare a cuor leggero. Il petroliere Monti ha già pronta una sua TV, all'ultimo piano del Resto del Carlino; Rusconi e Rizzoli sono pronti a partire con una catena di radio. Stanno facendo riunioni di tecnici, stanno approntando attrezzature e uffici pubblicità. A questo punto ogni ritardo nel regolare la materia può essere estremamente pericoloso" (Repubblica 3/7/76)
18 luglio 1976: Beniamino Finocchiaro torna a parlare della sentenza della Corte
costituzionale in un'intervista al Radiocorriere. Tra l'altro si affronta anche il problema del canone, e delle ipotesi che possa prima o poi essere giudicato anch'esso illegittimo: "Per ora - dice Finocchiaro - il problema non si pone. Il nostro è ancora considerato un servizio pubblico e come tale, per essere attuato, comporta un canone. Però è chiaro che alla distanza si porrà anche questo problema: e se decideremo con la stessa epidermicità con la quale stiamo decidendo adesso, non mi sorprenderebbe che il canone possa essere pagato per una destinazione diversa da quella dell'ente pubblico; o può essere ridotto, o
nullificato". Quindi Finocchiaro affronta anche il tema della pubblicità: "Si tratta di stabilire qual è il ruolo della RAI rispetto alla pubblicità commerciale. E' noto che sono sempre stato contrario alla pubblicità commerciale e favorevole a quella legata agli indirizzi di promozione programmatica e sociale. Ora questo concetto viene inquinato dal fatto che, per far sopravvivere le radio libere, ci sarà un'incetta di pubblicità che, stratificata a livello nazionale, crea un potente strumento di aggressione dell'opinione pubblica, attraverso le radio private e i possibili finanziamenti alla stampa. Detto in soldoni: se una grossa centrale pubblicitaria raccattasse la pubblicità nazionale o locale e la distribuisse al sistema alternativo, è chiaro che riuscirebbe non solo a trarre margini di profitto talmente congrui da poter catturare, con quegli stessi quattrini, la carta stampata. Così avremo creato in Italia un contropotere assolutamente temibile e, anziché fare un contropotere nell'interesse della comunità, avremo un contropotere in danno della libertà e della democrazia nel paese. A questo punto io stesso - che prima ero violentemente contrario alla pubblicità commerciale - oggi ci ripenso e credo che i margini di allargamento della nostra presenza in questo settore possono significare di fatto margini di restringimento per l'oligopolio alternativo " (Radiocorriere 18/7/76).
15 agosto 1976: Stefano Rodotà interviene su Repubblica con un articolo intitolato
:La spinosa questione della libera antenna". Rodotà parla della questione
pubblicitaria: " La liberalizzazione delle radio e TV locali ha dato piena cittadinanza ad un altro agguerrito concorrente della torta pubblicitaria, anche se la corte si è preoccupata di ribadire il principio del 1974, affermando che pure per le emittenti locali dovranno essere fissati tetti per la pubblicità. In attesa che quest'ultimo punto venga regolato dalla legge che disciplinerà l'intera materia delle radio e delle televisioni libere, è indispensabile che il gruppo di lavoro della commissione parlamentare tenga conto di questo fatto nuovo, fissando i limiti alla pubblicità radiotelevisiva in modo da contemperare gli interessi non più di due (stampa e Rai- Tv) ma di tre concorrenti. In realtà c'è un quarto concorrente di cui sembra quasi dimenticata l'esistenza: le televisioni cosiddette straniere (Capodistria, Montecarlo, Svizzera Italiana, in prospettiva Malta e altre ancora), i cui incassi per la pubblicità di prodotti industriali italiani sono già cospicui e crescenti. Qui non esiste alcun bisogno di leggi nuove. La legge di riforma del 1975, ammettendo la diffusione a mezzo di ripetitori dei programmi di tali stazioni, ha tassativamente vietato la trasmissione della pubblicità. Tecnicamente non esiste alcun problema per 'oscurare' i programmi nel momento in cui vengono trasmessi i brani pubblicitari. Parchè allora non si fa rispettare quel chiarissimo divieto? (...)Sulla disciplina delle trasmissioni straniere sarà forse bene che il Parlamento ritorni quando si occuperà delle emittenti locali, per evitare che, attraverso stazioni installate proprio al di là dei confini, venga aggirato il divieto alla creazione di reti radiotelevisive libere a carattere nazionale (...) E' indispensabile che una legge venga approvata al più presto. Già oggi siamo in una situazione a metà tra il caos e la giungla, dalla quale possono avvantaggiarsi sono i più forti e i più organizzati, che cercano di sfruttare la libertà d'antenna per far nascere nuove e più pesanti forme di monopolio dell'informazione. Per evitare ciò, bisogna che il futuro regime dell'autorizzazione delle emittenti locali privilegi i gruppi espressivi di esigenze effettivamente locali e di interessi 'pluralistici'; che gli organismi competenti per l'autorizzazione siano gestiti democraticamente, e non
'penetrabili' dagli interessi più forti; che esista un severo regime di controlli e una precisa regolamentazione dei casi di revoca dell'autorizzazione" (Repubblica 15/8/76).
20 agosto 1976: "Il dardo lanciato da Angelo Rizzoli al cuore del monopolio televisivo statale - scrive Repubblica - ha fatto centro. Tele-Malta ha cominciato a trasmettere i suoi programmi, limitati, per ora, solo a qualche scarno notiziario in italiano sul secondo canale maltese (...) Ancora per qualche settimana Tele-Malta si potrà vedere solamente in Sicilia e, con molta difficoltà, in qualche zona dell'Italia meridionale. Ma già da tempo i tecnici stanno studiando un progetto di ripetitori che permetterà di ricevere Tele-Malta n tutte le case d'Italia" (Repubblica 20/8/76).
23 agosto 1976: Scrive Carlo Sartori sulla Stampa: "Il monopolio radiotelevisivo, di fatto, non esiste più. se alle televisioni straniere ricevibili in parecchie zone della penisola si aggiungono le circa 50 TV indipendenti e le oltre 600 radio libere sparse in ogni città, si ha una precisa idea di come l'originaria 'riserva allo Stato delle trasmissioni circolari via etere' sia già perfettamente vanificata. Nel mondo politico, questo pericolo dell' 'onda selvaggia' ha messo una gran paura: 'Se Andreotti non si sbriga - ha detto Orsello, vicepresidente PSDI della Rai - a varare una legge sulle radio e teletrasmissioni, prevedo tempi molto cupi per il monopolio'. Una legge regolamentatrice appare senza dubbio necessaria, proprio per evitare i in troppo ovvii rischi di una 'liberalizzazione selvaggia'. Ma parchè non sia una legge truffa limitativa oltre misura e non mascheri, sotto presunti ostacoli tecnici, una precisa volontà politica". Secondo studi condotti dallo stesso Sartori all'università di Stanford, California, "in un settore industriale ad alta tecnologia quale è quello dei mezzi di comunicazione, la liberalizzazione conduce inevitabilmente al suo opposto, ossia ad una concentrazione". Trasferendo "queste linee di sviluppo - prosegue Sartori - nella realtà sociologica italiana ci si trova di fronte ad una 'anomalia' così importante che ci costringe ad inserirla come variante in un processo. E' la
presenza, nel nostro paese, di un monopolio radiotelevisivo diverso da quello esistente in molti stati europei, un monopolio che, per oltre vent'anni è stato feudo incontrastato dell'affossatore regime democristiano e che oggi, al di là della retorica della riforma, si è
semplicemente spaccato lungo le linee precostituite di una bieca lottizzazione interpartitica; un monopolio che neppure l'ingresso del PCi nell'area di governo potrà strutturalmente cambiare (...) Di fronte a questo stato di cose, la liberalizzazione radiotelevisiva, pur con tutti i suoi pericoli, può giocare un ruolo importante e delicato: può metter con le spalle al muro il monopolio, costringere i partiti ad abbandonare il frusto schema del 'do ut des' per tentare una vera 'rivoluzione' del nostro sistema comunicativo; può sortire un effetto 'triggering', detonatore, su una spirale inarrestabile di positive innovazioni" (La Stampa 23/8/76).
3 settembre 1976: Si svolge a Venezia il convegno "Riforma della Rai e sentenza della Corte costituzionale", in cui vengono espressi punti di contatto tra la posizione del PCI, del PSI e della DC. Sandro Curzi, portavoce del PCI sui problemi dell'informazione, definisce in questa sede la sentenza "sbrigativa, contraddittoria e pericolosamente equivoca (...) Il pericolo ora è che i teleschermi cadano in mano di pochi, potenti gruppi dalle grandi disponibilità economiche: assistiamo all'avanzata di agguerrite forze privatistiche". Giuliano Amato, PSI, parla di una decisione "consapevolmente inconsapevole, perchè non tiene conto delle conseguenze che produce". Bubbico, DC, dice: "E non si può lasciare che a organizzare il consenso, con un mezzo così potente come quello televisivo, siano i privati e non lo Stato". Commenta Curzi: "Anche se a parole molti dicono di essere d'accordo, ci sono forze che puntano all'affossamento della riforma per il successo dello loro operazioni. Per ora manca la prova che le buone intenzioni siano sincere. La DC, per esempio, sostiene d'esser pronta a bloccare la pubblicità italiana trasmessa dalle TV estere. ma volendo potrebbe già farlo: lo prevede la legge. E non è democristiano il ministro
delle Poste che finora si è guardato bene dall'applicarla?" (Panorama 14/9/76).
10 settembre 1976: Tutto è pronto, annunciano i giornali, per l'inizio ufficiale delle trasmissioni di Tivumalta, destinata a coprire, come annuncia lo stesso leder maltese Dom Mintoff, tutta l'Italia dalla Sicilia a Trieste. "La società Tivumalta - spiega Repubblica - è al 50% di Rizzoli, tramite la Siee, e al 50% del governo maltese. Inizialmente utilizzerà, a pagamento, le attrezzature di Telemalta, la stazione televisiva dell'isola (con un raggio di diffusione limitato", e successivamente ne creerà di proprie. I programmi e la gestione saranno forniti a Tivumalta dalla Siee, gratuitamente. La Siee si è impegnata, inoltre, a impiantare da sola altre attrezzature e altri ripetitori necessari in Italia. Ma anche il capitale di Tivumalta, in realtà, è interamente di Rizzoli. Come ha tenuto a far capire Dom Mintoff, il governo maltese non tirerà fuori neanche un quattrino per la sua partecipazione del 50%. Questi sono infatti i termini economici e operativi dell'accordo: entro due anni la Siae verserà 1 milione di sterline maltesi (due miliardi di lire) per la realizzazione delle attrezzature
nell'isola; Malta metterà a disposizione il terreno per gli impianti e la licenza, valutati esattamente la stessa cifra" (Repubblica 10/9/76).
11 settembre 1976: Nel dibattito su radio e TV libere interviene Mauro Bubbico, portavoce della DC nella commissione parlamentare di vigilanza. In un articolo pubblicato da La Stampa, scrive: "a) Da più parti si chiede una norma equa e certa che disciplini il settore delle radio e delle televisioni cosiddette libere sulla scia della sentenza della Corte. Invito all'equità che viene da settori che esprimono esigenze di base, e quelle forze culturali anche della provincia italiana che sono state per lungo tempo tenute ai margini del sistema di organizzazione della cultura. Si tratta però di verificare la professionalità di queste stazioni radiofoniche e televisive, i cui programmi non brillano per qualità tecniche e per interesse culturale. Certo è che, accanto alle caratteristiche degli impianti, e alle indicazioni di frequenze e canali
utilizzati, dovrà essere precisato, senza infingimenti, il carattere propriamente locale delle trasmissioni e ciò non per ottusa difesa del monopolio, ma per mettere ordine in questa 'selva selvaggia', con circa 48 stazioni televisive libere e 350 emittenti radiofoniche, se ci limitiamo alle adesioni date ad una associazione di teleradiodiffusioni private. Sempre per restare nel regime autorizzativo della sentenza non basta la precisa delimitazione dell'aggettivo 'locale'. Occorre guardare al pacchetto azionario, alle potenze di ambito, alle interconnessioni giuridiche e tecniche, palesi o surrettizie. La concentrazione delle testate giornalistiche da un lato e una fortissima commercializzazione ad ogni costo sono rischi presenti per esperienza, qui ed altrove. b) Se si vuole evitare la guerra alle emittenti private ma anche la loro indiscriminata liberalizzazione occorre una soluzione legata ad una sorta di accordo generale tra il governo titolare dell'intricato sistema dei canali disponibili, le Regioni come rappresentanti della cultura e delle esigenze locali e la Commissioni parlamentare di vigilanza, espressione proporzionale non delle parti ma di tutti, garante dei principi fondamentali del pluralismo e della libertà d'informazione. Un discorso strettamente collegato è il controllo parlamentare del messaggio pubblicitario e della conseguente ripartizione di eventuali introiti che non intacchino i preoccupanti livelli di guardia raggiunti dal finanziamento pubblico televisivo e dalla stampa, come si è del resto avviato con la legge di riforma. c) Pertanto, il dato liberalizzante introdotto dalla sentenza può non giocare le sorti del monopolio, anzi rafforzare le ragioni che stanno a monte di quella scelta, perchè si esca rapidamente dalla incertezza normativa che ormai deteriora il sistema informativo culturale del Paese. A ciò pensiamo siano interessate tutte le forze politiche, qualunque sia la loro prospettiva strategica a medio e lungo termine. Occorre uscire sia dai vizi occulti della televisione italiana (personalismo, assemblearismo e, mi si perdoni la parola nuova, egemonismo
fazioso) oltre ad esterne minacce quali la proposta di un ente pubblico, e modi
sbagliati di fare il decentramento, elementi che di fatto cospirano a dare uno spazio maggiore di manovra a emittenti estere o sedicenti tali (...) Nel sistema globale organico che abbiamo cercato di delineare un posto non secondario conservano le emittenti straniere. La legge di riforma ha prescritto, in temi di pubblicità, il divieto a carico dei ripetitori, e il ministro delle POste del precedente governo spiegò alla commissione di quali mezzi avesse bisogno per far rispettare una legge dettata non solo a salvaguardia del monopolio (e applicata in varie parti del mondo) ma anche col fine sussidiario di impedire una consistente sottrazione di valuta al mercato interno. Si ricordi anche che non ci sembrò allora congruo volgere cure attente ad un giusto riparto della pubblicità tra televisione e stampa - non senza aspre polemiche anche in Parlamento - e poi non assistere questo equilibrio con la norma ricordata" (La Stampa 11/9/76).
22 settembre 1976: Scrive Giorgio Bogi, PRI, su La Stampa: "I dati del sistema messo in atto dalla riforma erano: la professionalità, la competitività. la pluralità di reti e di testate giornalistiche, la legittimità delle emittenti via cavo, la legittimità delle emittenti estere, il diritto d'accesso, il decentramento. Un sistema, diciamolo subito, che se mantenuto in 'equilibrio' può salvaguardare la funzione pubblica intesa come corrispondente all'interesse generale, allo stato di diritto, e difenderla da pericoli che possono venire sia da interessi privati sia da quel già menzionato atteggiamento delle forze politiche. Solo, e questo è il punto che oggi deve interessarci, deve marciare: dunque non può essere superprotetto né lasciato in balìa di agenti esterni. Certo, per funzionare deve essere attuato nei suoi dettagli. E' chiaro, allora, che le emittenti locali devono essere regolamentate in modo da garantirne la sussistenza, ma anche da impedirne la degenerazione oligopolistica. E' chiaro, inoltre, che il problema delle emittenti estere non può essere disciplinato in maniera restrittiva e 'autarchica', ma deve essere inquadrato avendo l'occhio al futuro, al progresso delle tecnologie nel mondo delle comunicazioni via radio e TV. Senza, ovviamente, fare
favori a nessuna emittente fuori dai confini nazionali, ma senza quel 'protezionismo' contro le emittenti estere che è segno di incapacità a reggere il passo con l'evoluzione tecnica e con l'integrazione politica e culturale della complessa zona europea" (La Stampa 22/9/76).
22 settembre 1976: Eugenio Scalfari dedica al tema televisivo un commento intitolato "Sventola il tricolore su Malta e Montecarlo". Dopo aver sottolineato le reazioni preoccupate di Finocchiaro e anche del direttore del Tg2 Barbato sul prossimo lancio di Telemalta, il direttore di Repubblica scrive: "Per chi, come il sottoscritto, da anni è convinto che il monopolio radiotelevisivo sia giuridicamente insostenibile, moralmente e politicamente indifendibile e tecnicamente superato, la notizia non è di quelle che inducono alle gramaglie. Questo monopolio ci ha dato assai più inconvenienti che vantaggi;
doveva tirar le cuoia da almeno cinque anni; è sopravvissuto a se stesso; prima se ne sgombrerà il campo, meglio sarà. Ma ciò detto, restano almeno tre problemi: 1) che fare della Rai; 2) come organizzare gli spazi radiotelevisivi disponibili per la concorrenza; 3) come impedire che essi siano 'accaparrati' da oligopoli politici ed economici che frustrerebbero il dettato costituzionale. Sul primo punto con c'è molto da strologare: la Rai può svolgere un utilissimo ruolo di 'paragone' né più né meno di quanto accade in Gran Bretagna con la Bbc, cercando possibilmente d'essere competitiva sul mercato in termini di costi e di qualità di servizi. Il secondo e il terzo punto richiedono un discorso assai più complesso, che ci ripromettiamo di approfondire nei prossimi giorni. Per ora si può dir questo: essendosi accorta che all'interno della Rai non poteva fare più il bello e il cattivo tempo, la DC ha pensato bene di incoraggiare due esperimenti 'extra moenia'. Uno è Telemontecarlo, gestito da Indro Montanelli, che serve ad ancorare alla Dc la 'maggioranza silenziosa'; l'altro è appunto la rizzoliana Telemalta, che dovrebbe servire a mantener agganciata la clientela democristiana dislocata tra Piccoli e Zaccagnini. Entrambe le reti fanno
perno su pubblicità illegale, consentita da colpevoli tolleranze del governo. D'altra parte Rai, Montecarlo e Telemalta, sommate insieme, scateneranno una tale 'bagarre' sul mercato pubblicitario da mettere per terra quel poco che ancora resta dell'editoria giornalistica, ad eccezione ovviamente dei giornali di Rizzoli agganciati a Telemalta e del Giornale di Montanelli agganciato a Montecarlo. Il progetto, non c'è che dire, è ben pensato. Mi piacerebbe proprio di conoscere in proposito l'opinione di Craxi, di Berlinguer e di La Malfa. Gli va bene quanto si sta preparando? E se non gli va bene, che cosa pensano di fare? Organizzeranno dibattiti ai festival dell'Unità e dell'Avanti!? O si dichiareranno paghi del fatto che su Telemalta e Telemontecarlo sventola il tricolore?" (Repubblica 22/9/76).
24 settembre 1976: In un articolo non firmato dal titolo "Non è tempo da Far West", il Corriere della Sera si occupa del futuro assetto del sistema televisivo. "L'Italia potrà scegliere la soluzione della proprietà pubblica, o quella della proprietà privata: in un caso e nell'altro, l'essenziale è la corretta applicazione. Un sistema misto, come quello vigente in Inghilterra, dove accanto alla Bbc opera una televisione commerciale, regolata da norme precise e limitative, è forse il migliore, perchè garantisce il regime di concorrenza fra i vari canali. Ogni soluzione sarà comunque preferibile all'attuale situazione da Far West, in cui si va alla conquista di frequenze come si andava, nelle praterie americane, alla conquista di nuovi territori. Si abbia il coraggio di scegliere: nella speranza che la graduale maturazione della società italiana corregga gli eventuali errori e renda più limpidi, nel senso morale, i teleschermi" (Corriere della Sera 24/9/76).
28 settembre 1976: "C'è un interesse scoperto da parte di determinate forze politiche a ritardare la riforma per favorire le TV private". L'accusa parte da Massimo Fichera, direttore socialista della seconda rete Rai, che sottolinea come il ministro delle Poste Vittorino Colombo si sia espresso più volte "in favore della privatizzazione e contro il monopolio" (Panorama 28/9/76).
29 settembre 1976: Le radio libere si rifiutano di pagare la Siae: le rivendicazioni della società degli autori - affermano i partecipanti alla prima assemblea della FRED, Federazione Radio Emittenti Democratiche - porterebbero in breve al fallimento l'intero settore (Repubblica 29/9/76).
30 settembre 1976: Anche Alessandro Curzi interviene al dibattito aperto da settimane su La Stampa: "Non si propone di chiudere qualsivoglia emittente (si pensi alla positiva funzione assolta, ad esempio, dall'esperienza di alcune radio locali) ma solo di sottoporre quelle attuali e future ad una normativa chiara e rigorosa e che privilegi esplicitamente la Rai. Perché? Perché non ci illudiamo e non vogliamo illudere nessuno sul fatto che la libertà degli italiani consista nello scegliersi i formaggini o nel compiere improbabili 'distinguo' tra il messaggio confindustriale e quello delle multinazionali. Se si crede che l'informazione e la cultura siano una merca, lo si dica apertamente e non si tenti di far passare i meccanismi di formazione del prezzo del mercato per espressioni di libertà (...). C'è l'urgenza di una legge e per farla occorre l'accordo tra le forze democratiche, ma se questo sia possibile si verifica oggi, 'subito', nel consentire alla Rai di vivere e di assolvere al suo compito istituzionale" (La Stampa 30/9/76).
Ottobre 1976: Per le televisioni private è tempo di stilare i primi bilanci. Utile, per capire la situazione televisiva alla fine del '76, l'articolo di Italo Cammarata su "Espansione", dal titolo "Va in onda un nuovo mercato". "L'ultima a mollare il cavo - scrive il mensile - è stata Telenapoli: dopo che la Corte costituzionale ha dato spazio alle trasmissioni televisive via etere i dirigenti della stazione napoletana hanno deciso di adeguarsi ai nuovi tempi: i canoni d'abbonamento (4 mila lire l'anno) non vengono più rinnovati alla scadenza e il 38 mila utenti già allacciati via cavo, più tutti quelli che lo vorranno, potranno ricevere le immagini con un'antenna. Ma a qualcun altro il cavo è stato fatale: Teletorino, ad esempio, ha chiuso nel 1975: 'Per motivi esclusivamente economici', precisa Silvano Alessio, 40 anni, ex direttore
dell'emittente. 'Incassavamo due milioni al mese di pubblicità, una cifra che andava bene fin quando siamo rimasti un collettivo di amici che si divertivano'. Peppo Sacchi, il regista che per primo aveva lanciato la TV cavo con Telebiella, era stato facile profeta quando al momento di chiudere la sua emittente aveva detto: 'la limitazione della TV via cavo è proprio l'economicità'" (Espansione Ottobre 76)
3 ottobre 1976: Intervistato dall'Espresso, Angelo Rizzoli ribatte duramente alla polemica aperta all'annuncio della nascita di Telemalta, e in particolare alle posizioni assunte da Finocchiaro: "Io sono il maggiore editore italiano - dice Rizzoli - e non posso permettere che la confusione da Far West
che regna nel campo delle telediffusioni danneggi i giornali. In che modo li danneggia? Sottraendo loro la pubblicità, come ha sempre fatto la Rai. Non è forse la Rai che controlla ormai un quarto del mercato pubblicitario italiano? Non è forse la Rai che attraverso la Sipra gestisce non solo la pubblicità di catene editoriali in condizioni di privilegio (vedi contratto Sipra-Rusconi), ma addirittura quella di televisioni straniere (vedi Tele Lugano)? E io che devo fare? Lasciare che la stampa sia azzittita e ridotta in un cantuccio? Non ci sto. Ed ecco perchè nasce Telemalta,. Per difendermi dal monopolio, non per attaccarlo. Quando mai si è visto un editore italiano interessato alla televisione? Parchè non se lo chiede Finocchiaro? Scoprirebbe che gli editori si occupano di TV solo da quando la Rai ha condizionato e distorto il mercato pubblicitario. E senza pubblicità un giornale è morto. E io voglio sopravvivere, anche a dispetto di Finocchiaro" (Espresso 3/10/76).
9 Ottobre 1976: Il ministro delle Poste Vittorino Colombo, intervistato dall'Ansa, parla della pubblicità delle stazioni estere. "Che cosa fare? Se non si trova un sistema che sia contemporaneamente il più semplice, il meno costoso e il più certo per oscurare la pubblicità sarà necessario far sospendere con la forza le trasmissioni. Questa misura deve però formare oggetto di ripensamento da parte di tutte le forze politiche per non far cadere il paese in una sorta di oscurantismo culturale". In ministro ha
invitato i proprietari dei ripetitori a "eliminare con qualsiasi mezzo i messaggi pubblicitari e, non essendosi a ciò ottemperato, le pratiche di autorizzazione dei ripetitori non hanno avuto seguito" (Corriere della sera 10/10/76). La tesi di Colombo è quella del mancato oscuramento per cause tecniche. Eppure il 19 ottobre il centro Rai di Torino comunica che è possibile bloccare la pubblicità e oscura quella della TV svizzera in lingua francese diretta in Val D'Aosta. Dirà qualche settimana più tardi Finocchiaro: "Non venga a raccontarci, il ministro, che esistono ostacoli tecnici: i prototipi per l'oscuramento sono già pronti, descritti accuratamente in un piano presentato mesi fa al ministero. Sono già stati sperimentati. Funzionano perfettamente. E il loro costo è soltanto di 20 milioni" (panorama 15/12/76).
15 ottobre 1976: Viene resa pubblica la "Valutazione di massima delle possibilità di canalizzazione per stazioni televisive ad ambito locale", ossia la mappa per le frequenze redatta dal Ministero delle Poste (Siliato: "L'antenna dei padroni).
21 novembre 1976: Intervenendo all'incontro su "Scelte politiche e futuro della televisione", il presidente della FIEG (Federazione Italiana Editori Giornali) Giovanni Giovannini propone che siano i giornali a gestire le televisioni locali (Corriere della Sera 22/11/76).
Dicembre 1976: "Dopo un tentativo fallito di uscire con una radio - scrive il mensile Altri Media - il PCI progetta di installare a Venezia una TV via etere. sarebbe la prima volta che il partito comunista si muove in veste di 'privato' per
quanto riguarda la televisione locale. Finora era sempre stato uno strenuo difensore del monopolio e del decentramento locale radiotelevisivo in mano agli enti pubblici". L'emittente dovrebbe chiamarsi, conclude l'articolo, "Venezia Ottanta" (Altri Media dicembre 76).
9 Dicembre 1976: Giancarlo Ghironzi, democristiano di San Marino, riporta alla luce la questione di una possibile emittente da installare sul Monte Titano: lo Stato di San Marino, infatti, si era impegnato, in base a una convenzione con l'Italia, a rinunciare
a una propria emittente in cambio di un compenso annuo: "E' una condizione anacronistica e arcaica - afferma Ghironzi - non possiamo più accettare una limitazione così pesante dal governo italiano" (Corriere della Sera e Giorno 9/12/76). 14 dicembre 1976: Il PCI presenta un'interpellanza al ministro Colombo: "Il ministro non ha ancora rispettato l'impegno, assunto davanti alla commissione parlamentare di vigilanza, di riferire sulle misure adottate circa l'applicazione della riforma in materia di emittenti estere o pseudoestere" (Unità 15/12/76). Il giorno dopo il ministro Vittorino Colombo di dichiara pronto a oscurare le pubblicità delle stazioni estere.
21 dicembre 1976: E' destinata a far nascere enormi polemiche la proposta di legge del ministro Colombo sulla regolamentazione di TV locali ed estere. "La bandiera - scrive Panorama - è libertà d'espressione, rispetto del pluralismo'. E' sventolandola che Vittorino Colombo ha fatto circolare sui giornali già all'inizio di dicembre le sue idee per regolamentare le trasmissioni televisive in Italia. Colombo prevede la concessione di frequenze a tutti, TV estere comprese, e il diritto a sostentare le trasmissioni con introiti pubblicitari rastrellati in Italia. 'Perfettamente in linea', è la tesi del ministro, 'con la sentenza della Corte costituzionale che ha dichiarato illegittima la vecchia legge che difendeva rigidamente il monopolio e ha sancito il libero accesso dei privati ai mezzi radiotelevisivi'. L'uscita del ministro ha scatenato una bordata di polemiche, soprattutto a sinistra: 'La sentenza della Corte parla chiaramente di TV private che trasmettono su scala locale, mentre le TV estere arrivano su tutto il territorio nazionale', ribatte Franco Tempestini, responsabile del settore informazione del PSI, 'legalizzarle significa distruggere definitivamente il monopolio' (...): Secondo le sinistre la proposta di Colombo ha una spiegazione precisa: 'Perso il controllo della Rai, la DC cerca di aggiudicarsi altri strumenti di persuasione occulta', spiega Sesimio Zito, socialista, senatore, membro della commissione parlamentare per la Rai (...) Passerà, tra tante proteste, la proposta di
Colombo? Lui, sia pure rettificando formalmente il tiro, è deciso a tener duro: 'E' un falso problema parlare di fuga della pubblicità: in Italia si producono 400 miliardi l'anno. 106 spettano alla Rai, e dell'altra parte ne andrebbero solo 7 o 8, il 2% del totale. E' una sciocchezza se si pensa alò valore del pluralismo, della possibilità di tutti di poter usare la televisione. E'
una battaglia di libertà, e stiamo semmai attenti a non farla fare solo a Montanelli'. Ma nella stessa DC le perplessità non sono poche. Per ora è uscito allo scoperto solo Fracanzani, compagno di corrente di Colombo: 'Quello che viene dipinto come pluralismo sarebbe soltanto n liberismo a scoppio ritardato. L'importante è che gli altri amici della sinistra democristiana si decidano a uscire dall'equivoco, dicendo chiaro cosa dicono della proposta del ministro'" (Panorama 21/12/76)
30 dicembre 1976: Il Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) decide per l'introduzione della TV a colori in Italia.
Gennaio 1977: L'anno si apre con la crisi del consiglio d'amministrazione della Rai. Beniamino Finocchiaro viene dimesso e al suo posto è eletto Paolo Grassi, che parla di una "seconda fase della riforma". Lo affianca il direttore generale Giuseppe Glisenti
30 gennaio 1977: L'espresso pubblica un breve articolo intitolato "Poi c'è la quarta rete", che dice: "Mentre la Rai-Tv gioca tutto sull'accoppiata Grassi-Glisenti, nei dintorni ci si occupa dell'assegnazione di quel che resta: la quarta rete. Nel progetto di riforma televisiva, tre reti erano per l'ente di stato, la quarta ai privati: ma a chi e in che modo? Si parla, per ora, dei gruppi editoriali o para-editoriali di maggiore spicco: Rizzoli, Caracciolo e Mondadori, Monti-Rusconi, Ifi (Agnelli), più un X non precisato, che probabilmente rappresenta il gruppo Cefis. Saranno loro a mettere su, e a loro spese, ripetitori, impianti e tutto il resto. In teoria la quarta rete, che potrebbe cominciare a funzionare tra un anno o due, non dovrebbe occupare tutto il territorio nazionale: ognuno dei concessionari produrrà programmi per la fetta di territorio che
gli verrà assegnata (o che si è spartita). In pratica se alcuni fra loro si metteranno d'accordo, nessuno potrà vietargli di scambiarsi i programmi. E la quarta rete diventerebbe anch'essa ad estensione nazionale o almeno regionale, quindi in concorrenza con il monopolio, che allora non sarà più monopolio" (Espresso 30/1/77).
1 febbraio 1977: Iniziano ufficialmente le trasmissioni a colori della Rai, consentite per un massimo di 42 ore settimanali, corrispondenti a sei ore quotidiane (Corriere della Sera 1/2/77).
6 febbraio 1977: Intervista a Paolo Grassi sul Radiocorriere: "Penso che attuando la seconda fase della riforma - dice tra l'altro il neopresidente - la concorrenza delle emittenti straniere e private si vinca difendendo il monopolio, applicando rigorosamente la legge di riforma e la legge protettiva del monopolio. Si vince anche, e soprattutto, non con la fortezza accerchiata del monopolio, bensì con un monopolio inteso dialetticamente come servizio pubblico nella più ampia accezione del termine, al servizio dell'intera società nazionale e di quel tanto di civiltà che il nostro paese ritiene ancora di rappresentare. La concorrenza, cioè, non si affronta con le sole tutele legislative o con l'abbattimento dei ripetitori, ma si vince soprattutto con la credibilità dell'informazione e con la qualità della proposta culturale. La battaglia più autentica va vinta dentro la nostra coscienza, acquisendo la consapevolezza che il nostro prodotto è migliore, che il nostro sacrificio è maggiore, che lavoriamo meglio e più dei colleghi delle televisioni straniere o private" (Radiocorriere 6/2/77).
7 febbraio 1977: Intervista al ministro Vittorino Colombo su La Discussione. Il tema è, ovviamente, il futuro delle TV private ed estere. "La legge 103 del 1975 - dichiara Colombo al settimanale della DC - ha già previsto che possano essere ripetuti in Italia i programmi esteri via etere. La stessa
legge prevedeva, però, che questi programmi dovessero escludere i messaggi
pubblicitari. A parte l'iniziativa in corsa da parte del mio Ministero per un pieno rispetto della legge vigente, sono emerse una serie di valutazioni sia di ordine politico sia di carattere giuridico sulla validità di tale limitazione. E' maturata cioè la convinzione che l'oscuramento della pubblicità nei programmi esteri sia una battaglia di retroguardia rispetto ai principi ormai acquisiti largamente nella coscienza popolare di un pluralismo integrale che deve valicare le barriere nazionali e che trova ormai un riscontro positivo nella collocazione europea del nostro paese e nelle norme internazionali concretamente recepite dall'Italia in ordine alla libera circolazione delle persone, delle merci e dei servizi. Per questo motivo io credo che la nuova legge di riforma dovrà correggere e integrare la precedente norma" (La Discussione 7/2/77).
12 febbraio 1977: Lungamente attese, e circondate da una grande attenzione seguita a un lungo dibattito culturale e politico, iniziano le "trasmissioni dell'accesso", ossia le trasmissioni realizzate direttamente da associazioni e gruppi. In maggioranza, all'inizio, parlano associazioni cattoliche, "le prime e quasi le sole" ad averne fatto richiesta (Paese Sera 12/2/77).
16 febbraio 1977: Presa di posizione del consiglio di amministrazione della Rai su TV straniere ed estere. "Il documento - spiega il Radiocorriere - pone in rilievo la situazione che si sta determinando a danno del servizio pubblico radiotelevisivo in conseguenza della progressiva 'occupazione abusiva' di frequenze televisive da parte di emittenti private e di ripetitori di programmi irradiati da stazioni straniere o che straniere sono solo di nome. 'E' una situazione - è detto nel comunicato - che rischia seriamente di pregiudicare l'attuazione dei piani di sviluppo delle trasmissioni previste dalla legge di riforma, con particolare riferimento al prossimo avvio della terza rete televisiva'. Il CdA è dell'opinione che questo processo di occupazione abusiva di proporzioni ormai rilevanti sia stato favorito non solo dai ritardi che si sono verificati nel varo della nuova disciplina delle emittenti locali - che una
sentenza della Corte costituzionale imponeva senza indugi - ma anche dalla mancata previsione, nel piano nazionale recentemente approvato in sede ministeriale, delle frequenze e degli spazi assegnati in esclusiva alle esigenze di sviluppo del servizio pubblico" (Radiocorriere 27/2/77).
3 marzo 1977: Il Giorno dà l'annuncio della nascita di Telelombardia. Presidente Enzo Tortora, direttore amministrativo Luigi Malferrari. Direttore dei programmi Renzo Villa (Il Giorno 3/3/77).
5 marzo 1977: Repubblica torna sul tema della TV con il commento "La televisione di Vittorino". L'articolo esamina le idee del ministro Colombo intorno al tema delle TV private ed estere, e in particolare una sua recente presa di posizione: "Le frequenze sono certamente limitate - ha detto il ministro in un convegno della stampa cattolica - e dovranno soddisfare
in primo luogo le iniziative private in ambito locale e poi quelle per la ripetizione dei programmi esteri". E' già qualcosa, commenta il giornale di Scalfari, che il ministro consideri "prima" le private e "poi" le estere, anche se bisognerebbe capire che significa quel "poi". "Ma c'è invece un punto - conclude l'articolo - sul quale il ministro è recidivo, ed è la ovvia distinzione tra vere e finte emittenti straniere. Nessuno si oppone (sempre che le frequenze siano disponibili dopo aver soddisfatto le richieste delle TV libere locali) al fatto che siano consentiti ripetitori per poter ascoltare in Italia programmi esteri. Nella lingua e con i notiziari di quei paesi. E' invece manifestamente incostituzionale che alcune emittenti, passando allegramente sopra all'ambito locale stabilito dalla Corte costituzionale, diffondano dall'estero notiziari e programmi interamente italiani su tutto il territorio nazionale. Il ministro delle poste ha mai sentito parlare dell'eguaglianza del diritto? Sa che è uno dei cardini della Costituzione? E vuole spiegarci se coi sarebbe eguaglianza tra un cittadino italiano costretto a trasmettere entro il raggio Milano-Monza o Roma-Albano e Montanelli che trasmette da Montecarlo su tutta la Valle Padana e oltre? Andiamo, ministro: c'è
eguaglianza o non c'è?" (la Repubblica 5/3/76)
13 marzo 1977: La storia della televisione in Italia è, evidentemente, anche storia degli annunci, delle smentite, dei piani tecnici, delle speranze e delle paure legate alla fantomatica televisione del Vaticano. L'occasione per parlarne di nuovo viene dall'annuncio che lo stato pontificio si è assicurato un satellite artificiale per la diffusione televisiva, con la possibilità - almeno teorica - di "un' invasione vaticana dello spazio televisivo" (Settimana TV 13/3/77). Sull'argomento ritorna, a fine mese, anche la Domenica del Corriere. Della TV del Papa, scrive il settimanale, si parlava da tempo: "Con la nascita del satellite europeo per le comunicazioni spaziali, che verrà lanciato sperimentalmente alla fine di quest'anno, ogni stato sovrano avrà diritto a diffondere i propri programmi televisivi. Anche la Città del Vaticano è uno stato: da qui la sua richiesta di ottenere le frequenze per trasmettere con le sue emittenti. Ma ogni stato potrà usare il satellite per 'riflettere' i programmi soltanto nei confini del proprio paese e per la Città del vaticano non avrebbe senso creare una stazione per un fazzoletto di terra di 440.000 metri quadrati con mille abitanti. Così i nunzi, gli ambasciatori del papa all'estero, dovranno chiedere ai vari governi europei di accettare le trasmissioni mandate in onda via satellite dalla 'TV del papa'. Queste in sintesi le notizie apparse in forma di indiscrezioni sulla stampa. Il Vaticano non ha confermato nè smentito". Il settimanale offre però l'occasione a monsignor André Marie Deskur, responsabile della "Pontificia commissione per le relazioni sociali", di offrire una risposta diplomatica alla domanda: La Santa Sede intende partecipare alla diffusione di propri programmi? Allestire una propria emittente? "La Santa Sede
- è la risposta del prelato - da
tempo, con la collaborazione della Rai e di numerosi enti televisivi nazionali e locali, offre alcune volte l'anno programmi religiosi via satellite ad una quarantina di Paesi (Natale, Venerdì Santo, Pasqua, viaggi del papa, sinodi dei vescovi, congressi eucaristici). Sono programmi attesi ed apprezzati. Per la loro diffusione non è stata
finora indispensabile una propria stazione televisiva anche se dal 1961 lo Stato della Città del Vaticano si è riservato possibilità tecniche per averne una. Per ora non è contemplata l'istallazione. La decisione futura dipenderà dai progressi tecnologici e dalle necessità pastorali" (Domenica del Corriere 31/3/77).
22 marzo 1977: Panorama pubblica un'inchiesta sul mondo dell'emittenza privata, che si apre con un dato diffuso dalla Rai: nel 1976 l'ascolto dei programmi radiofonici della Rai è calato del 20,1%. Quello delle radio private si è invece quadruplicato: ogni giorno, contro 23 milioni di italiani che ascoltano i programmi delle reti tradizionali, 3 milioni e 800 mila persone si sintonizzano su una delle mille emittenti private sparse lungo la penisola. Solo un anno prima, gli ascoltatori erano 1 milione 200 mila. Questo per quanto riguarda le radio. E le televisioni? "Spontaneo, caotico, sicuramente destinato a subire qualche forma di regolamentazione, se non altro per evitare che le diverse emittenti si disturbino a vicenda e interferiscano con il groviglio di comunicazioni radio che intasano l'etere tutt'altro che infinito, il mondo delle radio private - scrive Panorama - è stato però, finora, effettivamente libero, ricco di voci che non avevano mai avuto prima la possibilità di esprimersi, solo marginalmente inquinato da manovre monopolistiche. Completamente diversa, invece, è la realtà delle televisioni private (attualmente quelle registrate sono 256. Solo 120 sono attive, di cui 80 trasmettono programmi regolari, 40 mandano in onda solo il monoscopio e le altre non hanno alcun tipo di trasmissione) che, dopo la sentenza della Corte costituzionale, hanno incominciato a trasmettere anche via etere. I primi esperimenti via cavo sono stati presto abbandonati perchè troppo costosi rispetto al pubblico limitato che raggiungevano. Il mondo delle TV private si sta infatti rivelando come il vero terreno di conquista dei grandi gruppi economici o di pressione ideologica interessati a costituire oligopoli e monopoli dell'informazione televisiva. Alla base di questo fenomeno c'è il costo delle attrezzature: se per una radio bastano cifre relativamente accessibili (sette milioni per gli impianti, da tre a
cinque milioni al mese in media per la gestione), per una televisione di medio livello i costi salgono vertiginosamente: non meno di 30 milioni al mese di gestione dopo un investimento iniziale di almeno mezzo miliardo per l'istallazione. Le TV libere si stanno affermando solo adesso mentre le radio private hanno già una loro fisionomia stabilizzata. Ma questi primi passi vanno tutti nella stessa direzione, quella della concentrazione e dell'oligopolio in alternativa al monopolio che la Rai mantiene a livello nazionale.

fonte:http://www.radiomarconi.com/marconi/ancona/valcamonica/amarcord/storiatv.pdf


 

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